Ratti che si amano
Fin dal giorno in cui Consonni si era presentato nel suo ufficio, sul tavolo di Ametrano si ammassavano novità, tutte in qualche modo collegate alla testimonianza in questione. Prima di tutto in un Naviglio fu effettivamente ritrovato il cadavere di una ragazza sui sedici/diciassette anni, di identità sconosciuta, di carnagione chiara ma con un tatuaggio molto ben riconoscibile nei pressi dell’inguine, un ramarro a bocca aperta pronto a mordere, esattamente quello che aveva segnalato il Consonni. La ragazza aveva la testa perforata da un colpo di pistola di grosso calibro. Come da testimonianza.
In secondo luogo un agente di quelli della squadra del vicequestore romano non si era più fatto vivo, mancava all’appello. Dalla descrizione pareva proprio quello che Consonni indicava come morto, tal Cozza, sparato in testa da un operatore del settore balletti rosa, come si chiamavano una volta. L’agente, celibe, era introvabile, e nessuno lo avrebbe più trovato, così pensava Ametrano, chissà dove l’hanno buttato. Consonni, mostratagli la fotografia, lo riconobbe a prima vista. «Se un giorno lo ripescate controllategli il pirlo» disse l’ex tappezziere.
Non era materia di Ametrano, ma qualche notizia confusa sul collega Tagliaferri giunse anche a lui. E sembravano esserci svariate incongruenze, alcune puzzavano da lontano di coperture interne.
Ametrano cercò anche, senza parere, con estrema delicatezza, qualche informazione sul romano, questo vicequestore che godeva di un certo prestigio, e che era stato trasferito a Milano da una zona lontana, Friuli o qualcosa del genere. Sembrava un duro, integerrimo e duro. Uno che aveva una storia complicata alle spalle, probabilmente si era messo contro gente di rispetto, gente di potere, che gliel’aveva fatta pagare. Eppure Ametrano venne a sapere che questo vicequestore era in rapporti strettissimi, di grande confidenza, proprio con Tagliaferri. Poteva essere una coincidenza?
Ametrano doveva fare attenzione a tutto.
Il quadro che si fece era abbastanza drammatico e gravissimo. Cosa poteva fare?
Ne parlò con un magistrato, ma si assicurò che la cosa rimanesse assolutamente segreta. Si presentò dal sostituto procuratore con un rapporto dettagliato. Ci aveva pensato un bel po’, poi si era deciso.
«Ametrano, io sono convinto e spero vivamente che le cose non stiano come lei le dipinge. In fondo cosa abbiamo se non un testimone, non si sa quanto affidabile, lo ha espressamente detto anche lei che quel signore ha certe caratteristiche del mitomane. Ma se fosse vero quello che il suo testimone riferisce le devo dire tre cose: la prima è che la sua carriera è terminata; la seconda è che occorre fin da subito prendere dei provvedimenti; la terza è che l’eventuale testimone è già morto, perché sarebbe impossibile organizzare per lui un percorso di protezione, sarebbe meno sicuro protetto che libero, vale a dire in fuga».
«Signor procuratore, non è che questi problemi mi siano ignoti e indifferenti, il film Witness l’ho visto anch’io, ma lei capisce? Dai riscontri che ho elencato nel rapporto è più che evidente che il testimone ha assistito a una scena di sangue, a Corsico. Si può confondere su qualche elemento, su alcuni è reticente, ma ha visto Tagliaferri, Cozza, e anche chi le ho detto... Tagliaferri è stato trovato morto fuori della balera. Cozza è scomparso, quando il Consonni dice che è stato ucciso. La ragazza che Consonni aveva dichiarato essere morta è stata ritrovata nel Naviglio. Per non parlare del villino di via Ghislanzoni che è stato abbandonato la sera stessa. È successo un gran bordello e credo che ci siano almeno due fazioni rivali che si stanno organizzando, ma ancora di preciso non sanno cosa fare, sono allo sbando».
«Ci devo pensare, Ametrano, che cosa vorrebbe che facessi? Se la situazione è come dice lei domani potremmo non esserci più né io né lei. Bisogna che ci pensi bene. E inoltre lei ha un bel coraggio. Chi le assicura che anch’io non sia d’accordo con qualche pezzo grosso che ci è dentro, o con quelli sopra di lui? Che cosa le dice il contrario? In una tale evenienza anche lei dovrebbe guardarsi le spalle, appena uscito di qui, o anche prima».
