P r ologo. Hrafnhildur
Nelle Terre del Nord era perennemente inverno.
Raffiche di vento gelido spazzavano il terreno ricoperto di neve farinosa e i turbini d'aria facevano danzare grossi fiocchi spargendoli ovunque.
«Una femmina!» sbraitò Elasund con disprezzo.
La regina riservò al consorte uno sguardo disinteressato e spocchioso.
«Il sesso non poteva essere deciso!» replicò riluttante.
I lunghi capelli biondi erano sparsi sui numerosi cuscini che le sorreggevano la schiena.
Le coltri di pelliccia le coprivano le gambe mentre le esili braccia diafane e il viso pallido erano illuminati dalla luce metallica riflessa dalla neve oltre i vetri.
Puntò i freddi occhi grigi sulla figura del re in piedi in fondo all'immenso letto a baldacchino dove era semidistesa.
Il fisico imponente del sovrano stava fremendo di rabbia e di indignazione.
«Ma il seme con cui concepire può essere scelto!» sputò lui velenoso .
La donna lo guardò con astio ma non rispose alla provocazione.
Elasund sapeva che la bambina che la moglie aveva appena partorito era frutto di un rapporto con un altro uomo.
Odiava la moglie e aveva già provveduto a far decapitare il servo che l'aveva ingravidata per la seconda volta.
L'anno precedente la regina aveva partorito un'altra femmina.
Aveva eliminato la neonata senza difficoltà allora.
N on sapeva cosa farsene di una figlia.
A distanza di un anno, poi, quella donna stolta aveva partorito una seconda volta dando alla luce ancora una bambina.
S embrava fosse in grado di partorire solamente femmine.
Se almeno avesse partorito un maschio, un erede per il trono.
Invece lei oltre a essersi sollazzata con un servo aveva dato alla luce ancora un'inutile femmina.
Cosa se ne sarebbe fatto il sovrano di una figlia femmina?
Elasund era sempre stato convinto che le donne non fossero in grado di governare un paese, tanto meno delle terre insidiose e ostiche come quelle del Nord.
Terre in cui non cresceva nulla e moriva ogni cosa, dove il manto di neve era presente per quasi tutto l'anno, dove per poter sopravvivere bisognava imparare a essere spietati e sanguinari come lo era lui.
Una donna, ne era certo, sarebbe stata troppo debole per vivere e soprattutto per governare un luogo come quello.
«Cosa me ne faccio di una figlia?» chiese irato più a se stesso che alla moglie.
La donna lo guardò alzando le spalle.
«Fanne quello che ti pare – disse poi con freddezza – non ho alcun interesse per quella bambina!».
«Vorresti dirmi che non te ne importerebbe nulla anche se la facessi uccidere?» la provocò lui.
«Se non lo fai tu provvederò a farlo io appena possibile – sibilò la donna – è stato uno stupido incidente ed è un essere totalmente inutile per me!».
Il viso dai lineamenti duri di Elasund si distorse in una smorfia.
I suoi occhi verdi divennero ancor più freddi di quanto solitamente fossero.
L'uomo fece un passo verso la moglie e il riverbero di luce riflessa sulla neve illuminò i capelli biondi e la barba folta facendo risaltare la bocca sottile piegata in un ghigno.
«Non ti azzardare donna – disse piano – quella bambina è una mia proprietà e solamente io posso decidere se dovrà vivere o morire. Hai già sfidato la mia autorità a sufficienza. Non ti conviene rischiare oltre. La prossima volta sarà la tua di testa a cadere!».
La donna anziana si strinse lo scialle intorno alle spalle.
Un soffio di aria fredda era penetrato dalle fessure delle spesse mura in pietra.
Gli occhi gentili si rivolsero alla neonata nella culla accanto a lei.
La bambina emise un gemito e scalciò.
Agitò le manine strette a pugno e cominciò a piangere.
«Piccola Sigrid – disse bonariamente la nutrice – hai fame vero?».
La regina si era fermamente rifiutata di allattare la figlia e l'anziana nutrice, non avendo latte suo, aveva cominciato a dare alla piccola l'unico latte che si trovava in quei luoghi, quello di renna.
Le pesanti vesti della sovrana frusciarono mentre la donna entrava nella stanza.
I lunghi capelli biondi erano intrecciati e gli occhi grigi erano come lame d'acciaio che si posarono sulla nutrice che reggeva la neonata fra le braccia.
«Mia regina» la salutò la donna con un filo di voce.
