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Non abbiamo fatto l’amore.

A dire il vero non ci siamo neanche sfiorati se non alla fine con un casto bacio sulla guancia al momento di separarci.

Io sullo scassone, lei sul motorino con cui eravamo arrivati. Entrambi a piazza Bologna, a non più di trecento metri di distanza l’uno dall’altro.

Erano le tre, ma alla fine non sono riuscito a addormentarmi.

E sarebbe andata anche bene da un certo punto di vista, perché al bar l’apertura toccava a Gianni, se non fosse che alle 12 avevo il famoso brunch di lavoro con Lorenzo e il pezzo grosso della casa editrice.

Me lo ha confermato lui con un messaggio proprio mentre ero con Lia.

Ricordo il visetto imbronciato con cui ha reagito mentre veniva interrotto il suo racconto della Cambogia attraversata in moto con un gruppo di amici.

Ma quanti anni avrà, avevo pensato in quel momento, scoprendo poi che la mia stima non era del tutto corretta. Trentasei anni e il viso di una ragazzina.

«Fai, fai» aveva detto capendo che ero in imbarazzo per il cellulare e che non volevo rompere quel momento di intimità che si era creato.

Lorenzo, 22.37, domenica

Sarà per domani. Nessuna possibilità alternativa perché stiamo solo un giorno. Ore 12. Facciamo un brunch dalle parti di via Piave. Zona Porta Pia. Ti farò avere indirizzo in mattinata. Mi raccomando super puntuale e in tiro. L.

Se Lorenzo dice in tiro vuol dire che dovrò rispolverare uno dei tanti completi blu che Lucrezia mi ha fatto comprare negli anni, scegliendoli personalmente, o meglio, facendoli confezionare al sarto del padre.

Gli Altomonti non comprano quasi nulla nei negozi dei comuni mortali.

Sorrido.

«Una bella notizia» fa Lia.

«Più che altro una timida speranza» rispondo, e a quel punto sono costretto a vuotare il sacco.

Questione di sogni e di aspirazioni da confessare l’uno all’altro.

La mattina si è portata via ogni incanto serale.

Non avendo sentito la sveglia, ho dovuto fare doccia e preparazione nel giro di un quarto d’ora, oltretutto immerso in un nauseabondo odore di cipolla.

«Ma che cos’è?» chiedo uscendo dal bagno.

Neanche un litro di quel profumo francese che Lucrezia mi ha regalato all’ultimo anniversario e che sono riuscito a trafugare durante la mia cacciata da casa Altomonti riuscirebbe non dico a coprirlo, ma a camuffarlo un minimo.

«Zia ti sta facendo la frittata con le cipolle che ti piace tanto.»

E ride.

«Cara zietta bella, io ti ringrazio, ma: primo, come ti ho detto tre minuti fa, ho un brunch di lavoro, secondo, odio la cipolla e dovresti saperlo, terzo... sono in ritardo!»

«Blanch? E cos’è? Una cucina nuova? Mica ti mangerai quelle schifezze coreane dell’altro giorno?»

Si riferisce al sushi che ho preso per depurarmi dopo quasi una settimana di pesantissima cucina romana.

Venendo dal salutismo di Lucrezia praticamente un triplo salto mortale.

«No, no, zia. Mi sono espresso male. Un pranzo di lavoro» dico scandendo bene le parole e sperando che questo la tenga tranquilla mentre mi faccio il nodo alla cravatta.

Devo farlo per forza di fronte a uno specchio e con la massima concentrazione.

Negli ultimi tempi se ne era sempre occupata Lucrezia. Non ho mai capito se fosse per una forma di carineria e di affetto o per vigilare sul fatto che fossi quantomeno presentabile agli occhi della famiglia.

Chiaramente c’è sciopero dei mezzi e parcheggiare alle 12 in zona Porta Pia il Maggiolone sarebbe una sorta di miracolo.

Dovrò attaccarmi al telefono nella speranza che ci sia un taxi reperibile nel giro di dieci minuti. Ne prenderei anche uno di quelli abusivi della stazione Termini a questo punto, anzi scendendo le scale inizio a sperare di trovare in strada qualcuno che mi dica: Dottò, taxi, serve passaggio?

Niente.

Il deserto mattutino. Vedo però che ho due messaggi sul telefonino.

Il primo non fa che aggiungere ansia.

Lorenzo, 11.42, lunedì

Via Sicilia 149. Mi raccomando non tardare che abbiamo i minuti contati. L.

Il secondo potrebbe aiutarmi se non andasse contro a un altro assunto essenziale.

# Non scrivere mai a una donna dopo il primo appuntamento e non risponderle. Per almeno tre giorni.

Lia, 11.44, lunedì

Mi raccomando fatti onore! Si tratta del tuo sogno e devi conquistartelo. Un bacio, Lia.