«Signor procuratore, se avessi pensato anche per un istante che la banda, perché di banda si tratta, fosse amica sua, non sarei qui. Ci sono modi migliori e più sicuri per suicidarsi. Per quanto riguarda me lo so che finisco nei casini, in un modo o nell’altro. Ma che dovrei fare? Finta di niente? E poi, come ha visto nel rapporto, pare che di testimoni ce ne siano altri due».
«Sì, ma sono minorenni, clandestini e pure spacciatori, se ho capito bene. Anche nella remotissima ipotesi che volessero testimoniare, io che me ne faccio? Mi ridono dietro».
«Beh, quei due lì è facile condizionarli, se si venisse a sapere che erano presenti a Corsico avrebbero vita breve, e probabilmente loro due se lo sono immaginato».
«E che gli promettiamo? Sono dei ragazzi. Forse l’unica è portarli lontano».
«Mah».
«Faccia subito qualcosa per quel Consonni, presto lo troveranno».
Max si era ripreso. Finalmente si era svegliato, anche se non è che si sentisse in piena forma. Ma che cazzo ho preso, avrebbe pensato, se fosse stato un essere umano, ma i cani, per fortuna loro, non sono sotto nessun riguardo esseri umani, e non pensano queste cose. De Angelis lo andò a riprendere. «Devo niente?» chiese al dottore il Luis, abituato a non pagare un cazzo, come al Pronto Soccorso per umani.
«Sì, prego, vada a regolare alla reception».
«Sono 1.143 euro, signor De Angelis».
«Cosa?» chiese il Luis, con il Max in collo. «Scusi sa, ma sono un po’ sordo».
«Millecentoquarantatré euro. Paga in contanti o come?».
«1.143 euro, per un cane?».
«Sulla ricevuta c’è il dettaglio del ricovero, dei trattamenti e degli esami eseguiti».
«1.143 euro? Ma dove li vado a trovare?».
Se Max si sentiva meglio, chi invece, per gli stessi motivi di Max, si trovava in quel momento in difficoltà erano due fidanzati, insomma, due che stavano insieme, non erano ufficialmente fidanzati, che in serata avevano fatto un festino con il loro ritrovamento ospedaliero.
Avevano nascosto il panetto nel frigorifero, dopo averne tagliato un pezzo da un etto e averlo passato a Maurizino, che aveva pagato in contanti. Un altro pezzo se l’erano tenuto per sé e con quello avevano fatto festa insieme ad alcuni amici.
Lei, che di mestiere faceva l’infermiera, non si recò sul posto di lavoro.
Angela escludeva a priori che in vita sua avrebbe avuto altro a che fare con quel porco dell’Amedeo. Ormai fra loro era finita, quello stronzo... Lo odiava, quell’idiota, quel vecchio, quel bolso imbecille, quello spudorato. Lui avrebbe dovuto baciare il marciapiede sul quale camminava lei, e invece ci sputava sopra, l’infelice. Se solo sapesse a cosa ho rinunciato per lui, a quali uomini ho detto di no pensando a lui, a dove potrei essere in questo momento... Stronzo maiale, vecchio rincoglionito, irriconoscente bestia, ecc.
Angela non era mai stata così arrabbiata, era pronta a una svolta radicale nella sua vita. Va bene, è questo che vuoi, pezzo di merda? Io ho un’alternativa, in Riviera. E di te, vecchio scemo, non ne saprò più niente, te e quella cretina di tua figlia e quel delinquente del tuo nipotino...
Per cui quando Ametrano la contattò, non per telefono, attenzione, facendole sapere che aveva bisogno di parlare con lei a proposito del Consonni, all’inizio si irrigidì, rifiutandosi.
Solo dopo ripetute insistenze cedette, anche perché il commissario parlava di questioni di vita o di morte.
Così Angela accondiscese a vedersi con Ametrano, in una mensa popolare dalle parti di piazzale Corvetto, immersi in un clima di gran segretezza.
