Capitolo IX. Dubbi

 

Il buio aveva avvolto l'accampamento improvvisato.

Bergljot era distesa nella tenda sotto una coltre di coperte nel vano tentativo di ripararsi dal freddo.

Il resto della compagnia doveva essere già a dormire perché all'esterno regnava il silenzio.

Un rumore destò la sua attenzione.

Sgranò gli occhi in attesa.

Sentì qualcuno entrare nella tenda.

Rimase immobile.

Sentì la presenza avvicinarsi lentamente a lei e abbassarsi fino al suo giaciglio.

Una mano forte premere sulla sua bocca per impedirle di parlare.

Osservò nell'oscurità cercando di percepire chi fosse.

«Sono io» udì la voce di Svend come un sussurro.

Lui spostò la mano dalla sua bocca.

«Svend?» disse lei.

«Dobbiamo trovare il modo di andarcene da questo posto – riprese l'uomo – dobbiamo fuggire prima di arrivare alla corte del Nord».

«Siamo circondati dai militari del sovrano. Non possiamo scappare».

«Non permetterò a Elasund di portarti a corte!» disse lui deciso ma un rumore lo bloccò.

Qualcuno era entrato nella tenda.

Svend si spostò dietro alla ragazza infilandosi sotto le numerose coperte prima che la torcia del nuovo venuto potesse illuminare il giaciglio.

La figura imponente che era entrata alzò la torcia per illuminare la ragazza.

«Alzati donna» ordinò la voce di Elasund squarciando il silenzio della notte.

 

La violenza dell'acqua sferzava il viso di Sigrid mentre il cavallo non arrestava la sua corsa.

Il buio fitto era rischiarato dai lampi.

Non vedeva dove si stava dirigendo ma seguiva meccanicamente il cavallo di Wilelm davanti al suo.

Mancava ancora molto prima di uscire dalla foresta e trovare il primo villaggio.

Avrebbero dovuto cavalcare per l'intera notte.

Un boato fece tremare il terreno terrorizzando gli animali che aumentarono l'andatura.

Il cielo continuava a rovesciare acqua.

Grosse e pesanti nuvole gravide si intravedevano a

d ogni lampo.

Avrebbe piovuto ancora per molto tempo.

 

Bergljot si alzò in piedi cercando di non spostare la coperta.

«Vieni con me!» ordinò il sovrano dirigendosi verso l'entrata della tenda.

La ragazza non si mosse.

L'uomo si fermò voltandosi di nuovo verso di lei.

Alzò la torcia per illuminare la sua figura in piedi davanti al giaciglio.

«Ti ho detto di seguirmi!» disse di nuovo duro.

Lei scrollò impercettibilmente il capo.

Sapeva che stava sfidando la morte ma nella tenda, anche se nascosto, c'era Svend.

Uscire e seguire Elasund l'avrebbe resa completamente vulnerabile.

«Osi disobbedire a un mio ordine?» disse l'uomo contrariato.

Gli occhi blu di Bergljot si posarono su di lui fermi e privi di timore.

Elasund si sentì vacillare.

Come era possibile che un essere tanto fragile non temesse il suo potere?

Si avvicinò nuovamente a lei.

La fissò scrutandola.

«Cosa ti da tanto coraggio da non temere la mia ira?» chiese senza rabbia.

Lei non commentò e non smise di fissarlo.

«Sigrid – disse lui guardandola da capo a piedi – anche se sono tuo padre non devi permetterti di sfidare il mio potere. Sono sempre il sovrano delle Terre del Nord».

Lei strinse le labbra impedendosi di urlargli in faccia che il suo nome non era Sigrid, c he il solo pensiero di avere nelle vene lo stesso sangue di quell'assassino la faceva inorridire.

Ma tacque.

Elasund allungò una mano sfiorandole il viso.

«Sei diventata molto bella in questi anni» sussurrò.

La mano pesante del sovrano scivolò sul collo di lei fino a posarsi sul seno ancora acerbo.

Bergljot si scostò istintivamente.