Perdo quattro minuti in attesa che qualcuno mi risponda dal radio taxi, poi rinuncio.

Tengo per altri due il telefono in mano, indeciso sul da farsi. Poi cedo.

La corsa in motorino è stata folle.

Qualcosa che sarebbe difficile anche solo immaginare se non la si è provata.

Alla prima curva ho creduto ciecamente a tutti i racconti sulla Cambogia compresa la fuga da dei presunti predoni che volevano rapirla.

Però alle 11.59 sono all’angolo tra via Sicilia e via Romagna.

«Hai visto che ce l’abbiamo fatta?» fa lei sfilandosi il casco.

Io metto le mani per un attimo sulle ginocchia, e rispondo: «Davvero incredibile».

«Ora tocca a te» dice e mi stampa un bacio.

Uno di quelli a tradimento. Casto, certo, ma pungente.

Un segno di intimità che da una parte mi solleva e dall’altra mi spaventa non poco.

Non ho tempo di pensarci troppo perché intravedo Lorenzo in piedi fuori dal bar che mi fa il segno dell’orologio.

Completo scuro anche lui e solito ciuffo al vento.

Inconfondibile.

«Ciao allora e grazie di cuore...»

«Salvato due volte nel giro di poche ore... forse comincerò a montarmi la testa» risponde infilandosi il casco.

Non mi lascia il tempo di dire nulla o forse la battuta resta lì sospesa come accade a volte quando esattamente due minuti dopo la fine di una discussione ci vengono in mente mille risposte possibili.

Corro da Lorenzo e mi limito a una stretta di mano anche se non ci vediamo da molto tempo.

Contegno e stile prima di tutto.

L’uomo che ci aspetta al tavolo avrà non più di quarant’anni e la cosa mi mette un po’ di malumore. Percepisco improvvisamente tutta la distanza che c’è tra di noi. Lui giovane rampante e io costretto a barcamenarmi senza troppe prospettive.

«Ti presento il dottor Luca Mariottini» fa Lorenzo mentre tendo la mano.

«Piacere, Tommaso Leoni» dico.

Seguono alcuni minuti di convenevoli, necessari anche a fare l’ordinazione.

Lascio che siano loro a scegliere per me.

«Andrei subito al dunque» fa l’uomo sfregandosi leggermente le mani.

«Purtroppo Luca non ha moltissimo tempo ma è stato comunque gentilissimo a volerti incontrare» sorride Lorenzo.

Dal modo in cui lo guarda però credo che lo disprezzi. Lo conosco troppo bene per non saperlo. Ma nella gestione dei rapporti è un maestro assoluto.

«Ho avuto modo di leggere il suo romanzo e vi ho trovato spunti interessanti, anche dei passaggi notevoli...»

Ne parla per qualche minuto con cognizione di causa e mi rendo conto che deve per forza averlo letto o almeno averlo fatto leggere con attenzione per lui.

La cosa mi stupisce e mi fa capire che Lorenzo deve avere un forte ascendente su di lui.

Sento però campeggiare sul suo discorso un gigantesco MA che sta per arrivare, puntuale ma inesorabile.

«Il problema semmai è che oggi come oggi di romanzi ben scritti e anche con una trama intelligente ne abbiamo fin troppi... come Lorenzo sa bene il vero disastro viene nel momento in cui dobbiamo spingerli... e le vendite sono spesso irrilevanti.»

Di fronte a questa considerazione ho davvero poco da opporre.

«Effettivamente il periodo non è semplicissimo e da quando sono entrato in azienda mi sono reso conto delle enormi difficoltà del settore...» commenta Lorenzo e poi, facendomi segno di stare tranquillo, aggiunge: «Anche se alla fine la nostra casa editrice si è distinta negli anni soprattutto per aver mantenuto un buon livello di proposta culturale».

Ecco la zampata. Ora lo riconosco. Sa quali tasti toccare.

«Assolutamente vero. Però siamo stati sempre i primi anche a capire come cambia il vento e a seguire una scia di originalità nelle scelte.»

Provo a non demoralizzarmi del tutto mentre arrivano una serie di piccoli assaggi di varie portate.

Penso con certezza che Lucrezia avrebbe approvato il cibo e anche lo stile dell’uomo. Che sia un tipo come lui il suo amante misterioso?

Di certo una persona che non si distanzia troppo da questo modello.

«Vede, signor Leoni. Cinque anni fa avrei preso seriamente in considerazione la possibilità di pubblicare il suo libro, ma oggi come oggi sarebbe davvero un piccolo suicidio. Insomma. Come le dicevo, la storia funziona anche, ma dov’è la contemporaneità, dove sono le cose che interessano non solo un pubblico giovane, che resta una chimera, ma anche quel pubblico di lettrici che oggi si aspetta qualcosina di diverso?»

