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Il pomeriggio al bar scorre senza troppi scossoni, tutto si muove con un ritmo più rallentato e io non vedo l’ora di spostarmi al turno che va dal secondo pomeriggio alla sera.

Non si tratta solamente della possibilità di non svegliarsi all’alba, ma anche dei ritmi un po’ più comodi che hanno le persone che arrivano e vogliono semplicemente godersi una pausa.

Poi ci sono gli habitué che costituiscono sicuramente un favoloso spaccato di mondo, spesso ricco di storie e di incredibili racconti.

«Eccoci qua belle signore» commento mentre mi avvicino al tavolo delle vere padrone del pomeriggio. Lo occuperanno dalle quattro alle sette, di certo raccontandosi tutto quello che accade nella loro vita.

La signora Maurizia, ottantasei anni, madre di un pezzo grosso della Rai e per questo ascoltatissima da tutte su questioni che riguardano attualità e politica, ha sempre le notizie di prima mano e beve solo decaffeinato con aggiunta di una puntina di dolcificante.

La signora Leda, ottantaquattro anni, è soprannominata la Regina perché non esce mai senza qualcuno dei suoi fantastici gioielli. Pare che il marito abbia commerciato per anni dopo la fine della guerra con il Sudafrica e abbia fatto una fortuna con i diamanti. Il suo fascino da nobile decaduta fa il resto. Il bon ton è il suo campo d’azione.

Di solito prende solo un tè all’inglese. Ma due volte a settimana si fa aggiungere tre biscottini di lato.

Infine la signora Gilda, settantanove anni appena compiuti, soprannominata la Ragazzina. Vedova da poco, sembra che si stia ancora guardando intorno e a volte osa addirittura una gonna appena sopra il ginocchio. Essendo la meno anziana è convinta di avere una certa conoscenza delle nuove tendenze dei giovani. Non a caso è l’unica a possedere uno smartphone e a utilizzarlo con grande precisione. Lei prende sempre una Coca Light con una scorzetta di limone, ma ogni tanto osa un crodino. Gianni mi ha dato tutte le istruzioni del caso, così arrivo ben preparato.

«Ma che bravo ragazzo» fa la signora Leda, «e la divisa gli sta anche bene, altro che quel cafone di prima... hai messo anche i biscottini! Bravo caro.»

«Vero... ma d’altronde è il nipote della Gina... come sta la zia?» chiede la signora Maurizia, che ha il compito sacrosanto anche di informarsi su tutto il quartiere. «Mica le sarà presa l’influenza... dice mio figlio che toccherà stare attente da subito noi vecchiette quest’anno.»

La signora Gilda la guarda con distacco. Lei non si sente per niente vecchietta.

«No signore, sta benissimo. Verrà a trovarvi presto.»

Mia zia Gina effettivamente è la quarta del gruppo, ma lo frequenta saltuariamente perché le ritiene snob. Ora col fatto che lavoro lì credo che non lo farà più. Non vuole mettermi in difficoltà o forse non vuole trovarsi sotto il fuoco incrociato delle tre. Tutti sapevano che mi ero sposato con una dei Parioli e facevo ormai parte della upper class romana. E ora perché ero finito lì? E a fare il cameriere poi... uno che ha pure studiato. Devo dire che per certi versi mi fa sorridere essere per loro l’uomo dei misteri.

«Un giorno, però, dovrà anche sedersi al tavolo, giovanotto, e raccontarci qualcosa di lei...» fa la signora Maurizia mentre le passa a fianco una ragazza a passo svelto. Non posso fare a meno di seguirla con lo sguardo e la signora Maurizia mi bacchetta: «Giovanotto... si distrae così facilmente?».

«D’altronde come vanno vestite in giro queste ragazzette... mezze nude! Ai miei tempi...» commenta la signora Leda.

«La moda di oggi è così... cosa ci vuoi fare?» interviene la signora Gilda, che la sa lunga.

«Moda? Quale moda, Gilda? Sei forse impazzita? E io come sai di moda me ne intendo.»

«Ma non di giovani cara Leda...»

Ecco, ora è il momento di defilarsi. Continueranno fino al momento di andarsene. Passeranno le due badanti di Maurizia e Gilda e Leda sarà felice di far vedere a tutte che se ne va a casa da sola, anche se le due sostengono che è perché non ha i soldi per pagarsela.

Lasceranno così il posto ai bevitori seriali che si sono appena seduti al tavolo a fianco e sono capaci nel giro di due ore di consumare anche tre o quattro Peroni a testa.

Le loro storie sono altrettanto divertenti ma ancora più sconclusionate, soprattutto grazie a Eusébio, italo-brasiliano che all’occorrenza comincia anche a intonare qualche pezzo storico di Toquinho.

Completa il pubblico una misteriosa ragazza che occupa un tavolino fuori. La testa sempre china sul computer, l’ha alzata solamente ogni tanto quando il livello delle voci al tavolo delle vecchiette superava la soglia acustica consigliata.

