Capitolo XIII. Mermaids

 

Stig scivolò silenziosamente per i corridoi.

Il collegio era immerso nel sonno.

Giunse davanti alla porta di Hella senza essere notato da nessuno.

Bussò dolcemente e rimase in attesa.

La ragazza aprì dopo un lungo tempo.

«Stig?» chiese sorpresa.

«Fammi entrare» sussurrò lui.

Lei aprì la porta istintivamente e lo fece passare per poi chiuderla di nuovo.

«Sei impazzito – lo rimproverò a bassa voce – sai che succede se ti trovano qui?».

«Non mi interessa» disse lui baciandola senza permetterle di replicare ancora.

«È troppo rischioso» sussurrò la ragazza mentre Stig cominciava a spogliarla.

«Non mi interessa della punizione» disse lui spingendola sul letto.

Hella lo lasciò fare senza opporre resistenza.

Le mani di lui accendevano una passione alla quale non riusciva a resistere.

Si lasciò andare tra le braccia del ragazzo rispondendo ai suoi baci.

Stig non aveva alcuna intenzione di privarsi della sua vendetta solo per una stupida punizione.

La sentì gemere di piacere.

La sua eccitazione si intensificò al pensiero che stava tradendo Sigrid con la sua migliore amica.

Pensò al dolore che avrebbe provato nel sapere quello che stava accadendo.

Grosse nuvole coprivano la luna facendo filtrare una pallida luce nella stanza.

 

Aghata si svegliò di colpo.

Si sedette sul letto.

Ansimava.

Probabilmente aveva avuto un incubo.

Aveva sognato Sigrid.

Non ricordava il sogno ma le sensazioni di angoscia e paura erano ancora presenti e appiccicate alla sua anima.

Cercò di dominare la paura che insensatamente la faceva sentire immersa in un oblio.

Con fatica riuscì a dominare il respiro fino a riportarlo a un ritmo regolare.

Quando ebbe riacquistato un minimo di controllo si alzò e si diresse alla finestra.

Oltre i vetri la notte era scura e la luna era nascosta da grosse nuvole cariche di acqua che ne filtravano la luce rendendola debole e pallida.

Il parco del castello era silenzioso e profondamente addormentato.

 

Elasund si lasciò cadere sul letto.

Era particolarmente stanco, come se il viaggio appena concluso fosse per lui un'impresa notevolmente al di sopra delle sue possibilità.

Il suo corpo cominciava a invecchiare e ad avere difficoltà a resistere in situazioni estreme e pesanti come una campagna militare.

Aveva molte primavere sulle sue spalle ormai e la vita condotta fino a quel momento non era stata certo quella di una persona che si era preoccupata di avere cura del proprio corpo.

Aveva sempre bevuto in abbondanza, non si era risparmiato nelle imprese sessuali ma, soprattutto, aveva combattuto per anni in sanguinose battaglie e guerre fratricide che avevano provato il suo fisico.

Non era facile per lui accettare l'idea che il corpo lo stava lentamente abbandonando, che non avrebbe più potuto contare sulla sua prestanza fisica che cominciava a venire meno.

Aveva cominciato a pensare alla sua morte, alla fine della sua vita e si rendeva conto, di giorno in giorno, che era molto più vicina di quanto potesse aspettarsi.

Scivolò pesantemente nel sonno accompagnato da pensieri nefasti che non lo volevano abbandonare mentre la pallida luce argentea della luna entrava dalla vetrata.

 

Hrafnhildur fu scosso da un brivido.

Una debole luce lattiginosa penetrava dalla piccola finestra gettandosi attraverso le sbarre nella gabbia.

L'unicorno non aprì gli occhi.

Era troppo stanco e debole.

La ferita continuava a sanguinare e il sangue che ne usciva si dissolveva all'aria come assorbito da una misteriosa magia.

Percepiva che Sigrid avrebbe dovuto affrontare un'altra prova.

Una nuova minaccia incombeva su di lei.

Predispose il suo animo in attesa di sentire il dolore e la paura della ragazza.

Avrebbe voluto avvisarla, se solo avesse potuto raggiungerla in qualche modo, prepararla alla nuova battaglia che la attendeva.

Ma sapeva che non poteva fare nulla.

