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Quando ero piccola, di tutte le mie amiche Beccy era la più sfacciata. Se ripenso ai momenti dell’infanzia in cui corsi i maggiori pericoli, quasi sempre lei era presente e faceva da intrepida apripista con le treccine, le espadrillas malconce e il vecchio vestito verde lavorato all’uncinetto che era stato di sua madre. (Dico vecchio, ma era originale degli anni Sessanta e oggi si venderebbe a caro prezzo in una boutique di abbigliamento vintage. Nel 1982, però, era il genere di abito che tiravi fuori dal guardaroba della mamma. Il vestito di Becs era molto corto, decisamente non de rigueur negli anni Ottanta. Per questo motivo lei lo indossava continuamente, senza le mutandine, con aria di sfida.)
Era favolosa, ma trasalisco al pensiero dei pericoli che sfidavamo, le ferite, gli incidenti e i disastri che sarebbero potuti accadere facilmente. Le moltissime occasioni in cui nessuno, neppure un’anima, sapeva dove fossimo.
«Ce la caveremo, ero una guida scout», diceva Becs, sicura di sé. «Ho sempre una moneta per la cabina telefonica.»
Ora che sono adulta fatico a conciliare i rischi con l’incredibile gioia di quelle avventure prive di limiti con la mia amica, nonostante le ginocchia sbucciate e tutte le volte che ce l’eravamo cavata per un pelo. Senza dubbio quelle furono esperienze formative, che plasmarono l’adulta che sarei diventata. Ero una bambina decisamente non temeraria, anzi, prudentissima, con la tendenza a valutare ogni possibile ripercussione e il più delle volte a concludere: «Meglio di no».
Su insistenza di Becs, accettavo di vivere esperienze che mi facevano uscire dalla mia zona di sicurezza. Come quando nelle buie notti invernali, senza una torcia, prendevamo la scorciatoia per tornare a casa dopo le prove teatrali, percorrendo una via pericolosamente deserta e non illuminata che correva lungo il canale. Poi ci fu il pomeriggio estivo in cui camminammo attraverso un campo di orzo che si estendeva alla fine della strada che portava a casa mia e ci imbattemmo in una coppia impegnata a fare l’amore. Lui era un mio vicino di casa e lei una bionda con due tette enormi. Lei gli stava a cavalcioni, coperta solo dalla macchia del suo peccato mortale. Becs e io avevamo tredici anni e frequentavamo una scuola cattolica. Io volevo scappare a gambe levate, certa che stesse accadendo qualcosa di diabolico. Con mio orrore, lei invece era affascinata dallo spettacolo e insistette perché restassimo, strisciando in mezzo all’orzo stile commando in modo da poter vedere meglio.
Inevitabilmente, un po’ della passione di Becs per una vita piena di esperienze mi contagiò. Diventai più curiosa, più interessata, cominciai a cercare più risposte. Nel 1981, appena quattordicenne, partecipai con lei alle manifestazioni nelle strade di Londra, agitando striscioni contro la bomba atomica e contro Margaret Thatcher. A Hyde Park fronteggiammo una fila di poliziotti a cavallo e ascoltammo con gli occhi spalancati mentre Tony Benn ci dimostrava per la prima volta che i politici non dovevano essere per forza falsamente umili e contro i minatori.
Imparai a poco a poco che forse potevo sperimentare il mondo a modo mio. Potevo immergere l’alluce in quello che la vita aveva da offrire: forse sarebbe andata bene. Guardando Becs, desideravo avere un pochino dell’audacia con cui affermava il proprio diritto a vivere come voleva e la copiavo per quanto mi era possibile. Iniziai a essere più audace.
Il mio coraggio si manifestò proprio al momento giusto. Tornando a casa, una sera tardi, osai correre un rischio: prendere la scorciatoia da sola. Lo avevo già fatto con Becs, giusto? Non era successo nulla. Me la sarei cavata benissimo.
