Le foglie perfette della primavera sono ormai lacere. La loro levigatezza è guastata da squarci irregolari o nette incisioni provocate dai morsi. Le interminabili bufere delle scorse settimane sono in parte responsabili. Un giovane sassafrasso ha tutte le foglie penzolanti, fatte a brandelli dalla grandine. Stessa sorte è toccata alle foglie degli aceri. Questa violenza fisica è drammatica, ma rappresenta solo una minima parte del danno subito dalle foglie del mandala. I colpevoli principali sono le voraci bocche degli insetti. Giorno dopo giorno rodono, succhiano, mordono e raschiano, demolendo tutto ciò che le piante producono.
Metà di tutte le specie di insetti sono mangiatori di piante e gli insetti rappresentano da metà a tre quarti di tutte le specie presenti sulla terra. Le piante sono quindi tormentate da rapinatori a sei zampe. Le specie vegetali piú piccole, come il trifoglio, devono vedersela con un paio di centinaia di insetti erbivori, mentre gli alberi e le piante di maggiori dimensioni subiscono gli attacchi di oltre mille specie di insetti. Queste stime riguardano le regioni settentrionali, quindi il numero di specie di insetti che potrebbero nutrirsi di piante del mandala o succhiare da ciascuna di esse è presumibilmente molto piú alto. La varietà delle specie è ancora maggiore ai tropici. Il mondo è pieno di predatori vegetariani; nessun organismo vegetale sfugge alla loro attenzione.
I segni piú ovvi di erbivoria nel mandala sono i buchi nel fogliame. Le foglie della sanguinaria sono per natura multilobate, ma gli insetti hanno alterato il movimento di queste linee con scanalature e piccoli morsi. Anche il Trillium sessile è sforacchiato e presenta bordi irregolari. Le foglie di benzoino sono punteggiate da escissioni ovali e i bordi sono orlati da semicerchi perfetti. Gli autori del misfatto – o gli artisti, a seconda dei punti di vista – se ne sono andati. Molto probabilmente si tratta di bruchi, ossia le larve delle falene e delle farfalle. I bruchi sono campioni di erbivoria con un unico scopo nella vita: trasformare le foglie in carne di insetto. Ma non ci sono bruchi in vista, a parte uno intento a masticare su una foglia d’acero, con l’intestino pulsante visibile attraverso la sottile pelle verde. Osservo i margini delle foglie, i gambi e le buttate nuove, ma non trovo nulla. Gli insetti sono nascosti nella lettiera oppure hanno fatto strada nella rete alimentare e sono già nella pancia di un uccellino di nido.
Anche le minatrici hanno lasciato il segno, soprattutto nelle foglie degli aceri piú giovani. Sono come le persone che aprono un panino o un biscotto ripieno, mangiano la farcia e lasciano il resto. Questi insetti allo stato larvale non aprono il biscotto ma ci si tuffano dentro, insinuandosi con il corpo piatto fra le due epidermidi della foglia. Si introducono nel centro e mangiano le cellule interne muovendosi lentamente in avanti e lasciandosi alle spalle le gallerie cosí scavate. Oltre mille specie di larve minatrici aggrediscono le foglie in Nord America e ognuna vi lascia una cicatrice particolare. Alcune specie seguono percorsi circolari, producendo macchie marroni sulle foglie; altre si contorcono lungo linee apparentemente casuali, lasciando tracce che sembrano scarabocchi. Le specie piú metodiche si spostano avanti e indietro, sistematicamente, e mangiano tutta la foglia lasciando segni che la fanno assomigliare a un prato appena tosato. Le minatrici sono larve di insetti tassonomicamente diversi, fra cui mosche, falene e coleotteri. Portata a termine la loro opera, le larve si trasformano in adulti alati che depongono le uova sulle foglie producendo la generazione successiva di minatrici.
L’arbusto di viburno di fronte a me ha sul gambo un genere di erbivoro totalmente diverso. L’insetto è posato sul tenero germoglio all’estremità dell’arbusto, perfettamente mimetizzato in un verde tono su tono. A testa bassa, è voltato dall’altra parte rispetto all’estremità del gambo; con le ali e il corpo lievemente sollevati, assomiglia a una pantofola orientale o a un estroso zoccolo olandese. L’effetto generale è l’imitazione quasi perfetta di una gemma. Ma non è una gemma innocente. La pantofola verde è una cicalina, un insetto che si attacca ai suoi ospiti come una zecca.
