Capitolo XVI. Sangue
Come previsto da Svend la neve aveva smesso di cadere durante la notte.
Si erano svegliati prima che il giorno nascesse e si erano incamminati per raggiungere il palazzo.
Avevano lasciato la foresta che il sole non era ancora sorto e si erano addentrati nella landa desolata.
Un'immensa distesa completamente deserta e ricoperta dalla neve ancora fresca.
La sera precedente, una volta raggiunto il riparo con il comandante, Svend aveva raccontato loro le ultime vicende e la cattura di Bergljot da parte di Elasund.
La scoperta di avere anche una sorella aveva profondamente sconvolto Sigrid.
Prima di dormire la notte precedente Sigrid e Wilelm avevano avuto una violenta discussione.
Il professore non era riuscito ad accettare la scelta della principessa di presentarsi a palazzo completamente sola.
Avevano dovuto constatare di essere in netto svantaggio nei confronti del sovrano.
Loro stavano invadendo la sua corte, non erano armati a eccezione di un paio di pugnali mentre Elasund disponeva di un forte esercito.
La principessa aveva proposto di procedere fino ad un certo punto tutti e tre insieme e di separarsi poi, lei avrebbe raggiunto la corte e si sarebbe presentata al sovrano mentre loro si sarebbero introdotti nel palazzo senza farsi scoprire.
Svend conosceva ogni anfratto della corte e sapeva come muoversi per entrare evitando ogni sorveglianza, avrebbero potuto liberare Bergljot dalla sua prigionia e raggiungere poi Sigrid cogliendo di sorpresa Elasund.
Wilelm era molto preoccupato per la decisione che Sigrid aveva preso.
Se si fosse allontanata troppo per l'uomo sarebbe stato difficile intervenire in tempo in caso di pericolo.
Sigrid aveva lasciato il suo cavallo a Svend e cavalcava su quello di Jerome insieme a lui.
Il professore aveva un'espressione contrariata e preoccupata ma sapeva che tentare di far cambiare idea alla ragazza sarebbe stata impresa vana.
Il sole era già alto e gettava la sua luce pallida sulla distesa candida.
Un vento gelido soffiava impietoso.
«Fermiamoci qui» annunciò Svend fermando la sua cavalcatura.
«Oltre sarebbe rischioso – concluse – potremmo essere intercettati dalle guardie».
Jerome fermò il cavallo di malavoglia.
«Da qui – continuò il comandante indicando a Sigrid un punto davanti a loro – potrete procedere a piedi, sarà un po' lunga ma vi porterà dritta davanti al palazzo di Elasund».
Sigrid si apprestò a scendere dal cavallo ma le braccia del professore la circondarono fermandola.
Lei si voltò osservandolo.
Sembrava molto tranquilla.
«Sei sicura di ciò che stai facendo?» chiese lui a bassa voce.
Lei annuì.
«Una volta che anche voi sarete nel palazzo – disse – e avrete liberato Bergljot non vi sarà difficile raggiungermi».
«Potrebbe essere troppo tardi» sussurrò lui in ansia.
«Io procederò a piedi e voi a cavallo, arriverete con un netto anticipo su di me. Quando avrò varcato la porta del palazzo probabilmente voi avrete già fatto tutto e sarete pronti a raggiungermi se ne avessi bisogno».
«Elasund potrebbe ucciderti appena entrata».
«Non lo farà» intervenne Svend.
«Ha ragione – riprese la principessa – Elasund mi sta cercando da troppo tempo, prima di uccidermi dovrà chiudere ogni conto aperto con me, non avrà fretta di eliminarmi e voi avrete tutto il tempo per intervenire».
«Sai che se ci allontaniamo troppo l'incantesimo non avrà più potere» disse ancora il professore con un filo di voce.
«Io non potrò essere la tua protezione se sei troppo distante».
Sigrid posò la sua mano sul braccio dell'uomo e sorrise.
