Capitolo VII. Ribellione
Stavano viaggiando da diverse ore prima che Jerome rompesse il silenzio che era calato tra loro.
«Il viaggio sarà molto lungo – disse – hai intenzione di tacere per tutto il tempo?».
Lei si voltò come ridestata da un pensiero che l'aveva assorbita fino a quel momento.
«Cosa dovrei dire?» chiese rigida.
«Io so che questo viaggio non è proprio ciò che avevi in mente».
«Strano – lo interruppe lei acida – pensavo che tutti sapessero ciò che io desidero».
«Una guerra tra noi non mi sembra una cosa utile vista la situazione».
«Allora potremmo limitarci a parlare lo stretto necessario».
«Come vuoi» acconsentì lui tornando silenzioso.
Sigrid lo guardò per poi tornare a osservare la strada davanti a sé.
Si sentiva infastidita dalla situazione.
Sapeva che era ingiusto e inutile rovesciare il suo nervosismo sul professore ma non ne poteva fare a meno.
Si trovava a dover affrontare un viaggio che la terrorizzava, era costretta a fingersi un ragazzo e aveva dovuto lasciare Turvel proprio nel momento in cui avrebbe potuto vivere finalmente il suo amore con Stig.
Lui aveva promesso di aspettarla ma il tempo che lei sarebbe stata lontano era impossibile da quantificare e molte altre ragazze avrebbero approfittato della situazione per provare a distrarlo.
Correva il rischio di tornare e non trovarlo più disponibile.
Sempre se fosse riuscita a tornare.
«Che cosa vuoi?» chiese Elasund alzando gli occhi dalle carte che aveva davanti.
«Congeda i tuoi uomini – disse duramente Selma – devo parlarti».
Lo studio in cui il sovrano riceveva i suoi generali era pieno di uomini che attendevano suoi ordini oppure di sottoporre al re una richiesta per le truppe.
Gli occhi freddi di Elasund si posarono sulla strega.
Osservò i lineamenti del viso pallido che in quel momento erano tesi.
Appariva sofferente.
Percepì per la prima volta dopo tanti anni una vulnerabilità e una preoccupazione nella donna.
Cosa che gli procurò una sferzata di desiderio nei suoi confronti.
La debolezza di lei aveva stimolato il suo bisogno di sopraffazione e il suo istinto era quello di approfittarsi della sua vulnerabilità.
«Uscite tutti – disse poi rivolto agli uomini – riprenderemo più tardi».
I generali obbedirono senza discutere e i due rimasero soli.
«Siamo soli – disse poi duramente l'uomo – parla».
«Ho avuto una visione».
«Hai visto la principessa?» chiese lui con interesse.
«No – riprese lei – non vedo chiaramente ma non è la principessa. C'è un'altra donna. Una donna che uno dei tuoi comandanti sta conducendo alla corte. Non so chi sia ma vedo che ha un legame con queste terre. Le visioni sono ancora troppo confuse».
«Sei riuscita a vedere dove sono?».
«Non esattamente ma credo che non abbiano ancora varcato le porte di Knut, probabilmente sono ancora nella foresta».
Elasund sospirò pensieroso.
«Hai visto altro?» chiese dopo un lungo silenzio.
«Fino a ora no!».
Selma si voltò per uscire dalla stanza.
«Non dormi?» la domanda di lui la sorprese.
«Non abbastanza» si limitò a dire lei.
«Stai male?».
Selma si voltò posando gli occhi neri in volto all'uomo.
«Dovrebbe renderti felice visto che hai deciso per la mia morte» disse dura.
«Almeno proviamo gli stessi sentimenti considerando che anche tu hai deciso di uccidere me».
«Io non bramo di possedere il tuo corpo come tu stai facendo ora».
«Ne sei certa?» disse lui severo.
Le labbra di Selma si piegarono in un sorriso sarcastico.
«Non puoi possedermi come fai con le altre donne».