La mandibola della cicalina si allunga fino a formare una sorta di lungo ago flessibile che si muove tra le fibre delle piante, fino a raggiungere i vasi conduttori della linfa, ossia xilema e floema. Sono gli stessi vasi che scorrono lungo i tronchi degli alberi, ma nei nuovi steli sottili del viburno sono prossimi alla superficie e questo li rende vulnerabili all’attacco degli insetti. Lo xilema trasporta principalmente acqua, mentre il floema (o libro) è ricco di zuccheri e altre molecole di nutrienti. Le cicaline preferiscono quindi nutrirsi di floema, affondando le taglienti appendici boccali nei vasi. Poiché il floema è pressurizzato dal flusso dell’acqua ricca di zuccheri che va dalle foglie alle radici, le cicaline si limitano a bucare i vasi e aspettano che la bocca si riempia da sola con i nutrienti che sprizzano dalla pianta. Le cicaline, e gli afidi loro parenti, sono cosí esperte nello spillare linfa dal floema che vengono sfruttate in questo senso dagli scienziati che studiano le piante. Nessun ago inventato dall’uomo può uguagliare l’estrema delicatezza della bocca dell’insetto, quindi i ricercatori diventano parassiti del parassita: recidono l’ago, uccidendo l’insetto, ma cosí facendo hanno una sonda piazzata all’interno delle cellule del floema.
Gli insetti che si nutrono di linfa vegetale devono affrontare un problema ben piú grosso che non quello di una triste fine in laboratorio. Il floema è una fonte di zuccheri eccellente ma contiene pochi amminoacidi, ossia gli elementi costitutivi delle proteine. Lo xilema racchiude pochi nutrienti. La linfa floematica è da dieci a venti volte piú povera di azoto rispetto alle foglie, e le foglie stesse ne hanno dieci volte meno della carne animale. Vivere di linfa è quindi come pretendere di fare un pasto bilanciato bevendo una cassa di acqua di soda. Le cicaline risolvono il problema assumendo ogni giorno un volume di linfa pari a duecento volte il loro peso corporeo a secco, come se un uomo bevesse quasi cento lattine di soda al giorno. Questa enorme quantità compensa il basso contenuto in azoto della linfa.
Le grandi bevute delle cicaline creano un altro problema: come liberarsi dell’eccesso di acqua e zucchero senza eliminare anche l’azoto? L’evoluzione ha risolto questo problema creando due percorsi per la linfa floematica bevuta dalle cicaline. L’intestino di questo insetto ha un filtro che convoglia l’acqua e gli zuccheri indesiderati verso una deviazione e trattiene solo le molecole di nutrienti piú nobili. L’acqua e gli zuccheri cosí deviati vengono scaricati a gocce dall’ano che rilascia la cosiddetta «melata», una secrezione vischiosa che riveste le piante infestate da cicaline, afidi o cocciniglia. Secondo alcuni entomologi, questa melata sarebbe la manna di cui si nutrí il popolo di Israele durante la fuga dall’Egitto. Tutto è possibile, naturalmente, ma è difficile immaginare che qualcuno possa sopravvivere per quarant’anni alimentandosi con le secrezioni delle cicaline, che sono molto povere dal punto di vista nutrizionale, a meno che alla melata non si accompagnino interi stormi di quaglie arrostite.
Nonostante il sofisticato sistema di filtraggio del loro intestino, le cicaline seguono una dieta inadeguata, o almeno cosí sarebbe se non venissero in loro aiuto i batteri. Non solo la linfa vegetale è acquosa, ma contiene anche una miscela sbilanciata di amminoacidi; alcuni di quelli necessari per la crescita degli insetti sono presenti, al contrario di altri. Gli insetti non sono in grado di produrre da zero gli amminoacidi mancanti e per questo hanno nell’intestino apposite cellule contenenti batteri capaci di produrre amminoacidi. Si tratta di una soluzione favorevole per entrambe le parti: i batteri si assicurano un posto comodo per vivere e un afflusso continuo di cibo, mentre gli insetti si procurano i nutrienti di cui sono sprovvisti. Contrariamente ai microbi che nuotano liberamente nel rumine del cervo, questi batteri sono inglobati nelle cellule dell’ospite. Come l’alga dei licheni, i batteri non possono vivere lontani dall’ospite né quest’ultimo può vivere senza i suoi aiutanti interni. La cicalina sul ramo di fronte a me è quindi una fusione di vite, un’altra matrioska che abita il mandala.