«Prima o poi dovrai smettere di proteggermi – disse – dovrò affrontare il mio destino. Non posso vivere nascosta per il resto dei miei giorni. È arrivato il momento di affrontare mio padre».
Detto ciò scese velocemente da cavallo e si incamminò.
Jerome rimase immobile a guardare la figura della ragazza.
Il mantello era frustato dal vento gelido e la sua andatura era rallentata dalla neve nella quale affondava fino quasi al ginocchio.
«Dobbiamo andare» la voce di Svend richiamò la sua attenzione.
«Non abbiamo tempo da perdere» concluse il comandante spronando il suo cavallo.
Wilelm gettò un'ultima occhiata a Sigrid che si allontanava.
Poi imitò il comandante lanciando anche la sua cavalcatura al galoppo nella neve.
Hrafnhildur sollevò il muso verso il sole malato che filtrava attraverso le sbarre.
Ormai erano gli ultimi momenti della sua esistenza.
Sentiva che la vita lo stava abbandonando.
Sigrid era vicina ormai, lo sapeva, sentiva il suo spirito ma, soprattutto, sentiva la sua paura.
Selma si alzò in piedi di scatto.
Osservò oltre la vetrata della stanza.
Le cime degli alberi erano sferzate da un vento violento e freddo.
Sentiva la vicinanza di Sigrid.
L'incantesimo che l'aveva protetta fino a quel momento si stava indebolendo.
Cominciava a sentire la sua presenza in modo sempre più forte.
Sarebbe giunta a corte.
E sarebbe arrivata entro breve tempo.
Bergljot si sedette di colpo ansimando.
Le pesanti coperte del letto erano in disordine.
Aveva avuto un incubo.
Non rammentava cosa avesse sognato ma la sensazione di angoscia era ancora viva dentro di lei.
Sentiva l'agitazione di Selma, legata a lei ormai da un filo invisibile.
Sentiva un'inquietudine che non era in grado di spiegare.
La sensazione che qualcosa di ineluttabile sarebbe capitato entro breve.
Svend e Jerome avevano lasciato i cavalli a distanza e si stavano addentrando in una sorta di piccola foresta che circondava una delle ali del palazzo opposta a quella frontale.
«Sei sicuro di conoscere questo luogo?» chiese Jerome sottovoce.
Il comandante indicò un punto nella folta e intricata vegetazione che si arrampicava sulle alte mura.
«Non preoccuparti – disse – conosco questa corte meglio di chiunque altro. Oltre quei rami c'è un'apertura nella roccia che ci porterà direttamente alle segrete».
«È lì che si trova Bergljot?».
«Non ne ho idea» disse l'altro infilandosi tra i rami.
«Come non ne hai idea?».
Jerome lo seguì e nel giro di poco scivolarono all'interno delle mura di cinta.
«Come diavolo la troviamo se non sai nemmeno dove l'hanno rinchiusa?» insistette il professore.
«Non essere noioso – lo zittì l'altro – sono un militare. So come trovare le persone».
Erano in una specie di corridoio sotterraneo, probabilmente abbandonato da tempo.
Le pareti erano umide e decadenti.
«Sopra questo corridoio – continuò il comandante – ci sono le segrete del castello. Passeremo da lì».
«E per andare dove? non avrai intenzione di girare tutte le stanze di questa corte per trovare la tua donna? hai idea di quante stanze ci siano in un posto come questo?».
«Sei più noioso di una donna!».
«Io sono solo logico».
«Logico ma non militare – lo zittì di nuovo l'altro – ti ho detto che so esattamente come muovermi. Il mio istinto non ha mai sbagliato!».
«Questo mi fa stare veramente tranquillo!» commentò sarcasticamente Jerome parlando a se stesso.
Selma spalancò la porta della stanza ed entrò.
Elasund alzò gli occhi dalle carte che aveva sparso sul tavolo.
«Cosa diavolo vuoi?» chiese alzandosi di scatto.
«È arrivata» disse laconica la strega.
«Sigrid?».
«Sì – sentenziò lei – a breve sarà davanti alla porta principale del palazzo».