«Tu non hai capito – disse lui con rabbia prendendola per un braccio – tu sei una mia proprietà e posso fare di te ciò che voglio».

Lei cercò di divincolarsi senza successo.

«Ed ora – continuò Elasund con tono grave – fai uscire il tuo amante da sotto la coperta e informalo che si può ritenere un prigioniero come te da questo momento!».

Estrasse la spada dal fodero e la conficcò con violenza nel giaciglio.

Svend emerse dalla coperta. Si alzò in piedi fronteggiando il sovrano.

«Comandante – disse Elasund con disprezzo – ti sei giocato una promettente carriera per questa donna».

Scaraventò Bergljot con violenza verso l'uomo che la accolse tra le braccia.

«Goditela fino a quando arriveremo a corte – disse infine il sovrano – perché una volta giunti a destinazione morirete entrambi!».

 

La notte immobile avvolgeva il castello di Turvel.

Il parco era silenzioso e bagnato dalla luce argentea della luna.

Aghata si strinse nello scialle per ripararsi dall'umidità della notte.

«Dovresti stare più tranquilla» la sorprese la voce di Magnus Dentz.

L'uomo giunse al suo fianco.

«Non riesco a dormire» sussurrò lei.

«Lo vedo – riprese lui – ti stai preoccupando troppo. Sigrid è in buone mani. Sai che Wilelm non permetterebbe mai che le accadesse qualcosa di male».

«Lo so, ma la strada è tanto lunga e sai meglio di me che i pericoli per raggiungere la corte del nord sono numerosi. Per non parlare di ciò che la attende una volta giunta da Elasund».

«Prima o poi avrebbe dovuto fare questo passo e affrontare il suo destino».

«Ha solo sedici anni».

«È una donna ormai – riprese lui – sai che non avrebbe potuto rimandare ancora molto».

«Temo che non sia ancora pronta – sospirò Aghata – non sa neppure cosa la attende con esattezza».

«Quando incontrerà il suo destino saprà cosa fare. Sigrid è molto più matura di quanto tu possa pensare e ricordati che non è sola ad affrontare questa prova».

«So che Jerome l'ha protetta in tutti questi anni e non mancherebbe mai la parola data ma».

«Non ci sono ma – la interruppe lui – Sigrid doveva diventare adulta e tutti sapevamo che per lei questo passaggio avrebbe significato affrontare il suo passato e le sue radici. Dovrà solamente superare questa prova».

«So che hai ragione – si arrese lei – ma la mia anima non riesce a tranquillizzarsi».

«Devi provare a riposare. Non possiamo sapere quando Sigrid tornerà e non puoi permetterti di non dormire per un tempo infinito».

«Non possiamo sapere se Sigrid tornerà» precisò lei con amarezza.

 

Hrafnhildur si lasciò andare accovacciato nella gabbia che era ormai la sua prigione.

La ferita non accennava a smettere di sanguinare.

Il manto bianco dell'animale era macchiato di sangue rappreso e sangue vivo che colava lento.

Aveva percepito il pericolo che aveva minacciato la vita di Sigrid.

Aveva sentito chiaramente la paura della ragazza ma quel sentimento si stava lentamente affievolendo.

Il pericolo era passato e il cuore della principessa stava tornando a battere a un ritmo regolare.

Il respiro dell'animale era un debole rantolo.

Improvvisa, una fitta di dolore lo colpì al costato.

Il dolore si trasformò presto in bruciore dovuto alla scudisciata inferta.

Alzò gli occhi blu verso la porta della gabbia aperta e vide la figura di Selma in piedi.

Era ferma a osservarlo con le braccia lungo i fianchi e il pugno stretto intorno all'impugnatura della frusta.

«Maledetto animale» sibilò la strega.

 

Sigrid lanciò un urlo piegandosi in due.

Il colpo violento al costato l'aveva sorpresa.

Le sue mani lasciarono le redini del cavallo che la disarcionò facendola cadere pesantemente a terra.

La pioggia continuava a scendere abbondante.