«Di questo non esserne tanto sicura».
La strega smise di parlare per scrutarlo con attenzione.
Percepì forte il desiderio che lui in quel momento stava provando nonostante fosse distante da lei.
In tutti gli anni che avevano trascorso in quella corte lui non era mai riuscito a toccarla in nessun modo ma in quel momento Selma sentiva di essere più debole nei suoi confronti.
Per la prima volta in tanti anni stava provando la curiosità di possederlo anche fisicamente e non solo di dominarlo mentalmente per i suoi scopi.
«Tu potrai toccarmi solamente se io lo vorrò!» lo sfidò infine.
«Ma tu lo stai desiderando quanto me» concluse Elasund guardandola a distanza.
«Non è il momento più adatto!» cercò di simulare disinteresse lei.
«Ne parliamo più tardi – disse infine l'uomo – ora devo ultimare la riunione con i generali».
Svend aiutò Bergljot a scendere da cavallo.
«Facciamo una sosta» si limitò a dire.
Quando fu a terra la ragazza gli porse i polsi per essere legata.
Gli occhi grigi del comandante affondarono in quelli blu di lei che attendeva.
Le mani di lui presero i polsi e li guidarono lungo i fianchi della donna.
«Non vi lego» disse poi.
Si voltò per allontanarsi.
«E se tentassi di fuggire?» chiese Bergljot richiamando la sua attenzione.
«Non vi lego» concluse lui scrollando il capo.
Sperava vivamente che lei tentasse di nuovo la fuga.
L'avrebbe lasciata andare.
Se fosse fuggita lui non avrebbe più dovuto accompagnarla a corte.
Se avesse dovuto morire non voleva essere lui a condannarla.
Il cielo cominciava a imbrunire.
Sigrid e il professore avevano cavalcato per l'intera giornata senza scambiarsi nemmeno una parola.
I due cavalli procedevano lentamente per le strade del piccolo paese ancora vivo nonostante stesse per scendere la notte.
Jerome chiese a un passante se in quel paese ci fosse un luogo dove poter riposare e questi gli indicò una piccola locanda.
La costruzione in legno era fatiscente.
«Accidenti» commentò la ragazza.
Jerome sorrise.
«Non possiamo permetterci di sottilizzare – disse – se troviamo un posto caldo è sempre meglio che dormire all'aperto».
Smontò da cavallo seguito da Sigrid.
Entrarono nella locanda.
Pochi avventori erano seduti ai tavoli di legno.
Il pavimento era coperto da un velo di polvere.
L'ambiente buio era spartano e dietro al vecchio bancone una donna dai capelli rossi, abbondante e di malumore li guardò senza interesse.
«Abbiamo bisogno di due stanze» disse Jerome.
La donna dai capelli rossi osservò l'uomo e poi il giovane ragazzo con lui.
«Il ragazzo è con voi?» chiese ruvida.
«È il mio apprendista».
«Ho solo una stanza, la dovrete dividere».
Sigrid sgranò gli occhi blu in viso a Jerome.
Lui le strinse una mano intimandole di tacere.
«Va bene – disse rivolto alla donna – una sola stanza ma spero ci siano due letti».
«Un letto solo – disse lei – il ragazzo può dormire per terra. È un garzone no?».
«Un apprendista» precisò Jerome.
La rossa li precedette lungo una scala in legno usurata e malsicura.
Ogni gradino scricchiolava per il peso della donna.
Il corridoio del piano superiore era buio e sporco.
C'erano una fila di una decina di porte allineate.
La proprietaria li guidò fino all'ultima porta e la aprì.
«Questa è la stanza – disse cedendo loro il passo – pagamento anticipato».
Jerome pagò e seguì Sigrid nella stanza chiudendo la porta.
Il pavimento era coperto dalla polvere come i pochi mobili che vi erano.
Un letto matrimoniale e una piccola finestra chiusa da tende logore e sporche.