A un certo punto raggiunsi un vicoletto male illuminato, con una staccionata su entrambi i lati. Era lungo circa ottocento metri e descriveva tre curve di quarantacinque gradi. Qua e là le assi della staccionata si erano staccate, lasciando dei buchi dai quali spuntavano i rovi.
A ogni angolo il mio cuore aveva un sobbalzo, e ancora di più quando mi avvicinavo ai punti dove la staccionata era rotta. Lì dietro poteva nascondersi qualsiasi cosa. Ma poi pensavo intensamente a Becs e proseguivo, imponendomi di non mettermi a correre. Finalmente oltrepassai l’ultimo varco, a duecento metri dalla fine del vicolo, e sospirai.
Fu allora che lui mi chiamò: «Ehi!»
Era apparso dietro l’ultimo buco della staccionata, con la mano sinistra stringeva il palo orizzontale più in alto, la sua faccia era mascherata da una grande bandana. Inizialmente fui più confusa che spaventata. Cosa stava facendo e perché aveva quella maschera? Era ridicolo.
Voltandomi per guardarlo, mi resi conto di avere fatto un passo verso di lui.
«Sì, vieni qui», disse l’uomo, simulando malissimo un accento irlandese.
Per poco non scoppiai a ridere. Poi lo guardai e vidi che con la mano destra si impugnava il pene, appena al di sopra del palo orizzontale più in basso. Rimasi bloccata, cercando di collegare tutte quelle informazioni disparate.
Finalmente l’adrenalina entrò in circolo.
«Bastardo di un pervertito!» urlai, poi mi misi a correre, infilando nel frattempo la mano in tasca per prendere la monetina per il telefono, lo sguardo fisso sulla cabina in fondo alla strada.
Avevo affrontato il più grosso pericolo della mia vita fino a quel momento, e lo avevo fatto da sola.
I miei genitori segnalarono l’esibizionista alla polizia, che pattugliò l’area per un po’. Non fu più visto. I miei mi avevano concesso quel tanto di indipendenza da permettermi di sperimentare il mio piccolo angolo di mondo alle mie condizioni. La loro fiducia (in me? Nella società? Nel fatto che comunque tutto sarebbe finito bene?) mi aveva dato modo di esplorare la realtà attraverso gli occhi di Becs. E lei a sua volta aveva dato un po’ di spontaneità alla mia vita, come nessun genitore avrebbe potuto fare. Sotto la sua ala disinibita imparai a respirare un po’ più liberamente, a contare sul fatto che non sarebbe accaduto niente di grave (probabilmente). E a portare sempre con me una monetina per telefonare.
Riflettere su quel periodo della mia vita è difficile, adesso che sono madre. Perché da adulta ho ricominciato ad analizzare tutti i rischi, solo che questa volta lo faccio nell’interesse dei miei figli. Guardo sempre oltre, e vedo pedofili dietro ogni staccionata rotta. Lasciarli liberi è molto, molto difficile.
Ma so che mia figlia, pensierosa e poco propensa a correre rischi, avrebbe tanto bisogno di una Becs, e di avere la libertà di imparare a modo suo com’è la vita, proprio come ho fatto io. Ci sono giorni in cui il mondo sembra ancora più pieno di pericoli, e vorrei davvero mettere ai miei figli un guinzaglio di cinquanta metri in modo che non si allontanino dal giardino di casa. Invece combatto questo desiderio. «Okay, divertiti», dico con un tono falsamente noncurante mentre guardo mia figlia uscire, un po’ confortata dal fatto che mentre io avevo in tasca una monetina lei ha un telefono cellulare. La modernità non è poi così male, grazie a quel santo di Jobs.
Pensaci per un attimo, tesoro: nelle favole sono sempre i bambini che hanno le belle avventure. Le madri devono rimanere a casa e aspettare che i bambini entrino in volo dalla finestra.
AUDREY NIFFENEGGER
Quindi…
La verità è che nei primi anni non proteggere eccessivamente i propri figli è una battaglia quotidiana. I pericoli sono ovunque, e se cedete alla paura sterilizzerete completamente la loro vita senza nemmeno accorgervene.