Wilelm fermò il suo cavallo e con una mano cercò di fermare quello di Sigrid che si era imbizzarrito dopo averla scaraventata in mezzo al fango.

L'uomo riuscì a calmare i due animali e smontò da cavallo raggiungendo la giovane ancora stesa a terra.

«Cosa è successo?» chiese aiutando la ragazza ad alzarsi.

Lei teneva una mano premuta su un fianco.

«Non lo so – disse senza fiato – ho sentito un colpo violento e ho perso il controllo del cavallo».

«Sei stata colpita da un ramo?».

Lei scrollò il capo.

Lui la guardò in viso e vide i segni della sofferenza.

Il legame con l'unicorno era ancora molto intenso e l'animale stava soffrendo.

«Manca ancora parecchio al primo villaggio – disse infine – dobbiamo per forza raggiungerlo, non possiamo dormire sotto l'acqua. Vieni!».

La guidò verso il suo cavallo e la fece montare.

Lui montò dietro di lei e afferrò le redini saldamente.

Fece appaiare il cavallo di Sigrid e senza lasciare nemmeno le redini dell'altro animale spronò la sua cavalcatura per farla muovere.

Avanzarono a un'andatura più lenta.

L'acqua non accennava a diminuire e il cielo era rischiarato dai lampi.

Il dolore al fianco cominciò ad affievolirsi e Sigrid si rilassò appoggiando la schiena al petto di lui.

Il respirò tornò lentamente a un ritmo regolare.

 

Stig non riusciva a prendere sonno.

Si alzò dal letto e si diresse verso la finestra.

Una luna piena illuminava il parco rischiarando la vegetazione.

Si domandò cosa stesse facendo Sigrid in quel momento.

La gelosia per il professor Jerome lo divorava e il silenzio dei due aumentava la sua frustrazione.

Bussarono alla porta.

Julia era ferma davanti alla porta e osservò lo sguardo stupito di Stig.

«Vedo che non riesci a dormire nemmeno tu» disse la ragazza con noncuranza.

«Julia – commentò lui ignorando la frase – che ci fai qui in piena notte?».

«Non mi fai entrare?» chiese la ragazza entrando nella stanza senza attendere la sua risposta.

Si sedette sul letto.

«Devi tornare nella tua stanza – disse lui senza chiudere la porta – se ti trovano qui a quest'ora passeremo entrambi dei guai».

Lei si alzò e lo raggiunse chiudendo la porta.

Poi lo prese per un braccio e lo guidò fino al letto sedendosi accanto a lui.

«Credi che io non sappia cosa ti sta disturbando tanto?» chiese ignorando la frase del ragazzo.

«Ti stai distruggendo per una che non ti merita» riprese.

«Finiscila, Julia» la rimproverò lui.

«Andiamo, Stig – disse lei con dolcezza – Sigrid ha preso ed è partita di punto in bianco senza darti nemmeno una motivazione».

«Ti ho detto di smetterla!».

«Tu stai qui a soffrire per lei mentre lei è chissà dove per giunta con un altro uomo».

«Adesso basta!» si alzò in piedi il ragazzo.

«Stig – continuò lei – possibile che non ti rendi conto che stai perdendo il tuo tempo?».

«Vattene!» ordinò Stig aprendo la porta.

«Accidenti a te – scattò Julia – possibile che non ti accorgi che hai accanto a te qualcuno che potrebbe renderti felice?».

«Fuori!».

«Sei veramente stupido – disse lei nervosa – ti stai facendo prendere in giro da una».

Lui non le diede il tempo di finire la frase, la spinse fuori dalla porta e la chiuse con violenza.

 

Bergljot si era addormentata tra le braccia di Svend.

Il comandante, al contrario, non riusciva a prendere sonno.

Sapeva che non mancava molto per raggiungere la corte del Nord.

Non aveva abbastanza tempo per trovare una soluzione.

Conosceva molto bene la crudeltà del suo sovrano.

Se fossero giunti a palazzo, Elasund avrebbe ucciso Sigrid senza pietà e avrebbe ucciso lui solo dopo averlo fatto assistere alle torture inflitte alla donna.

