Finalmente sono riuscito a vedere Anna.
Giusto uno spazietto libero a pranzo, visto che per una volta non era costretta a stare col capo e i colleghi.
Seduto in un bar di piazza Bologna mi sono reso conto che da quando ci conosciamo non abbiamo mai pranzato insieme se si esclude una gricia consumata in fretta e furia nel ristorantino di una sua cara amica in centro.
Ci aveva quasi riservato una saletta privata per paura che qualcuno potesse vederci.
Nel momento in cui facciamo una cosa così normale, come ordinare due caffè, mi rendo conto di tutto quello che è mancato al nostro rapporto.
Forse si è trattato solo di un equo scambio.
Io avevo bisogno di una persona con cui sentire un coinvolgimento che non provavo più da anni per Lucrezia e lei di qualcuno che la trasportasse fuori da una relazione insostenibile col fidanzato.
Lei che non aveva i miei stessi impegni familiari e i miei stessi condizionamenti. O forse erano solo scuse.
Ora io sono libero, ma lei non c’è più.
# Le donne non aspettano all’infinito.
Mentre gira svogliatamente il cucchiaino nella tazzina senza alzare lo sguardo, esce allo scoperto. «Sai... è che c’è stata una conoscenza che mi ha destabilizzato... qualcosa che non potevo aspettarmi, chiaro che non è successo niente...»
Colpito e affondato, anche se questa frase aleggiava nell’aria già da qualche tempo. La sua freddezza di questi giorni almeno ha un nome e un cognome, e pensare che se non fosse stato per Lucrezia e tutto quello che è accaduto neanche me ne sarei reso conto.
Semplicemente i nostri incontri si sarebbero diradati fino al punto di terminare.
Magari ci saremmo trovati a dircelo un giorno sdraiati a letto dopo aver fatto l’amore. Con lei che fuma una sigaretta e io che racconto qualcosa di divertente per stemperare la situazione.
Certo sarebbe stato meglio di così.
Quello che è successo l’ha costretta a portare il discorso a un livello successivo e non può semplicemente dirmi di non poter aspettare visto che sono un uomo sposato.
«Capisco. E da quando va avanti, se posso?» rispondo mantenendo una finta calma e provando persino a ostentare un sorriso.
Insomma, era nei patti sin dall’inizio.
Ho sempre voluto rapporti a tempo per evitare che mettessero in discussione la mia vita e ora per la legge del contrappasso Anna agisce come da copione, anche se non ce ne sarebbe più bisogno.
Anzi.
«Te l’ho detto, è solo una conoscenza... nulla di fisico se è questo che ti interessa. Non ancora.»
L’aggiunta finale poteva risparmiarsela, penso, ma se non altro ora è sincera.
Una scelta. Si tratta chiaramente di una scelta. Sono passati davvero i tempi del non dovrei dirtelo, lo so, ma io ti amo, sei la persona che mi ha cambiato la vita, l’unica che conosce la vera Anna.
E meno male che la conoscevo.
«In fondo non ha più importanza» commento ad alta voce.
«Ma tu piuttosto come stai?» dice mentre mi prende la mano. Eccola che sgattaiola via verso terreni che non la spaventano più di tanto.
Vuole uscirne da vincente, vincere su tutta la linea, forse spera che ora che sono più debole possa abbassare la testa, magari versare una lacrima e abbracciarla.
Elemosinare affetto?
Per un attimo devo ammettere che ci avevo anche pensato, provare a riprendermela puntando tutto su quello che è stato, sulla profondità del nostro legame.
Dopo il tentativo andato a vuoto con Lucrezia, però, la mia autostima non potrebbe sopportare un secondo fallimento, così rinuncio.
«Tengo botta» rispondo ritirando la mano.
Non so perché, ma l’idea che qualcuno la stia toccando in questo periodo mi dà un profondo fastidio anche se fino a poco tempo fa era fidanzata.
L’ho condivisa per lungo tempo con un altro, eppure ora sembra diverso. Mi chiedo se tutte le strategie che ho messo in atto per non lasciarmi travolgere da lei e dal sentimento abbiano avuto davvero effetto o se invece sotto sotto quel senso di vuoto che provo non sia frutto solo dei casini in cui mi trovo.
# Mai sottovalutare i sentimenti. Le contromisure devono essere adeguate.
«Tu lo sai che per te ci sarò sempre... vero?» dice e sorride con un senso di liberazione che mi spaventa.
Quella parte è sempre stata la mia. Sono di fronte a un completo rovesciamento dei ruoli, mai capitato.
La commedia dei buoni amici poi davvero non la reggo, non sta in piedi.
«Grazie. Ma non penso ci sarà bisogno» taglio corto chiedendo il conto con un cenno della testa.
Non voglio che rimangano buoni rapporti, non voglio pensare a lei come a nient’altro che una donna con cui ho avuto una storia. Fuori dal letto non siamo stati niente, non siamo mai esistiti. Che lo sappia pure lei.
Magari così si affievolirà il mio peso sullo stomaco e se ne creerà uno sul suo.
«D’accordo» risponde. Lo vedo che lo sguardo cambia, e un minimo di luccichio si affaccia agli angoli dei suoi occhi, non dei miei.
Meglio così.
Eviteremo altri contatti e altre lungaggini che tengano vivo, anche se in forma leggermente diversa, un rapporto che è finito.
Mentre siamo fuori e ci salutiamo con un gesto simile a quello con cui ci siamo conosciuti, lei aggiunge ancora: «Comunque io non posso e non voglio cancellarti».
