Capitolo XII. Bergljot

 

Hrafnhildur aveva accelerato il respiro ed era in affanno.

Non riusciva più a muoversi, la debolezza lo stava sfinendo.

Il dolore era ormai un compagno costante e sopportabile ma la perdita di sangue stava facendo scivolare via la sua forza vitale.

Aveva sentito la paura di Sigrid.

Aveva chiaramente percepito che lei si era trovata in pericolo, un pericolo lontano.

Un pericolo dal quale lui non avrebbe potuto proteggerla.

Sapeva che c'era un'altra presenza, una presenza che si stava prendendo cura di lei ma sapeva anche che quella presenza non avrebbe potuto fare più nulla per la principessa una volta che lei fosse giunta a corte.

Nessuno avrebbe più potuto proteggerla se fosse arrivata alle Terre del Nord.

Avrebbe dovuto lei stessa combattere la sua battaglia e vincere la sua guerra, solo con le sue forze e senza aiuto.

L'unicorno stava cercando di morire prima che lei giungesse a corte.

Se fosse morto la ragazza sarebbe stata liberata e la loro unione si sarebbe spezzata ma, soprattutto, avrebbe costretto Selma a rimanere prigioniera della sua maledizione.

La strega non avrebbe più potuto liberarsi, non sarebbe stato sufficiente per fermare la follia e la crudeltà della donna ma avrebbe in qualche modo potuto impedire che lei acquisisse ulteriore potere e facesse danni irreparabili.

La notte aveva avvolto ogni cosa nel suo manto scuro e silenzioso.

Hrafnhildur abbassò il muso tornando a stendersi sul pavimento della gabbia.

Sigrid era fuori pericolo, lo percepiva chiaramente ma percepiva anche che quella appena superata non era l'ultima prova che la principessa avrebbe dovuto affrontare.

Chiuse gli occhi blu cercando di trovare un po' di riposo anche se sapeva che il tempo che aveva davanti era poco.

Non mancava molto prima che tutto fosse compiuto.

 

Jerome e Sigrid entrarono attirando l'attenzione di Gertrud.

Erano fradici, passarono davanti alle persone presenti che riservarono loro qualche sguardo distratto.

L'anziana li osservò da dietro al bancone mentre prendevano la scala che li avrebbe portati al piano superiore.

Da una porta uscì una coppia che passò loro accanto nel corridoio.

La donna, in abbigliamento succinto, posò lo sguardo su Jerome e gli riservò un sorriso invitante.

«Se vi può interessare un po' di compagnia mi sono liberata ora» disse esplicita.

Il professore sorrise scrollando il capo.

«No grazie» si limitò a dire con gentilezza.

La donna osservò lui poi il giovane che era al suo fianco.

«Che spreco» sussurrò poi alzando le spalle e procedendo verso le scale.

Wilelm Jerome chiuse la porta alle sue spalle.

Sigrid si fermò davanti alla finestra.

I vetri erano rigati dall'acqua che non accennava a smettere di scendere dal cielo.

Le nuvole che oscuravano la luna erano ancora pesanti.

I lampi e i tuoni si stavano allontanando verso l'orizzonte.

«Asciugati e cambiati altrimenti rischi di prendere un malanno» disse lui porgendole uno straccio.

Lei cominciò a sfregarsi i capelli gocciolanti senza parlare.

Non aveva parlato per tutto il tempo che avevano impiegato a tornare.

Non riusciva a comprendere se Jerome fosse o meno in collera con lei per l'azione sconsiderata che aveva compiuto.

«Come sei finita tra le braccia di quell'uomo?».

La voce di Jerome richiamò la sua attenzione.

Gli occhi blu della ragazza si posarono su di lui.

«Ho visto un'altra persona – sussurrò lei – quando mi sono avvicinata aveva l'aspetto di un'altra persona».

«Probabilmente aveva la capacità di trasformare l'aspetto in caso di necessità».