«Se anche questa volta è un giochetto per prendere tempo» la minacciò il sovrano avvicinandosi.
«Ti ho detto che sta arrivando» sibilò lei mentre i suoi occhi diventavano rossi per la rabbia.
«Come fai a esserne certa questa volta?».
«L'incantesimo che l'ha protetta fino ad ora si sta indebolendo. Ora la posso sentire».
«E se fosse un inganno?».
«Lo sapremo molto presto – concluse lei – ti ripeto che entro breve Sigrid sarà a palazzo!».
Svend si affacciò nel corridoio.
Un solo uomo faceva svogliatamente la guardia alle celle vuote.
Gli occhi di Svend si posarono sul professore.
L'altro guardò a sua volta il corridoio.
Il comandante fece un cenno a Jerome che si incamminò verso la guardia.
Il militare che stava sbadigliando annoiato si alzò di scatto intimando allo sconosciuto di fermarsi.
Estrasse la spada e la puntò in direzione dell'uomo.
Jerome si fermò.
«Chi siete? – chiese la guardia stupita – come siete giunto fino a qui?».
Le labbra del professore si piegarono in una sorta di sorriso mentre il militare veniva immobilizzato da Svend che lo aveva colto di sorpresa alle spalle.
«Comandante?» balbettò la guardia.
«Dove hanno portato la prigioniera?» chiese Svend senza mezzi termini.
«Quale prigioniera?».
«La ragazza che Elasund ha portato a palazzo con me – ripeté il comandante stringendo con forza il collo della guardia – dove l'hanno portata?».
«L'ha presa Selma – disse il ragazzo con voce strozzata – l'ha prelevata dopo la vostra fuga».
«Dove l'ha portata?» continuò Svend stringendo con maggior forza.
«Non lo so – balbettò senza voce la guardia – dicono al primo piano ma».
«Per quale motivo hanno portato una prigioniera al primo piano, nell'ala riservata ai nobili?».
Il giovane militare sentì le braccia di Svend stringersi con maggior forza sul suo collo ed ebbe la sensazione di smettere di respirare per pochi secondi, poi Svend allentò la presa per lasciarlo parlare.
«Non lo so – sussurrò con fatica – so solo che l'hanno portata di sopra, non so per quale motivo».
«Credo che dica la verità – intervenne Jerome – non sembra sappia altro».
Svend lasciò il collo del giovane per poi colpirlo con violenza alla nuca e fargli perdere i sensi.
«Credo che tu abbia ragione – commentò poi – ora andiamo al primo piano!».
Sigrid si fermò davanti all'imponente costruzione di pietra che costituiva il palazzo.
Il ponte levatoio era stato calato e il portone era aperto.
La stavano aspettando.
Probabilmente Wilelm aveva ragione, si erano allontanati e l'incantesimo di protezione si era indebolito.
Avevano percepito il suo arrivo.
Il vento gelido frustava la landa intorno a lei sollevando piccoli turbini di neve fresca.
Aveva paura.
Aveva parlato a Jerome con una sicurezza che in realtà non possedeva.
Non era sicura che Elasund non l'avrebbe uccisa immediatamente.
Non aveva la certezza di poter sopravvivere all'incontro con il sovrano.
Aveva paura ma non era più disposta ad accettare di vivere nascosta per il resto dei suoi giorni.
Se Elasund voleva uno scontro lei avrebbe acconsentito, anche se questo avrebbe potuto significare uscirne sconfitta o, peggio ancora, morta.
Mise un piede sul ponte levatoio, poi un altro.
Sentì le spesse travi di legno grezzo sotto i piedi.
Si fermò a osservare l'immensa porta alla fine del ponte.
Spalancata come un'enorme bocca pronta ad inghiottirla.
Mosse un altro passo, poi un altro e si incamminò lungo il ponte.
Jerome aveva seguito Svend per i corridoi del palazzo.
Il comandante conosceva i passaggi e le strade per evitare la sicurezza e il personale di servizio.
