IV

 

 

 

 

 

 

 

Liam scomparve per qualche secondo nello studio, tre gradini sopra il salone. Ne uscì con in mano carta bianca, penne, matite, una gomma per cancellare. Sgombrò il tavolino dal vassoio dei caffè, posò i fogli e il necessario per scrivere e disse: «Mettiamo un po’ di ordine. Ripetiamo tutto dall’inizio».

Fu in quel momento che dalla cucina uscì Carlotta, con indosso un grembiule color lavanda, e piccoli cuori di stoffa bianca cuciti sul davanti. Liam si voltò a guardarla. Pensò che, accostato alla faccia segnata di sua moglie, quel grembiule aveva un aspetto patetico e grottesco. All’inizio Carlotta rimase immobile di fronte alla cucina, come fosse di guardia alla porta. Poi timidamente si incamminò, avvicinandosi al divano. Han se ne accorse subito. Liam, che le dava le spalle, un attimo dopo.

«Cosa fate?» domandò Carlotta con un filo di voce.

Liam la fissò con pena. Poi allungò un braccio sullo schienale del divano, in modo da sfiorarle le dita. «Stiamo ricostruendo la storia della morte di Kellan. Mettiamo un po’ di ordine nei fatti», rispose Liam.

«Posso restare?» chiese Carlotta, come una bimbetta a una riunione di grandi.

«Certo», disse Han, dopo essersi scambiato un’occhiata veloce con Liam.

Carlotta sfilò la bretella che le cingeva il collo, sciolse il nodo in vita e lasciò cadere l’assurdo grembiule color lavanda, con i cuori cuciti sul davanti. Si sedette sul divano di fianco al marito e rimase in ascolto.

 

Han e Liam, dandosi il cambio, raccontarono la storia dall’inizio, per come la potevano conoscere: l’esistenza del gruppo degli Spazzini, le ricerche in Internet fatte da Kellan sui luoghi di ritrovo dei gay, il progetto del blitz alla buca, la versione dei fatti raccontata da Marco e Willy. Quindi, Kellan moribondo lasciato di fronte all’ospedale Fatebenefratelli lunedì notte. E infine la telefonata del questore, ricevuta poco prima.

Quando era Han a parlare, Liam prendeva appunti, scrivendo su uno dei fogli che aveva portato dallo studio. Han si limitava a scarabocchiare una parola ogni tanto, sul retro di un biglietto da visita. Con stupore di entrambi, quando il racconto fu finito, Carlotta prese la parola.

«Quindi, stando a quanto mi dite, Kellan alla buca non ha picchiato nessuno, giusto?» chiese la donna.

«Giusto», rispose Han.

«Non c’è prova che abbia picchiato», confermò Liam.

Carlotta cominciò a picchiettare con le dita sul bracciolo del divano.

«Allora. Kellan era lì alla buca con Marco e Willy. Aveva in testa il passamontagna e il manganello in mano, ma non ha picchiato nessuno, quindi non si può dire che fosse lì per picchiare i gay», disse, con voce ferma.

Liam rimase in attesa di capire dove volesse andare a parare la moglie.

«Era armato, ok. Quindi se avesse voluto picchiarli, li avrebbe picchiati senza difficoltà. Invece non lo ha fatto. E sapete perché?» domandò Carlotta.

Liam scosse leggermente la testa. Non lo sapeva, ovviamente. Ed era semplicemente sconvolto dal piglio della donna, che fino un attimo prima era nascosta in cucina, circondata da oggetti graziosi e dal proprio dolore. Ora era lì, in salotto. Parlava, voleva capire.

«Kellan era andato nella buca con l’intenzione di fermare i suoi amici. Non solo non voleva picchiare i gay, ma voleva dissuadere Marco e Willy dal fare quello che avevano in mente. Voleva impedire che dei giovani omosessuali venissero picchiati. E l’unico modo per fermare i suoi amici era essere presente sul luogo dell’aggressione», disse Carlotta.

«Suona bene. Ma come spieghi il fatto che avesse passamontagna e manganello?» rispose Han.

«Perché altrimenti Marco e Willy non lo avrebbero portato con loro. Perché se fosse andato disarmato e a volto scoperto avrebbe destato i sospetti dei suoi amici. Per questo doveva attrezzarsi in quel modo. Inoltre, se avesse mostrato il proprio volto, qualcuno dei gay aggrediti, senza sapere che lui era lì per proteggerli, lo avrebbe potuto riconoscere e denunciare», disse Carlotta.

«Funziona», disse Han. Vide in lei la leonessa che difende il cucciolo. La donna antica, che attinge a ogni sua energia per salvare la propria famiglia. Vale a dire, per come ragionano le madri, l’intero universo.