Ametrano le spiegò la situazione. Consonni era un testimone chiave di una strage, la situazione era veramente scabrosa e coinvolgeva molte persone, anche importanti. Ametrano dipinse un quadro un po’ forzato del Consonni, come se fosse un indomito paladino della giustizia, pronto a morire. Contro tutto e tutti, contro qualsiasi convenienza, Consonni si era messo a combattere nemici molto più grandi di lui. Ametrano cercò di essere il più convincente possibile, e mentre parlava Angela piano piano abbandonava i suoi piani bellicosi nei confronti dell’Amedeo.
Di una cosa si convinse, che il Consonni le aveva raccontato la balla che si era innamorato solo perché voleva rompere i suoi legami sentimentali con lei, Angela, e, sapendo di essere in grave pericolo di morte, evidentemente non voleva lasciare dietro di sé nessuno strascico affettivo.
Ma certo, com’è che non ci ho pensato prima? L’Amedeo si è inventato la storia della sua giovane amante solo perché, una volta morto, io non soffrissi più di tanto. Oh, povero Amedeo, ma come ho potuto credere alla tua innocentissima balla? Perché devi sempre cercare di proteggere gli altri? Anche a costo di farti odiare?
Angela pertanto con Ametrano si dichiarò a totale disposizione, occorreva nasconderlo e salvarlo.
Ametrano era un po’ disorientato. Perché la professoressa Mattioli inizialmente si era rifiutata di aiutare il Consonni, e adesso invece sembrava pronta a tutto? Evidentemente l’ho convinta, pensava il commissario, orgoglioso delle sue virtù persuasive.
Angela irruppe nella casa di Consonni mentre lui, in vestaglia, fumava una sigaretta.
Ma da quando in qua tu fumi, gli avrebbe voluto dire, poi capì che la risposta era semplice: tanto ormai...
Consonni era impaurito, temeva che Angela gli desse un’ulteriore ripassata, e invece, miracolo, era dolce e tenera.
«So tutto» disse lei «ma avresti dovuto dirmelo».
«Ma io, Angela, ti ho detto tutto».
«Smettila, adesso so veramente tutto, e non avresti dovuto farlo».
«Fare cosa?».
«Raccontarmi quelle storie, per proteggermi».
«Per proteggerti?».
«Sì, so che stai rischiando la vita».
«Beh, forse sì, ma io... insomma, è tutta colpa mia, tu che c’entri?».
«Se dobbiamo rischiare la vita la rischieremo insieme, e non ti sognare di pensarla diversamente».
Consonni non ci capiva granché. Dopo che Angela lo aveva infamato pesantemente, adesso sentiva di far coppia con lui, indissolubilmente, fino alla morte. Ma era ammattita? Aveva proprio ragione Giulia, depressione maniacale bipolare, com’è che si chiamava?
«Da questo momento in poi tu ti trasferisci in un luogo segreto, ti stanno cercando persone pronte a tutto, lo sai che sei un’ombra che cammina?».
«Io? E perché? E quale sarebbe questo luogo segreto?».
«È talmente segreto che non lo devi conoscere neanche tu. Sono d’accordo con Ametrano».
«Oddio, allora è lui che ti ha detto...».
«E chi altri?».
Il sovrintendente capo Cotone andò a parlare col commissario Ametrano, responsabile di quel quartiere. Gli raccontò delle sue scoperte, relativamente ai fatti del condominio di via *** 14, nel quale ben cinque appartamenti erano stati violati e sottoposti a perquisizioni vandaliche. Fra l’altro aveva saputo che un cane residente in tale condominio era stato ricoverato in un Pronto Soccorso Veterinario perché aveva ingerito sostanze illegali. Evidentemente le incursioni erano dovute a traffici che avevano sede in quella casa. Potevano mettere le mani sulla ghenga di spacciatori che imperversava al Casoretto. La figura al centro delle operazioni di natura illegale poteva essere quella di un certo Consonni Amedeo, l’attuale proprietario del cane, uomo noto alle forze dell’ordine, con pendenze legali in corso – è in attesa di giudizio – e protagonista di alcune circostanze poco chiare che negli ultimi tempi avevano messo in subbuglio l’intero casamento. Su quell’individuo occorreva indagare più a fondo.
Ametrano il nome di Consonni Amedeo avrebbe preferito non sentirlo ripetere, soprattutto se legato ad altre novità e alle indagini del sovrintendente capo Cotone. Sfogliò il rapporto e decise per il meglio.
