Capitolo III. La scoperta del passato
Gli occhi blu di Bergljot osservarono con astio Svend in piedi davanti a lei.
«I miei uomini dicono che non volete mangiare» disse l'uomo rude.
Lei non rispose limitandosi a guardarlo.
«Se volete morire di fame – riprese lui – non è affar mio. Quello che mi importa è che arriviate a corte in vita, poi sarà il sovrano a decidere cosa fare di voi».
«Perché non uccidete anche me come avete fatto con la mia gente?» sibilò lei con voce carica di odio.
«Ve l'ho già detto. Sarà il sovrano a decidere per voi Sigrid».
«Io non mi chiamo Sigrid – urlò lei – il mio nome è Bergljot!».
Si alzò dall'angolo in cui si era rannicchiata.
Scattò in piedi scagliandosi contro l'uomo in un'aggressione disperata.
Lui non indossava la cotta ma il torace muscoloso non risentì minimamente della tempesta di pugni che la ragazza gli stava sferrando.
La prese con forza per le braccia.
Lei fece una smorfia di dolore.
«Così rischiate di farvi male» si limitò a dire lui tenendola ferma.
Bergljot si dibatté inutilmente.
«Il viaggio è ancora lungo – disse l'uomo – vi conviene non disperdere troppe energie. Dovete mantenervi in forza visto che non volete mangiare».
La ragazza avvolta dalle braccia forti del militare non poteva muoversi ma solo guardarlo.
Strinse gli occhi con rabbia e sputò in viso a Svend.
Il volto dell'uomo si scurì.
«Ringraziate il cielo che siete la figlia del sovrano – sibilò stizzito – altrimenti avreste pagato questo gesto con la vita!».
La lasciò andare e lei cadde seduta sul giaciglio.
Svend si pulì il viso con la manica della maglia.
«E ora riposatevi! – ordinò infine – domattina si parte prima dell'alba!».
«È una cosa assurda» disse Sigrid alzandosi dalla poltrona.
Magnus Dentz era seduto dietro alla sua scrivania e Aghata in piedi accanto alla finestra dell'ufficio.
Il cielo del pomeriggio si stava tingendo di un arancione sbiadito.
La luce del giorno stava per cedere il posto a un pallido e freddo tramonto che avrebbe preparato a una nuova notte.
«Cara – cominciò dolcemente la vicedirettrice – non è un'assurdità. Quello che ti abbiamo appena raccontato è la verità. Sei figlia dei sovrani delle Terre del Nord. La tua vera madre è morta dopo la tua nascita e la tua nutrice, mia sorella Leena, ti ha portato via dalla corte perché eri in pericolo. Temeva che Elasund, tuo padre, potesse farti del male. Ti ha portato qui da noi perché ha pensato che fosse l'unico posto sicuro per te e così è stato negli ultimi sedici anni».
«Perché non mi hai mai detto la verità? – chiese la ragazza sconvolta – io ti ho sempre considerato come una vera zia e pensavo mi volessi bene».
«Ma certo che te ne voglio – si difese la donna – ti ho sempre considerata come una figlia più che come una nipote. Ma ora è giunto il momento che tu sappia la verità, che tu conosca il tuo passato».
«E perché proprio ora?».
Aghata posò gli occhi preoccupati su Magnus.
«Sigrid – intervenne lui con tono rassicurante – Elasund è un uomo molto potente e forte. Non ha mai smesso di cercarti in questi anni. È arrivato a devastare interi villaggi durante questa ricerca, ha sterminato migliaia di ragazze della tua età. Non si fermerà davanti a nulla. Non si fermerà fino a quando ti avrà trovato. Noi abbiamo potuto tenerti celata a lui in tutti questi anni grazie a un incantesimo e fino a quando rimarrai tra queste mura lui non potrà mai vederti nemmeno se si avvalesse di un potente mago per farlo ma questa situazione non potrà durare per sempre».
«Ultimamente – intervenne di nuovo Aghata – sei molto agitata e i tuoi sonni sono popolati da incubi. Questo è il segno che la tua anima più profonda sta lasciando emergere il tuo passato. Se è così devi essere pronta ad affrontare il pericolo qualora si presentasse. Se Elasund dovesse arrivare a te dovrai essere pronta ad affrontarlo».