«Esistono prove, nel telefono di Kellan, che lui avesse partecipato ad altre aggressioni prima di lunedì notte?» chiese Carlotta, sotto lo sguardo sempre più allibito di Liam.

«Non direi. Non ci sono prove. C’è la parola dei suoi amici. Marco, in particolare, cerca di addossare a Kellan tutte le responsabilità», disse Han.

«È assurdo», sbottò Liam, di nuovo in sé.

«Marco e Willy li sputtaniamo come meritano», disse Han.

Carlotta lo guardò con fierezza, come a spronarlo. Han continuò a parlare.

«Quando mi ha raccontato la sua versione di come sono andate le cose giù alla buca, Marco ha cercato di dare tutta la colpa a Kellan. Lui sostiene di non avere picchiato nessuno, di essersi tenuto in disparte. Ma non sta in piedi. A un certo punto gli ho sfiorato le costole con un piede e si è contorto dal dolore, segno che qualcuno lo aveva picchiato. Ed è difficile essere picchiati, se si sta fuori da una rissa. Poi a contraddire Marco c’è il racconto del giovane gay che studia in Inghilterra, di cui ha parlato il questore. È stato chiaro. Ha parlato di quello tarchiato e di quello alto, vale a dire Marco e Willy. Loro picchiavano. Kellan no, restava fermo. Questo significa che la versione che Marco ha dato a me non ha peso, lo possiamo fare a pezzi», disse Han.

«Marco e Willy cosa hanno raccontato alla polizia sul pestaggio di lunedì sera?» chiese Carlotta.

«Niente. Hanno fatto scena muta. Hanno sostenuto di avere giocato insieme a Risiko, poi ciascuno è andato per la sua strada», rispose Han.

«Bene. Denunciamoli noi», disse Carlotta. «Anzi Liam, devi farlo direttamente tu. Sei amico del questore. Vai da lui con il telefono di Kellan, gli dici che abbiamo cercato meglio in camera e lo abbiamo finalmente trovato. Posso accompagnarti in Questura, se pensi possa servire.»

«Ha ragione Carlotta. Liam, vai dal questore e gli racconti che il telefono non aveva blocco, quindi hai potuto scorrere il registro delle chiamate e le varie chat. Digli che grazie alle chat, hai scoperto del gruppo degli Spazzini e via dicendo. Te l’ho già detto, Marco e Willy sono i cattivi di questa storia, ricordatelo sempre. Marco e Willy sono i cattivi, Kellan era buono e voleva fermarli. Non devi avere nessun dubbio, mai, nemmeno quando sei solo. Nemmeno nei momenti di sconforto. Questa è la verità e questo è quello che racconteranno Tv, giornali e siti web», disse Han, arrivando al punto. Vale a dire, alla storia che avrebbero raccontato i giornali e le Tv. Carlotta Armstrong, per la prima volta dalla morte del figlio, lasciò affiorare un pallido sorriso.

«È una bella storia. Ma come facciamo a dimostrare che Kellan fosse davvero lì per fermare Marco e Willy?»

Han guardò Liam negli occhi e scandì bene le parole.

«Perché tua moglie, lavando un paio di jeans di Kellan, in un disperato gesto di amore materno, ha trovato un biglietto. Un piccolo pezzo di carta, stampato con la stampante di Kellan. E sul biglietto si legge: “William Braghieri e Marco Del Cantone, con il nome di Spazzini, si sono resi responsabili di numerose aggressioni a gay negli ultimi mesi. Bisogna fermarli”. Forse una denuncia anonima mai presentata, perché Kellan non ha avuto tempo di presentarla, essendo morto troppo presto. O comunque un appello che Kellan avrebbe voluto rivolgere a qualcuno, perché fermasse i suoi amici. Tu, Liam Armstrong, parlerai alla stampa del biglietto. Dirai ai giornalisti che da qualche tempo vedevi Kellan turbato. Dirai che quando vedeva i suoi amici era nervoso. Racconterai che Kellan era un ragazzo dolce, fragile. Che non aveva mai, mai parlato con odio e livore dei froci. E aggiungerai che con ogni evidenza quel biglietto era destinato a essere consegnato all’autorità giudiziaria. Una denuncia anonima, che Kellan avrebbe voluto presto depositare», disse Han.

Carlotta annuì. Guardò negli occhi Han, che ricambiò. Quello sguardo fu il sigillo di un patto, destinato a durare per sempre.

«Perché il biglietto deve essere scritto a computer, e non a mano?» domandò Liam.

«Se volessimo falsificare la grafia di Kellan, dovremmo rivolgerci a qualcuno che lo faccia per noi. E meno persone conoscono questa storia, meglio è», disse Han.

