EPILOGO

La logica del battimuro

«Ecco, questa è la posizione corretta.»

Sorride mostrandomi la postura giusta del busto e del piede.

«Col destro non riesco» provo a protestare.

«Non importa. Riprova.»

Gli occhi chiari che mi attraversano la mente e mi spingono a ritentare, anche se non vorrei.

«Solo una questione di impegno, tutto qui.»

I palmi delle mani aperti per far capire che dopotutto non ci vuole molto.

Torna il rumore sordo del pallone sul muro e la mia testa che se ne va chissà dove.

Ho voglia di tornare a casa, magari sdraiarmi sul letto con il walkman nelle orecchie. Magari le canzoni di quel gruppo che proprio non gli piace.

Provo a richiamare alla testa le parole.

Hanno ucciso l’Uomo ragno... chi sia stato non si sa... forse quelli della mala, forse la pubblicità...

«L’Uomo ragno non si può uccidere, perché è un supereroe e i supereroi non muoiono mai» mi ha spiegato.

«Ecco. Così va bene» dice alzando per un attimo gli occhi dalla Settimana Enigmistica.

I rintocchi del pallone diventano quasi un ritornello. Lo vedo che alza e abbassa la testa. O forse anche lui canticchia nella sua mente le parole di qualche vecchia canzone.

Lui ascolta solo quei rognosissimi pezzi degli anni Sessanta. Dice che gli ricordano quando era ragazzo. Le domeniche di festa perché lui purtroppo a scuola non ci è potuto andare come farò io. Ha cominciato a lavorare presto.

Avrebbe voluto fare l’università, e invece.

I doveri, le responsabilità, la famiglia. Tutto lo ha portato a fare altro.

Basta l’impegno.

Mi distraggo e manco il pallone. Di nuovo con il sinistro.

Eccolo che corre il Super Santos rosso, un po’ consumato lungo le linee nere che quasi non si vedono più.

Corre proprio verso di lui, che senza alzare gli occhi dalla pagina lo ferma col piede.

Sorride di nuovo.

Rimango con le mani poggiate sui fianchi e la testa leggermente piegata. Non voglio ricominciare da capo.

Ha detto che devo farne almeno venti senza sbagliare.

Mi sono fermato a diciotto.

Uno-due. Uno-due. Uno-due.

La più semplice delle cantilene che secondo lui è perfetta per imparare a usare anche l’altro piede, per impegnarmi a essere un giocatore completo o forse solo per riempire questo stancante pomeriggio di giugno.

«Tommaso, dai, vieni qui.»

Dà due colpi con la mano sulla panchina per indicarmi dove vuole che mi sieda.

Do un calcio all’aria in segno di disappunto, poi corro.

«Non sono riuscito, ma non ho più voglia...» esordisco.

«Quasi però, no?» risponde. «Molto meglio di prima.»

«Non ci riuscirò mai...» commento, tirando fuori tutto quel senso di frustrazione che solo un bambino può riassumere in uno sguardo ferito.

«Io credo di sì, vedi, è una questione di...»

«Di impegno, lo so...» interrompo e cerco di nuovo di calciare l’aria da seduto, sollevando un po’ di terriccio.

Non capisco come faccia a non annoiarsi.

«Devi capire che nella vita bisogna provare sempre a dare il massimo per trovare se stessi. Se prendi una strada devi tenerla, anche nelle difficoltà.»

Si alza e scaglia il pallone verso il muro.

Colpisce l’angolo e rimbalza via lontano, dall’altro lato del cortile.

«Vedi. Non sempre si può avere la fortuna di fare un gol anche se si è tirato forte.»

Ride di gusto.

«Se colpisci un palo e la palla corre via lontana, devi avere la voglia di correre e di andare a riprendertela. Costi quel che costi.»

Non capisco.

«Ma forse sto parlando troppo, che ne dici se andiamo a prendere un gelato?»

«Prima voglio riuscirci» rispondo correndo verso il pallone. Mi piacerebbe che fosse orgoglioso di me e me lo guadagnassi, il premio.

«Come vuoi. Ne fai venti stavolta?»

«Anche ventidue» rispondo.

Sento il pallone ruvido e polveroso tra le mani mentre mi volto e lo guardo ancora in piedi. Con i capelli neri ma un po’ radi, la testa quasi stempiata.

Un uomo grande che ha passato tutta la vita a lavorare e ora si gode il figlio che gioca a pallone.

Penso che vorrei essere così un giorno.

Lo penso chiaramente mentre do il primo calcio al pallone e sento il muro che me lo restituisce implacabile indietro.

Uno-due, uno-due.

Forse è così semplice la vita? Difficile dirlo, ma mi sento protetto da quello sguardo, da quel senso di pacifica, a volte rude, semplicità.