A volte sorride, altre no, poi torna al pc. Avrà consumato già due tè sotto gli occhi vigili di Gianni. Forse non ha connessione a casa e quindi le fa comodo il nostro wi-fi gratis.

Meglio non lasciarci troppo la testa. Sono qui solo per lavorare, così, mentre mi preparo ad accogliere la banda dei bevitori, noto due presenze nuove, qualcuno che conosco ma che in nessun modo dovrebbe trovarsi qui.

Per un attimo ho quasi voglia di ritrarmi perché mi riportano nella realtà incasinata che è la mia vita, proprio quando grazie a questo primo giorno di lavoro stavo riuscendo a liberarmi.

«Mi scusi» dice la donna. I capelli sono tagliati in un modo diverso, a caschetto, ma il grado di biondo Marilyn non può farla passare inosservata. Come il vestitino succinto che racchiude un corpo da Jessica Rabbit. Il tacco dodici slancia ancora di più le gambe perfettamente accavallate.

Guardo verso il tavolo delle signore e sono certo che staranno commentando la cosa, cercando di capire perché una donna vada in giro vestita così a quest’ora nel quartiere e soprattutto perché si accompagna a un tizio più largo che alto, con occhiali spessi e un sorriso sornione da ebete. L’anti-uomo in pratica. Pantalone corto beige e polo nera chiusa fino all’ultimo bottone, di una taglia che difficilmente si trova nei negozi comuni.

Io so perché sono seduti insieme a quel tavolo.

Conosco il segreto, l’unica cosa che lega due personaggi così diversi.

Si tratta di me.

«Ma allora è ve-vero che... che ora la-lavora qui.» La voce di Mario Manetti, soprannominato da molti il Bambasone e dal padre addirittura Somario per via di una clamorosa bocciatura in seconda media, è davvero inconfondibile. Metodico, ossessivo-compulsivo e pieno di tic al punto da non riuscire a guidare l’auto.

Tre anni di terapia che a guardarlo bene non sono approdati quasi a nulla.

«Cioè si è davvero messo a fare il barista?» La donna, di nome Vanessa, ex attrice di film porno, ninfomane e narcisa. Non accetta che ci sia un solo essere vivente che non la fissi con cupidigia quando entra in un posto.

Se ne è accorto persino Remo, il gatto siamese di Gianni che gira intorno alla sedia riempiendola di moine da quando si è seduta.

# Attenzione massima a non cadere nella rete della femme fatale.

Li guardo insieme e vedo in controluce il mio fallimento come terapeuta, o forse sono quello che si merita un terapeuta come me.

«Come mai da queste parti?» chiedo cercando di mantenere un tono neutro. Sono certo di aver mandato sia una mail che un messaggio a tutti i miei pazienti avvertendoli che per qualche tempo sarei stato fuori per motivi personali e che potevano rivolgersi a uno dei miei colleghi.

Avevo dato loro almeno tre nomi.

Li guardo e mi sento in profonda difficoltà.

L’ultima volta che ci siamo visti eravamo seduti in uno studio e io ero il terapeuta, loro i pazienti.

Ora al massimo potrei consigliargli il tipo di cocktail adatto all’aperitivo.

«E ce lo chiede?» prende di nuovo la parola Vanessa. Il Bambasone resta seduto e guardandosi gli anfibi neri passa un dito lungo la gamba. Su e giù.

«Insomma non è che può interrompere un percorso terapeutico così... ci ha smollato.» Penso che con questi capelli a caschetto assomigli alla versione bionda di Valentina Crepax. Il fisico è quello.

Vedo il suo sguardo che cambia sulle note delle ultime parole. Ora tira fuori la bambina imbronciata e mordicchia il labbro superiore.

Efficace. Ma si tratta di un film già visto.

Di loro due conosco ogni singolo recondito modo di essere e di comunicare.

«Vi ho messo in contatto con dei miei colleghi, no?»

«E secondo lei noi dovremmo iniziare da capo... io ci ho messo due anni a fidarmi di lei e a raccontarle certe cose di me che...» Lascia volutamente la frase a metà e inforca gli occhiali da sole.

In realtà mi aveva raccontato il grosso della sua vita e delle sue peripezie già nei primi tre incontri di prova. Al quarto aveva cominciato una strategia di seduzione che non si è mai interrotta del tutto. Più forte di lei.

A volte mi sono chiesto se avesse continuato la terapia più per un puntiglio rispetto al fatto che non avessi ceduto al suo fascino che perché vi trovasse beneficio.

Al tavolo dei bevitori è sceso un improvviso silenzio. Tutti restano rapiti dalla performance della donna. Anche Gianni sta braccia conserte sulla soglia. Mi volto e incrocio il suo sguardo. Mi fa cenno che non ci sono problemi.

Vanessa, al solito, non perdona.

«Ha ra-ragione lei... noi ci siamo tro-trovati senza nessun pu-punto di ri-riferimento da-dalla ma-mattina alla se-sera...» aggiunge il Bambasone, che quando è particolarmente in difficoltà aumenta il balbettio.