«Solo quando avrai affrontato e sconfitto il pericolo – concluse Magnus – potrai essere libera di vivere anche senza la protezione di un incantesimo».
Gli occhi blu di Sigrid passarono dall'uomo alla zia.
Si sentiva interdetta.
Aveva scoperto di avere un padre.
Un sovrano che la stava cercando da anni solamente per poterla distruggere.
Si sentiva offesa e delusa da zia Aghata perché le aveva tenuto nascosta la verità fino a quel momento.
Una tempesta di emozioni contrastanti si agitava dentro di lei.
Aghata e Magnus percepirono il conflitto che stava straziando la ragazza.
«Naturalmente – disse con dolcezza Aghata – ti puoi prendere il tempo di cui hai bisogno per poter elaborare quello ti abbiamo appena raccontato. Sai che tra le mura del collegio sei al sicuro e che Elasund non potrà raggiungerti con tanta facilità».
Sigrid la osservò smarrita.
«Ma per quale motivo il mio vero padre vuole farmi del male?» chiese infine senza capire.
Il fruscìo della veste di Selma stracciò il silenzio.
Hrafnhildur sollevò debolmente il muso e vide la strega attraverso le sbarre della gabbia.
Il respiro dell'animale era rallentato.
La forza che lo rendeva un essere speciale si stava affievolendo.
Gli occhi blu erano cupi e velati dalla sofferenza.
Stava accucciato nella sua prigione senza muoversi.
«Hrafnhildur siamo alla resa dei conti» disse la donna in un sussurro.
«Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto – riprese fermandosi davanti alle sbarre – che avrei potuto finalmente consumare la mia vendetta. Tu sei stato il responsabile della mia prigionia in quella grotta oscura e ora il prigioniero sei tu. Devo tenerti in vita fino al ritorno di quella stupida principessa ma una volta che Elasund avrà sua figlia per te sarà la fine».
La morte dell'unicorno avrebbe significato la vittoria delle Forze Oscure sulle Terre Conosciute.
Hrafnhildur era il suo nemico da sempre.
Lui, il rappresentante delle Forze Bianche, era riuscito a tenere a bada il potere di Selma per anni, era perfino riuscito a farla relegare in esilio in modo che non potesse nuocere ancora agli abitanti di quelle terre.
Un tuono rimbombò lontano.
Un lampo squarciò il cielo scuro illuminandolo.
Il tuono rotolò facendo tremare il terreno ed esplodendo in un boato violento.
Gli occhi blu dell'unicorno guardarono la strega con solennità.
«Non mi fai paura – disse lei altezzosa – la tua Dea non potrà fare nulla per salvarti!».
Sigrid entrò nella sala di lettura e buona parte degli occhi presenti si posarono su di lei.
La ragazza ignorò i compagni e si diresse verso Hella.
«Allora?» chiese la giovane all'amica appena fu seduta.
«Non ho voglia di parlare» si limitò a dire Sigrid.
«Vorrà dire che ne parleremo più tardi» non si arrese l'altra tornando al suo libro.
Sigrid cominciò a leggere senza interesse il libro che aveva in mano.
Non riusciva a concentrarsi.
Le parole di zia Aghata e di Magnus Dentz le echeggiavano nella mente.
Le avevano tenuto nascosto il suo passato per anni.
Per rovesciarle addosso una storia che l'aveva sconvolta nel profondo.
Scoprire che suo padre era vivo ed era il sovrano delle Terre del Nord era stato difficile da accettare ma ancor più difficile era il fatto che lui la stesse cercando non per riunirsi a lei ma per farle del male.
Aveva bisogno di tempo, soprattutto per elaborare tutto ciò che le avevano raccontato.
Avrebbe potuto decidere di rimanere al collegio e restare protetta dall'incantesimo.
Elasund avrebbe avuto molte difficoltà a rintracciarla.
S e non era riuscito a trovarla fino a quel momento avrebbe potuto vivere tranquilla ancora per molti anni a venire.
Emerse lentamente dai suoi pensieri.
Hella stava parlando con lei ma Sigrid non aveva recepito alcuna parola del discorso.
Si guardò intorno e vide gruppi di compagni che la osservavano e si scambiavano mezze frasi e sorrisi maliziosi.
I suoi occhi si posarono su Stig seduto su uno dei divani nella parte opposta della stanza oltre i tavoli da lettura.