La dipendenza delle cicaline dai loro assistenti batterici riveste un interesse particolare per gli entomologi che si occupano di lotta antiparassitaria. Le cicaline e gli afidi danneggiano gravemente le colture e spesso trasmettono malattie alle piante. Se si trovasse il modo di modificare o alterare la relazione tra l’insetto e i suoi batteri, gli entomologi potrebbero liberare i campi da questi piantagrane. L’idea deve ancora trovare una sua realizzazione, ma mi auguro che quando ciò dovesse accadere, non permetteremo a noi stessi di agire ingenuamente senza valutare le possibili conseguenze delle nostre azioni. Le sostanze chimiche che spezzano il legame tra gli utilissimi batteri e il loro ospite possono avere effetti che vanno ben oltre la disinfestazione dei raccolti dalle cicaline. La vitalità del suolo dipende dall’azione di questi batteri, cosí come accade per il buon funzionamento del nostro intestino. A un livello piú profondo, tutti gli animali, le piante, i funghi e i protisti hanno antichi batteri che vivono all’interno delle loro cellule. Le cicaline sono la punta dell’iceberg. Se la prendiamo a martellate, rischiamo di incrinare anche tutto il resto.
Il mandala contiene insetti capaci di saccheggiare ogni parte di una pianta. Fiori, polline, foglie, radici, linfa sono tutti preda di voraci appendici boccali. Eppure il mandala è verde. Le foglie sono un po’ sbrindellate, ma dominano ancora la foresta. Sopra sono disposte a strati e mi ostruiscono la vista del cielo; attorno a me, i cespugli si estendono sul fianco della collina, impedendomi di nuovo la vista; sotto, i miei piedi poggiano su un tappeto di piccoli arbusti e piante erbacee. La foresta appare come un banchetto paradisiaco per erbivori. Perché il mandala non è nudo e spoglio? È una domanda semplice, ma oggetto di grandi discussioni che, non senza motivo, dividono gli studiosi di ecologia. Il rapporto fra erbivori e specie vegetali è il presupposto su cui si basa l’intero ecosistema forestale. Se la risposta non è quella giusta, oppure non ne troviamo nessuna, non riusciremo mai a capire l’ecologia del bosco e continueremo a rivelare la nostra ignoranza.
Uccelli, ragni e altri predatori ci forniscono parte della risposta. La loro voracità può tenere a freno le fameliche orde di insetti e proteggere cosí le piante impedendo alle popolazioni erbivore di crescere a tal punto da realizzare appieno il loro potenziale distruttivo. Una conseguenza di questa idea è che gli insetti erbivori raramente entrano in competizione fra loro; se vengono soppressi, è a opera dei loro predatori, e non dei loro pari. Questo è importante perché il motore alla base dell’evoluzione è la competizione. Se le popolazioni erbivore fossero limitate solo dalla predazione, sarebbe stato lecito aspettarsi che la selezione naturale avesse aiutato di piú gli erbivori a evitare i predatori anziché dare loro un vantaggio nella competizione per il cibo.
L’ipotesi che le popolazioni di insetti vengano eliminate dai loro predatori è stata verificata costruendo delle gabbie attorno alle piante. Se è la predazione a governare il mondo degli insetti, le gabbie dovrebbero letteralmente esplodere e le piante rinserrate dovrebbero morire, divorate fino all’ultima foglia. I risultati di questi esperimenti vanno in piú direzioni. Talvolta le popolazioni di insetti aumentano quando sono protette dai predatori, ma difficilmente si registrano incrementi sensazionali in termini numerici. Inoltre, in alcuni luoghi e in determinate stagioni, la gabbia non ha alcun effetto. Anche quando le gabbie non determinano un aumento delle popolazioni di insetti, le piante al loro interno restano verdi e ricche di foglie, anche se un po’ piú masticate rispetto a quelle non protette dalla gabbia. La predazione, quindi, non può essere l’unica spiegazione all’apparente scarsità di erbivori.