Doveva trovare un modo per sottrarre la ragazza al re.

Doveva farla fuggire prima che giungessero a corte.

Una volta entrati a palazzo non sarebbe più riuscito a fare nulla per lei.

Sarebbe stata costretta a subire il suo destino e Svend non avrebbe potuto in alcun modo impedirlo.

Il sonno di Bergljot era agitato.

La sentiva muoversi nervosa tra le sue braccia.

Avrebbe desiderato che quella notte durasse in eterno, che il tempo si potesse in qualche modo arrestare, c he qualche evento imprevisto gli consentisse di cambiare i piani di Elasund in modo che lui potesse trovare una via di fuga per sé e per la donna che amava.

La notte però stava per volgere al termine e nessuna delle sue preghiere sarebbe stata esaudita.

Al di fuori della tenda cominciava ad albeggiare e un vento gelido si era alzato violento.

 

Un'alba lattiginosa stava nascendo in un cielo pallido e lavato dalla pioggia abbondante che era caduta tutta la notte.

Il villaggio era ancora immerso nel sonno.

L'unico rumore che risuonava per le strade deserte e infangate era quello degli zoccoli del cavallo che avanzava lento.

Wilelm si fermò davanti a una costruzione di legno dall'aspetto modesto.

Sopra la porta sprangata era stata appeso un pezzo di legno ormai marcio dove era stata intagliata la scritta Ethna.  

L'uomo smontò di sella aiutando Sigrid a scendere.

«Come ti senti?» chiese notando il viso della ragazza stravolto dalla stanchezza.

«Ho solo bisogno di dormire» sussurrò lei.

Jerome bussò con forza alla porta chiusa.

Attesero qualche istante poi udirono il pesante catenaccio che veniva aperto.

La porta si aprì e una donna comparve osservandoli.

Aveva folti capelli biondi raccolti scompostamente da uno fazzoletto legato e indossava un abito di modesta fattura, liso dall'usura ma pulito.

I due occhi di un azzurro quasi trasparente osservarono i due stranieri con curiosità.

«Posso fare qualcosa per voi?» chiese dolcemente con un sorriso sincero.

Jerome osservò per qualche istante il viso candido e levigato della donna, notando l'incredibile somiglianza che aveva con Ingrid ma sapeva che non poteva essere lei.

«Io e il mio assistente abbiamo viaggiato tutta la notte e avremmo bisogno di un letto» disse poi.

La donna li fece accomodare.

Si diresse dietro l'imponente bancone di legno tarlato e prese una chiave.

«Seguitemi» disse precedendoli per una scala in pietra.

La locanda era fredda e al piano superiore c'erano solamente quattro porte chiuse.

Ne aprì una e invitò i due ad entrare.

Lei rimase sulla porta porgendo la chiave all'uomo con un sorriso.

«Se avete bisogno di qualcosa io sono Ethna» disse infine.

«Più tardi vorremmo mangiare» riprese Wilelm senza distogliere lo sguardo dal viso candido di lei.

«Non ci sono problemi – concluse la donna – la cucina funziona. Vi auguro un buon riposo».

 

Stig era steso sul letto con lo sguardo fisso al soffitto.

La luce del giorno stava nascendo e cominciava a rischiarare la stanza immersa nel silenzio.

Non aveva dormito.

Gli occhi bruciavano e il cerchio alla testa cominciava a essere un fastidio.

L'agitazione che gli aveva trasmesso Julia con le sue parole non gli dava tregua.

Sapeva che Julia avrebbe fatto qualsiasi cosa per prendere il posto di Sigrid nel suo cuore e nella sua mente, che avrebbe usato qualsiasi mezzo anche il più subdolo per raggiungere il suo obiettivo.

Le parole che aveva sputato come veleno, però, si erano insinuate nel cervello di Stig e sembravano non volerne uscire.

Il tarlo della gelosia aveva iniziato a rodere la fiducia che aveva deciso di riporre in Sigrid.