Respirate, prendetevi un attimo. Riempitelo con le note deliziosamente rilassanti di Lullaby di Sia. Vi aiuterà a sciogliere la tensione nelle spalle e vi ricorderà che la vita significa fare quello che va fatto ed essere fiduciosi che alla fine andrà tutto bene. Anche lei sa che lungo la strada ci saranno sempre ostacoli e cadute: dobbiamo semplicemente rialzarci e rimetterci in marcia. Ne siamo già consapevoli, ma presto o tardi dobbiamo lasciare che anche i nostri figli lo scoprano. Se Sia non bastasse, versatevi un drink… abbiamo bisogno che vi calmiate per leggere quello che segue.
- Dobbiamo essere abbastanza sciolti da dare ai nostri figli il senso di libertà di cui hanno bisogno per crescere bene. Non stiamo dicendo che sia facile: non lo è. È molto difficile, ma possiamo fare qualcosa per renderlo più semplice. Innanzitutto, aiutarli a diventare ragazzi in gamba.
- Abbiamo bisogno di bambini che conoscano il proprio spazio personale, il diritto di essere rispettati e quello alla privacy, che siano in grado di compiere scelte personali e di avere la sensazione di controllare la propria vita. Perché bambini così hanno maggiori probabilità di sviluppare una solida autostima. E questo li porta a essere sufficientemente sicuri di sé per prendersi dei rischi controllati, ma anche per alzare la voce di fronte alle ingiustizie.
- Pubblico e privato: fate in modo che i vostri figli comprendano bene questi concetti fin dalla più tenera età. Per esempio, se sapete che capiscono che un momento privato è quando sono soli in bagno e nessuno può vederli, potrete star certi che riusciranno a esprimersi se la loro privacy viene minacciata. Con il tempo, lo stesso discorso può essere esteso alle parti del loro corpo che sono private e a quelle che sono pubbliche, e avere questa consapevolezza di se stessi conferisce potere.
- Espressione di sé: rileggete i Capitoli 4 e 6 a proposito del rispetto dello spazio personale, del non preoccuparsi per le piccole cose e del concedere ai figli la possibilità di scelta e un autentico controllo su un certo numero di aspetti della loro vita. Fate in modo che il vostro desiderio di assicurarvi che siano sempre sani e al sicuro non li soffochi. Devono poter esprimere la propria personalità, e ciò significa che noi adulti dobbiamo rispettare i loro gusti – entro limiti ragionevoli – per quanto riguarda indumenti, cibo e amici.
- Cerchi di familiarità: questo è un semplice aiuto per l’insegnamento usato spesso con i bambini con difficoltà di apprendimento, ma può essere utile a tutti. Si tratta di un disegno a cerchi concentrici di colori diversi, come il bersaglio per il tiro a segno. Al centro mettete una fotografia di vostro figlio (oppure ditegli di disegnare il proprio ritratto) e accanto i nomi o le foto delle persone che gli sono più vicine: i genitori, il migliore amico e così via. Poi collocate le altre persone che fanno parte della sua vita nei cerchi via via più esterni, in modo da rappresentare i vari livelli di rapporto, fino ad arrivare agli estranei, da mettere fuori del cerchio più esterno. Nel fare questo, parlate dei diversi tipi di contatto fisico e di conversazione: con chi va bene scambiare abbracci speciali e con chi no, e di quali argomenti parliamo con le varie persone. È tutto fluido, cambia a mano a mano che il bambino cresce, le persone vanno e vengono e il paesaggio del loro mondo muta.
- Metteteci prima voi stessi e le persone che sono nella vostra vita, poi chiedete a vostro figlio di pensare a chi inserirebbe nei vari cerchi. Fatelo riflettere su chi ha la sua fiducia e può stargli vicino e che tipo di contatto fisico e di conversazioni ci sono con le altre persone, adulte e non. Questo esercizio lo aiuta anche a comprendere lo spazio personale degli altri e sviluppa l’abilità sociale, dandogli il senso dei limiti e aiutandolo a godere di interazioni sane e felici.