Il volto della ragazza era attonito.
«Non preoccuparti – disse lui – dormirò io sul pavimento, il letto puoi prenderlo tu».
«Non so quale delle due posizioni sia la migliore» commentò lei guardandosi intorno.
«Dormire all'aperto ti piacerebbe molto meno» concluse il professore.
Lei si sedette sul letto arrabbiata.
«Non mi era stato detto che avrei dovuto dividere la stanza con voi».
«Non corri alcun pericolo – disse l'uomo con calma – io ho il compito di proteggerti non di farti qualcosa di male».
Lei lo guardò poco convinta.
«Io dormirò per terra – disse di nuovo Jerome – così starai tranquilla».
La notte era scesa e il freddo era tornato a tormentare la foresta.
Svend entrò nella tenda.
Bergljot era ancora sveglia.
Seduta sul giaciglio cercava di riscaldarsi con numerose coperte.
Osservò l'uomo che indossava solamente una maglia di lana.
Non riusciva a comprendere come potesse una persona tollerare una simile temperatura.
Lui si sedette di fronte a lei.
«Non riuscite proprio ad abituarvi a questo clima».
«Queste regioni non sono fatte per essere abitate da esseri umani» commentò lei battendo i denti.
«Invece vi assicuro che molte persone vivono in questi luoghi».
Lei non rispose.
Si sentiva bruciare dalla febbre che si era alzata durante la giornata.
«Avete la febbre» disse lui tendendo una mano a toccarle la fronte.
Il contatto con la pelle bollente del viso di lei gli procurò una sferzata di desiderio.
«Perché non mi avete detto che stavate male?» chiese ritraendo la mano.
«A voi cosa importa come sto?».
«Viaggiare potrebbe peggiorare la vostra salute».
Ignorò la domanda.
«Tanto sono destinata a morire comunque» sbottò la giovane con cattiveria.
«Dannazione a voi – urlò Svend – possibile che ogni gesto gentile nei vostri confronti debba essere ripagato con questo atteggiamento?».
«Da quando vi preoccupate dell'atteggiamento di una prigioniera? che importa a voi del mio destino?».
Lui la guardò con occhi rigidi.
«Stupida bambina!» urlò afferrandola per i polsi.
Lei cercò di liberarsi con un movimento brusco.
La presa forte del comandante non le permise di alzarsi e la fece cadere a terra sdraiata.
Lui non le lasciò i polsi e si pesò su di lei con tutto il suo corpo.
«Cosa volete da me?» disse lei con rabbia.
«Siete una stupida – sussurrò lui – cosa ne volete sapere di ciò che importa a me?».
«Lasciatemi andare» disse lei senza convinzione.
«Dannazione – riprese lui senza liberarla – perché non siete fuggita quando ne avete avuto l'occasione? vi ho dato la possibilità di andarvene, non vi avrei fermato».
Bergljot lo guardò con stupore.
«Dovevate fuggire lontano quando non eravate legata, dovevate andare via, non vi avrei seguito per portarvi alla corte del nord, vi avrei lasciato andare».
«Perché?» chiese lei.
Lo sguardo di lui era velato dalla sofferenza.
«Perché non voglio che voi moriate, non voglio che finiate torturata dal sovrano».
Bergljot percepiva il contatto con il corpo di lui.
Una sensazione di calore si diffuse, una sensazione di benessere e protezione a quel contatto.
«Possibile che non abbiate capito? - disse lui con voce roca – possibile che non abbiate compreso?».
«Compreso cosa?» sussurrò lei mentre il desiderio per quel corpo cominciava a salire.
«Se voi non foste la figlia del sovrano. Se non foste la principessa» lasciò la frase in sospeso.
Gli occhi blu di Bergljot si dilatarono nell'osservare il volto di lui.
«Io – disse poi – non sono la principessa».
Svend la fissò con gli occhi incupiti dal desiderio.
La sua bocca si posò su quella di lei cercandola con passione.