Sigrid aveva spalancato gli occhi blu intenso e sembrava osservare l'altera figura della madre.
«Dammi la bambina» ordinò la donna.
«Ma stavo per darle da mangiare» si lamentò l'anziana.
La regina strappò Sigrid dalle braccia della donna.
La portò davanti a sé con le mani tese.
Reggeva il piccolo fagotto sotto le ascelle e lo teneva a distanza.
La bambina parve spaventarsi e ricominciò a piangere disperatamente.
«Vattene!» ordinò la regina alla vecchia.
Questa la osservò terrorizzata.
«Ho detto vattene!» urlò di nuovo la sovrana.
La nutrice si allontanò in preda al panico per quello che avrebbe potuto accadere alla neonata indifesa.
«Ed ora a noi due» disse seria la sovrana alla bambina che non smetteva di piangere.
«Sei così piccola e tanto fastidiosa – ripeté la donna – il tuo arrivo non è stato certo fonte di gioia e, per giunta, non sei nemmeno come ti avrei voluto! ma ora finalmente mi libererò di te una volta per tutte!».
Avvolse la bambina in una coperta e lasciò la stanza.
Attraversò il castello e marciò a passo deciso verso una delle uscite di servizio.
Fuori dalle mura il freddo era pungente e il vento spirava violento, senza tregua.
La sovrana affondò nella morbida neve che ricopriva il terreno.
Si allontanò dal palazzo fino al margine della foresta.
Il cielo plumbeo e ancora carico stava lentamente imbrunendo.
Appoggiò il fagotto che non smetteva di piangere in mezzo alla neve farinosa.
La guardò con severità dalla sua posizione eretta.
«Potrei finirti in pochi secondi – disse poi – se solo lo volessi ma non intendo nemmeno sporcarmi le mani con il tuo sangue bastardo. Ci penserà la temperatura della notte a stroncare la tua inutile esistenza. Così il sovrano avrà un'altra bella sorpresa, quando scoprirà che gli ho rotto uno dei suoi giocattoli!».
Fissò gli occhi grigi sulla neonata che aveva improvvisamente smesso di piangere.
Si voltò sui suoi passi e tornò al castello prima che l'oscurità calasse definitivamente.
«Dov'è?» urlò Elasund entrando nella stanza della regina.
La donna non mosse gli occhi dalla sua immagine riflessa nell'ampia specchiera.
Non smise di spazzolarsi i capelli sciolti sulle spalle e la sua bocca si piegò in un sorriso.
«Dove hai messo la bambina?» gridò di nuovo lui.
La donna non parlò e distolse lo sguardo dall'immagine del marito nello specchio davanti a cui era seduta.
Le mani forti di Elasund la presero per le spalle e senza accortezza la costrinsero ad alzarsi brutalmente.
L'uomo sguainò la spada.
«Dimmi dove hai messo la bambina!» ripeté ancora una volta con freddezza.
Gli occhi grigi della regina si posarono in quelli di lui.
Era uno sguardo di sfida.
«Ormai sarà morta!» sibilò con astio.
«Come hai potuto? – gridò lui – ti avevo avvisato di non sfidare ulteriormente la mia ira!».
«Tu mi hai tolto il mio giocattolo e io ho eliminato il tuo!» sputò lei con livore.
Lui la osservò freddo.
Sollevò la spada e con un colpo netto le tranciò il collo.
La testa della sovrana cadde a terra inzuppando il tappeto di sangue.
Rotolò fino ai piedi del letto.
La bocca era ancora piegata in una smorfia di soddisfazione e gli occhi grigi carichi di odio.
«Ti avevo avvisato donna – sibilò lui osservando la testa mozzata – di non sfidarmi oltre. Quella bambina è una mia proprietà e solamente io posso decidere quando deve morire. Ovunque tu l'abbia nascosta io la troverò dovesse essere l'ultima cosa che faccio nella mia vita!».
Il cielo era ormai scuro.
Il manto nero della notte era sceso senza stelle.
La pallida luna era nascosta dietro i cumuli di nuvole gonfie di neve.
La temperatura era scesa di diversi gradi.
Le cime degli alberi secolari che componevano la foresta erano frustate dal vento impetuoso che si era alzato.
Il sibilo fischiava attraverso la vegetazione oscura e minacciosa.
La neonata aveva smesso definitivamente di piangere.
Lentamente stava perdendo anche le forze necessarie per muoversi.
Gli occhi blu erano sgranati e impauriti.