- Privacy: mentre i figli crescono, cominciano a sviluppare un bisogno intrinseco di privacy. Con il profilarsi dell’adolescenza dovete accettare il fatto che non potrete più sapere tutto di vostro figlio. Non si può e probabilmente non si deve. Date loro la tranquillità di sapere che il loro spazio è il loro spazio. Uno spazio dove rifugiarsi, dove possono comprendere alcune cose e chiarirsi un po’ le idee. Oppure dal quale uscire quando sono pronti a chiedere aiuto, a farsi spiegare qualcosa da voi.
- Non spiate: non leggete diari o messaggi. In ogni caso, ciò che è scritto lì rappresenta solo pensieri fugaci. Durante i turbolenti anni dell’adolescenza la loro testa sarà in un milione di posti diversi, che cambieranno costantemente. Vederne un’istantanea in bianco e nero non vi servirà a nulla. Perciò rispettate la loro privacy, fate in modo che sappiano che siete presenti, calmi e disposti ad ascoltare. E non spaventatevi di fronte alle rivelazioni che vi fanno. Ringraziateli per la loro onestà. Ascoltate. È difficile, certo, ma credeteci, è il modo migliore per capire che cosa accade nella loro vita.
- Francamente, queste sono lezioni importantissime su quello che è accettabile nelle relazioni interpersonali, su cosa va bene in un’interazione con un altro essere umano e su ciò che invece non va bene. E come potrebbero imparare alcune di queste regole in maniera migliore e più sicura che nei loro primi scambi con voi?
È abitudine serale di ogni buona madre, dopo che i suoi bambini si sono addormentati, rovistare nelle loro menti e riordinare le cose per l’indomani mattina. Quando ti svegli al mattino, la cattiveria e i sentimenti negativi con i quali sei andato a letto sono stati ripiegati in modo da renderli piccoli piccoli ed essere sistemati in fondo alla tua mente. E in cima, ben arieggiati, ci sono i tuoi pensieri più belli, pronti per essere indossati.
JAMES MATTHEW BARRIE, Peter Pan
«Non andare a cercarsela»
VIK
La trasmissione di Channel 4 Educating Essex/Cardiff/Yorkshire ci ha offerto un’interessante panoramica delle scuole superiori inglesi, dei loro studenti e del personale insegnante. Ecco ciò di cui si parla in classe, roba che ai genitori piacerebbe ascoltare di nascosto…
Sta piovendo e ci troviamo in una classe temporanea, il mio collega Matt (Signor D), un gruppo di studenti del decimo anno e la sottoscritta. È l’ultima ora della giornata. Dovremmo stare terminando una rilevazione del traffico e stimare i costi di un pacchetto vacanze, ma in qualche modo si è passati a parlare di quello che è accaduto venerdì scorso alla Youth House.
Ho del caffè, degli strudel ai fichi e nessuna voglia di interrompere le chiacchiere per seguire i programmi stabiliti. E questo è quello che succede…
Gli studenti: Ellie, George, Jordan, Lauren e Legolas (sì, Legolas).
ELLIE: Prof, possiamo guardare American Pie? È quasi metà quadrimestre.
SIGNOR D: Ellie, è l’undici gennaio.
GEORGE: Però è istruttivo.
SIGNOR D: Sentiamo un po’, in che senso è istruttivo, George?
GEORGE: Si imparano cose sul proprio corpo, educazione sessuale. Ma è divertente, non come quando Miss Taylor fa lezione e ci fa fare una ricerca sulla clamidia.
LAUREN: Io non lo voglio vedere! Infilano il loro coso dentro la frutta. È disgustoso.
ELLIE: Ma stai zitta. Davvero?
GEORGE: Il ragazzo sta solo sperimentando, tutto qui. Qualcuno gli dice che quando lo fai, lì è tutto caldo, come una torta di mele. Mio fratello dice che è spassoso perché suo padre lo becca ma poi cerca di fare il disinvolto.
SIGNOR D: Non riesco a immaginare mio padre fare il disinvolto su una cosa del genere. Ma d’altra parte non ho mai pensato alle torte da quel punto di vista…
JORDAN: L’hanno dato alla Youth House venerdì scorso.