Inaspettatamente la ragazza ricambiò il bacio con altrettanto ardore.
Le braccia dell'uomo la strinsero mentre le sue mani cominciarono ad accarezzare le linee morbide del corpo.
Scese sui fianchi e sulle cosce.
La pelle morbida e bollente di lei aumentava il suo desiderio.
Bergljot si lasciò andare al contatto con le mani di lui mentre un calore la pervadeva dall'interno.
«Non hai mai conosciuto un uomo vero?» chiese lui in un sussurro.
Lei scrollò il capo.
«Allora ti farò male» disse di nuovo lui scivolando in mezzo alle sue gambe.
Cercò di usare la maggior attenzione possibile.
Scivolò dentro di lei con delicatezza per poi spingersi con un colpo secco fino in fondo.
Un colpo che a Bergljot provocò una fitta di dolore acuto per tutto il corpo fino al cervello.
Si irrigidì fra le sue braccia e sentì le lacrime scendere lungo le guance.
«Adesso passa» disse lui dolcemente baciandola sulle labbra.
Non era la prima volta che prendeva una vergine e sapeva come trasformare il dolore in piacere.
Cominciò a muoversi dentro di lei dolcemente senza smettere di baciarla.
Lentamente il dolore si affievolì fino a diventare piacere.
Bergljot si rilassò tra le braccia di lui.
Il piacere aumentò di intensità e lei percepì il suo corpo fremere fino a quando un orgasmo esplose strappandole un urlo che Svend zittì con un altro bacio.
Elasund entrò nella stanza senza chiedere il permesso.
Selma era in piedi davanti alla finestra.
«Ti aspettavo!» disse senza guardarlo.
«L'unicorno non si muove più» sbottò lui irato.
La luce della luna bagnava il parco del castello e un leggero vento scuoteva le cime degli alberi.
«Non è morto» si limitò a dire lei.
«Ma morirà presto se non facciamo qualcosa».
«Non mi dire che sei ancora preoccupato per la tua dea?».
«Evita almeno di essere blasfema! – urlò lui – Hrafnhildur sta morendo e di Sigrid non ci sono tracce».
«Sigrid arriverà – disse lei calma – devi occuparti dell'altra donna, ora, perché vedo che il comandante che la sta accompagnando ha tradito, non ha più intenzione di portarla a corte».
«Domani stesso partirò per raggiungere la guarnigione».
Lei si voltò e fissò il sovrano con gli occhi rossi.
«Non sei qui per l'unicorno!» disse lei a voce bassa.
Lui sostenne lo sguardo.
Un'attrazione incontrollabile lo spingeva verso la strega.
Mosse qualche passo.
Lei non staccò mai i suoi occhi da quelli di lui obbligandolo a obbedire a ordini non pronunciati.
«Smettila!» disse lui duro.
Lei continuò a osservarlo senza parlare.
«Smettila. Non otterrai ciò che vuoi se io non acconsento».
«Io ottengo sempre ciò che voglio» sussurrò lei avvicinandosi all'uomo.
Lui percepì il calore del suo corpo.
Osservò il viso pallido e gli occhi che gli davano l'impressione di essere inghiottito da un baratro.
Il desiderio di possedere il suo corpo si fece violento.
«Fallo!» ordinò lei.
«Non prendo ordini da te» disse lui con fatica.
«Fallo!» ripeté la donna.
Elasund osservò l'oblio profondo che era nello sguardo di lei.
La afferrò con forza per i polsi e la spinse contro la parete.
Gravò su di lei con tutto il suo peso.
Le strappò l'abito liberando il seno candido sul quale si avventò con la bocca.
La schiacciò in modo che non potesse muoversi, le sollevò l'abito e la penetrò con violenza.
Lei gemette di piacere mentre lui la violentava e si lasciò andare a un orgasmo lungo e intenso.