Lei lo osservò senza capire.

«Ci sono personaggi che hanno la capacità di utilizzare la magia in vari modi – riprese lui – non tutti i maghi sono come Aghata che ha scelto di utilizzare i suoi poteri al servizio del bene. Ci sono anche maghi al servizio del male o semplicemente che utilizzano il loro potere per scopi personali».

«So solo che quando mi sono avvicinata non aveva quell'aspetto».

«Ha fatto in modo che tu vedessi la persona che desideravi vedere, così sarebbe stato più semplice avere la tua fiducia» concluse Jerome.

«L'importante è che sia finito tutto bene» disse infine dopo un lungo silenzio.

Sigrid lo guardò, sapeva che avrebbe dovuto chiedergli scusa per il suo comportamento.

«Non importa – la anticipò lui – non voglio le tue scuse».

«Non sei in collera con me?».

«No – sospirò lui – posso comprendere il tuo disagio per certe situazioni ma sarà una condizione passeggera, tra breve potrai riprendere i tuoi panni femminili».

Lei si sfilò la giacca fradicia prendendo una tunica di lana asciutta.

Wilelm non poté fare a meno di osservare la camicia bianca bagnata che aderiva al seno evidenziando le forme morbide e femminili del suo corpo.

Avrebbe voluto dirle che lui la vedeva come una donna già da tempo, che vestire abiti maschili non cambiava ciò che lei era e non cancellava la sua femminilità, ma il suo compito e la parola data ad Aghata gli impedivano di essere completamente sincero.

Sarebbe stato vile approfittarsi della situazione e della fiducia che avevano riposto in lui.

Sigrid si voltò sentendosi osservata.

«C'è qualcosa che non va?» chiese.

Lui scrollò il capo.

Aprì la bocca per commentare ma cambiò idea.

«I capelli tagliati corti non cambiano il fatto che tu sia una donna» si limitò a dire infine.

 

Alla corte mancavano solamente poche ore di cavallo.

Elasund si sentiva stanco.

L'idea che il palazzo fosse ormai vicino gli stava dando le ultime forze per concludere quel viaggio estenuante.

La giornata era limpida e il cielo terso illuminava le pianure coperte da un manto candido.

Svend non perdeva d'occhio Bergljot.

Si stava maledicendo per non essere riuscito a trovare un modo per farla fuggire.

Al compimento del suo destino mancavano solo poche ore.

Lei si lasciava portare dal cavallo come fosse stata una bambola di pezza, aveva perso la forza di combattere e il suo sguardo era diventato opaco e vuoto.  

Il gruppo procedeva ad andatura lenta affondando nella coltre di neve ancora farinosa.

La pianura era deserta ed era l'ultimo tratto di percorso che separava dalla capitale.

Avrebbero dovuto attraversare la città, poi l'ultima foresta prima di giungere alle porte del palazzo.

Elasund sospirò profondamente.

Oltre alla stanchezza cominciava ad accusare dolori alle ossa.

Stava diventando troppo anziano per affrontare imprese come quella che stava per concludere.

Se quella dannata donna che era stata sua moglie gli avesse dato almeno un erede avrebbe potuto passare il comando al figlio legittimo e cominciare a pensare a ritirarsi per la vecchiaia.

Probabilmente qualcuna delle sue donne in passato aveva anche partorito un suo bastardo ma lui non aveva mai voluto riconoscere nessuno dei figli avuto dalle sue amanti.

Lui avrebbe voluto un erede partorito dalla sua legittima moglie.

Una cosa che il destino aveva deciso di non concedergli.

Forse aveva finalmente ritrovato l'unica figlia che era ancora in vita ma avrebbe dovuto comunque ucciderla, una figlia femmina era inutile, non avrebbe potuto passare il comando del suo regno a un'inutile donna.

Grosse nuvole bianche si sparsero per il cielo.

Erano cariche di neve e avrebbero cominciato a scaricarla entro poche ore.