LAUREN: Che cosa? La torta di mele?
JORDAN. No, American Pie, testa di cazzo!
IO: Non dire testa di cazzo, Jordan.
LAUREN: Io non penso che alle ragazze piacerebbe. Scommetto che è tutto sui ragazzi che cercano di scoparsi le ragazze e roba del genere.
ELLIE: Però dovrebbe essere molto divertente, Lar.
JORDAN: Io non l’ho visto tutto. Jack Walsh si è picchiato con Lee Cleeves.
ELLIE: È stato per Laura Miles?
JORDAN: Già, quella stronza.
ELLIE: Mmm, Jordan, lei non è?… Lee Cleeves è un’enorme testa di cazzo. Mi scusi, Miss.
GEORGE: Ah, lui pensa di avere un cazzo enorme! Mi scusi, Miss.
IO: D’accordo, ragazzi. Conosco Lee. Cos’è successo?
ELLIE: Meglio che lei non lo sappia, Miss, altrimenti comincia la lezioncina e io non voglio rotture di balle, ma a dire la verità nessuno di quelli che lavorano alla Youth House ha capito cos’è successo.
IO: Bene, adesso devi dirmelo, Ellie, sono molto curiosa.
GEORGE: E poi guardiamo American Pie?
SIGNOR D: Non credo proprio, George. Prenderei il P45.
GEORGE: Che cos’è?
SIGNOR D: È un pezzo di carta firmato dal preside che dice: «Non puoi più fare l’insegnante perché hai permesso a dei quindicenni di guardare scene di sesso alla televisione durante l’orario scolastico».
GEORGE: La signora Dee si incazzerebbe, eh?
SIGNOR D: La signora Dee si incazzerebbe, come dici tu, George… vorrebbe poter pagare il mutuo.
IO: Ellie, Laura è tua amica?
LAUREN: No, è quella ragazza che si è trasferita a Headwell. Quando era qui giravamo sempre insieme, ma se n’è andata a metà del nono anno.
ELLIE: Era un po’ piena di sé, però mi stava simpatica. Ma ora viene alla Youth House. A Headwell non si è fatta nessun amico.
JORDAN: Era piena di sé ma adesso è una poco di buono.
IO: Quell’espressione non mi piace per niente, Jordan.
JORDAN: Sì, ma sappiamo tutti cosa significa.
LAUREN: Tu pensi di sapere cosa significa però non lo dici mai dei ragazzi, e questo mi fa incazzare. Lee Cleeves è un poco di buono.
JORDAN: Sì, ma Laura è una vera poco di buono. Viene alla Youth House e fa pensare di esserlo. Era chinata sul tavolo da biliardo e vedevamo tutti il suo perizoma.
ELLIE: D’accordo.
LAUREN: Sì, perché tutti la guardate e lei se la beve, e questo la rende peggiore.
IO: Come mai Jack e Lee hanno litigato?
SIGNOR D: Sì, ho bisogno di sapere l’antefatto.
JORDAN: Laura usciva con Jack ma se l’è fatta con Lee e la cosa è degenerata.
ELLIE: Non è quello che ho sentito.
LAUREN: No, neppure io.
IO: Cos’hai sentito?
ELLIE: Laura e Jack hanno scopato. E quando Lee lo ha scoperto ha pensato che anche loro due avrebbero scopato. Allora sono andati a casa della sorella di lei a fare i baby-sitter e hanno bevuto un sacco di sidro e roba del genere e lui insisteva. Lei però ha detto che non voleva.
IO: Stai dicendo che lui l’ha stuprata?
LAUREN: No, non hanno fatto sesso, Miss, alla fine no. Ma lui si è comportato in modo schifoso con lei e quando Jack l’ha saputo ha aggredito Lee. E ha fatto benissimo, per essere giusti.
GEORGE: Allora possiamo guardare Friends, prof?
SIGNOR D: Taci, George. Pianifica la tua settimana a Maiorca.