Sigrid avrebbe dovuto affrontare quell'ennesima prova completamente sola.

Cercò di prendere sonno ma il suo corpo, ormai, era in attesa di assorbire le emozioni della principessa e la tensione non gli avrebbe permesso di riposare.

Le poche energie che ancora possedeva sarebbero state concentrare solamente sul suo spirito legato indissolubilmente a quello di Sigrid.

 

Bergljot appoggiò la schiena alla fredda pietra.

Avevano sciolto le corde ai polsi ma l'avevano relegata in una cella in un qualche punto di quell'immenso e inquietante palazzo.

L'avevano separata da Svend nel momento in cui avevano varcato la soglia del castello.

Lei era stata portata nelle segrete e lui era stato trattenuto dai militari.

Non sapeva che cosa fosse accaduto al comandante e si sentiva sola e abbandonata.

Il freddo era insopportabile, le era penetrato nella carne e si era ormai attaccato alle ossa.

Si rannicchiò sotto le numerose coperte che le avevano lasciato nella cella.

Una cosa che solitamente ai prigionieri non spettava ma, dopo che quella strana donna l'aveva osservata, l'avevano riportata in cella e uno dei militari era uscito per poi tornare con alcune coperte che aveva gettato sul giaciglio.

Nessuno le aveva rivolto la parola.

Non la guardavano neppure.

Era trattata come un animale o un oggetto, di nessun interesse e probabilmente totalmente inutile.

Le coperte le avevano concesso un minimo di calore contro il gelo che attanagliava quel luogo ma il terrore per il suo destino non la abbandonava un istante.

Sentiva la mancanza di Svend.

Da quando li avevano separati si era sentita inesorabilmente finita.

Nessuno, ormai, avrebbe più potuto sottrarla al suo destino di morte.

 

Sigrid fu svegliata da un lamento.

Mancava ancora qualche ora all'alba e l'aria della notte era umida.

La foresta era silenziosa e fredda.

Non aveva riposato.

Non rammentava i suoi sogni ma l'avevano lasciata spossata privandola anche di quelle poche ore di riposo di cui avrebbe avuto necessità per riprendere il viaggio.

Sospirò, stanca.

Al suo fianco Wilelm dopo ore di veglia aveva ceduto alla stanchezza e si era addormentato.

Stava vivendo un sonno profondo e agitato.

Si muoveva lamentandosi.

Nonostante l'aria umida e il gelo della notte la fronte di lui era imperlata di sudore e il viso era pallido.

Sigrid si avvicinò tentando di svegliarlo.

Lui si mosse di scatto un paio di volte.

Lei gli appoggiò una mano sul petto.

D'improvviso il braccio di Jerome si mosse dandole un colpo che la scaraventò contro il tronco dell'albero a pochi passi da loro.

La ragazza non riuscì a reprimere un urlo soffocato che svegliò l'uomo di colpo.

Jerome si sedette ansimando.

Impiegò qualche istante prima di accorgersi che Sigrid era immobile contro il tronco e si teneva la spalla per il dolore.

Gli occhi neri di lui si dilatarono per lo spavento.

Si rese conto di averla colpita nel sonno.

Lei lo osservò.

«Volevo solo svegliarti – disse senza fiato – stavi vivendo un incubo».

«Mi dispiace» sussurrò lui prendendola tra le braccia.

«Stavo sognando – riprese senza lasciarla andare – non mi ero accorto che fossi accanto a me».

Sigrid riprese lentamente a respirare con regolarità.

«Doveva essere un sogno terribile – disse poi – per reagire con tanta violenza».

Lui non commentò.

«Mi dispiace» ripeté infine.

Stava sognando Ingrid.

Non i periodi felici vissuti con lei ma la parte peggiore del loro rapporto, il tradimento e l'inganno, la parte della storia che lo aveva logorato e quasi ucciso, che anche a distanza di anni lo stava ancora tormentando.

 

Un sole pallido e malato si affacciò al mondo annunciando la nascita di un nuovo giorno.

Svend appoggiò le mani aperte contro il muro ricoperto di muffa e umidità della cella dove era stato rinchiuso.

Non sapeva dove avevano portato Bergljot.

Sapeva che Elasund l'avrebbe giustiziata e sapeva che il tempo a disposizione per tirarla fuori da quella situazione stava diminuendo.