Un debole alito di fiato usciva esile dal suo corpo che si stava lentamente congelando.
La leggera coperta nella quale era stata avvolta non era sufficiente a ripararla dall'aria gelida.
Sarebbe morta nel giro di poche ore.
Il silenzio era stracciato solamente dal rumore del vento che sferzava violento gli alberi.
Un fruscio uscì dal fitto fogliame.
Dalla vegetazione emerse la figura di un animale candido come il manto nevoso che ricopriva il terreno.
Il destriero era imponente.
La muscolatura era elegante e massiccia, ricoperta da un manto immacolato.
Al centro della fronte un lungo corno affusolato risplendeva alla luce riflessa dalla neve.
Gli occhi blu cupo osservarono il fagotto a terra.
Gli zoccoli si mossero con lentezza senza alcun rumore.
Lo sguardo caldo e nobile dell'unicorno avvolse la figura di quella neonata quasi morta.
L'animale abbassò il capo avvicinandosi alla bambina.
Gli occhi blu intenso di Sigrid si persero in quelli cupi e profondi dell'animale in una muta richiesta d'aiuto.
E i loro spiriti si legarono in modo indissolubile.
L'unicorno si accovacciò accanto a Sigrid e cominciò a scaldare la bambina con il suo fiato rovente.
La notte, ormai, stava volgendo al termine.
Entro poche ore sarebbe sorta una pallida alba sulle Terre del Nord.
Il mondo era ancora immerso nel suo sonno quando l'anziana donna comparve a pochi passi dalla bambina e dall'unicorno.
La nutrice si immobilizzò alla vista di quell'imponente animale che stava scaldando Sigrid.
Gli occhi blu dell'unicorno si alzarono dalla neonata e si posarono sulla donna che era comparsa silenziosa.
Si alzò ritto sulle quattro zampe.
Riservò un ultimo caldo sguardo agli occhi di Sigrid che parvero sorridergli grati per ciò che aveva fatto.
Fece roteare l'elegante collo candido e il suo corno scintillò alla luce rosata dei primi raggi di sole.
Il giorno stava nascendo.
L'animale si voltò verso la foresta e si allontanò galoppando.
Nel giro di pochi istanti scomparve nella fitta vegetazione.
La vecchia, ripresa dalla sorpresa, si precipitò verso la bambina.
«Sigrid – disse dolcemente – finalmente ti ho trovato».
La sollevò tra le braccia percependo il corpo quasi congelato.
La strinse nella coperta al suo petto e si avviò a piedi verso la foresta.
Si sarebbe affrettata ad allontanarsi dal castello.
Avrebbe lasciato le Terre del Nord e portato in salvo la principessa.
In quel luogo la sua vita correva troppi pericoli.
Sarebbe stata in pericolo perfino all'interno delle mura della sua stessa casa.
L'avrebbe allontanata da quel luogo e portata in salvo, molto lontano.
La corporatura possente di Elasund si stagliava in controluce.
Il manto candido, che ricopriva il terreno, scintillava per la luce del pallido sole ormai alto.
Intorno a lui si stendeva il manto di neve farinosa fino alla foresta in lontananza.
Un pezzo di neve fresca scivolò dall'alto della roccia infrangendosi a terra.
Davanti alui c'era l'apertura della caverna.
Il sovrano osservò l'oscurità dell'antro.
L'unico rumore che si udiva era il fischio del vento gelido che frustava il terreno sollevando piccoli turbini di neve.
L'uomo si piantò davanti all'entrata della roccia e chiamò a voce alta il nome di Selma.
Nessun rumore provenne dall'interno.
Il sovrano chiamò di nuovo il nome della strega ma non ottenne risposta.
Entrò lasciandosi inghiottire dal buio.
Il freddo e l'umidità della roccia penetravano il mantello di pelliccia.
I pesanti passi di Elasund risuonavano nel tetro cunicolo scalpicciando nella patina di acqua che ricopriva il pavimento.
Camminò a lungo fino ad addentrarsi nella profondità della roccia.
Il cunicolo era buio e maleodorante, si concludeva in un'ampia sala.
Le gocce d'acqua che cadevano dall'alto andavano a sciogliersi nelle pozze formatesi nel tempo, creand o un rumore continuo e persistente.
«Selma!» tuonò di nuovo il sovrano infastidito per la mancanza di risposta.
Nel buio del fondo dell'ampia stanza umida comparve la figura di una donna che si avvicinò a lui.
La lunga veste nera strisciava sul pavimento assorbendo l'acqua che lo ricopriva.
