Capitolo XV. Knut
Gli occhi vacui dell'unicorno osservarono Selma in piedi sulla porta della gabbia.
«Dannato animale» sibilò la strega osservando il manto candido ormai opaco e insozzato dal sangue rappreso.
«Non ti permetterò di morire fino a quando Sigrid avrà messo piede in questo palazzo».
Hrafnhildur percepiva che Sigrid era ormai vicina.
Non mancava molto prima che raggiungesse la corte e lui non era ancora riuscito a morire e spezzare il loro legame.
Ormai sapeva che era troppo tardi.
F osse anche riuscito a spirare in quelle poche ore il suo sacrificio non avrebbe potuto fermare il fato.
Sigrid sarebbe giunta a corte e avrebbe dovuto affrontare la sua ultima battaglia.
Avrebbe dovuto affrontare il suo passato e il suo destino.
Gli occhi stanchi e fondi della strega non si staccavano dall'animale abbandonato sul fondo della gabbia, quasi completamente privo di forza vitale, incapace di reagire e muoversi.
La donna alzò il braccio brandendo un pugnale con l'intento di infliggere all'unicorno un altro colpo.
Gli occhi blu di Hrafnhildur si fissarono in quelli rosso fuoco della donna.
Un dolore acuto e insopportabile colse di sorpresa Selma che lasciò cadere il coltello.
Il tintinnio della lama che rimbalzava sul terreno echeggiò nell'aria.
L'attacco di emicrania improvviso aveva lasciato la strega senza fiato.
Si portò le mani alle tempie che percepiva pulsare come trafitte da stiletti.
Cadde in ginocchio vinta dal dolore.
Gli occhi pacati dell'animale la osservavano impassibili.
La parete di roccia appariva insormontabile.
L'unico passaggio sembrava essere l'apertura che si affacciava su un'inquietante oscurità.
I due cavalli si avvicinavano lentamente.
I fiocchi di neve turbinavano intorno a loro spinti da un vento gelido che pareva provenire proprio dall'interno del passaggio.
Sigrid rabbrividì stringendosi nel mantello.
Jerome fermò la cavalcatura davanti all'entrata, imitato dalla principessa.
«La parete dovrebbe essere molto profonda – disse l'uomo – potremmo dover attraversare una galleria molto lunga, vado prima io, tu seguimi».
La ragazza annuì senza commentare.
Il professore indirizzò il suo cavallo verso l'apertura.
L'animale era recalcitrante, nitriva contrariato e diffidente.
Sigrid, a sua volta, dovette rabbonire anche il suo cavallo perché innervosito dal comportamento dell'altro.
«Sentono un pericolo» disse.
«Potrebbero essere semplicemente nervosi per la galleria» commentò lui tentando di tenere tranquillo il cavallo.
«Wilelm, lo sento anch'io» disse lei decisa.
«Che genere di pericolo avverti?» si allarmò lui guardandola.
«Non te lo so dire – sussurrò la ragazza – un'ansia inspiegabile mi rende inquieta».
«Sigrid – continuò lui – sai che non possiamo fermarci qui. Oltre questa parete ci sono le terre che portano alla corte del Nord e questo è l'unico passaggio. Dobbiamo per forza procedere».
«Allora andiamo» concluse lei determinata.
Bergljot si osservò nella grande specchiera.
Osservò la sua figura avvolta dall'abito di tessuto prezioso che aveva indossato.
Era la prima volta che poteva indossare un abito tanto bello.
La famiglia in cui era cresciuta era una famiglia di contadini e la miseria era l'unico futuro che aveva immaginato per sé fino a quel momento.
In fondo se realmente era la figlia legittima di quel sovrano trovava anche giusto il fatto di poter condurre una vita agiata senza doversi spezzare la schiena nei campi dall'alba fino al tramonto, invecchiando prima del tempo e finendo i suoi giorni con notevole anticipo.
Il futuro che aveva sempre pensato di dover vivere era fatto di lavoro, fatica e fame, magari con tanti bambini da dover crescere tra mille difficoltà.
Osservò nuovamente la sua immagine riflessa per poi spostare lo sguardo verso l'ampia finestra aperta sul pallido sole di quella mattina.
Lasciò lo specchio per recarsi sulla terrazza.
L'aria del mattino era fresca e frizzante, sembrava che in quelle regioni veramente l'estate fosse una stagione inesistente.
I suoi occhi blu si posarono sul parco sottostante, sugli alberi e sul prato anemico.
Anche la vegetazione risentiva del clima impietoso di quei luoghi.