«Maresciallo, la situazione sembra assai seria, le faccio i complimenti per il suo zelo. Adesso però l’incartamento arriverà alle alte sfere, lo passerò a chi di dovere. Per il momento non posso fare altro che chiederle di non occuparsene più, anzi, di dichiarare l’indagine, almeno dal suo punto di vista, conclusa. Ci sarà tempo e modo perché a lei siano riconosciuti i suoi meriti, ma per il momento la invito, anzi le ordino, di non parlare della vicenda con nessuno, assolutamente nessuno, neanche parenti o conoscenti, lei mi capisce, vero?».
Il maresciallo era un po’ deluso ma rispose prontamente: «Certo che la capisco».
«Neanche a colleghi di ogni ordine e grado, sono stato chiaro?».
Oddio, che razza di vespaio ho sollevato? pensava Cotone.
«Come lei senz’altro si immagina ci sono molti uomini che stanno lavorando su queste cose, specialisti, si tratta di ricostruire una rete, non basta prendere i pesci piccoli».
«Capisco».
«Mi raccomando».
Quando il maresciallo se ne fu uscito Ametrano si interrogava sulla incredibile capacità del Consonni di attirarsi addosso complicazioni di tutti i tipi: adesso ci mancava anche il traffico delle droghe leggere.
Consonni sarebbe stato trasferito dal suo appartamento a certi scantinati che si trovavano nei seminterrati della casa di ringhiera, di proprietà della signora Xing, dei quali però Angela custodiva le chiavi. Angela aveva contribuito all’organizzazione, con entusiasmo e senza rancore, d’altronde, la storia dell’innamoramento di Consonni per la ragazzina, pur se ben congegnata, era proprio incredibile.
«Preparati una piccola valigia, siamo in partenza».
«E dove andiamo?».
«In un posto segreto».
«E dov’è?».
«Non devi saperlo, potresti rivelarlo».
«Ma Angela, se lo rivelo vuol dire che mi hanno trovato, e allora lo conoscono già».
«Non mi fare perdere tempo, preparati».
«Ma io...».
«L’ha detto Ametrano, che sto rischiando la vita, e anche di più, per stare dietro a te. Vuoi che muoia?».
Consonni capì che era inutile controbattere, si preparò.
Angela lo caricò sulla sua FIAT Doblò, nel cassone posteriore, privo di finestrini. Per sicurezza bendò Consonni, e fece un giro di mezz’ora per depistare gli eventuali pedinatori. Quindi arrivò all’ingresso laterale, dietro quello principale della casa di ringhiera, ingresso segreto e secondario ai seminterrati.
Consonni, ancora bendato, fu fatto entrare dentro il magazzino.
La benda gli fu tolta solo una volta raggiunto il locale sotterraneo.
Consonni chiese: «Ma dove siamo? Dove mi hai portato?».
«Te l’ho già detto, Amedeo, è bene che tu non lo sappia».
Angela scaricò due scatole di polistirolo espanso, contenenti provviste per un reggimento. Mozzarella di Aversa, baci di dama, insaccati del Tirolo, pane toscano, maionese biologica, salamini valtellinesi, marmellata di lamponi, formaggi di pecora e di capra, cioccolato fondente, sottaceti, speck, fagioli in scatola, biscotti sugar-free, acciughe sott’olio, monregalesi al rhum, salmone affumicato e anche un paio di bottiglie di Nebbiolo.
«Ma mi vuoi far venire il colesterolo a 500?».
«Non durerà a lungo, Amedeo, aiutami».
«Angela, non ci capisco più niente, e io qui cosa devo fare?».
«Niente, niente di niente. Guarda, ti ho portato anche una Settimana Enigmistica. Adesso devo andare, presto verrà a parlare con te il commissario Ametrano. Buonanotte amore».
Consonni era ulteriormente destabilizzato. Buonanotte amore? Dette un’occhiata al luogo in cui l’avevano nascosto: c’era una branda sfatta con un sacco a pelo sopra, le mura di pietra trasudavano umidità. Una lampadina nuda pendeva dal soffitto. Consonni credette di essere in una cascina isolata, magari nel Pavese. Eppure, ogni tanto sentiva una vibrazione profonda, un tremore lontano, cos’era, il treno? O la metropolitana?