«Poi è realistico che chi voglia fare una denuncia anonima scriva un biglietto al computer. Se inviasse una mail, il mittente sarebbe comunque rintracciabile, anche se l’indirizzo fosse fasullo», aggiunse Carlotta.

Liam la fissò spaesato, chiedendosi se davvero la donna con cui stava parlando fosse la stessa che poco prima era entrata in sala con indosso il grembiule color lavanda. E soprattutto, se fosse la stessa che aveva sposato e che pensava di conoscere meglio di come conoscesse chiunque altro.

«Direi che non stiamo facendo niente di male. Sbaglio? A parte il biglietto, quello che dovrò dire pubblicamente è tutto vero», disse Liam.

«Anche il biglietto è vero. Solo che Carlotta non lo ha ancora trovato», rispose Han.

«Esatto», confermò pronta Carlotta.

«L’importante è che la storia del biglietto la vengano a sapere i giornalisti. E deve succedere subito», disse Han.

«Ma secondo voi ci crederanno?» domandò Liam. Carlotta gli rivolse uno sguardo severo, esasperata dal suo dubitare.

«Liam», disse Han, «tu lo sai cos’è un Tonypandy?»

Armstrong lo guardò più stupito che seccato. Scosse la testa.

«Un Tonypandy è un tipo particolare di storia vera», spiegò Han.

Liam sorrise. Carlotta non ebbe reazioni. Han diede la spiegazione che il console attendeva.

«Nel 1911, nella cittadina gallese di Tonypandy, i minatori scioperarono per settimane. Uno sciopero duro, totale. I pochissimi lavoratori che cercavano di accedere alle miniere venivano insultati e umiliati, nel migliore dei casi. Le strade della cittadina erano costantemente agitate da picchetti, presidi e cortei in cui i minatori lanciavano pietre all’inerme polizia gallese. Dopo settimane, temendo che i disordini potessero dilagare in altre regioni, il primo ministro diede ordine al ministro degli Interni, che allora era Winston Churchill, di sedare la rivolta di Tonypandy. Churchill sapeva che se avesse represso troppo duramente quella rivolta, nuovi focolai di protesta si sarebbero diffusi in tutto il Paese. Decise allora di mandare in Galles un gran numero di agenti disarmati, equipaggiati con ridicoli bastoni di legno lunghi come zucchine, giusto per fare cordone attorno al municipio ed evitare che fosse preso d’assalto. Bene, nel primo giorno di intervento dei gendarmi inglesi, uno dei portavoce dei minatori in rivolta disse a un cronista del “Wales Observer” che i poliziotti di Churchill avevano sparato sulla folla dei lavoratori. Così il giorno dopo il giornale uscì con la notizia della sparatoria di Tonypandy. Il cronista aveva visto con i suoi occhi che i poliziotti nemmeno erano armati. Anzi, stavano immobili di fronte al municipio, riparandosi in qualche modo dal lancio delle pietre. Ma decise comunque di riportare la versione dei minatori. Anche i cronisti di altre testate avevano visto che nessuno dei poliziotti aveva armi, e correttamente lo avevano scritto. Ma la storia che a Tonypandy tutti volevano leggere era quella riportata dal “Wales Observer”, cioè la polizia di Churchill che spara sulla folla. Così il secondo giorno tutti i giornali cambiarono versione e cominciarono a parlare della Carneficina di Tonypandy. Presto la notizia, con particolari via via diversi sul numero e la dinamica delle morti fra i minatori, uscì dal Galles e riempì le prime pagine di tutti i giornali britannici. Il Massacro di Tonypandy tenne banco per settimane. Churchill, il boia di Tonypandy, in Galles fu il nemico pubblico numero uno per quasi trent’anni, fino ai bombardamenti aerei di Hitler dell’estate del 1940. In qualche modo, quella storia sopravvive ancora oggi. Provate a cercare su Wikipedia la pagina dedicata alla cittadina gallese. Ai tumulti di Tonypandy è dedicato un intero capitolo. Nelle fotografie si vedono chiaramente i poliziotti di Churchill, disarmati, schierati a difesa del municipio.»

Armstrong sbuffò, poi giunse le mani.