Anche noi siamo mangiatori di specie vegetali e i nostri comportamenti alimentari suggeriscono di adottare un approccio diverso per chiarire come mai i boschi sono cosí verdi. Io vivo circondato da aceri, noci americani e querce, ma non mi sono mai seduto a tavola con l’idea di mangiare un’insalata di foglie d’albero. Ai miei piedi crescono abbondanti piante erbacee tipiche dell’ambiente boschivo, ma non sono mai entrate nel mio menu. I libri di erboristeria mi insegnano che piccole dosi delle erbe del mandala possono alleviare alcuni disturbi, ma se ingerite in quantità maggiori possono provocare – a seconda delle specie di appartenenza – arresto cardiaco, glaucoma, agitazione di stomaco, perdita della visione periferica o irritazione delle mucose. Nelle colture addomesticate dall’uomo determinate tossine sono scomparse, e questo ci dà una visione distorta di che cosa significhi essere erbivori. È vero che non ci siamo evoluti come mangiatori di foglie e che per questo siamo privi della biochimica disintossicante che caratterizza la maggior parte dei veri erbivori, ma il fatto di non poter mangiare la maggior parte delle specie vegetali che ci circondano mette in evidenza un aspetto importante: il mondo non è cosí verde come appare. Questo punto è confermato ulteriormente dal fatto che altri erbivori adottano metodi biochimici mirati per neutralizzare le tossine contenute negli alimenti che assumono. Il mandala non è un banchetto in attesa dell’arrivo dei commensali, ma un demoniaco rinfresco a base di pietanze avvelenate di cui gli erbivori assaggiano i bocconi meno micidiali.
I chimici organici confermano l’esperienza delle nostre papille gustative. Il mondo è un luogo amaro, pieno di deterrenti, di disgregatori della digestione e di veleni. Lo sanno anche i falchi, che usano rivestire il nido di fogliame per tenere lontani pidocchi e pulci. Pensiamo anche al «New York Times». Gli insetti cresciuti in contenitori rivestiti con vecchie copie del quotidiano non arrivano a maturità. La colpa non va attribuita alla qualità delle letture degli insetti, anche se quelli cresciuti tra i fogli del «Times» di Londra arrivano all’età adulta. Il «New York Times» è stampato su carta contenente pasta di legno ricavata dall’abete balsamico. Quest’ultimo produce una sostanza chimica somigliante agli ormoni dei suoi insetti erbivori, e ciò gli permette di proteggersi arrestando lo sviluppo dei suoi nemici e neutralizzandoli. La carta del «Times» di Londra è prodotta invece da alberi privi di difese ormonali, per questo è adatta a essere utilizzata come lettiera per gli insetti da laboratorio.
Possiamo ora capovolgere il quesito e chiederci non tanto come le piante sopravvivano agli attacchi degli erbivori bensí come questi ultimi riescano a far fronte alle piante nocive. Il rompicapo non è piú come il mondo possa essere verde, ma come facciano tante creature a mangiare foglie e piante senza morire dopo il pasto. Le contromisure di disintossicazione sono alla base della capacità degli erbivori di ingurgitare specie vegetali velenose, ma anche gli insetti cercano di eludere in qualche modo le difese nutrendosi delle parti piú digeribili. Non è un caso che il bruco verde del mandala si alimenti di foglie d’acero giovani. Gli aceri, come molte specie arboree, difendono le loro foglie con tannini amari. Questi sono deterrenti efficaci solo ad alte concentrazioni, quindi le foglie giovani non hanno ancora accumulato quantità sufficienti di queste sostanze chimiche da poter diventare nocive. Se lo stesso bruco dovesse uscire dal bozzolo in agosto, troverebbe la foresta imbevuta di tannino. Facendo la loro comparsa in primavera, molti erbivori riescono a eludere i sistemi di difesa delle piante.
La schermaglia chimica fra le piante e gli animali che se ne nutrono ha determinato una situazione di stallo all’interno del mandala. Nessuno dei contendenti ha ancora stanato l’altro. I buchi e le incisioni nelle foglie del mandala testimoniano il gioco di colpi di taglio e parate che anche quest’anno si è svolto in questa porzione di bosco, l’eterno duello da cui scaturisce il carattere essenziale del mandala.