L’avvocato Adolfo Mocogni si aggirava per la casa di ringhiera con un mazzo di fiori in mano. Questa volta era deciso, non era uno cui piaceva essere preso in giro. Perché Donatella si rifiutava di vederlo? Si era forse comportato male? Oppure c’era qualcos’altro sotto? Beh, niente di male, ma perché rifiutarsi anche di parlarne? E perché mandarlo addirittura a quel paese?
Così acquistò un mazzo di fiori misti, per le rose c’era tempo, e si introdusse nella corte della casa di ringhiera. Suonò alla porta di Donatella.
Ebbe come la senzazione che dall’altra parte del portoncino stesse succedendo qualche cosa. Dopo un po’ aprì un ragazzetto esile e pallido, che doveva essere il figlio di Donatella.
«La mamma non c’è» disse lui, senza neanche chiedere chi era.
«Ma sei sicuro? Eppure mi pare di averla vista che rientrava».
Adolfo si sentiva un po’ in imbarazzo, perché quel ragazzo lo guardava da sotto in su, con grande diffidenza. Si vedeva che non era preso dall’entusiasmo dal fatto che sua madre avesse un corteggiatore. Magari quella di dire che la mamma non c’era era una sua iniziativa.
«Posso entrare un momento? L’aspetto qualche minuto. Sono un amico dello zio Dado».
«La mamma non c’è, e io non posso fare entrare nessuno» ribadì Gianmarco. «Comunque ha detto che non vuole vederla e che se torna chiama la polizia».
Possibile?
«Ma ci dev’essere un equivoco!».
«Nessun equivoco, la mamma ha detto Adolfo, quanti Adolfi vuole che ci siano?».
Dunque Ametrano riuscì a riparlare con Consonni nel rifugio.
Il commissario non voleva che si sapesse, che nessuno potesse sapere, che era al lavoro su Consonni. Certamente la cosa sarebbe arrivata alle orecchie delle persone sbagliate. Anche l’agente che lo accompagnava in macchina poteva essere una persona sbagliata.
Trovò Consonni che sembrava un prigioniero, un ostaggio, un rapito.
Benissimo. Angela Mattioli sapeva il fatto suo.
«Consonni, noi dobbiamo stabilire per lei un piano di protezione. Si rende conto in quali pasticci si trova? Deve abbandonare al più presto questo rifugio, e noi siamo pronti a trovarle una sistemazione assolutamente blindata. Assai lontano da qui. Se lei vuole portare in tribunale la sua testimonianza si dovrà preparare a starsene via per un bel po’, lontano da tutti».
«Ma per un bel po’ quanto? Io l’ho già detto, voglio testimoniare, ma quanto ci vorrà?».
«Lei ha capito in che casino si è ritrovato?».
«Beh, sarà questione di qualche settimana».
«Settimana? Possono essere mesi, più probabilmente anni».
«Anni? E dove mi portereste?».
«In un posto che non deve sapere neanche lei, al momento attuale».
«Oddio, e i miei cari mi potrebbero venire a trovare?».
«Assolutamente no».
«E io posso oppormi?».
«Certo che può, ma io non glielo suggerirei».
«Che vuol dire, che ho i giorni contati? Che il suo collega è già sulle mie tracce?».
«Questo non lo so, e non userei queste parole grosse, però se fossi in lei seguirei il mio consiglio».
«Ho capito, anche lei ha le mani legate».
«Diciamo così».
«E allora non ne facciamo di niente, io me ne torno a casa mia. In fondo nessuna di quelle persone può sapere che io ero lì. Lo sa solo lei, no? Qua non mi troveranno».
«Beh» disse Ametrano un po’ titubante, «non è esattamente così semplice. Sarà istituita un’istruttoria, per forza di cose sarà citato come testimone. Alcuni già lo sanno».
«Saranno persone fidate, no?».
Ametrano non disse niente, non ne ebbe il coraggio. Temeva che quelli del romano sapessero già abbastanza.
«Il posto più sicuro che conosco è casa mia, e poi non riuscirebbero a farmi cambiare idea. Ho detto che testimonierò e testimonierò».