Osservò il debole chiarore che stava tingendo la fredda alba attraverso la grata.

Sospirò profondamente.

Doveva trovare un modo per uscire da quel luogo.

F ino a che fosse stato chiuso in cella non avrebbe potuto fare nulla, nemmeno volendo.

Si sedette sullo scomodo giaciglio cercando di pensare.

La vista si stava appannando per la stanchezza e la sua mente non era completamente lucida.

Avrebbe dovuto dormire almeno qualche ora, se voleva trovare una soluzione.

Più si ostinava a non dormire più la sua lucidità diminuiva non permettendogli di pensare serenamente.

Si stese e si lasciò andare cercando di rilassare i muscoli.

S e non riusciva a dormire avrebbe almeno potuto riposare il corpo.

Si passò una mano sul viso ma la sua mente era fissa sull'immagine di Bergljot che veniva trascinata lontano da due guardie e spariva nei sotterranei del castello.

 

Il sole non era ancora completamente nato ma Sigrid e Jerome erano già pronti per la partenza.

Il silenzio della foresta ancora addormentata era denso.

In lontananza si sentiva il rumore del mare agitato.

Un odore di salsedine e acqua si spandeva mischiato all'umidità del mattino.

Sigrid accarezzò il suo cavallo rabbonendolo prima di montare.

Si stava apprestando a salire quando un debole rumore attirò la sua attenzione.

Un flebile canto stava giungendo dal mare.

Una delicata voce femminile stava cantando in lontananza.

Il canto suadente e dolce si spandeva nell'aria sciogliendo il silenzio che circondava i due.

Sigrid si guardò intorno accorgendosi che Wilelm sembrava immobile, incapace di montare sul suo cavallo.

Lo chiamò cercando di destare la sua attenzione, m a l'uomo non pareva intenzionato a muoversi.

La ragazza lasciò il suo cavallo per avvicinarsi al professore.

«Wilelm» lo chiamò di nuovo.

Gli occhi neri di Jerome si posarono su di lei ma senza vederla.

Il suo pensiero e la sua attenzione erano incatenate al canto che giungeva dal mare.

Sigrid lo afferrò per le braccia scuotendolo.

«Wilelm» chiamò.

Il canto si fece più chiaro.

Una melodia dolce e suadente, accompagnata dal suono di un'arpa, vibrava nell'aria come cristallo.

Erano Mermaids.

Nessun uomo era in grado di resistere al richiamo delle sirene.

L'incanto della loro voce li privava di ogni volontà per attirarli e farli rovinare nelle acque profonde dei mari del Nord.

«Accidenti – sussurrò la ragazza – era più facile quando eri un professore austero e inflessibile!».

Lui si sciolse dolcemente dalla presa di lei e si incamminò verso il canto che non cessava.

«Dannazione» sibilò Sigrid.

Lo rincorse afferrandolo di nuovo per le braccia.

«Fermati – gli intimò – non puoi seguire questo canto».

Lui si liberò di nuovo continuando ad allontanarsi.

«È un inganno» lo implorò lei.

Lo bloccò ancora fissando gli occhi blu in quelli di lui che sembravano non vederla.

«Finirai inghiottito dal mare – lo scosse – sono sirene, vogliono farti annegare».

Lui si liberò un'altra volta e si voltò per proseguire la sua strada.

Sigrid lo superò parandosi davanti.

Lo spintonò con violenza facendogli perdere l'equilibrio.

Lui cadde seduto sbattendo la schiena contro un albero.

Lei si avventò su di lui sedendosi sulle sue gambe in modo che non si potesse muovere.

Gli occhi neri di Wilelm la guardarono senza interesse per poi spostarsi in direzione del canto che non accennava a finire.

Lei gli bloccò le spalle contro il tronco.

«Ti stanno attirando in una trappola» gli disse con forza.

Lui la guardò di nuovo senza vederla.

Sigrid posò le sue labbra sulla bocca di lui cominciando a baciarlo con dolcezza.

Wilelm si irrigidì colto di sorpresa.

Lentamente la voce che lo stava incantando cominciò a diventare debole fino a svanire completamente e lasciare il posto al sapore delle labbra di Sigrid.

