XV.

Quando Yuri rientrò dopo una delle sue classiche giornate da pappone, mezzo sbronzo, urlando «Vicky, troia, vieni fuori!», trovò ad aspettarlo un inatteso comitato d’accoglienza. Yuri era una bestia di due metri, con muscoli bene allenati. Sarebbe stata pura follia perdersi in chiacchiere. Perciò, prima che il tipo cominciasse a rendersi conto della situazione, il Biondo lo mandò lungo disteso sul pavimento con un calcio nelle parti basse, e mentre cercava di riprendere fiato lo schiantò con un colpo fortissimo al torace. Sax si accovacciò su di lui e appoggiò alla tempia la canna della Beretta.

«E voi chi siete?»

«I tre moschettieri» rispose Sax, beffardo.

Il Biondo perquisì Yuri, trovò un portafogli con una ventina di euro, una confezione di preservativi, una bustina di coca, un mazzo di chiavi e un tirapugni. «Bene. Tiriamolo su.»

Sax e il Biondo lo presero per le ascelle e lo trasportarono sulla sedia che compariva nel video promozionale di Vicky.

«Allora» cominciò Alba, «qui abbiamo una bella riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione. Sono… quanti anni, ragazzi?»

«Sette o otto, come minimo.»

«Senza contare la violenza sessuale» precisò il Biondo.

«Che violenza e violenza!» insorse Yuri. «Oxana è mia donna!»

«Oxana?» finse di stupirsi Sax. «Ma noi parlavamo di Vicky!»

«Sta’ a vedere che abbiamo sbagliato persona!» si rammaricò il Biondo.

«Oxana vero nome di Vicky» puntualizzò il gigante.

«Ah, ecco!» commentò Sax, e come a sottolineare quelle parole assestò a Yuri un colpetto col calcio dell’arma.

In quel momento Oxana, nome d’arte Vicky, entrò in scena sbucando dalla porticina.

Si piazzò davanti a Yuri e gli sputò in faccia.

Quello si divincolò, sibilando una bestemmia.

Per non correre rischi, il Biondo gli massaggiò la nuca.

Il dr. Sax disse a Oxana di darsi una calmata.

«Lasciala fare» intimò Alba.

La ragazza e il bruto litigarono per qualche istante nella loro lingua, in un crescendo di urla. Le frasi erano incomprensibili, il senso alquanto chiaro.

«Ora lui risponde a voi» spiegò Oxana, rivolgendosi con un sorriso ad Alba.

Yuri annuì.

«Stammi a sentire» esordì Alba. «Oxana ci ha detto che tu conoscevi la ragazza con il tatuaggio della Sirenetta.»

«Sì. Lei puttana di Moldova. Nome: Ana.»

«Bravo, continua così. Oxana ci ha detto che quando sui giornali è uscita la notizia che l’avevano uccisa tu hai commentato: “Chissà a chi l’ha venduta quel maiale”.»

«Sì, è così.»

«Ora noi vogliamo sapere chi è il maiale.»

Yuri sospirò e li fissò senza distogliere lo sguardo. Come se avesse recuperato un po’ di sicurezza. «Oxana dice che se parlo voi aiutate me.»

«Hai la nostra parola» proclamò Sax.

«Lui romeno. Nome: Silviu.»

«Tutto qui? Dài, puoi fare di meglio» sbuffò Alba.

«Chiamano anche Mercuriu.»

«Come il dio o come il pianeta?» chiese Sax, sarcastico.

«Niente dio, niente pianeta. Come cantante. Freddie Mercury, Mercuriu. Perché somiglia a lui.»

«Ma tu guarda! E dove si trova questo Mercuriu?»

«Lui ha baracca sotto viadotto Gronchi. Altro non so, giuro.»

«Bravo, così va meglio.»

«Allora io porto voi là e poi vado?»

Sax scoppiò a ridere. «Dov’è che vorresti andare?»

«Via, no? Ho parlato, ora vado via.»

«Sai come si dice a Roma, amico mio?» sibilò il Biondo. «Grande, grosso e fregnone!»