La stava guardando.
I suoi occhi grigi erano indecifrabili ma il suo viso appariva contrariato.
Julia si sedette accanto a lui e osservò Sigrid da quella posizione.
Posò una mano sul braccio del ragazzo e gli disse qualcosa con aria seria.
Sigrid ricambiò lo sguardo di Stig che sembrava un rimprovero mentre sulle labbra di Julia si dipinse un sorriso di soddisfazione.
«Io me ne vado!» disse a Hella.
Si alzò riponendo il libro e uscì dalla sala di lettura senza aspettare la risposta della compagna.
Uscendo nel corridoio buio ebbe per un istante la sensazione di respirare, come fosse stata in apnea fino a quel momento.
Il corridoio era deserto.
I candelabri gettavano una debole luce che lasciava molti angoli in ombra.
Oltre gli alti vetri delle finestre in fila il cielo era scuro e la luna sembrava prigioniera di grosse nuvole.
I passi di Sigrid echeggiavano rimbombando per le pareti di roccia.
La ragazza si strinse nelle spalle per il freddo.
Refoli di aria gelida provenivano dall'esterno.
Si allontanò dalla porta della sala di lettura per fermarsi in un angolo in penombra.
Si appoggiò alla vetrata che dava sul parco e rimase immobile nella speranza di riuscire a raccogliere le idee.
«Così non troverai una soluzione» la profonda voce di uomo stracciò il silenzio facendola sobbalzare.
Wilelm Jerome era a qualche passo da lei avvolto parzialmente dal buio.
Un forte imbarazzo la sorprese.
Non riusciva a sentirsi a proprio agio accanto a quell'uomo, soprattutto dopo gli eventi della notte precedente.
«Cosa vi fa pensare che stia cercando qualcosa?» disse a voce bassa.
«So che Aghata e Magnus ti hanno raccontato la verità sul tuo passato» disse lui avvicinandosi.
La debole luce che arrivava dall'esterno lo illuminò conferendogli un'espressione rigida e sinistra.
I capelli scuri e gli occhi insondabili risaltavano sul viso duro ma pallido.
«Vedo che tutti erano a conoscenza di questa storia tranne me» disse lei infastidita.
«Non tutti – sorrise lui – Magnus, Aghata e io».
«In ogni caso non capisco cosa possa cambiare ora che lo so – riprese lei tornando a guardare oltre i vetri – avrebbe avuto un senso se mi avessero raccontato la verità perché mio padre avrebbe voluto riunirsi a me».
«E tu non preferisci conoscere comunque la verità anche se dovesse essere sgradevole?».
«Anche venire a conoscenza che ho un padre e che è guidato dall'unico interesse di distruggermi come può essermi d'aiuto? – riprese lei amaramente – ora ho un motivo in più per non lasciare le mura di questo collegio».
«Non credo che l'obiettivo di Aghata e Magnus fosse quello di convincerti a non lasciare il collegio per il resto dei tuoi giorni – continuò l'uomo affiancandosi alla giovane – penso piuttosto che lo abbiano fatto perché tu possa essere pronta ad affrontare il tuo destino quando si presenterà».
«Mi hanno detto che in questo castello sono protetta da un incantesimo che cela la mia presenza. Fino a quando starò tra queste mura Elasund non potrà trovarmi».
«Lui no – disse Jerome con tono grave – ma sarai tu stessa a voler chiudere il cerchio con il tuo passato prima o poi e in quel momento dovrai essere pronta ad affrontare la cosa».
«Parlate tutti come se mi aspettasse un destino ineluttabile – riprese Sigrid dopo un lungo silenzio – spetta solo a me decidere se uscire da qui e permettere a Elasund di trovarmi ma io potrei anche decidere di non lasciare mai queste mura e non conoscere mai né mio padre né questo destino di cui tutti parlate».
«Non sempre spetta a noi decidere» concluse Wilelm Jerome allontanandosi.
Svend si stese sul giaciglio all'interno della sua tenda.
Il campo improvvisato era immerso nel silenzio.
A parte gli uomini di ronda il resto dei militari stava già dormendo.
Sospirò stanco.
Aveva dovuto legare e imbavagliare la ragazza.
Si agitava e urlava come un animale preso in trappola.