«Quello che a noi serve è esattamente un po’ di Tonypandy», proseguì Han. «Tu Liam mi chiedi se i giornalisti crederanno alla storia del biglietto trovato nei jeans di Kellan? Certo che sì. I giornalisti credono a tutto, soprattutto a quello che leggono su altri giornali. E soprattutto nei primi giorni dopo un omicidio. Mostriamo loro il biglietto, consentiamo loro di fotografarlo, e la partita è chiusa. La verità su una vicenda, quella che rimane impressa, si crea nell’immediatezza dei fatti. E lo sai bene, non ti sto dicendo nulla di nuovo. È la prima regola della propaganda, valeva per noi come per voi durante la guerra in Vietnam. La storia di Kellan che cerca di impedire il pestaggio di due giovani gay e viene ucciso è bellissima, con rispetto parlando. È magnetica. È quello che vuole trovare su Internet chi accende il computer appena arrivato in ufficio, prima di cominciare a lavorare. Sarà la prima notizia dei tg della sera, per molte sere di fila», disse Han, e si fermò un attimo per consentire al console di digerire quanto aveva appena finito di ascoltare. Ora veniva la parte più delicata. «Liam», riprese Han, «ora bisogna solo che Carlotta trovi il biglietto.» Sottinteso: a fabbricare materialmente il biglietto ci penserò io.

Carlotta guardò Han con stima e riconoscenza. Poi guardò Liam con dolcezza, in modo da rassicurarlo.

«Amore, dobbiamo farlo per Kellan», disse Carlotta. Solida, definitiva.

Costruita la storia, bisognava individuare il canale giusto per raccontarla.

«Sapete se qualche giornalista sta già lavorando al caso della morte di Kellan?» domandò Carlotta.

«Per ora non è uscito nulla, né sui giornali, né in Tv. E che io sappia, nemmeno nel web. Almeno, fino a mezz’ora fa non c’era nulla online», disse Han.

«Questo me lo avete già detto. Mi chiedevo se ci fosse però qualche giornalista che sta lavorando al caso», insistette Carlotta.

«Noi non siamo stati contattati da nessuno, e il questore non mi ha parlato di giornalisti», disse Liam.

«Tu glielo hai chiesto?» domandò Han.

Liam realizzò che no, non glielo aveva chiesto. Prese il telefono e chiamò il questore. Si alzò in piedi e uscì dal salone. Dopo pochi minuti tornò a sedere sul divano.

«Il questore dice che si informa e mi fa sapere», disse Liam.

Carlotta prese il vassoio dei caffè. Le tazze erano ancora piene. «Non avete bevuto niente», disse alzandosi. La ciotolina con i lamponi tutti ammassati su un lato, invece, la lasciò sul tavolo. Poi, con il vassoio in mano, sparì in cucina.

«Liam, va tutto bene», disse Han.

Armstrong non rispose. Si alzò, raccolse da terra il grembiule color lavanda di Carlotta e lo posò sul divano. Stava per tornare a sedersi, quando il suo telefono iniziò a suonare. Era il questore. Armstrong rispose, si allontanò, tornò dopo un paio di minuti.

«Il questore dice che l’unico giornalista che potrebbe sapere qualcosa è un ragazzo che scrive per “La Notte”, un settimanale di cronaca nera che uscirà in edicola domani. Lo sento nominare per la prima volta. Pare che il giornalista sia molto giovane. Il questore dice che i suoi uomini in Procura lo hanno visto uscire dalla stanza della pm Tajani, e che è molto amico di tale Raffaele Cinà, uno degli uomini della Mobile che stanno lavorando all’indagine sull’omicidio di Kellan. Se può servire, ci mettono in contatto. Non saprei. Forse però è meglio contattare qualche testata più seria, qualcuno che abbia esperienza», disse Liam.

«“La Notte” va benissimo, sarà il nostro “Wales Observer”. A dire il vero non l’ho mai letto, ma se non sbaglio ne ho vista una copia dal mio barbiere. Penso che per noi sia meglio parlare con una piccola testata. Il fatto che esca in edicola domani impedirà al cronista di fare troppe ricerche, visto che non ne avrà il tempo. Ed è perfetto che si tratti di un giovane. Con l’omicidio di Kellan, se davvero la notizia ce l’ha solo lui, sta per fare il colpo della sua vita. Non penso si metterà a fare troppe storie. Quindi, Liam, fatti dare dal questore il numero di questo giornalista. Intanto, io e Carlotta risolviamo la questione del biglietto», disse Han.

«Facciamo tutto come dice Han», disse Carlotta tornando in salotto, e mangiò un lampone. Armstrong notò che la moglie ne aveva un mucchietto nel palmo, disposto a conca. Alcuni dei frutti dovevano essersi spappolati, perché la mano di Carlotta era rossa, macchiata dalla polpa viva del frutto. Lei non sembrava farci caso. Di tanto in tanto, si metteva un frutto in bocca. Aveva anche portato la tazza con la bandiera americana recuperata dal cesto della spazzatura, che ora faceva bella mostra di sé sopra una consolle.