«Ma Consonni, non so se ci siamo capiti, ci sono tanti modi per impedire a un testimone di testimoniare».
«E va bene, che mi ammazzino! Così saranno colpevoli anche di questo, e la loro pena sarà più grave!».
Ametrano scosse la testa, che ci fosse da fidarsi di un individuo del genere? Aveva idea di dove si era infilato?
Quello che ottenne fu la promessa di Consonni che non si sarebbe agitato, non avrebbe cercato di fuggire o di tornare a casa sua. E di chiamarlo subito «a questo numero» se avesse avuto il sentore di qualche pericolo.
«Ma qui il telefonino non prende, e poi Angela mi ha sequestrato il mio».
Il commissario avrebbe lasciato un agente in incognito a sorvegliare.
«Un agente sarà di sopra, non deve far altro che chiamarlo con questo cicalino».
E così Consonni se ne restò chiuso in quel rifugio segreto, come ipnotizzato dai suoi sogni, dalla nostalgia e dalla convinzione di portare a termine la sua missione.
In quella cantina ripensava alla situazione, e a Svetka, e ai suoi begli occhi. E alla sua naturale gentilezza. Questo è veramente un dono di natura, pensava l’Amedeo, l’unico di cui vale la pena, sempre, di innamorarsi. E se mi sono innamorato della gentilezza, che male ho fatto?
Angela era stata molto severa nei suoi confronti. Lo aveva maltrattato, gli aveva assicurato che fra loro non ci sarebbe stato più alcun contatto. Ma poi aveva improvvisamente cambiato atteggiamento, ed era stata tenera e comprensiva con lui. Chi è che non ha mai uno sbandamento?
Un ratto di grosse dimensioni gli passò vicino, ma a lui non fece un effetto particolare. Anche un ratto può essere gentile, anche un lurido schifoso ratto può comunicare la sua debolezza e la sua disponibilità.
Il ratto guardava Consonni con fare interlocutorio, era la prima volta che vedeva un essere umano in quello scantinato di antichissime origini, infatti si trattava nientepopodimeno che di un pozzo romano, opus reticolatum. Il ratto di questo non era a conoscenza, e oltretutto a Milano chi va a pensare che in cantina si possa trovare l’opus reticolatum.
Proprio mentre Consonni, sulla brandina, si abbandonava ai suoi deliri amorosi: dove è lei in questo momento; ai suoi pensieri più angosciosi: mi ama? E ai suoi ripensamenti: lei verrà a conoscenza di come mi sto immolando per lei?, arrivò Angela.
Gli aveva portato un piatto caldo: zuppa di fagioli e lenticchie.
«Ti piace Amedeo? È tutta roba biologica. Ci ho messo una C di olio extravergine toscano».
«Buonissimo... ma dimmi... dimmi qualcosa di Max. Hai controllato che il Luis gli dia da mangiare? Magari il piccino ha fame».
Angela, ignara del fatto che Max non si era sentito bene, detestava quel cagnetto, sia di per sé, perché era viziato e insopportabile, sia e soprattutto perché era il cane di quella ipotetica troietta che aveva tentato di sedurre il Consonni. In effetti il cane esisteva, unica prova vivente di una storia altrimenti totalmente inventata dal Consonni. E dire che ancora lui non le aveva raccontato la faccenda dei 30.000, ammesso che avesse intenzione di farlo.
Angela se ne andò, un po’ irritata. Consonni fantasticava, tanto che considerava i due ratti che si erano affacciati sotto una pietra come due presenze amiche.
A dire la verità i due ratti presero ad accaprettarsi, in frenetica estasi d’amore.
Ah, beati voi, poveri ratti, l’umanità vi disprezza, eppure siete così umani.
Consonni, ormai disattivato rispetto ai ragionamenti più ovvi e normali, ignorava che il genoma umano e quello murino sono molto simili.
A voi che cosa importa di tutte le umane nequizie? Voi fate l’amore, quando potete e come volete, e non vi ponete alcun problema delle relazioni psicologiche, delle gelosie, del potere, delle differenze di età. I rapporti fra voi sono semplici, la vita breve, le occasioni da sfruttare, i pericoli dietro l’angolo, ma non vi crucciate per questo. Sapete che cos’è la paura? Credo di sì, ma la vostra paura è che uno vi prenda a colpi di scopa...