Il sovrano osservò il cielo e diede l'ordine di aumentare l'andatura.

Non mancava molto alla città ma se fossero stati sorpresi dalla neve avrebbero dovuto rallentare di nuovo l'andatura e lui non voleva correre quel rischio.

Ogni componente della truppa spronò il proprio cavallo e le due guardie lo fecero con le cavalcature di Svend e Bergljot.

Aumentarono l'andatura lasciando profonde tracce nella neve ancora fresca.

 

Hella aprì la porta dell'aula vuota ed entrò.

La stanza era immersa nella penombra.

Era il laboratorio di alchimia e non sarebbe stato utilizzato per le successive ore da nessuna delle classi.

«Stig» chiamò cercando di non alzare troppo la voce.

Non ottenne risposta.

Il ragazzo le aveva dato appuntamento ma probabilmente non era ancora arrivato.

Hella si aggirò lentamente tra i tavoli da lavoro dove erano sistemate boccette e alambicchi.

Improvvisamente due braccia la afferrarono avvolgendola.

«Stig – strillò lei – sei impazzito. Mi hai spaventato».

Lui si mise a ridere e senza rispondere la baciò sulle labbra con passione.

«Qui non possiamo – cercò di opporsi Hella mentre lui infilava le mani sotto la camicia – potrebbe entrare qualcuno».

«In quest'aula non ci sarà lezione prima di tre ore».

Il ragazzo la spinse contro la parete continuando ad accarezzarla.

Le sue labbra scesero lungo il collo.

Un rumore improvviso li fece sobbalzare.

La porta si era aperta e Aghata Smokemakers era in piedi davanti a loro.

I due ragazzi si staccarono di colpo.

La vicedirettrice li osservò severa.

«Spero che ci sia una spiegazione logica per un simile comportamento» si limitò a dire.

Hella si sentì avvampare.

Stig si passò una mano fra i capelli imbarazzato.

«Senza considerare il fatto che dovreste essere a lezione – continuò dura la donna – l'utilizzo delle aule per simili cose lo considero una mancanza di rispetto nei confronti sia della scuola che dei vostri colleghi».

I due ragazzi non parlarono pronti a subire la punizione che inevitabilmente sarebbe arrivata.

«Siete convocati nel mio ufficio tra un'ora esatta – concluse la vicedirettrice – e ora uscite di qui e recatevi alle vostre rispettive aule».

Hella uscì velocemente.

Stig la seguì con maggior tranquillità.

Nel corridoio appoggiata ad una parete a pochi passi dalla porta del laboratorio era ferma Julia.

Aveva le braccia conserte sul petto e un sorriso di soddisfazione che le piegava le labbra mentre guardava Stig.

Lui le riservò uno sguardo di sufficienza poi si voltò e se ne andò.

 

Jerome smontò da cavallo e Sigrid fece lo stesso.

«Ci fermeremo un po' – disse lui – mangeremo qualcosa prima di uscire dalla foresta».

«Perché dobbiamo uscire dalla foresta?».

«C'è un pezzo del tragitto che dobbiamo per forza fare lungo il mare, se procedessimo nella foresta dovremmo superare una collina che ci farebbe perdere giorni interi di viaggio, se ci spostiamo sul mare e poi rientriamo nella foresta superato questo pezzo accorciamo la strada».

Lei alzò le spalle sedendosi a terra e appoggiando la schiena ad un albero.

Jerome legò i cavalli e si sedette accanto alla ragazza.

«Vuoi qualcosa da mangiare?» chiese appoggiando la testa al tronco.

Chiuse gli occhi.

«Sono troppo stanca per mangiare».

«Purtroppo le soluzioni per dormire nelle ultime notti sono state molto di fortuna».

«Non hai riposato neanche tu?».

«Non molto» sospirò lui.

«Stanotte pensi che riusciremo a trovare un letto».

«Se raggiungiamo il mare forse troviamo qualche villaggio».