«E non sa cosa è stato trovarla» riprende lei, «con quella, scusi se glielo dico, stronza, antipatica di sua moglie che non voleva dirci dov’era... “Non conosce la privacy, signorina?” mi ha detto... e mi squadrava anche dall’alto in basso quella strega... ce l’avesse lei un corpo così...» Mentre lo dice scavalla e riaccavalla le gambe generando ampi consensi nel pubblico circostante.

Non posso fare a meno di immaginarmi questo bellissimo dialogo tra Vanessa e Lucrezia. Spero disperatamente che fosse presente anche il signor Altomonti.

Vedere la sua reazione non avrebbe prezzo.

Le chiederei di raccontarmi qualche dettaglio in più ma si rivelerebbe di certo un errore.

«Pe-per fo-fortuna che la vo-vostra rete non è ade-adeguatamente pro-protetta...» aggiunge il Bambasone come se fosse la cosa più normale del mondo spiare i computer degli altri.

Sono sconcertato.

«Dunque l’ha rifatto?» dico con un distacco difficile da sostenere negli abiti che porto.

Mutismo e sguardo verso il basso.

Due anni prima, per essersi inserito più e più volte nei computer di alcune persone e anche per aver fatto ricerche indebite era stato licenziato per giusta causa dall’Inps, dove il padre era riuscito a farlo assumere con un giro di favori personali.

Per poco non era finito dentro.

«Erano persone cattive» si era giustificato con aria da finto giustiziere.

In realtà i due malcapitati erano degli spasimanti dell’unica donna per cui aveva sempre perso la testa. Sua cugina, Flora, che stalkerava da sempre senza remore né freni.

Ne avevamo parlato a lungo durante le nostre sedute.

«Facciamo finta che mi sono dimenticato di come siete arrivati qui, per il vostro bene. Bevetevi quello che volete. Offre la casa. Oggi stesso chiamate uno dei miei colleghi e riprendete subito la terapia.» Cerco di essere perentorio.

Poi mi allontano un attimo per dar loro il tempo di riflettere sulla mia proposta. O dal tono avrebbe dovuto essere un ordine?

«Preferiamo aspettare di ricominciare con lei...» afferma Vanessa mentre sto facendo il primo passo.

«Io non ritornerò» dico secco.

«E perché? Preferisce fare lo sguattero?» aggiunge con sdegno. «Io comunque prendo un Ginger ale.»

«A quest’ora?» commento. «Direi che non è proprio il caso...»

«Non è più il mio terapeuta le ricordo... prego, vada.»

Fa segno con la mano e io mi allontano.

Il Bambasone aggiunge una Lemonsoda.

«Ma chi sono questi tizi?» chiede Gianni. «Certo lei è da urlo» e mi fa il segno di ok con la mano.

«Solo due vecchi amici» commento a denti stretti per non dover confessare la verità.

Cinque minuti dopo sono al tavolo. Noto che Vanessa è sempre più nervosa e vicina a una possibile esplosione.

Il Bambasone ancora con lo sguardo basso.

«Eccoci. Come detto, offre la casa ed è stato bello rivedervi.»

Parole non troppo persuasive.

Vanessa aspira nervosamente da una sigaretta. Per fortuna non ha applicato il consueto bocchino perché sarebbe davvero troppo.

Batte ritmicamente il piede per terra.

«No-noi pe-pensavamo che po-potrebbe fare un’ecce-eccezione so-solo per noi due...»

«Purtroppo non è possibile» cerco di chiudere.

«Ma-ma anche qui se ne-necessario.»

Mi fa quasi tenerezza il suo bisogno di aiuto, ma so che non sono in condizione di poterli seguire. Sarebbe anche peggio di come è stato finora.

«Vi ricordo che non si tratta di lezioni private di Latino, ma di qualcosa di più profondo.»

«Vuole mollarci così davvero?» risponde lei alzando ancora di più la voce. Gli occhi lucidi e invasati.

Così arriva quello che temevo.

Tutto si svolge in un secondo. Si alza di scatto e mi assesta uno schiaffo fortissimo.

Non avevo mai preso uno schiaffo così da una donna a pensarci bene. Ogni cosa sembra fermarsi per un attimo.

«Bastardo senza cuore!» sono le parole che mi rimbombano nel cervello mentre la vedo allontanarsi in perfetta armonia sui suoi tacchi.

Il Bambasone temporeggia un attimo, poi sempre a testa bassa la segue.

Resto in piedi solo io, con la guancia che mi pulsa in corrispondenza dello schiaffo e senza una buona spiegazione per tutte le persone che mi guardano.

La signora Maurizia e la signora Leda scuotono la testa all’unisono, mentre Gianni, di nuovo in piedi all’entrata, si mette una mano tra i denti come per dirmi Te possino, altro che vecchi amici.

Mi lascio andare sulla sedia e assaggio il Ginger ale che Vanessa non ha neanche toccato.

Ci vuole, dopo una figura di merda così.