III
Steno prese dalla tasca del cappotto la nota che gli aveva lasciato Scimmia e scese velocemente le scale. Al pianoterra, entrò nella saletta vicino alla reception. Scelse la poltroncina più comoda, quella di fianco a un mobiletto portagiornali di legno, a forma di papera. In meno di dieci secondi il signor Barzini fu da lui, con il gilet, il papillon e tutto il resto. Ai piedi, come sempre, portava scarpe inglesi lucide.
«Tè?» domandò il signor Barzini.
«Grazie», si limitò a rispondere Steno. E cominciò a studiare la relazione. Due pagine in tutto.
La nota, pur scritta a computer, a prima vista dava l’impressione di essere stata battuta a macchina. Vuoi per il carattere, vuoi per il fatto che le spaziature e gli accapo erano segnati da file di trattini. Un vecchio accorgimento delle circolari militari, per evitare che i vuoti nel testo fossero poi riempiti con altre parole in un momento successivo a quello della battitura.
In testa, sopra alla data di compilazione, c’era il timbro: «Questura di Milano. Squadra Mobile». Poi il numero di protocollo. Quindi, un’indicazione che a Steno sarebbe stata di grande aiuto nelle ore e nei giorni successivi: «Si trasmette alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, Milano. – Dott.ssa Tajani».
Evidentemente, il pubblico ministero di turno in Procura nella notte era stata la famigerata dottoressa Maria Cristina Tajani. Sarebbe quindi toccato a lei occuparsi del caso. E per Steno non era certo una buona notizia.
La Tajani, tanti anni prima, si era guadagnata la fama di grande investigatrice indagando sul traffico di droga a Bari. Le sue inchieste avevano contribuito non poco a trasformare la città vecchia da fortino della malavita a quartiere pittoresco, o quasi. A Milano era arrivata già quasi sessantenne. Si occupava perlopiù di assegni falsi e truffe, nel dipartimento reati contro il patrimonio. Non esattamente quello che i giovani sognano di fare il giorno dell’esame di magistratura.
A Palazzo di Giustizia di Milano si era fatta notare più che altro per la pettinatura simile a quella di Elvis Presley, per la pesante bigiotteria con cui si agghindava, e per le urla con cui allontanava i giornalisti ogni volta che provavano a disturbarla. Anche e soprattutto quando aveva appena finito una notte di turno. Figuriamoci poi quando durante il turno le era capitato un omicidio.
Steno si sistemò sulla poltroncina, con intarsiato sullo schienale il logo dell’albergo, e cominciò a leggere.
«Il sottoscritto Sovrintendente Capo Minniti Filippo coadiuvato dall’Agente Scelto Cinà Raffaele, entrambi appartenenti all’ufficio in intestazione, con la presente riferiscono quanto segue:
Verso le ore 05.15 odierne, la locale Centrale Operativa ci comunicava di portarci presso l’ospedale Fatebenefratelli in quanto i colleghi del posto di polizia del nosocomio, sito in corso di Porta Nuova 23, segnalavano la presenza di una persona deceduta a causa di probabile atto violento. Giunti sul posto verso le ore 05.25 trovavamo ivi i colleghi, il personale medico e i soccorritori. —————————————————————————. I colleghi presenti al posto di polizia dell’ospedale Fatebenefratelli ci comunicavano che alle ore 03.45 odierne circa arrivava e si arrestava nei pressi dell’ospedale una vettura non identificata la quale non entrava nella corsia ambulanze, ma verosimilmente si fermava al di fuori dell’ospedale stesso in corso di Porta Nuova nei pressi dell’accesso al pronto soccorso oftalmico. I soccorritori udivano alcuni colpi di clacson forse azionato dallo stesso conducente dell’auto. Allarmati raggiungevano la sede stradale e trovavano riverso sul marciapiedi dei Bastioni di Porta Nuova un uomo privo di sensi con ferite evidenti al volto e al capo. L’auto non era più sul posto. Sul marciapiedi antistante l’ospedale erano visibili una pozza di sangue e alcune macchie sempre di sangue fino alla strada. Nessuna evidenza di segni di trascinamento del corpo. Nessun’altra evidenza di rilievo. Non si sono trovati al momento testimoni presenti al momento dell’arrivo dell’auto ———————————. Portato all’interno dell’ospedale, all’uomo venivano praticate le operazioni di soccorso come da protocollo ma invano. Alle ore 5.10 il personale medico ne constatava il decesso. Secondo la prima indicazione la morte potrebbe essere causata da trauma. Le ferite più evidenti sono al volto e al capo nell’area della nuca. Il deceduto veniva identificato grazie ai documenti di cui era in possesso in Armstrong Kellan (Armstrong cognome) di anni 19, nato negli Stati Uniti d’America a Los Angeles California. ———————————————————————————————— Oggetti e reperti: Nella tasca posteriore destra dei calzoni tipo jeans il defunto aveva un portafogli di tela contenente euro 46 in contanti e documenti vari italiani e americani (doppia patente di guida, tessera sanitaria della Regione Lombardia, permesso di soggiorno rilasciato dalla Questura). Nella tasca anteriore sx del giubbotto venivano ritrovate chiavi presumibilmente di abitazione. —————————————————————————————— Il defunto non aveva con sé telefono cellulare o altri dispositivi elettronici. Indumenti e reperti sono nella disponibilità di questo ufficio per analisi. Il corpo si trova presso la camera mortuaria dell’ospedale Fatebenefratelli in attesa di riconoscimento e analisi. ———————————
Alle ore 5.40 arrivava presso l’ospedale il sostituto procuratore Tajani della Procura di Milano, allertata dalla Centrale Operativa».
Steno di relazioni della polizia ne aveva viste tante. Scarne e brevi come quella, poche. C’era da capirlo: nessun fermato e nessun testimone oltre agli infermieri e ai medici, che avrebbero comunque presentato i risultati delle loro analisi solo in un secondo momento. Quindi c’era davvero poco da dire. Per Scimmia e per il suo collega compilare la nota d’intervento doveva essere stato tutto sommato semplice.
Quando vide avvicinarsi il signor Barzini, con il vassoio del tè in mano, a Steno venne in mente che erano già le quattro del pomeriggio passate e che non aveva ancora mangiato nulla. Come sempre, il signor Barzini era giunto alla stessa conclusione prima di lui.
«Mi sono permesso di portarti uno yogurt, macedonia e un po’ di biscotti», gli disse, impassibile.
Steno sorrise. E realizzò in quel momento di non avere più nessun mal di testa. Peraltro, le pareti avevano smesso di ondeggiare. Il tè avrebbe chiuso definitivamente i conti con la sera prima. Steno lesse di nuovo con attenzione la nota della polizia. Più che al caso in sé, cominciò a pensare a cosa avrebbe dovuto fare nelle ore successive. Escluse l’ipotesi di parlare dell’omicidio con il suo capo in redazione. Con ogni probabilità, gli avrebbe chiesto di pubblicare subito la notizia sul sito web del giornale. Questo avrebbe significato in un solo colpo rompere il patto con Scimmia, fare incazzare la pm Tajani ancora prima di averci parlato, e soprattutto regalare la notizia agli altri giornalisti, tre giorni prima dell’uscita in edicola della «Notte». Scartò anche l’ipotesi di andare a cercare informazioni in Questura, visto che come fonte in polizia aveva già Scimmia e tanto bastava.
L’unica porta a cui bussare era quella della dottoressa Tajani. Alla sola idea, gli tornò una fitta alle tempie.
Togliendo dalla tazza la bustina di tè Prince of Wales, che il signor Barzini gli aveva intanto servito, Steno tornò a leggere l’intestazione della nota. «Si trasmette alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, Milano. – Dott.ssa Tajani.» Il fatto che la relazione fosse stata trasmessa al magistrato così com’era, senza nemmeno venire imbellettata in Questura con un carattere Times New Roman e qualche ripetizione in meno, dimostrava la fretta degli investigatori. Steno si domandò se la nota fosse stata mandata in Procura quando già si sapeva chi era il padre del morto. In quel caso, era comprensibile che non volessero perdere tempo. Non capita tutti i giorni di avere per le mani il cadavere del figlio del console americano. In caso contrario, la fretta si spiegava con il fatto che anche in Questura conoscevano il temperamento della Tajani, e non volevano farla aspettare.