«Tu dato parola!» urlò Yuri, che cominciava a capire.

«Mai fidarsi della parola di uno sbirro» filosofeggiò Sax. Che chiuse la conversazione con un’ultima carezza di Beretta sulla nuca del pappone.

Più tardi, in commissariato, Oxana formalizzò la denuncia. Non sarebbe stato difficile rintracciare quel Mercuriu. Certo, serviva la Buoncostume, che di sicuro qualche cartuccella sul tizio doveva avercela, magari ben nascosta. Oxana aveva fatto i nomi di tre colleghi puttanieri che prendevano mazzette o pretendevano compensi in natura dalle ragazze. In teoria avrebbero dovuto denunciarli senza pensarci due volte, ma di comune accordo decisero di tenerli fuori dal verbale. Sarebbero stati più utili sotto schiaffo che sospesi dal servizio o, peggio, in stato d’arresto. Per liberarsi di loro c’era sempre tempo.

Così, la mattina dell’arresto di Yuri, si presentarono dall’ispettore Cavallo, un omarino gentile e viscido che, secondo Oxana, riscuoteva ogni settimana il pizzo dalle ragazze che battevano lungo la Salaria, e gli fecero un discorsetto molto chiaro. Cavallo si mostrò collaborativo, e in capo a mezz’ora accertò che qualche mese prima Mercuriu era stato fermato e denunciato per furto. L’ispettore, con le orecchie basse, consegnò a Sax anche un cartellino con foto segnaletica, impronte e un numero di cellulare.

Mentre Alba si occupava dei tabulati, il Biondo e il dr. Sax, scortati dal sempre più servizievole Cavallo, perlustrarono la baraccopoli che da qualche tempo era sorta sotto il viadotto Giovanni Gronchi, fra Fidene e Montesacro Alto. Baraccopoli era un eufemismo bello e buono: metti un lenzuolo o un telo, una cerata se puoi permettertela, fra due colonne del viadotto, o due tubi alti, e hai creato la tua casa. Qualche lamiera, recuperata nella vicina discarica, aiuta sempre. Il fil di ferro, nelle mani di un disperato, può diventare come lo scalpello per uno scultore: ci puoi ricavare sostegni, lucchetti, ripiani che ricordano vagamente dei tavolini. Qualcuno rimedia un frigorifero abbandonato, qualcun altro un bidet: tutti ottimi nascondigli per i poveri beni che il tuo vicino, tua madre, tuo figlio non vedono l’ora di rubarti. E poi, tranci di rami accatastati accanto a bidoni di benzina dentro i quali bruciava materia dall’odore terrificante. Bambini cenciosi fra le gambe di donne che stendevano panni su improvvisati stenditoi: ecco un altro esempio del buon uso del fil di ferro.

Sax e il Biondo erano decisamente impressionati.

«Sembra Rio de Janeiro, per la miseria.»

«E tu che ne sai? Ci sei mai stato?»

«Con Luisella, in viaggio di nozze.»

«E questo è niente» commentò Cavallo, «perché qua ci stanno quelli dell’Est. Devi vedere i campi degli zingari. E i negri sulla Flaminia. Una puzza…»

Intanto, però, di Mercuriu non c’era traccia.

A un certo punto si fece avanti un tizio sui quaranta, lavato e sbarbato di fresco, con un giaccone decente, in grado di esprimersi in un buon italiano. «Cercate Mercuriu?»

«Tu chi sei?»

«Balascu Roman, di Braşov.»

«Hai il permesso di soggiorno? Tieni le mani bene in vista» si intromise Cavallo.

Il Biondo prese sottobraccio lo sbirro della Buoncostume e lo allontanò di qualche metro.

Sax gli andò sotto, senza esitazioni. «Tu devi tenere la bocca chiusa, capito? Dove credi di essere, in The Wire

«Era un modo per dare una mano, collega! Questi se non gli metti paura non dicono mezza parola!»

«Muto» insorse Sax, «che tu da questi poveracci prendi la stecca.»

Il corrotto lo squadrò con odio.