Pensò a Svend.
Selma le aveva detto che era riuscito a fuggire dalle segrete.
Per qualche istante Bergljot aveva sperato che lo avesse fatto per poterla liberare da quella prigionia ma erano trascorsi giorni ormai e il comandante non aveva dato alcuna notizia.
Probabilmente Selma aveva ragione, non era fuggito per liberarla come voleva illudersi ma per salvare la propria vita e, ormai, era lontano e in salvo completamente dimentico del fatto che Bergljot era ancora prigioniera a palazzo.
Lei aveva pianto.
Si era illusa che lui fosse convinto della sua morte, sarebbe stata una giustificazione per non tornare.
Aveva sofferto e, infine, si era arresa.
Lui sapeva che lei era ancora in vita e non era tornato, non aveva nemmeno tentato di liberarla, l'aveva lasciata nelle mani del sovrano ad affrontare il proprio destino completamente sola.
Selma era stata premurosa e aveva cercato di farle capire che, probabilmente, lui aveva avuto il suo corpo e per un uomo poteva essere sufficiente.
I l fatto che avessero fatto l'amore non significava necessariamente che lui provasse sentimenti nei suoi confronti.
Quando un uomo otteneva il corpo di una donna aveva raggiunto il suo scopo, i sentimenti o l'amore erano solamente illusioni che le giovani donne si creavano per potersi convincere di non essere state raggirate o usate solo per divertimento.
Era stato per lei difficile accettare di essere stata solamente un sollazzo per Svend.
Era convinta che lui l'amasse, era veramente convinta che provasse sentimenti sinceri nei suoi confronti ma la sua fuga e la sua sparizione erano state una conferma fin troppo reale.
Aveva dovuto prendere coscienza della verità, Svend era come tutti gli altri uomini, si era divertito con lei e in quella situazione di pericolo e sofferenza l'aveva lasciata sola pensando solamente alla propria salvezza.
Era fuggito come il peggiore dei vigliacchi.
Grosse nuvole stavano coprendo il sole pallido e debole.
Erano scure e minacciose.
Avrebbe nevicato di nuovo.
La giovane rabbrividì ed entrò nella stanza chiudendo i vetri per lasciare fuori il freddo.
La galleria sembrava infinita.
Non si riusciva a vedere nemmeno in lontananza una debole luce che potesse avvertire della sua conclusione.
I loro occhi si erano abituati con difficoltà al buio e i cavalli procedevano nervosi e con lentezza.
Wilelm di tanto in tanto si voltava per guardarsi alle spalle e accertarsi che Sigrid fosse dietro a lui.
Procedevano nel più assoluto silenzio.
Un silenzio spezzato solamente dagli sbuffi dei cavalli.
La principessa improvvisamente percepì una strana immobilità.
Il suo cavalo sbuffò nervoso e quello di Jerome gli fece eco.
Si sentiva osservata anche se aveva la percezione che la galleria fosse stretta, non più larga del passaggio di una sola persona a cavallo.
Avevano dovuto procedere uno davanti all'altra proprio perché la galleria era troppo angusta perché due persone avanzassero affiancate.
Procedettero lentamente per un lungo tratto.
Poi, in lontananza, intravidero uno spiraglio di luce.
Il percorso stava per concludersi.
Lo spiraglio di luce divenne sempre più ampio fino a diventare una vera e propria apertura ormai a poche decine di passi da loro.
La luce si gettava all'interno della galleria rischiarandola debolmente.
Avevano quasi raggiunto l'apertura quando Sigrid percepì uno sbuffo lungo e intenso.
Non erano i cavalli.
Ebbe la sensazione che ci fosse qualche altra creatura che li osservava.
«C'è qualcosa» disse allarmata richiamando l'attenzione di Jerome.
Una serie di sbuffi possenti si susseguirono costringendoli a fermare le cavalcature.
Gli animali erano nervosi e irrequieti.
Jerome si guardò intorno cercando di farsi aiutare dalla debole luce che filtrava dal fondo della galleria.
L'ultimo tratto che stavano percorrendo non era angusto come il precedente.
Il cunicolo si era trasformato in una caverna.
La terra tremò mentre gli sbuffi si facevano più intensi e profondi.
Jerome lottava per tenere a bada il suo cavallo mentre Sigrid incapace di tenere fermo il suo animale si guardava intorno nella speranza di intercettare la presenza.
Se non fossero riusciti a vederla avrebbe potuto eliminarli con facilità senza che nemmeno se ne accorgessero.