L’amore può darvi una sensazione di disperazione? No, non credo.
I due ratti avevano finito, ci avevano messo pochissimo, dopo l’estasi ricominciarono ad annusare in giro, non parevano curarsi più di tanto dell’ospite umano.
Là sotto si perdeva facilmente la cognizione del tempo: era buio e non si sentiva alcun rumore, se non ogni tanto qualche vibrazione, prodotta dai mezzi meccanici che...
Consonni quella notte non riuscì a dormire neanche un minuto: troppi pensieri. L’indomani sarebbe cominciata una nuova vita, completamente diversa dalla precedente. Chissà dove l’avrebbero portato. E chissà per quanto tempo avrebbe dovuto restare sotto chiave, senza poter vedere nessuno, i suoi cari, Caterina, e soprattutto Enrico.
Ah, sarebbe stata durissima, ma ormai aveva deciso, avrebbe testimoniato, avrebbe raccontato al giudice per filo e per segno quello che aveva visto quella sera. Lo faceva anche per Svetka, affinché quelle persone che le avevano fatto tanto male la pagassero cara. Ah, Svetka, chissà dov’era in quel momento. Il pensiero gli addolcì un po’ l’angoscia, anche se gli fece venire il magone, un senso di sofferenza al petto, come se qualcuno lo stesse privando delle sue forze.
E Angela? Lei era l’unica al corrente di tutto, l’unica che avrebbe potuto fargli visita. Si sarebbe dimenticata della sua infatuazione? E si sarebbe dimenticata di quella di Consonni?
Per il vicequestore romano e i suoi non fu particolarmente difficile mettersi sulle piste del Consonni Amedeo. Vennero a sapere che un tipo anziano con una Smith & Wesson frequentava la casa di via Ghislanzoni. Questo signore si chiamava, come risultava dalla fotocopia della carta d’identità, Amedeo Consonni. A quanto pareva aveva una cotta per una ragazza che lavorava lì. Nella discoteca di Corsico erano stati ritrovati bossoli di una pistola del genere. In più il detto Amedeo Consonni aveva sporto una denuncia, perché il suo appartamento era stato devastato da ignoti, senza che nulla fosse stato rubato. Era lui il tipo che stava parlando con Ametrano.
Andarono a trovare Consonni, ma lui non c’era.
Probabilmente non era andato molto lontano.
Seguirono tal Mattioli Angela, che a quanto pareva viveva una relazione sentimentale col Consonni. La seguirono, e questa li fece diventare pazzi: con la sua Doblò faceva chilometri, andava a fare la spesa a Vimodrone, tornava a Sesto, poi si direzionava verso Usmate-Velate, tornava indietro, a Lambrate, e posteggiava a parecchie centinaia di metri da casa sua, in una traversa di via Porpora. Però, con estrema segretezza, la donna non entrava dall’ingresso principale, bensì accedeva da un ingresso laterale, un bandone di un magazzino abbandonato.
«E adesso come la giustifichiamo tutta la benzina consumata?». Questo pareva essere il problema principale degli uomini che avevano seguito la Mattioli per tornare al punto di partenza. Comunque riferirono.
I due pusher Ahmed e Youssuf erano parecchio sotto pressione. Dopo la sparatoria che aveva causato l’incidente stradale il loro destino era abbastanza segnato. Non si facevano vedere in giro, si nascondevano. Presero dei bei rischi a tornare alla casa di ringhiera, compresi i colpi che tiravano quei maledetti peruviani. Eppure la loro unica speranza era Consonni. Sul ballatoio ebbero una sorpresa, di tipo olfattivo. Percepirono distintamente un forte odore di cannabis, qualcuno si stava facendo un cannone. «Ci siamo, te l’avevo detto!». Seguirono l’odore come fanno certi personaggi dei cartoni animati.
Si trovarono di fronte un signore vestito con un cappotto loden e scarpe Clarks. Lo riconobbero. Fuggirono, questa volta per sempre.
Gonzalo e Oscar, i due maschi peruviani anziani, in realtà nessuno dei due aveva superato i cinquant’anni, non facevano niente dalla mattina alla sera. Si occupavano della «famiglia», secondo loro, in realtà l’unica loro attività era quella di organizzare partite a carte, dove giravano anche un po’ di soldi, e farsi delle bevute di birra. Si raccontavano delle gran balle e avventure, l’ultima delle quali riguardava come avevano messo in fuga quei ladri marocchini.