Erano riusciti a raggiungere il primo piano senza essere intercettati da nessuno.
Il corridoio del primo piano era coperto da preziosi tappeti e sulle pareti si alternavano importanti arazzi a porte di stanze chiuse.
«E ora dove sarà?» chiese Jerome sottovoce.
«Ci saranno almeno venti stanze su questo corridoio».
«Sedici» precisò Svend.
«Grazie per la precisazione – disse l'altro irritato – ora che hai dimostrato di saper contare come intendi comportarti?».
«Essere così acido e nervoso non è d'aiuto».
«Ti voglio ricordare che Sigrid sarà già arrivata a palazzo – si alterò di nuovo il professore – e ogni minuto perso potrebbe essere prezioso».
Il comandate fece un segno per zittire Jerome e lo spinse in un angolo del corridoio non visibile.
Un paio di militari stavano salendo la scala.
Percorsero il corridoio fermandosi davanti a una delle porte.
Uno dei due estrasse una chiave e fece scattare la serratura.
Aprirono la porta ed entrarono.
Svend e Jerome rimasero immobili in attesa.
Dopo pochi secondi i due militari emersero dalla porta scortando una ragazza.
Il viso di Svend si rilassò constatando che Bergljot stava bene.
I militari insieme alla giovane ripresero la scala per scendere al piano sottostante.
«È incredibile – sussurrò Jerome – è il ritratto perfetto di Sigrid».
«Vedi che non è stato difficile scoprire dove la tenevano nascosta?» concluse Svend sorridendo.
Sigrid si fermò sulla imponente porta che si affacciava sulla sala del trono.
Era immensa.
Il pavimento e le alte colonne erano di marmo bianco.
Al centro della sala era steso uno spesso e importante tappeto che conduceva fino al trono, imponente e prezioso.
La pesante figura di Elasund era seduta sul trono. Al suo fianco, in piedi, Selma osservava la principessa con gli occhi neri e intensi.
Si incamminò verso il centro della sala. I suoi passi erano attutiti dallo spesso tappeto.
Si fermò a pochi passi dal trono e solo in quel momento si accorse della gabbia che Elasund aveva fatto sistemare in un angolo poco distante.
Hrafnhildur era accovacciato sul pavimento immobile.
Il manto bianco era diventato opaco ed era imbrattato di sangue rappreso.
L'animale non aveva più la forza di muoversi, sapeva che entro breve la fine sarebbe giunta.
Aprì gli occhi blu e osservò Sigrid che ricambiò lo sguardo con apprensione.
L'animale tentò di infonderle coraggio e sicurezza ma Sigrid aveva la sensazione di scivolare in un baratro.
Il suo spirito era legato indissolubilmente a quello dell'unicorno e la sofferenza di Hrafnhildur era la sua sofferenza.
La sua anima stava morendo insieme all'animale.
Pianse senza lacrime.
Percepì gli occhi che bruciavano e un forte dolore la scosse dall'interno.
Guardò Elasund negli occhi.
Sulla bocca del sovrano si dipinse un sorriso di soddisfazione.
«Vedo che il tuo spirito è ancora legato a questo animale» disse con tono spocchioso.
Selma osservava la scena senza commentare.
«Perché?» chiese Sigrid senza distogliere lo sguardo dal padre.
«Lui è una mia proprietà, come lo sei tu e di voi posso decidere di fare ciò che voglio».
La principessa lo guardò con disprezzo.
«Non dovevi sfidare le mie ire – disse con rabbia Elasund alzandosi – assomigli a tua madre. Ha osato mancarmi di rispetto e la sua testa è caduta. Io sono l'unico sovrano e ho potere di vita e di morte su chiunque in questo regno».
Due militari entrarono scortando Bergljot.
Elasund sollevò lo sguardo da Sigrid per posarlo sui nuovi venuti.
La principessa si voltò istintivamente e vide sua sorella in mezzo ai militari.
Constatare la loro somiglianza la stupì.
«O ra morirete entrambe!» dichiarò il sovrano.