La terra tremò di nuovo come scossa da pesanti rocce che si muovevano.
«Oh, no» strillò Jerome accorgendosi per primo della creatura che si era avvicinata a loro.
Sigrid osservò a sua volta e vide un enorme drago che si stava piegando verso Wilelm.
Era immenso e sbuffava minaccioso anche se il suo aspetto era insolito o, almeno, differente da come si era sempre aspettata un drago.
Era completamente coperto di squame madreperlacee, tanto chiare da riflettere la poca luce che filtrava nella galleria e dalle enormi narici non sbuffava fumo caldo ma sembrava quasi soffiasse un vento gelido.
«Ma cos'è?» urlò la ragazza.
«Credo sia Knut, il drago di ghiaccio che protegge queste terre» rispose urlando a sua volta il professore.
«Avevi detto che era una leggenda» si lamentò lei.
«Ne ero stato convinto – sussurrò lui – fino a questo momento».
Knut continuò a sbuffare vento gelido in direzione di Jerome mentre l'uomo cercava di indietreggiare.
Il cavallo si impennava nervoso impossibile da controllare.
Infine disarcionò Jerome che cadde pesantemente sul terreno umido.
«Wilelm» urlò Sigrid.
L'enorme muso del drago si avvicinò a lui minaccioso.
Sigrid smontò velocemente da cavallo e raggiunse l'uomo ancora a terra.
Knut parve stupito di trovarsi un'altra presenza improvvisamente davanti al muso.
Soffiò con violenza il suo fiato gelato.
Sigrid lo guardò intensamente negli enormi occhi trasparenti e la creatura parve immobilizzarsi per un istante.
Lo sguardo della principessa lo aveva bloccato.
La osservò con curiosità e sbuffò con meno violenza.
Si avvicinò lentamente e parve annusarla.
Poi si sollevò in tutta la sua statura per scendere di nuovo e appoggiare la testa a terra davanti alla giovane.
Jerome lo guardò stupito mentre Sigrid si era immobilizzata per il terrore.
«Si è inchinato a te» sussurrò l'uomo.
La giovane guardò il professore poi tornò a osservare il drago che non si muoveva dalla sua posizione.
«Non è possibile» disse in un sussurro.
«Ti ha riconosciuto – continuò Jerome – ha riconosciuto che hai lo stesso sangue dei regnanti. Sei la padrona di queste terre per cui sei anche la sua padrona».
Gli occhi blu di Sigrid non riuscivano a staccarsi dall'immagine dell'enorme drago di ghiaccio.
«Lui – continuò il professore – ha il compito di proteggere questo regno dall'intrusione di sconosciuti ma avendo riconosciuto che sei la principessa si è prostrato ai tuoi piedi».
«Non è possibile» sussurrò di nuovo incredula la giovane.
Hrafnhildur sollevò con fatica il muso e i suoi occhi osservarono oltre le sbarre.
Il cielo del pomeriggio era coperto di nuvole cariche di neve.
Le fitte di dolore che attraversavano il suo corpo erano ormai una compagnia costante.
Si sentiva stanco e aveva voglia di morire.
Sapeva che la sua agonia non sarebbe durata ancora molto.
Con la sua morte le Forze Bianche non avrebbero avuto più un Signore e le Forze Oscure, guidate da Selma, avrebbero preso il sopravvento in quelle terre portando chissà quali sofferenze e barbarie.
Solamente Sigrid poteva impedire quel triste destino.
L'unicorno sarebbe morto ma se Sigrid fosse giunta alla corte anche la maledizione che incatenava la strega si sarebbe dissolta a meno che la principessa avesse ucciso per sempre Selma ponendo fine all'unica Signora che le Forze Oscure riconoscevano.
Grossi fiocchi di neve cominciarono a scendere dal cielo volteggiando tra le nuvole candide.
Presto una coltre bianca avrebbe coperto il parco del palazzo e le terre che lo circondavano.
Sigrid era giunta nelle Terre del Nord, questo Hrafnhildur lo sentiva chiaramente anche se le sue percezioni erano indebolite dalle sue condizioni fisiche.
I suoi occhi blu osservarono la neve che cominciava a diventare più fitta.
Poi, vinto dalla stanchezza, appoggiò nuovamente il muso sul pavimento della sua prigione nella quale ormai era abbandonato da mesi.
Selma si sentiva indebolire giorno dopo giorno.
I suoi occhi diventavano sempre più fondi e vacui.
Il filtro della veggenza era diventato una sorta di droga, non poteva più farne a meno ma su di lei non sortiva più alcun effetto.