Scese un silenzio tangibile, spezzato solo dai rumori degli animali che si muovevano tra il fogliame.

«Chi è Ingrid?» chiese d'un tratto Sigrid senza guardarlo.

«Come fai a conoscere quel nome?». L'uomo aprì gli occhi ma non si mosse dalla sua posizione.

«Lo hai pronunciato nel sonno».

«Nessuno» concluse lui dopo un lungo silenzio.

Sigrid percepì di averlo turbato.

«È a lei che somigliava la locandiera?».

Wilelm ripescò nella mente l'immagine di Ethna e poi quella di Ingrid sovrapponendole.

«Sì, somigliava a Ingrid» sussurrò infine.

«Non ne vuoi parlare?».

«Preferirei evitarlo – si irrigidì lui – è una persona che ho conosciuto tanti anni fa».

«Ed ora che fine ha fatto?» insistette la ragazza.

«Ti ho detto che non ne voglio parlare» ordinò Wilelm con tono secco.

Lei sgranò gli occhi blu.

«Scusa – sussurrò – non pensavo che ti saresti alterato tanto».

Scese un silenzio denso e pesante.

«Dimentica quel nome – disse poi l'uomo con dolcezza – lei non tornerà più e non ha senso nemmeno parlarne».

 

Selma sentiva che Elasund stava tornando, era a poche ore di cavallo dalla corte ormai.

Ingoiò il filtro per la veggenza con avidità e una fitta di dolore le trapassò il cervello.

La vista si annebbiò ma di visioni non ne giunsero, solo confusi stralci di immagini incomplete.

Scene incomprensibili che non le permettevano di costruire una visione completa.

Sentiva la presenza di diverse persone legate ad Elasund da sentimenti di odio e rancore ma non aveva la certezza che tra queste persone ci fosse la principessa.

Il sovrano era circondato da nemici di ogni tipo, i sentimenti di astio che percepiva avrebbero potuto arrivare da chiunque.

Sapeva che Hrafnhildur si stava lasciando morire per evitare che Sigrid percepisse la sua sofferenza.

Se lui avesse smesso di soffrire la principessa non avrebbe avuto motivo di raggiungere le Terre del Nord.

La strega si prese la testa fra le mani sperando di contenere il dolore che era diventato insopportabile.

Cadde in ginocchio davanti alla specchiera.

Il dolore che ormai era diventato costante aveva picchi di intensità che la lasciavano priva di forze.

Sapeva che era un effetto collaterale di un abuso del filtro della veggenza ma ormai il suo corpo si era assuefatto al liquido e le crisi di astinenza erano, forse, più dolorose e sfiancanti delle emicranie che le procurava l'assunzione della pozione.

Cercò di controllare il respiro che era diventato affannoso.

Entro poche ore il sovrano avrebbe fatto il suo ingresso a corte.

Lei non aveva notizie di Sigrid da dargli e soprattutto lui avrebbe avuto bisogno del suo aiuto per capire chi fosse la prigioniera che Elasund stava portando con sé.

Si alzò a fatica aggrappa ndosi alla specchiera.

Una volta in piedi si appoggiò allo specchio per non cadere.

Si sentiva sfinita, la debolezza stava ormai diventando cronica.

Osservò la sua immagine riflessa.

Era pallida e i suoi occhi erano scavati.

Il suo sguardo solitamente duro e profondo sembrava perso e non incuteva più alcun timore.

Stava diventando l'ombra di se stessa.

 

«Direi che restare confinati nella vostra stanza è una punizione fin troppo leggera per ciò che avete fatto» sentenziò Magnus Dentz ai due ragazzi.

«Almeno un mese di reclusione» incalzò la dose Aghata in piedi accanto al direttore.

Hella e Stig non risposero e subirono la predica con rassegnazione.

Sapevano di essere in torto e la cosa più intelligente da fare era di subire la punizione senza opporre resistenza.