I capelli folti, di un nero lucente, ricadevano sulle spalle lungo la schiena.
Gli occhi neri e profondi come la notte scrutarono il nuovo venuto con un'espressione di rimprovero.
Il viso era pallido da apparire quasi diafano a causa dei lunghi anni trascorsi lontano dalla luce del sole.
«Cosa vuoi Elasund?» chiese la strega.
«Sono il sovrano – cominciò lui aggressivo – e pretendo che mi si ascolti quando convoco uno dei miei sudditi!».
«Con me non funziona – sostenne lei rigida – io non sono uno dei tuoi sudditi. Io non prendo ordini da te. Quando hai bisogno di me devi essere tu a venirmi a cercare, non sperare che io risponda ai tuoi richiami!».
Elasund non commentò.
Conosceva la potenza della magia di Selma e non aveva mai avuto il coraggio di provare a sfidarla.
Era l'unica persona in tutto il regno che si poteva permettere di non sottostare agli ordini del sovrano.
«Ora che sei qui – riprese la donna con aria dura – che cosa vuoi?».
«Cerco mia figlia!».
«Non è tua figlia! – lo riprese lei – la regina ha concepito con un altro uomo e tu lo sai!».
«È comunque la mia erede!» rispose lui contrariato.
«La bambina è ancora viva!».
«E dove si trova?».
«Hai ucciso tua moglie invece di farla parlare, sei uno stolto!».
«Aveva sfidato troppo la mia autorità – riprese lui portandosi una mano al fianco sfiorando la spada – non posso permettere a nessuno di prendersi gioco di me!».
«E da me cosa vuoi ora?» sostenne la donna con occhi privi di timore.
«Che tu mi dica dove si trova Sigrid!».
«Non posso!».
Elasund sfoderò la spada e la puntò in direzione della strega.
Gli occhi di Selma cambiarono colore da nero in rosso fuoco.
Il sovrano si bloccò di colpo.
Si era pentito della sua reazione impulsiva.
Sapeva che sfidare Selma poteva portare conseguenze terribili.
Era riuscito ad isolarla ai margini del regno ma non aveva potuto incatenare i suoi poteri e lei, dopo anni di esilio, aveva covato odio e rancore nei confronti di lui e di tutta la sua gente.
Sarebbe stato sufficiente un semplice gesto per scatenare la vendetta della donna.
«Perché? – chiese abbassando l'arma – perché il tuo potere non può trovare Sigrid?».
Gli occhi della strega tornarono a essere due profonde pozze nere.
«Posso solo dirti che non è più nel regno – disse poi – è stata portata fuori dalle Terre del Nord, sarà già lontano ora!».
«La tua magia è potente, tu puoi vedere dove si trova!».
«No – continuò lei – la principessa è protetta. Forze opposte a me hanno fatto in modo che io non possa vedere dove sia stata condotta. Forze che appartengono alla magia bianca sono sue alleate. In queste condizioni per me è impossibile trovare Sigrid!».
«Io devo trovare quella bambina!».
«Per farne cosa?».
«Sigrid è una mia proprietà, mi appartiene e deciderò a tempo debito cosa farne. Da quando ti importa del destino di un altro essere?».
«Non mi importa del suo destino – disse lei impassibile – ti devo avvisare però che non sarà semplice per te riuscire a mettere di nuovo le mani sulla principessa».
«Tu e la tua magia potete aiutarmi!».
«E per quale motivo dovrei aiutare te che mi hai confinato in questa grotta ai margini del mondo?».
«Le tue arti magiche sono potenti e io sono disposto a concederti di nuovo ciò che ti è stato sottratto ma in cambio dovrai mettere la tua arte a mia disposizione e aiutarmi a trovare la bambina!».
«Potrebbe volerci molto tempo – disse nuovamente la strega – ti ho già detto che le forze che mi contrastano sono potenti almeno quanto me!».
«Verrai a vivere a palazzo con me e ti nominerò mio consigliere. Mi aiuterai a trovare la principessa dovessero volerci anni».
«E poi?».
«E poi cosa?».
«Voglio che la libertà mi venga restituita per sempre e non solo per il tempo che occorrerà a trovare la principessa. Una volta che Sigrid sarà tornata da te io dovrò essere libera. Non tornerò mai più in isolamento, né in questa grotta né altrove».
«Dovresti lasciare le Terre del Nord – disse lui – il popolo non accetterà mai che io ti abbia restituito la libertà e ti conceda di circolare indisturbata per i nostri villaggi».