Il lungo dolce bacio della ragazza lo strappò dalla magia che lo aveva incatenato.

Il canto delle sirene sparì completamente e lui cominciò a ricambiare il bacio di lei con intensità.

La avvolse in un abbraccio.

Lei si staccò dolcemente senza allontanarsi.

«Senti ancora il canto delle sirene?» chiese sottovoce.

«Quale canto?».

 

Selma si sedette.

«Cosa intendi fare?» chiese.

Elasund si alzò dalla sua scrivania e si fermò davanti alla finestra.

«La farò uccidere».

«Pensi che sia la giusta soluzione?».

«Quella bastarda non mi serve – disse lui duro – avrebbe dovuto morire anni fa».

«Va bene – disse lei senza scomporsi – se pensi che sia solo un fastidio uccidila pure».

«E del comandante cosa intendi farne?» chiese di nuovo la donna dopo un lungo silenzio.

«Di lui non lo so ancora – sospirò il sovrano – quell'idiota si è giocato una promettente carriera per una femmina. Intendo dargli una punizione esemplare».

«Hai mai pensato che il comportamento del tuo comandante possa avere delle conseguenze?».

«Cosa intendi dire?» si incuriosì l'uomo.

«Dovrai uccidere anche lui – riprese Selma tranquilla – altrimenti potrebbe creare un precedente perché i tuoi uomini prima o poi si sentano autorizzati a tradire la tua fiducia. Sai che questo potrebbe portare conseguenze pesanti sulla tua capacità di governare».

«Non dire sciocchezze!».

«Stai perdendo il tuo potere» lo provocò lei.

Lui si avvicinò alla donna minaccioso.

La afferrò per i polsi, la costrinse ad alzarsi dalla sedia e la spinse contro il pesante tavolo.

«Non sopporto che si metta in dubbio il mio potere!» le sibilò in viso.

Gli occhi di Selma divennero rossi e minacciosi.

«Io posso fare tutto» sussurrò con odio.

«Non sfidare le mie ire!» disse lui stringendole con forza i polsi.

Gli occhi di Selma lo penetrarono come fossero state lame incandescenti.

«Io posso fare tutto» ripeté di nuovo la donna con astio.

Lui gravò su di lei con tutto il suo peso storcendole le braccia fino a farle male.

«Sono io che posso fare tutto» concluse poi con rabbia.

 

Svend richiamò l'attenzione della guardia che era fuori dalla sua cella.

«Che succede?» chiese il militare osservando attraverso la grata nella pesante porta di metallo.

«Mi sono ferito – mentì Svend – ho bisogno di aiuto».

«Dovevi stare più attento» rispose la guardia infastidita.

«Non credo che il sovrano sarà contento della tua reazione» insinuò il comandante.

«Non è mio compito occuparmi della sbadataggine dei prigionieri» riprese l'altro piccato.

«Se dovessi peggiorare – disse debolmente Svend – magari morire».

«Tanto quello è il tuo destino» insistette la guardia.

«Ma sei così sicuro che il sovrano non resti infastidito della mia morte?».

«Tanto – la bocca del militare si storse in un ghigno – ti ucciderebbe lui per quello che hai fatto».

«Io conosco Elasund da molti anni più di te. Se c'è una cosa che lo ha sempre fatto imbestialire è che qualcuno gli uccidesse un prigioniero togliendogli il divertimento».

«Ma – tentennò il soldato – io non ti ho ucciso, sei solo ferito».

«Ma se io morissi». Svend lasciò la frase in sospeso.

Il viso della guardia si dipinse di preoccupazione.

Se il prigioniero fosse morto Elasund lo avrebbe potuto accusare di non aver badato a lui.

Le conseguenze sarebbero state imprevedibili.

Elasund avrebbe rovesciato la colpa proprio su di lui per la morte prematura del prigioniero, per avergli sottratto il piacere di ucciderlo lui stesso.

La punizione sarebbe stata sicuramente terribile.

«Fammi vedere la ferita» ordinò a Svend attraverso la grata.

Questi si rannicchiò in un angolo della cella e non rispose.

«Avanti – intimò l'altro – fammi vedere questa ferita, voglio sapere quanto è grave».

Svend non rispose e non si mosse dalla sua posizione.

La guardia ci pensò qualche istante poi si decise ad aprire la porta della cella ed entrare.

