Sax fa strada ai vecchi compagni e li invita a prendere posto intorno a un largo tavolo di quercia. Appresta piatti, posate e bicchieri per tre. Da una robusta credenza estrae un cesto di pane e una guantiera di affettati e formaggi.
Gianni Romani si sofferma con lo sguardo sulle pareti, dove dilagano stampe incorniciate con vedute in stile Piranesi e scene di caccia. C’è un camino, acceso, che irradia un piacevole calore. Tutto sa di famiglia, pace, onesta tradizione. Gianni nota con quale sicurezza si muove Alba in quegli spazi che per lui sono nuovi. Torna a chiedersi che senso dare a quel “ci siamo tenuti in contatto”. E un’altra fitta di ingiustificata gelosia lo punge. Mentre stappa una bottiglia di vino – Falerno, il suocero possiede quote di una piccola azienda biologica in Campania –, Sax spiega che la villa appartiene da generazioni alla famiglia dei Sangiorgio. È un edificio di fine Settecento, una classica villa di campagna, perché questo, un tempo, era l’Appia Antica. Ampi saloni al piano terra, camere da letto in cima alla scalinata, tre studi mansardati. Negli anni Settanta, prima che il suocero diventasse un pezzo grosso, in un momento di ristrettezze, veniva affittata al cinema per girare le scene in costume.
«Tuo suocero ci farà l’onore di unirsi a noi?» domanda Gianni, sarcastico.
Sax, senza minimamente scomporsi, versa il Falerno. «Ha accompagnato Luisella e il bambino al paese. Ho pensato che saremmo stati più a nostro agio senza orecchie indiscrete. Prosit!» Sax, sempre cortese, sfiora con il suo il calice del Biondo. «Mi ha sorpreso vedervi insieme. È stato come tornare ai vecchi tempi.»
«Aspetta a dirlo. Hai guardato le foto?»
Sax annuisce, un mezzo sorriso sulle labbra sottili, un sospiro tirato. «Sì, e non capisco come ti sia venuto in mente di parlare della Sirenetta. Secondo me, quelle corde non provano nulla.»
«Vorrei poterti credere» mormora, tetro, il Biondo.