Era impulsiva e indomita.
Aveva sempre immaginato la principessa come una dolce ragazza docile e obbediente.
Ritrovarsi davanti una selvaggia ribelle lo aveva destabilizzato.
Erano anni che faceva il militare e aveva la fama di essere un uomo duro e spietato.
Aveva combattuto e vinto interi eserciti nemici.
Il dover fare da balia ad una ragazzina incontrollabile non era stato stabilito nei suoi programmi di carriera.
Sperò di riuscire ad arrivare alla corte del Nord senza che a Sigrid accadesse qualcosa di grave.
Oltre al rifiuto del cibo avrebbe potuto fare qualche azione sconsiderata.
Magari rischiare di farsi del male in modo serio.
Se aveva trovato la vera principessa non poteva assolutamente permettersi di non portarla al cospetto di Elasund.
Pensò al viso fiero e agli occhi di sfida che gli riservava ogni volta che erano uno di fronte all'altra.
Era una combattente.
Lui sapeva riconoscere i combattenti.
Riconoscere e stimare.
Era tanto tempo che qualcuno non riusciva a intaccare la dura scorza che si era creato nei lunghi anni di combattimenti.
Quella ragazza, però, aveva toccato qualcosa nel suo profondo.
Era una prigioniera ma non poteva fare a meno di considerarla un degno avversario con il quale confrontarsi.
La stanchezza di quel pesante giorno cominciò a farsi sentire.
Entro breve il sonno sarebbe sopraggiunto portandogli il ristoro necessario per affrontare una nuova giornata di viaggio.
Sigrid era in piedi e si sentiva persa.
Intorno a lei riusciva a vedere solamente una distesa di neve infinita.
Era scalza e affondava nella coltre bianca fino al polpaccio ma non sentiva freddo.
Il sole era alto, debole e freddo si rifletteva sulla distesa candida.
In lontananza vide una figura di donna che si avvicinava.
Era una ragazza come lei e camminava affondando nella neve.
I lunghi capelli neri e la veste leggera si muovevano per il vento che spirava.
La ragazza si fermò a pochi passi da lei e la guardò in viso.
I suoi occhi erano blu e il suo volto somigliava molto a quello di Sigrid, avrebbe potuto essere lei stessa se non fosse stato per qualche piccolo particolare quasi impercettibile.
Si osservarono senza parlare.
La ragazza aveva uno sguardo fiero e ribelle.
Sigrid aprì la bocca per parlare ma la sua attenzione fu attratta da un'altra figura che si avvicinava.
La ragazza svanì nel nulla e l'altra immagine si avvicinò velocemente.
Era un cavallo bianco che galoppava verso di lei.
Era imponente ma man mano che si avvicinava Sigrid si accorgeva che non era un cavallo.
Un lungo e affusolato corno troneggiava al centro della sua fronte.
Il destriero la raggiunse e si fermò accanto a lei.
Dalle sue narici uscirono due sbuffi caldi.
Posò i gentili occhi blu intenso sulla giovane e lei percepì l'alito rovente dell'animale.
Vide una bambina in fasce che veniva scaldata dal fiato di quell'unicorno, la quale sopravviveva grazie all'intervento di quell'animale.
Sentì lacrime bollenti scendere lungo il suo viso.
Sapeva che quella neonata era lei stessa.
Percepì un forte dolore.
Lesse lo stesso dolore negli occhi dell'animale poi la neve si tinse di sangue.
Rosso e denso stava tingendo l'intera distesa.
Si sentì scivolare nell'acqua fredda.
In un lago di sangue denso e appiccicoso.
Percepì le braccia di Jerome che la circondavano per trarla fuori.
Infine il lago si trasformò in una pianura lorda di sangue.
Alzò lo sguardo e vide ciò che rimaneva di un villaggio completamente in fiamme.
L'odore acre del fuoco che divorava ogni cosa si appiccicò alla sua gola.
Si guardò intorno e il terreno era coperto di cadaveri barbaramente trucidati.
Cadaveri di anziani, di bambini ma soprattutto di ragazze giovani.
L'odore di sangue e di morte era intenso.
Un urlo agghiacciante uscì dalla sua bocca.
Lo stesso urlò che la svegliò di colpo nel suo letto.
Si sedette.
Era madida di sudore e ansimava.