Elasund percepì il fuoco che era dentro di lei ed ebbe la sensazione di essere risucchiato e bruciato dalle fiamme prima di raggiungere a sua volta un violento orgasmo.
Wilelm Jerome fu svegliato di colpo.
Non avrebbe saputo dire per quale motivo il suo sonno si fosse interrotto.
Si era addormentato seduto su una poltrona.
Guardò Sigrid che si agitava nel letto.
Gemeva e sembrava stesse soffrendo.
L'uomo cercò di scrollarsi il sonno di dosso.
Poi si alzò dalla poltrona dirigendosi al letto.
La giovane era completamente scoperta e madida di sudore.
Era in preda a incubi che la stavano torturando.
La prese per le braccia chiamandola a bassa voce.
Lei spalancò gli occhi blu in volto all'uomo e Jerome vide tutta la profondità dal dolore e della sofferenza che attanagliava l'anima di Sigrid.
Lo guardava ma sembrava non vederlo.
Bruciava di febbre e tremava.
«Sigrid» chiamò di nuovo lui con dolcezza.
Lei non smise di agitarsi cercando di liberare le braccia dalla presa dell'uomo.
«Lasciami» urlò agitandosi.
Jerome la bloccò con maggior forza e riprese a chiamarla perché si svegliasse.
Gli occhi erano aperti ma sembrava che non fosse totalmente emersa dal sonno. La mise seduta sul letto. I capelli erano intrisi di sudore e la bocca distorta in una smorfia di dolore.
«Svegliati» ordinò lui.
Lei cercò di sferrargli un colpo con la gamba che lui riuscì a fermare.
Le braccia di Sigrid cominciarono a tempestarlo di pugni.
Le afferrò con forza i polsi.
Le si gettò addosso costringendola a sdraiarsi sul letto.
La bloccò con il peso del suo corpo e la strinse con le braccia in modo che non potesse muoversi.
Lei tentò di agitarsi debolmente per poi lasciarsi andare a un pianto liberatorio.
Jerome la tenne ferma, poi la abbracciò mentre lei piangeva disperata.
Il giorno non era ancora nato quando Svend costrinse Bergljot ad alzarsi. «Andiamo» le disse porgendole il pesante mantello.
«È già ora di partire?» chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
«Dobbiamo andare via prima che si sveglino gli altri» disse lui.
Lei lo guardò senza capire.
«Non ti porterò alla corte del Nord – riprese l'uomo – non posso permettere che qualcuno t i faccia del male. Andremo via prima che gli uomini della truppa si sveglino».
«Ma è diserzione» si stupì lei.
«Muoviti» ordinò lui.
«Se mi aiuti a fuggire perseguiteranno anche te» disse ostinata lei senza muoversi.
Svend la prese per le braccia. «Non mi interessa – disse guardandola negli occhi – non permetterò che il sovrano ti faccia del male. Che tu sia o meno la principessa Sigrid non voglio che ti accada nulla e se per proteggerti dovrò essere perseguitato mi farò perseguitare. Ora, però, prendi il mantello che ce ne andiamo».
«Perché lo fai?».
«Non lo hai ancora capito?» fu la risposta di lui mentre la trascinava fuori dalla tenda.
Montarono a cavallo ma non fecero in tempo a partire.
Uno degli uomini della truppa li fermò.
«Che cosa vuoi?» chiese Svend esercitando il potere del suo grado.
«Ho l'ordine di fermare voi e la prigioniera» disse il ragazzo.
«Qui gli ordini li do io!» disse di nuovo il comandante.
«Non più!» lo sorprese una voce alle spalle.
Elasund era immobile in sella al suo destriero.
«Comandante sono sicuro che vorrà consegnare la prigioniera ai miei uomini».
Svend guardò il sovrano con rabbia.
Bergljot si strinse istintivamente al petto dell'uomo.
«E che vorrà seguirci a corte con la sua truppa» concluse il sovrano con il tono di chi non ammetteva repliche ai suoi ordini.