«Siete state entrambe un errore – concluse poi – quell'essere inutile che era vostra madre non è mai stata capace di mettere al mondo un maschio, un erede, solamente voi due, due inutili femmine».
Selma osservò il sovrano cercando mentalmente di calcolare quale sarebbe stata la mossa migliore.
Avrebbe potuto lasciarlo sfogare uccidendo quelle due inutili creature ma poi sapeva che appena morte le ragazze avrebbe ucciso anche lei.
Doveva anticiparlo.
Della sorte delle giovani a lei non interessava ma avrebbe dovuto mettersi in una condizione di vantaggio.
Doveva eliminare il sovrano, una volta morte le figlie, senza rischiare di essere fermata o peggio uccisa lei stessa.
Si guardò intorno.
Doveva convincere Elasund a far uscire le guardie.
Con tutte quelle guardie non avrebbe mai potuto agire senza essere fermata.
L'attenzione di tutti i presenti era concentrata su Elasund e le principesse.
Nessuno aveva fatto caso a due uomini sconosciuti che erano scivolati nella sala andando a nascondersi dietro a una delle possenti colonne di marmo.
«Elasund». La voce di Selma richiamò l'attenzione del sovrano.
«Elasund – ripeté la donna avvicinandosi e abbassando il tono di voce – forse è giunto il momento di consumare finalmente la tua vendetta».
«È proprio quello che intendo fare – disse lui contrariato – queste due moriranno per mano mia».
«Nessuno vuole toglierti il piacere di farlo – riprese lei con voce suadente – ma io penso che dovresti far uscire le guardie e far bloccare la porta».
Lui la guardò diffidente.
«Non fraintendermi. Le tue guardie non ti giudicheranno mai per quello che stai facendo ma io ritengo che per mantenere alta la tua fama di crudele sovrano dovresti provvedere a giustiziare le ragazze in modo doloroso ma nessuno dovrebbe assistere».
«E per quale motivo?».
«Perché non c'è niente di più potente della forza di persuasione di un cervello condizionato. Il dolore che infliggerai alle principesse e la loro morte nella mente di chi sarà al di là di quella porta acquisterà un valore ancora più forte. È molto più sconvolgente ascoltare le sofferenze di qualcuno e immaginare cosa stia sopportando piuttosto che vedere con i propri occhi le torture. In questo modo le torture acquisteranno un valore ancora più crudele e doloroso».
Elasund la guardò diffidente. Quello che aveva fatto Selma era un discorso troppo sottile per lui ma di una cosa era certo, la strega era una delle persone più sadiche che lui avesse conosciuto, era ancora più malvagia di lui e se aveva fatto quel discorso probabilmente aveva ragione.
Seguendo il suo consiglio la sua crudeltà avrebbe avuto ancora maggior presa sui suoi sudditi e nessuno, da quel momento in avanti, avrebbe mai più osato sfidare la sua autorità o la sua ira.
Il sovrano diede ordine alle guardie di uscire e di chiudere tutte le porte.
«Ora le puoi uccidere entrambe» dichiarò Selma.
Bergljot impallidì.
Si era fatta ingannare da quella donna.
Osservò Sigrid che sembrava, al contrario di lei, calma mentre osservava il sovrano e la strega.
«Ma prima devo fare un'ultima cosa» disse di nuovo la donna.
Sfilò il pugnale dal fodero che teneva sotto l'abito e si diresse alla gabbia di Hrafnhildur.
«No» la fermò Elasund osservando Sigrid in volto.
Raggiunse la donna accanto alla gabbia e prese il pugnale dalla sua mano.
Entrò avvicinandosi all'unicorno.
«Non farlo!» urlò Sigrid.
Non fece a tempo a lanciarsi verso il sovrano fermata da Selma che la teneva per le braccia.
Elasund sorrise sadico mentre conficcava il coltello nel costato dell'animale, dimentico della sua superstizione e delle possibili conseguenze che avrebbe portato l'uccisione di un animale sacro.