Avevano trovato un posto ideale dove giocare d’azzardo, in un seminterrato della casa di ringhiera, raggiungibile tramite un bandone in teoria chiuso con un lucchetto.
Ci si infilavano dentro alla sera, e ci restavano fino alle prime ore del mattino.
Ma quella volta i peruviani, scendendo nel sottoscala, sentirono delle voci. I due «anziani» fecero un cenno agli altri, più giovani, di andarsene via. Oscar e Gonzalo, invece, si avvicinarono alla porta, c’erano persone, dall’altra parte, che discutevano.
Le voci erano un po’ offuscate, e inoltre i due peruviani non capivano molto bene l’italiano. Si avvicinarono alla porta di legno, Oscar estrasse il coltellaccio.
«... Signor Consonni, noi vorremmo sapere con chi ha parlato in questura, e a quale riguardo».
I due sgherri armati avrebbero avuto interesse a farlo fuori subito ma il loro capo si era raccomandato: prima di seccarlo, senza troppi riguardi, dovevano sapere cosa sapeva, con chi aveva parlato, se le sue dichiarazioni erano depositate da qualche parte, in questura con chi aveva a che fare, ecc.
I peruviani capirono che per Consonni non era un buon momento e immediatamente si trasformarono in una macchina da guerra. Si intesero sul da farsi senza parlare e senza vedersi, era buio, là sotto. Produssero un lieve rumore, come avrebbe potuto fare un gatto, o un ratto. Si aprì la porta della «stanza dei giochi». I peruviani, nascosti dietro una scansia, videro due uomini eleganti che stavano in conversazione con il Consonni, che sembrava ancor più prostrato del solito.
«C’è qualcuno?».
Nessuno rispose.
«C’è qualcuno?».
Il tipo aveva una grossa pistola in mano, uscì dalla stanza dov’era Consonni ed entrò nell’anticamera, ma ciò non sconfortò più di tanto Oscar, il quale uscì all’improvviso dal suo nascondiglio, gli dette un destro e un sinistro al volto e lo gettò al tappeto. Raccolse velocemente la pistola e si nascose nuovamente.
L’altro che stava torchiando Consonni poté sentire solo un paio di rumori sordi, non sapeva se gli conveniva uscire o restare lì, pensò che forse avrebbe dovuto terminare il soggetto, prima che qualcosa andasse storto. Non ebbe una simile freddezza, d’altronde che cosa ci avrebbe guadagnato. Sperò che non si trattasse di niente di importante e andò a cercare il suo socio. Gonzalo gli si avventò addosso e gli si attaccò al collo, fino a fargli perdere i sensi.
Consonni, nella stanza dei giochi, era più morto che vivo.
«Señor Consonni, que haces usted aquí? Necesita andare, muy pronto!».
Consonni non era troppo lucido, ormai si era visto spacciato, non sapeva cosa fare, affidarsi ai peruviani?
«Venga con noi, señor Consonni. Adelante!».
L’Amedeo fu portato via, in un posto che i peruviani pensavano di conoscere solo loro, la cella frigo. Informarono Angela, ma di quello che fecero degli sgherri non le dissero niente.
«Alle sei lo vengono a prendere» disse lei.
«Mucho mejor».
Che ne fecero i peruviani dei due uomini del vicequestore romano? Li ammazzarono? No, non era roba per loro, però, dopo essersi assicurati, tramite due iniezioni, che non si svegliassero nel giro di quattro/sei ore si misero in contatto con certi amici loro, che lavoravano per una ditta di spedizioni. I due furono spogliati e caricati nella stiva di un camion, in partenza per la Turchia, completamente nudi.
Per alcuni giorni questi non si sarebbero certamente fatti vivi, e una volta usciti dal camion avrebbero avuto i loro problemi a tornare rapidamente in azione.
L’agente di guardia che presidiava l’appartamento di Consonni dormì ottimi sonni, il cicalino non aveva funzionato, oppure Consonni non aveva fatto in tempo ad azionarlo, oppure l’agente non l’aveva sentito.