Entrambi erano fermi a capo chino davanti alla scrivania di Magnus Dentz.

«Non vi chiedo neppure se avete una giustificazione per ciò che è successo» disse di nuovo l'uomo.

I due non risposero.

«Vedo che almeno avete la decenza di non cercare scusanti» disse la vicedirettrice rigida.

«Bene – concluse Dentz – resterete confinati nella vostra stanza per un mese, potrete uscire solamente per le lezioni, i pasti e salterete anche l'ora di lettura che farete nella vostra stanza. Sono stato chiaro?».

I giovani annuirono.

«Potete andare» concesse lui e i ragazzi uscirono velocemente dall'ufficio.

Magnus Dentz osservò Aghata.

«È un'indecenza» scrollò il capo lei.

«Non esagerare» sorrise l'uomo.

«Fare certe cose in una delle aule vuote durante l'orario di lezione».

«Aghata – rise lui – siamo stati ragazzi anche noi».

«Parla per te – si offese la donna – io certe cose non le facevo».

Lui le riservò un'occhiata eloquente.

«Sono sempre stata una studentessa modello» riprese la donna piccata.

«Io no – disse lui – però ero più furbo di loro, non sono mai stato scoperto».

«Magnus» lo apostrofò la donna imbarazzata.

«Aghata, hanno sedici anni – disse lui bonario – è il periodo in cui certi istinti sono normali».

«Non è una giustificazione».

L'uomo scrollò il capo canuto e cominciò a ridere di gusto.

«Trovo veramente offensivo il tuo modo di affrontare questa situazione» concluse Aghata uscendo dall'ufficio offesa.

 

«Credo che questa notte ci toccherà dormire nuovamente all'aperto» sentenziò Wilelm.

I cavalli procedevano lenti mentre il buio cominciava a calare sulla foresta.

«Ma quanto manca per uscire dalla foresta?».

«Ancora qualche ora – disse lui – io proporrei di fermarci e proseguire domattina presto».

«Com'è?» chiese lei d'un tratto dopo un lungo silenzio.

«Com'è cosa?».

«Il mare – riprese Sigrid appaiando il suo cavallo a quello dell'uomo – io non ho mai visto il mare. L'unica volta che mi ci sono trovata davanti è stata quella sera al porto ma, considerata la situazione, l'ultimo mio pensiero è stato quello di osservarlo».

«È un'immensa distesa d'acqua. Qualcuno lo trova inquietante e spaventoso».

«Nei libri che ho letto lo descrivevano sempre in modo romantico».

«Sì – convenne lui – qualcuno lo trova romantico ma le cose non sono mai come vengono descritte nei libri. In ogni caso il tragitto che faremo sul mare dovrà essere il più breve possibile. Procedendo fuori dalla foresta il rischio di essere intercettati è notevolmente più alto».

Sigrid si zittì guardando dritto davanti a sé.

«Procediamo ancora un po' poi cerchiamo un posto dove passare la notte» sentenziò lui dopo qualche istante.

La giovane annuì senza guardarlo.

Pensava a zia Aghata e al collegio.

Sentiva l'agitazione aumentare a ogni tratto di strada che percorrevano come se l'avvicinarsi delle Terre del Nord le insinuasse un senso di angoscia e paura.

Non sapeva cosa avrebbe dovuto affrontare ma ormai la percezione che il tempo che la divideva dalla sua battaglia stesse diminuendo era sempre più forte.

 

Selma osservò Elasund fermare il suo cavallo nel cortile del palazzo. Le altre cavalcature si arrestarono permettendo ai militari di smontare.

Un paio di uomini costrinsero Svend e Bergljot a scendere dai cavalli con rudezza per poi spingerli, ancora legati, verso l'entrata.

La strega osservò il viso diafano e provato della giovane donna dai capelli neri.

Dall'aspetto avrebbe potuto essere la principessa ma lei sapeva che non era Sigrid.