«L’hai, anzi, scusa, l’abbiamo già fatto.»
Le stringo la mano e poi la guardo allontanarsi.
Mi soffermo come la prima volta sul suo sedere perfetto. Stavolta nessun pantaloncino.
Un vestitino fresco, azzurro.
Le sta bene.
Anche questa volta siamo a pochi passi da un ufficio postale.
E le sensazioni non sono propriamente le stesse.
Al bar però vendono le sigarette e a questo punto vale davvero la pena ricominciare.
Cinque Marlboro e due caffè più tardi sono ancora seduto a quel tavolino. So bene che non posso liberarmi in modo così semplice di quello che sto passando. Sono un mediocre psicoterapeuta, ma non così mediocre.
Pur di mostrare a me stesso che sto reagendo bene e in preda a uno strano senso di onnipotenza e di necessità di cominciare a fare davvero l’uomo, ho chiamato il tizio della banca promettendogli che entro fine mese saremmo rientrati di tutta la cifra.
Lui, che per fortuna ne avrà viste tante, mi ha detto che se fossi passato in filiale avremmo potuto studiare insieme un piano di rientro che, mantenendo stabile il pagamento delle nuove rate, ci permettesse di saldare le altre entro fine anno.
Ho acconsentito e preso appuntamento per l’indomani.
Ho poi annunciato a Lucrezia in uno stringato sms che domenica avrei voluto parlare con Piero della nostra situazione perché lo ritengo giusto.
Lei ha risposto con un messaggio vocale di otto minuti e mezzo che mi ha messo di nuovo di cattivo umore.
Insomma io ti scrivo perché non ho voglia di sentire la tua voce e tu come rispondi? Con la tua voce, e in un modo invadente. Devo ascoltare minuti e minuti dei tuoi sproloqui senza poter neanche controbattere.
La violenza delle chat e dei social ormai incombe su di noi.
Non che sul fronte lavoro sia andata meglio, e questo è il vero problema.
I responsabili del centro di Terni mi hanno richiamato e detto che all’inizio della prossima settimana potrei cominciare, ma che per motivi di bilancio l’impegno sarebbe solo di due volte al mese e il compenso di trecento euro tutto compreso.
Una paga da fame che ho accettato.
Ho anche spedito via mail a Lorenzo il file di uno dei romanzi rimasti nel cassetto della scrivania a casa di Lucrezia, che ho trovato in uno degli scatoloni.
Dieci minuti dopo è arrivata la risposta.
Lorenzo, 17.38, mercoledì
Giro tutto a uno con cui sono più in confidenza. È uno di quelli che decidono. Me lo lavoro un po’ sperando che quello che mi hai mandato gli piaccia. Ti tengo aggiornato. L.
Mi sembra una speranza da pazzi, ma almeno non sono immobile e questo mi dà una certa adrenalina.
È come se addirittura sentissi dentro una spinta che negli ultimi anni di bambagia a casa Altomonti avevo perso del tutto.
Riscoprire qualcosa che sono stato e che è ancora molto sfuocato come in un sogno disperso alle prime luci dell’alba. Eppure non del tutto dimenticato.
Lo squillare del telefonino mi sottrae a queste riflessioni. Guardo il display. Mamma.
La tentazione è di spingere il tasto rosso, ma tanto prima o poi dovrò rimettere piede a casa.
Porto meccanicamente il telefono all’orecchio.
«Pronto.»
«Dove sei?» La voce è leggermente allarmata. Mi sembra davvero di tornare ragazzo, quando non riusciva ad andare a dormire finché non rientravo.
«Non ho mica sedici anni» rispondo secco.
«Stronzo.»
Ecco, un insulto del genere l’ho preso mille volte, soprattutto dalle donne, ma sopportarlo quando lo dice tua madre è sempre faticoso. Torna fuori il bambinetto che è in te. Ferisce.
«Che succede?» dico cercando di tornare a un tono neutro.
«Volevo che parlassimo meglio di tutto quello che è successo stamattina.»
«Non ti preoccupare. Ho appuntamento domani con il responsabile della banca e risolveremo la cosa. Sarà dura e dovremo fare dei sacrifici, ma mi è sembrato molto disponibile.» Cerco di tranquillizzarla o forse parlo a me stesso.
«Ma tu devi pensare a te e a tuo figlio... come faremo se non hai neanche un lavoro...»
«Qualcosa ho già trovato oggi, e altro troverò...» Ancora una volta non capisco se è un botta e risposta o un dialogo interiore in cui provo a darmi coraggio.
«Forse una possibilità ci sarebbe, ma non so se è il caso... insomma, tu hai studiato per fare il tuo lavoro e non vorrei che la vivessi come...»
Prende tempo.
So che quando fa così c’è qualcosa che bolle in pentola di cui non ha il coraggio di parlarmi.
Lo fece anche quando avevo sedici anni e non mi avevano scelto dopo il provino per una squadra di calcio. Tre giorni di giri di parole e poi era scoppiata a piangere.
In fondo mia madre, a suo modo, cerca ancora di proteggermi. Anche ora che sono così esposto e che tutto quello che poteva succedere è successo.
Il compito delle madri.
«Di che si tratta?» chiedo.
«Torna a casa e ne parliamo.»
So già che per come si è incanalata la discussione mi farebbe perdere ore per ottenere una parola, così mi alzo e comincio a camminare. «D’accordo. Arrivo.»
Non fa troppo caldo per fortuna e mi sembra persino di avere tante opzioni.
Qualcosa accadrà.