Il dubbio che il suo viaggio accanto al professor Jerome l'avrebbe distratta dalle promesse che gli aveva fatto prima di partire era sempre più pressante.

Lei era lontano con il professore e lui avrebbe potuto approfittarsi della situazione in qualsiasi momento e la giovane, Stig ne era certo, era troppo ingenua e debole per non cadere nella trappola che l'uomo le avrebbe teso.

Pensò a Sigrid tra le braccia di Jerome.

Un'ondata di gelosia e frustrazione lo invase rendendolo ancora più nervoso di quanto già fosse.

Si impose di non pensare a lei e al professore sperando di trovare un minimo di pace.

L'irrequietezza si agitava dentro di lui nonostante la stanchezza cominciasse a farsi sentire.

Si lasciò rapire dai pensieri più inverosimili e assurdi.

Dopo una lunga lotta interiore per combattere il senso di impotenza che lo teneva ormai prigioniero, il suo corpo cedette alla stanchezza di una notte completamente insonne e fu vinto da un sonno agitato e popolato da incubi.

 

Hrafnhildur chiuse gli occhi.

Selma lo osservava in piedi sulla porta della gabbia.

Era immobile e i suoi occhi erano rossi per la furia che la stava divorando.

La resistenza di quell'animale e la sua caparbietà erano invincibili, non riusciva a piegarlo in nessun modo.

L'unicorno aprì nuovamente gli occhi e posò il suo sguardo vellutato sulla strega.

Lei si irrigidì.

Si sentiva stanca e non sarebbe stata in grado di sostenere una lotta con l'animale.

Sostenne lo sguardo severo dell'unicorno per poi voltarsi e allontanarsi dalla gabbia.

Hrafnhildur attese che Selma si allontanasse per chiudere nuovamente gli occhi e cercare un po' di riposo nonostante il dolore che era diventato un compagno costante.

La strega attraversò il parco debolmente illuminato da una pallida e fredda alba.

La luce del giorno non ancora nato si rifletteva sulla neve che copriva ogni cosa nonostante la stagione estiva.

Entrò nel palazzo e si diresse al piano superiore ignorando i pochi servi che già erano al lavoro.

Raggiunse i suoi appartamenti.

Entrò e si chiuse la porta alle spalle.

Dall'ampia finestra della camera da letto entrava la luce del giorno.

La donna tirò i pesanti tendaggi avvolgendo la stanza nell'oscurità.

Si distese sul letto completamente vestita.

Sospirò per la stanchezza che cominciava a pesare.

Il dolore al capo ormai era diventato una presenza costante e continua, accompagnata sempre più spesso da fitte simili a stilettate che arrivavano direttamente al cervello.

Inspirò profondamente cercando di controllare il dolore acuto che la stava tormentando.

Lentamente i muscoli del corpo si rilassarono e il respiro tornò a un ritmo quasi regolare.

Senza accorgersene scivolò lentamente in un sonno pesante e senza sogni.

 

Sigrid osservò l'ampio letto sommerso da diversi strati di coperte.

«Stenditi pure tu» disse Jerome.

Lei si spogliò degli abiti ancora fradici e indossò una veste di lana asciutta.

Si infilò sotto le coperte.

«Prenditi pure l'altra parte di letto» biascicò sul punto di crollare addormentata.

«Sei sicura?».

«Mi hai salvato la vita – sussurrò lei – e non penso che in questo momento tu abbia la forza di attentare alla mia purezza».

La frase le si spense sulle labbra mentre scivolava in un sonno pesante.

Jerome scrollò il capo sorridendo.

Si spogliò e indossò qualcosa di asciutto.

Poi si infilò sotto le coperte dalla parte del letto che la ragazza aveva lasciato libera.

Il contatto con la superficie morbida del letto gli diede una sensazione di sollievo.

Senza accorgersene perse lentamente il contatto con la realtà lasciandosi rapire dal sonno.

Il giorno oltre i vetri stava nascendo e un sole freddo si scioglieva nella stanza illuminandola.