Guardò la stanza cercando la sicurezza di aver solamente sognato.
Oltre i vetri la notte era ancora fonda.
Hella nel letto accanto dormiva tranquilla.
Probabilmente aveva urlato solamente in sogno.
Attese che il respiro tornasse regolare poi si stese nuovamente tra le lenzuola con il timore di addormentarsi.
Sperò di poter rimanere sveglia fino al momento di doversi alzare.
Non avrebbe sopportato un altro incubo.
«Dannazione!» urlò Elasund.
Gli occhi neri di Selma divennero rossi come il fuoco.
Cominciava a non tollerare più il sovrano.
Hrafnhildur era accasciato sul pavimento della gabbia.
La ferita al fianco aveva ricominciato a sanguinare e pareva non volesse guarire.
«Strega maledetta – sibilò il sovrano – è colpa tua se l'unicorno è in queste condizioni».
«Finiscila idiota!» urlò lei spazientita.
«La ferita si era rimarginata – riprese l'uomo ringhiando – non è possibile che abbia ricominciato a sanguinare senza un motivo. Sei stata tu, maledetta, lo hai ferito di nuovo!».
«Non dire sciocchezze – sbraitò lei – io non l'ho toccato. La ferita si è riaperta spontaneamente».
«Ha una forza al di sopra di ogni altro animale. Non può indebolirsi fino a questo punto per una banale ferita. Dovrebbe essere addirittura in grado di guarirsi da solo. Non può essersi riaperta la ferita se tu non l'hai toccato. Non è possibile!».
«Sì che lo è – disse lei guardando l'animale – se lui ha deciso di morire».
«Strega – la prese per il collo Elasund – sappi che se l'unicorno muore io stesso farò un sacrificio umano per chetare la Dea e quel sacrificio umano sarai tu!».
Bergljot sferrò un violento calcio in mezzo alle gambe del militare che la voleva costringere a salire sul cavallo.
Aveva le mani legate dietro la schiena e la bocca chiusa da un bavaglio.
Il ragazzo si piegò in due per il dolore e lei, senza pensarci, si lanciò in una corsa verso la foresta.
Fu bloccata dalle braccia forti di Svend.
«Siete proprio un animale selvatico – disse l'uomo sollevandola da terra – dove pensate di fuggire?».
Le gambe della ragazza si agitarono in aria cercando di sferrare un calcio anche al comandante ma lui non allentò la presa portandola verso il cavallo.
La appoggiò seduta sulla groppa dell'animale e montò in sella circondandola con le braccia muscolose.
«Per evitare spiacevoli inconvenienti viaggerete sul mio cavallo» disse dando un colpo di tallone al destriero che si mise in cammino.
Bergljot smise di agitarsi arresa ma i suoi occhi fissarono Svend con aria di sfida.
«So che ci proverete di nuovo, Sigrid – disse lui sostenendo il suo sguardo – ma non ve lo permetterò. Però se fate la brava più tardi vi tolgo il bavaglio!».
La ragazza gli rispose con un grugnito di rabbia.
Il comandante non riuscì a trattenere una risata a quella reazione.
Risata che fomentò maggiormente la rabbia che stava divorando Bergljot.
Giurò vendetta dentro di sé, vendetta per il trattamento che avevano riservato alla sua gente ma soprattutto vendetta verso quel comandante che si ostinava a non accettare di aver sbagliato donna.
Lei non si chiamava Sigrid, lei era Bergljot.
«Dannata strega – urlò Elasund – vedi oppure no il ritorno di Sigrid?».
Il sovrano aveva piantato le grandi mani sul piano del tavolo davanti a sé.
Il sole pallido entrava dalla vetrata alle sue spalle sciogliendosi sui grandi tappeti colorati che ricoprivano il pavimento.
«No – disse lei ferma – non riesco ancora a vederla. È ancora protetta dall'incantesimo ma non può non aver percepito la sofferenza di Hrafnhildur. È solo questione di tempo prima che torni qui».
«Me lo auguro per te – sbraitò lui – la mia pazienza sta diminuendo ogni giorno. Ho voluto darti ascolto in questa follia di rapire l'unicorno. Mi auguro vivamente che l'animale non muoia altrimenti sai cosa ti aspetta!».
Selma cominciava a essere preoccupata.