IO: Jordan, allora come mai Laura è una poco di buono? Perché la definisci così?
ELLIE: Perché è troppo tonto per trovare le parole giuste.
JORDAN: Se l’è andata a cercare, così Lee ha pensato che sarebbe successo e poi lei ha detto: «No, adesso non mi va».
LAUREN: Appunto, Jordan. Ha detto di no.
JORDAN: Ma è una stuzzicacazzi.
ELLIE: So cosa stai dicendo, ma non importa. E se si sono incazzati tutti e due allora è una cosa da matti.
IO: Jordan, cosa significa «andare a cercarsela»?
JORDAN: Oh, Miss, questa storia sta sfuggendo di mano. Adesso faccio la rilevazione del traffico.
LAUREN: Niente affatto, Jordan! Non puoi andare in giro dicendo cose come «poco di buono» e «andarsela a cercare» e non aspettarti che la gente si arrabbi. La Miss non ti permetterà di farla franca, chiaro?
SIGNOR D: Jordan, cosa significa «andarsela a cercare»?
JORDAN: Prof, lo sa.
SIGNOR D: Penso che tutti sappiamo che io so un sacco di cose, Jordan, hai seguito il mio corso di storia. Ma sono curioso. Che cosa si è andata a cercare Laura e come lo ha chiesto?
JORDAN: Cosa?
SIGNOR D: George, cosa significa «andarsela a cercare»?
GEORGE: Cosa?
SIGNOR D: Ho bisogno di uno strudel ai fichi.
ELLIE: Jordan, stai dicendo che se una ragazza si mette la minigonna o roba del genere e poi flirta, se la va a cercare se qualcuno cerca di scopare con lei, è così?
JORDAN: Be’, sì. Voglio dire, non sto dicendo che stia cercando di essere stuprata, sto solo dicendo che è come se dicesse ai ragazzi: «Ci sto».
IO: Qualcuno di voi pensa che Lee abbia fatto bene ad arrabbiarsi quando Laura ha detto che non voleva fare sesso?
GEORGE: Non è giusto che abbia fatto il prepotente con lei, ma capisco che si sia arrabbiato.
ELLIE: Sì, d’accordo, ma un conto è essere arrabbiati se non succede qualcosa che volevi che succedesse, però solo perché aveva addosso un abitino corto e vuole a tutti i costi avere un ragazzo non significa che delle teste di cazzo come Lee possano dire e fare quello che vogliono con lei. E non significa che delle teste di cazzo come te possano dire quello che vogliono, Jordan. Penso che si senta sola nella sua scuola e che sbagli quando torna da queste parti.
IO: Ellie, credo che quello che hai detto sia azzeccato. Jordan, tu cosa rispondi?
JORDAN: Capisco, però…
LAUREN: Però cosa, Jord?
JORDAN: È il fatto di controllarsi e così via.
SIGNOR D: Jordan, vi ho già parlato dell’evoluzione. Non mi aspetto che tu ti ricordi granché, nonostante io insegni in modo eccellente, ma tieni a mente questo: nei pantaloni hai una cosa che in questo momento ti elettrizza e vorresti mettere alla prova le sue meraviglie. Essendo io un uomo incredibilmente bello, ti capisco. Ma noi esseri umani ci siamo evoluti e abbiamo sviluppato un cervello che ci consente di controllare i nostri istinti animali: ci permette di tenere sotto controllo il nostro cazzo e di non essere teste di cazzo. Mi scusi, Miss!
IO: Fuori dalla mia classe.
JORDAN: D’accordo, prof, ho capito. A dire la verità, Lee è proprio una testa di cazzo.
GEORGE: Prof, allora possiamo guardare Full Monty, per favore?
SIGNOR D: George, un’analisi dell’impatto di Thatcher’s Britain sarebbe una bellissima cosa e non ti biasimo per averlo chiesto così gentilmente, ma mi pare che questo pomeriggio abbiamo imparato che no significa no. No?
LEGOLAS: Miss, ora posso andare alla lezione di liuto, per favore?