Non le procurava visioni.
Aumentava la dose regolarmente ma il suo corpo ormai ne era completamente assuefatto.
I forti dolori al capo erano diventati cronici e non le davano tregua.
Era nervosa e intrattabile.
Elasund pretendeva risposte e lei aveva cominciato a mentire.
Sosteneva che Sigrid era ormai vicina alla corte ma non aveva la minima idea se fosse vero o meno.
Il sovrano non si fidava più di lei, aspettava solamente il momento opportuno per ucciderla.
Le aveva concesso di mantenere in vita quell'inutile ragazza e di sistemarla in una delle stanze del primo piano ma appena Sigrid fosse giunta a palazzo lui avrebbe potuto uccidere la strega che era diventata inutile e sopprimere anche quella ragazza che sarebbe stata solamente un peso.
Solo allora avrebbe potuto dedicarsi alla sua personale vendetta, la sua vendetta nei confronti di Sigrid, unica persona che era riuscita a ingannarlo e sfuggire alla sua ira per tanti anni.
Selma sospirò profondamente tentando di controllare il forte dolore che l'aveva nuovamente colta.
Si stava indebolendo troppo.
Una volta soppresso il sovrano e quel maledetto unicorno avrebbe potuto ricorrere alle Forze Oscure, di cui era Signora, per poter tornare forte e spietata come era stata un tempo.
Prima di potersi dedicare alla sua ascesa, però, doveva eliminare tutti quegli inutili esseri che la circondavano e che era stata costretta a sopportare per tanto tempo.
I suoi occhi neri osservarono oltre la vetrata che dava sulla terrazza.
Grossi fiocchi di neve turbinavano con violenza e parte del parco era già stato coperto da un candido manto.
Usciti dalla galleria Sigrid e Jerome trovarono una tempesta di neve che sferzava la foresta.
La principessa continuava a essere interdetta dall'incontro con Knut.
Non avrebbe mai pensato che un animale di una simile imponenza potesse prostrarsi ai piedi di un piccolo essere umano.
Ma il drago lo aveva fatto.
Si era comportato come se lei fosse la sovrana e lui un umile servitore.
Aveva permesso loro di procedere fino all'uscita della galleria senza muoversi e senza sbuffare.
Li aveva semplicemente seguiti con gli occhi trasparenti silenziosi e deferenti.
I due guidavano i cavalli in mezzo alla tempesta di neve nell'intento di attraversare la foresta prima che facesse buio.
Procedevano lentamente per la neve diventata ormai alta e per il vento che soffiava gelido e violento.
Jerome fece fermare il suo cavallo e Sigrid lo imitò tentando di calmare l'animale che montava.
«Dobbiamo trovare – disse Jerome a voce alta – un posto dove fermarci in attesa che smetta di nevicare».
Sigrid lo guardò intensamente, aveva difficoltà a distinguere le sue parole per il rumore della tempesta e del vento che frustava la vegetazione sopra di loro.
«I cavalli non ce la possono fare» disse di nuovo l'uomo.
Smontò dal suo animale e tentò di calmarlo accarezzandolo sul collo.
Si guardò intorno mentre anche la ragazza smontava e ammansiva il suo cavallo.
La visibilità era minima e la vegetazione della foresta fitta.
«Ma dove ci possiamo fermare per far riposare gli animali?» chiese Sigrid avvicinandosi a lui.
«Non lo so» sussurrò l'uomo continuando a osservare la foresta che li circondava.
Poi improvvisamente si immobilizzò.
Sigrid lo guardò in volto e aprì bocca per parlare ma Jerome posò la sua mano sulle labbra di lei impedendoglielo.
«Lo hai sentito?» chiese poi avvicinandosi al suo orecchio.
«È il rumore della tempesta» sussurrò lei.
«No – riprese il professore convinto – c'è qualcuno».
Non fece in tempo a finire la frase che la figura imponente di un uomo si era già avventata su di loro e aveva afferrato la principessa per la vita. La teneva stretta fra le braccia forti e le puntava un pugnale.
Jerome si mosse in direzione dello sconosciuto.
«Non muoverti!» ordinò Svend con voce grave.
Senza smettere di puntare la lama verso Sigrid le strappò il cappuccio con il quale si era riparata.
La vista degli occhi blu che lo fissavano con timore lo bloccò immediatamente.
«Bergljot» sussurrò interdetto.
Il momento di distrazione permise a Jerome di cogliere il comandante di sorpresa e avventarsi su di lui.