Non aveva previsto che Hrafnhildur potesse decidere di lasciarsi morire.
Aveva pensato di poter contare sulla sua sofferenza come richiamo per la principessa ma se l'unicorno fosse morto tutto quello che aveva fatto sarebbe stato vano.
Hrafnhildur doveva morire, lei voleva che lui morisse, ma non per sua scelta.
Avrebbe dovuto morire lentamente e tra atroci sofferenze.
Avrebbe dovuto pagare per il male e le umiliazioni che lei aveva dovuto subire negli anni.
Avrebbe dovuto morire per mano sua.
Sigrid corse per i corridoi.
Si era riaddormentata e aveva fatto tardi alla lezione della prima ora.
Si fermò davanti all'aula di arti alchemiche e spalancò la porta senza bussare.
La lezione era già iniziata.
Il professor Jerome smise di parlare e osservò la ragazza che era ferma davanti alla porta.
«Scusate» sussurrò lei.
«Chiudi la porta e mettiti a sedere!» disse lui.
Lei obbedì seguita dallo sguardo dei compagni.
Dalle ultime file si sentì un bisbiglìo.
Due delle ragazze stavano parlando sottovoce tra loro.
Jerome picchiò la mano aperta con violenza sulla cattedra.
Le due studentesse si bloccarono di colpo.
«Potete rendere partecipe il resto della classe dei vostri discorsi?» chiese l'uomo.
Le due arrossirono imbarazzate.
«Allora?» ordinò nuovamente il professore.
«Non era nulla di importante» sussurrò infine una delle due.
«Possiamo continuare la lezione, se avete finito di chiacchierare!».
Le due ragazze abbassarono il capo e Jerome riprese il discorso che aveva interrotto.
Sigrid era seduta sull'erba davanti al lago.
Osservava la superficie dell'acqua.
Hella stava parlando ma lei non la ascoltava.
Le grosse nuvole nel cielo avevano lasciato al sole lo spazio per uscire e illuminare il parco.
Un'ombra che si allungò sopra di lei destò Sigrid dai suoi pensieri.
Alzò gli occhi e in piedi accanto a lei c'era Stig.
Hella lo salutò sorridendo senza imbarazzo.
«Posso parlarti?» chiese il ragazzo rivolgendosi a Sigrid.
La giovane si sentì avvampare.
Assentì con il capo.
«Io torno più tardi» disse Hella alzandosi e allontanandosi prima di poter essere fermata.
Il ragazzo si sedette accanto a Sigrid.
«Io non credo alle voci che girano su di te e il professore» disse lui senza giri di parole.
Un immotivato senso di colpa sorprese Sigrid che sentì il viso arrossire.
Non rispose.
«Volevo solo che lo sapessi» continuò lui.
«Sono bugie» disse lei.
«Lo sapevo ma volevo che me lo dicessi tu – riprese lui – non volevo che l'idea che mi sono fatto di te potesse essere sporcata da stupide dicerie maligne».
Lei lo guardò stupita.
«Se parli della notte al lago posso spiegarti cosa è successo».
«Tra poco ho una lezione – disse lui alzandosi – ma se vuoi possiamo rivederci questa sera prima dell'ora di lettura. Possiamo parlare e mi puoi spiegare tutto quello che ritieni di dover spiegare».
Sigrid sorrise.
«Allora ci vediamo stasera» concluse Stig salutandola prima di allontanarsi.
Erik aveva osservato la scena a distanza.
La bocca si distorse in una smorfia di rabbia e gli occhi non smettevano di osservare la ragazza rimasta seduta sola davanti al lago.
«Piccola bastarda!» sibilò parlando a se stesso.
Era furioso con Sigrid.
Per colpa di quella ragazzina avevano deciso di mandarlo via dal collegio.
Non avrebbe più potuto fare il guardiano del parco.
In fondo era stata lei ad andare al lago in piena notte, lui cosa avrebbe dovuto pensare di una ragazza che si presentava in quello stato?
Era chiaro che era stata lei ad andarlo a cercare e non vedeva il motivo di rifiutarla.
Ma lei da piccola perfida vipera quale era aveva ribaltato completamente la situazione.
Il risultato era stato che lui sarebbe stato allontanato.
Quella piccola bugiarda, però, avrebbe avuto una bella lezione prima che lui lasciasse il collegio.