Il piacere sadico di infliggere sofferenza a Sigrid aveva cancellato ogni suo timore nei confronti anche di possibili rappresaglie da parte della dea Treb.
Affondò la lama, la estrasse e la affondò nuovamente.
Hrafnhildur lanciò un urlo di dolore che stracciò l'aria e spirò.
«No!» urlò di nuovo Sigrid bloccata dalle mani di Selma.
In quel momento Svend e Jerome emersero da dietro la colonna.
Svend si lanciò verso Bergljot e, afferrandola per la vita, la costrinse ad allontanarsi.
Gli occhi blu della ragazza lo guardarono stupiti.
«Pensavo fossi fuggito» sussurrò.
«Non ti avrei mai lasciato nelle mani di quel pazzo» disse lui spingendola verso la colonna.
«Allontanati più possibile» concluse poi tornando verso gli altri.
Jerome aggredì alle spalle Selma costringendola a lasciar andare Sigrid.
La ragazza si divincolò e si precipitò verso la gabbia accasciandosi accanto all'animale ormai morto.
Jerome afferrò saldamente la strega e la spinse contro una delle colonne.
«Wilelm» disse lei con un tono di voce completamente diverso.
Jerome si bloccò come pietrificato.
Improvvisamente vide Selma come la ricordava lui, i lunghi capelli biondi e gli occhi di un azzurro quasi trasparente.
«Vedo che non mi hai dimenticato» disse la donna di nuovo con voce melodiosa.
«Ingrid» sussurrò lui.
Elasund brandiva ancora il pugnale lordo di sangue.
Si mosse per colpire Sigrid mentre piangeva accanto a Hrafnhildur.
L'arrivo tempestivo di Svend che lo colpì con un pugno nello stomaco lo sorprese.
Lasciò cadere il coltello e ingaggiò una lotta a mani nude con il comandante.
Jerome rammentò il momento in cui aveva scoperto la vera natura di Ingrid.
Gli occhi di lei da azzurri erano diventati rosso fuoco e lampeggiavano odio e disprezzo.
Il dolore per l'inganno e l'umiliazione.
L'abbandono dopo aver bruciato tutta l'esistenza dell'uomo che fingeva di amare.
La voce suadente di Ingrid lo riportò al presente.
«Wilelm» lo stava chiamando.
Improvvisamente una sensazione emerse dalla sua anima, una sensazione più forte di tutto.
Il ricordo del bacio che Sigrid gli aveva dato per salvarlo dalle sirene e Selma, davanti a lui, tornò ad avere il suo vero aspetto.
La osservò e si accorse di non provare più nemmeno odio per lei.
Affondò la lama del coltello nel suo ventre fino all'impugnatura e poi la sfilò lasciando che il corpo di Selma scivolasse a terra in attesa di morire.
Elasund sferrò un colpo in pieno volto a Svend facendolo rovinare sul fondo della gabbia.
Sigrid si scosse come svegliata da un sogno.
I suoi occhi furono catturati dal bagliore della lama abbandonata a terra.
Raccolse il pugnale.
Si alzò.
Si avvicinò a Elasund che si stava pulendo la bocca piena di sangue per i colpi ricevuti.
Quando fu accanto all'uomo affondò il pugnale nel cuore di lui.
Il sovrano sbarrò gli occhi incapace di capire cosa stesse accadendo ma perfettamente cosciente che la vita stava scivolando via dal suo corpo.
Cadde in ginocchio senza smettere di osservare la figlia che lo aveva appena ucciso.
Poi scivolò pesantemente sul fondo della gabbia a faccia in giù andando a coprire la pozza di sangue che si allargava sensibilmente sotto di lui.
Sigrid cadde in ginocchio accanto al corpo del padre.
Era finalmente libera e non avrebbe più dovuto nascondersi.
Osservò il corpo privo di vita di colui che avrebbe dovuto amarla e proteggerla ma che si era limitato a perseguitarla e privarla di ogni libertà.
Provò dolore e pianse.