Il Biondo si portò l’indice al naso. Come dire: zitto, che ti sta andando sin troppo bene. «E comunque, coglione, la Romania è nell’Unione europea. Non serve nessun permesso di soggiorno!»

Tornarono da Roman, che li aspettava a braccia conserte. Era ingegnere. Ma aveva il vizio dell’alcol. Per colpa del quale, ammise, aveva perso tutto: casa, lavoro, famiglia. Ora stava cercando di disintossicarsi. Conosceva Mercuriu perché venivano dalla stessa zona. Se volevano la sua opinione, era un vero bastardo. Per come trattava le donne e gli amici. Comunque, a lui aveva detto che sarebbe tornato in Romania.

«Ne sei certo?»

«Ho visto il biglietto di pullman.»

«Ti ha spiegato perché partiva?»

«Perché ha fatto soldi. Ha venduto la sua donna e pff, via.»

Roman ebbe una piccola esitazione, subito colta da Sax.

«C’è altro?»

«No. È tutto.»

«Avanti, amico, fin qui sei andato benissimo. Su, qualcosa ti rode. Avanti!»

«Secondo me lui non è partito» buttò fuori tutto d’un fiato il romeno. «Lui è morto. Budan ha ucciso. Se venite, vi mostro una cosa.»

I tre poliziotti si addentrarono in quello che aveva tutta l’apparenza di un lembo di campagna selvaggia, una porzione di savana non troppo distante dal centro di Roma. L’ultima volta che si erano visti, spiegò Roman, Mercuriu, oltre a mostrargli il biglietto per la Romania, gli aveva promesso di lasciargli la baracca. Ma poi era scomparso. E Roman, purtroppo reduce da una delle solite sbronze che lo aveva tolto dalla circolazione per due o tre giorni, l’aveva trovata occupata da Budan. Un bosniaco. Uno pericoloso.

«Io ho chiesto a lui: “E dov’è adesso Mercuriu?”. E lui: “Non c’è più. Mi ha lasciato la casa”. Io allora ho insistito: “Guarda che aveva promesso di lasciare a me”. E lui: “Se non te ne vai, ti ammazzo”. Ecco, siamo arrivati.»

Se lo status sociale della disperazione si misurasse tramite i materiali da costruzione e i metri quadri, a chi abitava in quel buco sarebbe toccata senza dubbio la palma del benestante. Era una vera e propria baracca, con quattro pareti di lamiera, una finestra – se così si poteva chiamare il pertugio per l’aria che era stato ricavato segando la lamiera stessa – e, all’interno, un letto rifatto, un piccolo frigo da campo dal quale partiva un lungo filo, un tavolino e una sedia. Soprattutto, niente cattivo odore.

«Come campa questo Budan?» domandò Sax.

«Manovale. A giornata. È forte, e trova sempre lavoro.»

Valeva decisamente la pena scambiarci quattro chiacchiere. Roman poteva aver raccontato una balla, ma poteva anche esserci del vero, nella sua storia. I poliziotti finsero di abbandonare la baraccopoli a mani vuote, suscitando un tale giubilo che, se avesse avuto dei mortaretti a portata di mano, quella gente li avrebbe esplosi tutti. Invece si appostarono a un centinaio di metri dai due bidoni di benzina che segnavano l’ingresso dell’insediamento. Roman era con loro. Il suo compito: riconoscere il bosniaco.

Dopo una snervante attesa di ore, poco prima del tramonto la loro costanza fu premiata.

«Eccolo, è lui.»

Budan era sui quaranta, alto, tonico, ma non sembrava troppo pericoloso, con la tuta sporca di calce e il passo caracollante dell’operaio stanco dopo una dura giornata di lavoro. A ogni buon conto, mentre Cavallo teneva d’occhio Roman, il Biondo e Sax gli saltarono addosso, sbucando dall’ombra, e anche grazie al fattore sorpresa lo immobilizzarono rapidamente.

Si qualificarono. Il bosniaco sembrò afflosciarsi di colpo. I suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime.

«Venite» disse, «vi mostro dove ho messo il corpo.»