Come sapeva che a breve avrebbe dovuto dire al sovrano chi era la giovane donna, decidendo per la sua vita o per la sua morte.  

Chiuse i pesanti tendaggi e si avviò alla porta per lasciare la sua stanza.

 

«L'hai vista?» chiese Elasund senza mezzi termini.

Era stanco ma aveva voluto parlare con Selma prima di cambiarsi e riposare.

«Ho visto il suo viso quando i tuoi uomini l'hanno scortata dentro al palazzo» si limitò a dire la donna.

Si avvicinò all'ampia finestra osservando oltre i vetri il manto della notte che era sceso a coprire il parco.

«È Sigrid?».

«No – disse lei – non è la principessa anche se le somiglia molto. Non è Sigrid ma ha un legame con te, qualcosa che la lega a questi luoghi».

«Se non è Sigrid chi può essere?».

La strega lo guardò senza commentare.

Elasund diede ordine a uno dei suoi uomini di scortare la prigioniera davanti a lui e a Selma.

 

Il militare diede una spinta a Bergljot che barcollò fermandosi davanti ad Elasund e alla donna accanto a lui.

Li osservò con fermezza nonostante il suo corpo fosse stremato dalla stanchezza e la sua anima divorata dal terrore dell'imminente morte.

Gli occhi blu della ragazza si posarono in quelli neri della strega.

Fermi e dignitosi.

Selma ebbe un attimo di smarrimento per la scossa che attraversò la sua anima.

Elasund se ne accorse.

«Allora?» chiese brutalmente.

«Falla riportare in cella» ordinò lei.

Il sovrano fece un cenno al militare che trascinò fuori dalla stanza la giovane.

Una volta rimasti soli, Elasund posò gli occhi sulla strega in attesa di un responso.

«Non è Sigrid – ribadì la strega osservandolo – ma è tua figlia!».

Lui guardò istintivamente la porta dalla quale era appena uscita la prigioniera.

«Non è possibile!» disse tornando ad osservare Selma.

«L'unica figlia che ho è Sigrid» confermò poi.

«Tua moglie aveva avuto un'altra bambina un anno prima di partorire Sigrid».

«Quella bambina è morta – riprese lui duro – l'ho fatta uccidere io stesso da uno dei miei uomini pochi giorni dopo la sua nascita!».

«Non è morta. Quella bambina è la tua prigioniera».

Scese il silenzio.

Elasund ripensò all'aspetto della prigioniera.

La prima volta che l'aveva vista aveva pensato immediatamente che fosse Sigrid.

Ripensò al giorno in cui era nata la sua prima figlia.

Non aveva permesso alla regina nemmeno di vederla, l'aveva presa e affidata a un servo.

Non le aveva nemmeno dato un nome, aveva solo dato l'ordine di sopprimerla immediatamente.

Il servo non aveva obbedito, aveva salvato la vita alla bambina.

«L'ha venduta» la voce di Selma lo riportò alla realtà.

Lui la guardò serio.

«Quel servo non ha ucciso la bimba perché ha trovato qualcuno che l'ha pagata. L'ha venduta convinto che in ogni caso sarebbe sparita dalla corte».

«Mi ha disobbedito!» disse lui furioso.

«Per lui era molto più vantaggioso venderla che ucciderla».

«Maledetto bastardo – inveì l'uomo – se non fosse già morto non esiterei a giustiziarlo immediatamente».

«La cosa non risolverebbe la situazione» riprese Selma dopo un lungo silenzio.

Il sovrano osservò oltre i vetri la notte senza luna.

«E Sigrid?» chiese poi a bassa voce.

«Sigrid arriverà – rispose convinta la strega – il legame con l'unicorno non si è ancora spezzato. È solo questione di tempo. Bisogna solo aspettare, arriverà a palazzo. Ora, però, devi decidere cosa fare dell'altra figlia».

Lui sospirò.

«La prima cosa che devo fare è riposarmi – sussurrò stancamente – domani deciderò il suo destino».