Ingaggiarono una lotta.
Jerome colpì Svend con violenza facendo scivolare il pugnale sul terreno.
L'arma affondò nella neve fresca.
Lo colpì nuovamente facendolo rovinare a terra e in breve gli fu addosso immobilizzandolo.
«Cosa diavolo vuoi?» chiese il professore minacciando l'altro con il pugno pronto a colpire.
«Sono Svend – disse questi sputando sangue dalla bocca ferita – ero il comandante dell'esercito di Elasund».
«Hai altre armi?» chiese Jerome senza lasciarlo andare.
«Avevo solo quel pugnale – ansimò l'altro – sono disarmato».
Jerome guardò Sigrid che li osservava con occhi ansiosi.
Il professore lasciò la presa e Svend poté liberarsi e alzarsi in piedi.
La neve continuava a scendere abbondante e il cielo cominciava a imbrunire.
Svend sputò nuovamente il sangue che continuava a uscire dal labbro rotto.
I suoi occhi chiari si posarono su Sigrid incapaci di staccarsi da lei.
«Bergljot» ripeté.
Jerome si avvicinò alla giovane dopo aver raccolto il pugnale.
«Non mi chiamo Bergljot» disse piano la principessa.
«Siete identica alla mia Bergljot» disse di nuovo lui come se seguisse pensieri solo suoi.
Poi improvvisamente osservò Jerome e di nuovo Sigrid.
«Allora siete Sigrid» sentenziò infine come se avesse risolto un complicato enigma.
La giovane annuì.
«Cosa vuoi da noi?» intervenne Jerome.
«Da voi niente – continuò Svend guardando il professore – non mi aspettavo di avere visitatori. Pensavo foste uomini di Elasund venuti a cercarmi».
«Invece siamo solo di passaggio – disse di nuovo Wilelm – siamo alla ricerca di un posto dove passare la notte».
Il comandante guardò l'uomo e poi la principessa.
«Non avrete intenzione di raggiungere il palazzo?» chiese allarmato.
I due non risposero.
«Non potete recarvi a palazzo – riprese – Elasund sta cercando la principessa da anni, se dovesse arrivare a palazzo rischierebbe la vita».
«Lo sappiamo – intervenne Sigrid – sappiamo che la mia vita è in pericolo ma io devo assolutamente raggiungere la corte e vedere il sovrano».
Svend osservò gli occhi blu della giovane, fermi e determinati, il suo volto identico a quello tanto amato di Bergljot.
«Se siete intenzionati ad arrivare a palazzo vi converrà agire domattina – disse infine – la tormenta di neve dovrebbe acquietarsi durante la notte».
Jerome guardò il cielo che diventava scuro sensibilmente.
«Dobbiamo trovare un posto dove riposare – disse rivolto alla principessa – domattina ci muoveremo prima che nasca il giorno».
«Se volete – intervenne il comandante – io in questi ultimi giorni ho trovato riparo in una piccola grotta naturale nel centro di questa foresta, non c'è molto spazio ma per una notte potrete ripararvi lì».
«Se fai parte dell'esercito di Elasund cosa ci fai in questa foresta?» chiese il professore diffidente.
Le labbra di Svend si piegarono in ghigno.
«Elasund non è molto disponibile ad accettare un tradimento – disse – sono fuggito qualche giorno fa delle segrete del palazzo e mi sono rifugiato qui in attesa di poter tornare al momento opportuno».
«Sei un traditore allora – commentò Jerome – e quale motivo hai per restare in queste terre? se Elasund è così crudele come dicono restare nei paraggi è un'incoscienza».
«Te l'ho detto – concluse il comandante – devo tornare a palazzo al momento opportuno».
Sigrid e Jerome lo guardarono.
«Seguitemi – disse infine l'uomo – la grotta dove possiamo ripararci non è lontana».
Si incamminò sotto la neve che continuava a scendere abbondante.
Sigrid guardò Wilelm negli occhi in attesa di un cenno.
«Andiamo – disse questi – non posso farti dormire all'aperto con questo tempo».
La ragazza cominciò a camminare seguita dal professore.
«Perché devi tornare a palazzo?» chiese poi a Svend.
Lui si voltò e la osservò sorridendo.
«Ho lasciato una faccenda in sospeso – concluse – devo tornare a prendermi qualcosa di mio!».
L'oscurità era scesa e si era posata sulla foresta.
La neve continuava a cadere ma il vento si era calmato lasciando le regioni del Nord avvolte solamente dalla candida coltre silenziosa.