«Lascerò queste terre – accondiscese la donna – ci sono tanti posti in questo mondo dove posso vivere. Avrei potuto cancellare la vita da questi villaggi da molto tempo e, forse, avrei dovuto farlo anni fa quando il mio odio nei vostri confronti era ancora palpitante e vivo ma ora, l'unico desiderio che ho è quello di lasciare questo luogo e aspettare che questo posto maledetto vi finisca cancellandovi per sempre».
Erano mesi che la donna anziana camminava quasi senza sosta.
Non perdeva di vista un attimo la principessa avvolta come un fagotto tra le sue braccia.
Si riposava solamente lo stretto necessario e non guardava mai indietro la strada che aveva percorso.
Doveva allontanarsi il più possibile dal regno di Elasund, doveva portare Sigrid in salvo.
Attraversare la foresta e uscire dalle Terre del Nord era stata impresa ardua ma l'aveva superata.
Si muoveva di villaggio in villaggio per poter mettere la maggior distanza tra la bambina e la sua casa.
Dopo lunghi mesi le fredde Terre del Nord erano lontane.
La sua meta, le scogliere di Turvel, si stava finalmente avvicinando.
La notte era scesa e il vento invernale spirava freddo, sferzando le antiche costruzioni in pietra che componevano il villaggio.
Un agglomerato di poche case componeva il paese.
L'anziana strinse fra le braccia Sigrid.
«Ci siamo quasi – sussurrò allo stremo delle forze – ancora poca strada e raggiungeremo il castello. Lì sarai finalmente in salvo!».
Il manto nero era privo di stelle e la luna era nascosta da grosse nuvole gravide di acqua.
La donna attraversò il villaggio con passo affaticato.
Uscì dal circondario di abitazioni e imboccò la strada che si inerpicava verso il castello.
La salita fu difficoltosa e presto l'anziana rimase senza fiato.
Alzò gli occhi verso il cielo coperto.
In cima alla salita si stagliava il castello, oscuro e imponente.
Le alte torri apparivano come lance puntate verso il manto nero della notte.
Le luci erano tutte spente.
La donna sospirò e cercò di raccogliere le ultime forze per raggiungere la cima.
Si fermò un paio di volte, il tempo di riprendere fiato per poi proseguire.
Il castello si faceva più vicino a ogni passo.
Presto si poterono intravedere le ampie finestre gotiche e le spesse pietre che ne componevano la struttura.
Dopo un ultimo estenuante sforzo la donna, con il fagotto tra le braccia, si ritrovò davanti al pesante portone di spesso legno che era l'ingresso del castello.
Accanto al portone una grossa targa di metallo portava incisa la scritta: Collegio di Turvel. Scuola di arti magiche.
«Siamo arrivate piccola mia» sospirò la donna abbracciando la neonata.
Bussò con forza e ripetutamente.
Dovette attendere un lungo tempo prima che un servitore si decidesse ad aprire.
Il giovane aveva un'espressione infastidita, pronto ad aggredire chi aveva turbato il sonno degli abitanti del castello in un'ora tanto tarda.
Tentò di aggredire la donna ma le parole gli morirono sulla bocca lasciando il posto ad un sospiro stupito: «Mrs. Smokemakers? – disse piano – cosa ci fate fuori a quest'ora di notte?».
La donna anziana scrollò il capo con vigore.
«Avete sbagliato persona – disse dolcemente – io sono Leena Smokemakers».
«Scusate ma» si affrettò ad aggiungere il giovane.
«Lo so – disse lei infine – non siete il primo a essere ingannato dal nostro aspetto identico. Sono qui per vedere mia sorella Aghata. Vi prego di svegliarla, si tratta di cosa molto urgente. È una questione di vita o di morte!».
Il giovane osservò la donna poi i suoi occhi scivolarono sul fagotto che teneva tra le braccia.
Il vento gelido dell'inverno spirò producendo un sinistro sibilo.
Sferzò le cime degli alberi.
«Entrate – disse infine – è una notte troppo fredda. Andrò immediatamente a chiamare vostra sorella».
Si fece da parte per far entrare la donna.
Sigrid si era addormentata nonostante il freddo.
«Dormi piccola mia» disse piano la donna quando il ragazzo si fu allontanato.
«Dormi tranquilla. Ormai sei al sicuro. Mia sorella si prenderà cura di noi e il sovrano non riuscirà a trovarti in questo luogo protetto e lontano dalle Terre del Nord».