Dà uno sguardo all’orologio. Segno che la breve riunione sta per chiudersi.

«L’altra faccia della medaglia è che lei non ha elementi biografici utilizzabili. So che è un terapeuta e questo ne fa, come emerge dal libro, un profondo conoscitore dell’animo umano e anche di quello femminile, ma come potremmo metterlo a frutto... non è che lei sia Morelli o Crepet.»

Non deve essere al corrente del fatto che oltretutto momentaneamente faccio il barista. O forse chissà, magari la cosa lo intrigherebbe.

Anche Lorenzo è rimasto a corto di argomenti.

«Ora purtroppo devo davvero scappare, perché mi hanno anticipato un appuntamento che non posso assolutamente mancare.»

Mi porge la mano. La stretta è ancora più ferma di quella di prima.

«La ringrazio comunque della disponibilità» dico.

«Ma non si abbatta...» aggiunge. «Questa non è affatto una bocciatura e Lorenzo sa che la terremo d’occhio. Se scrive altro ci contatti assolutamente.»

Mi sembra una di quelle frasi fatte che si rifilano a ogni aspirante scrittore che per un secondo ha sperato di essere ammesso nell’empireo della grande editoria.

Scuse ben poste.

«Sarà fatto» mi limito a dire.

Appena restiamo soli, Lorenzo esce al naturale.

«Che pezzo di merda» comincia.

«Non ti preoccupare, me lo immaginavo.»

In realtà sull’onda dell’euforia per la serata di ieri avevo auspicato ben altro finale. Insomma, anche il bacio di Lia di prima mi aveva per certi versi illuso.

«Ma tu lo sai dove è corso adesso?»

«Immagino da un autore importante...»

Lorenzo si passa una mano tra i capelli e scosta il ciuffo nello stesso modo in cui lo faceva a scuola, continuamente.

«Ma de che... ma de che...» Si avvicina abbassando la voce: «Si sente così euforico perché forse è riuscito a strappare alla concorrenza una ragazzina di quindici anni che sta spopolando in rete».

«Una youtuber?» dico senza quasi rendermene conto.

«Esattamente... ma tu che ne sai?» chiede con aria più preoccupata che curiosa.

«Piero» rispondo. «Mi ha fatto una testa così in questi giorni...»

«Certo... immagino. Nessuno è immune da questa nuova tendenza. Ce l’avessimo avuta noi questa opportunità.»

Si guarda per un attimo in giro, poi aggiunge: «E non hai idea dei soldi che girano. Ho visto l’offerta che le hanno fatto e mi sono sentito male. Insomma, sai che io ho gusti particolari e anche discutibili e non sono neanche un grande lettore... ma quelli davvero non sono libri».

Inutile continuare a rimuginarci su, penso.

«Per il resto come va?» chiede. «Tra l’altro sbaglio o ti ha accompagnato una donna prima...»

Rimango in silenzio.

«Dai su... bacio veloce da liceali. Quella roba lì.»

Ride.

«Lasciamo perdere, va’» taglio corto, e provo ad affondare il dolore in un bicchiere di Franciacorta.

Tanto pagano loro.

«Invece ora devi dirmi tutto...» e fa per tirare fuori una sigaretta, poi la rimette dentro, forse per rispetto.

«D’accordo... ma sgancia le sigarette.»

«Perché, hai ricominciato?»

«Alla faccia di Lucrezia» rispondo, e so che sorriderà. I due non si sono mai amati. Anzi, lei a un certo momento mi fece capire che non era ospite gradito e che meno lo frequentavo meglio era.

L’avevo assecondata.

Come in tutto il resto.

Ora, a trovarmelo di fronte col suo sorriso sornione e il piacere di fumarci una sigaretta insieme, mi sento davvero un cretino.

Insomma, ho sacrificato corse in motorino, patemi, serate passate ad annoiarsi insieme, sogni condivisi e irrealizzabili, i supplì mangiati a tutte le ore, le poste sotto casa delle donne. Minuti, ore, giorni che sommati insieme fanno un pezzo importante di vita.

«Grazie, ma anche scusa» dico mentre ci alziamo.

«E di che?»

«Un’infinità di cose» chiudo il discorso e finalmente lo posso abbracciare.

«Dimmi tutto» fa lui, «e la prossima volta che mi abbracci in pubblico, un po’ più di contegno. Ci mancava che mi toccassi il culo...»

Ride.

Ridiamo.

E nonostante la delusione tutto sembra di nuovo possibile.