«Allora!» intimò al prigioniero.

Svend si alzò velocemente.

Colpì la guardia nello stomaco prima e in viso poi.

Il militare non ebbe il tempo di reagire e cadde a terra svenuto.

Il comandante prese le chiavi e le armi dell'uomo per poi uscire velocemente dalla cella chiudendo a chiave la porta.

Si incamminò per i corridoi delle segrete in quel momento completamente deserti.

 

Bergljot fu prelevata dalla cella e portata in una delle stanze del palazzo.

Una guardia l'aveva brutalmente spinta nella stanza e se ne era andata chiudendo la porta a chiave.

Era trascorso un tempo che non avrebbe saputo quantificare.

Una grande vetrata si affacciava sul parco del palazzo in quel momento inondato dalla pallida luce del pomeriggio.

La porta si aprì e Selma comparve.

Qualcuno dall'esterno chiuse di nuovo la porta a chiave.

La strega si avvicinò alla ragazza osservandola.

Bergljot sostenne il suo sguardo con fermezza ma i suoi occhi blu erano colmi di paura.

«Così sei la principessa» disse piano.

«Io non sono una principessa» si oppose la giovane in piedi davanti alla strega.

Selma scrutò con attenzione gli occhi blu e i lunghi capelli neri, p er poi passare a osservare ogni curva del corpo di lei avvolto da un abito usurato e troppo leggero per quelle regioni.

«Come ti chiami?» chiese.

«Bergljot».

«Sai di essere la figlia del sovrano?».

«Vi siete sbagliati – si oppose di nuovo la ragazza – io non sono la principessa».

«Elasund ha deciso di ucciderti» disse la strega senza mezzi termini.

Gli occhi di Bergljot si riempirono di paura ma non si mosse.

Selma si avvicinò ulteriormente a lei e le passò una mano sui capelli.

«Io non sono molto d'accordo – disse con tono soave – penso che sia un peccato sopprimere una creatura tanto bella».

Le accarezzò il viso e il collo.

Bergljot si irrigidì incapace di prevedere le mosse della donna.

Selma si mosse di nuovo e si fermò alle spalle della ragazza.

Le posò una mano delicatamente sul collo e la fece scivolare sulla spalla.

Bergljot percepì il viso di Selma che si avvicinava al suo.

La bocca di Selma si spostò sull'orecchio.

«Io potrei convincere il sovrano a modificare i suoi piani» sussurrò.

La ragazza si irrigidì mentre una strana sensazione di benessere cominciò a diffondersi dentro di lei.

«Se io parlo con Elasund posso convincerlo a non ucciderti» continuò la strega con voce suadente.

Il potere di persuasione di Selma si impadronì dolcemente della volontà della giovane.

«Naturalmente – riprese la strega con voce bassa – tu dovrai darmi qualcosa in cambio».

Bergljot la guardò distrattamente come incapace di sciogliersi dalla catena mentale che la faceva sentire protetta e al sicuro accanto a quella strana donna.

«E cosa dovrei darti in cambio?» chiese con voce neutra.

«Potrei aver bisogno di te».

La ragazza la guardò senza apprensione.

«Sigrid – riprese la donna – l'altra figlia del sovrano, tua sorella, sta arrivando a corte. Io ritengo che le Terre del Nord debbano avere una sola principessa e una sola regina».

Bergljot la guardò di nuovo senza capire.

«Elasund è vecchio – disse di nuovo Selma – e presto dovrà passare a un erede il suo potere ma lui di eredi maschi non ne ha. Ha solo te e Sigrid».

Gli occhi blu della ragazza si accesero di interesse.

«Vedo che mi comprendi – sorrise la strega – io convinco il sovrano a risparmiarti la vita e una volta eliminata Sigrid tu resterai l'unica legittima erede di queste terre».

Un lampo di curiosità attraversò lo sguardo di Bergljot.

«E io cosa dovrei fare in cambio?» chiese tranquilla.

«Quello lo saprai a tempo debito – concluse Selma – ora voglio il tuo impegno nei miei confronti. Devo essere sicura di poter contare su di te. Il tuo premio sarà tutto questo immenso regno».

Bergljot la guardò e annuì piegando la bocca in un sorriso.