I consigli di Lorenzo non sono mai stati decisivi.
Abbiamo spesso condiviso le stesse paure e gli stessi dubbi e forse per questo le nostre discussioni sono finite sempre in un nulla di fatto.
Però parlarne mi ha fatto bene.
Anche perché non ho dovuto pensare a dettagli da eliminare o ridimensionare. A lui posso confessare tutto.
È stato sempre così.
«Ora devo proprio andare» ha detto dopo una mezz’ora che eravamo lì uno di fronte all’altro, «ma tanto la prossima settimana devo tornare e conto di fermarmi qualche giorno.»
«Se vuoi puoi venire a stare da me...» ho risposto sorridendo.
«Nella stanzetta col poster dei Queen! C’è ancora?»
«Ovvio.»
«Sono tentato, effettivamente, soprattutto per stare un po’ anche con mamma Iole.»
«Lasciamo perdere.»
«Perché? Di nuovo problemi?» chiede sinceramente preoccupato. Ora non ha più ansia di andare.
«Insomma... le devo stare molto dietro» traccheggio un attimo, poi vuoto il sacco, «ha rischiato di farsi portare via l’appartamento. L’ho saputo per caso l’altro giorno. Si sono presentati dei tizi della banca per le rate del mutuo non saldate.»
Abbasso la testa per non incrociare il suo sguardo severo. So che avrei dovuto occuparmi di più di mia madre.
«Almeno su questo posso aiutarti. Dimmi di quanto si tratta.»
«No, non ci pensare. Tutto risolto.»
«Non fare il cazzone con me... se hai bisogno me lo devi dire. So che il momento per te economicamente non è dei migliori e me ne fotto se vuoi fare l’orgoglioso.»
«Stai sereno, davvero. Ho sistemato tutto.»
Apprezzo la sua voglia di aiutarmi ma non siamo il sabato sera in pizzeria a sedici anni con i soldi contati. Non prenderei mai denaro da lui.
«I veri uomini si vedono nel momento della difficoltà.» Di nuovo la voce di mio padre che mi echeggia nella testa. Io e lui nello spogliatoio prima della finale del torneo studentesco. Un fastidio alla caviglia, la voglia di mollare e lui che non ammette che ci si possa tirare indietro abbandonando gli altri.
«D’accordo. Ma sappi che basta una telefonata. Sono stranamente in grana in questo periodo...» dice, sorridendo. Effettivamente negli anni si è sempre distinto per essere uno dei più grandi scialacquatori che abbia mai conosciuto.
Ora però sembra cambiato.
L’ictus che ha colpito il padre tre anni fa e lo ha spedito in una clinica senza più avere neanche la forza di parlare ha costretto Lorenzo a contare solo sulle proprie forze.
L’impero del genitore era fatto solo di contatti, alcuni dei quali neanche limpidissimi. E così nel giro di pochi giorni lui si è dovuto rendere conto che come eredità non c’era una fortuna ma solo debiti.
Ha dovuto vendere la casa di famiglia per far fronte a tutto, ma come al solito in poco tempo è riuscito a rimettersi in piedi.
«Lo so bene, dormo tra due guanciali» ho detto quindi, ma poi ho aggiunto: «Forse una cosa ci sarebbe... Per caso hai un amico avvocato?».
So che avendo girato molto e lavorato in tanti posti ha un’infinita cerchia di conoscenze.
«Lucrezia?»
«Già.»
Lascia cadere le mani lungo i fianchi. Forse in cuor suo pensava ancora che le cose si potessero aggiustare in qualche modo: «Tranquillo. Faccio qualche telefonata e risolviamo».
«Grazie.»
Ho un’ora libera.
Il turno al bar inizia alle 16 e per la prima volta da un po’ devo riempire del tempo senza sapere bene che cosa farne. Forse una passeggiata sarebbe l’ideale.
Noto che un numero ha provato a chiamarmi più volte, ma avevo il silenzioso e non me ne sono accorto.
Hanno lasciato anche un messaggio in segreteria.
Ascolto. All’inizio non capisco neanche che voce sia, ma poi mi accorgo che è la ragazza della banca.
Mi annuncia schiettamente che dobbiamo rivederci, perché per un problema tecnico non è possibile dilazionare in tante rate. Hanno bisogno di un pagamento a breve giro.
Rimango impalato in mezzo alla strada mentre un motorino mi schiva a sinistra.
Ripenso all’offerta di Lorenzo, ma scaccio subito l’idea. Sarà l’ultima carta. Lo chiamerò solo se l’alternativa sarà vedere mia zia e mia madre buttate fuori.
Metto insieme un po’ di numeri e capisco che la soluzione è davvero complicata.
Le opzioni pochissime.
Devo tornare a casa per parlarne con mia madre e sperare che facendo i salti mortali si possa trovare la cifra. Magari capire se tra il mio stipendio e la sua pensione possiamo chiedere un piccolo prestito.
Prestiti che estinguono altri prestiti, penso, mentre squilla il telefono.
«Pronto» rispondo senza neanche guardare il display.
Stavolta è davvero Lucrezia.
«Al primo squillo... che novità» commenta sarcastica. Per anni abbiamo discusso sul fatto che a volte per trovarmi ci metteva tantissimo tempo.
Chissà dov’eri, chissà che mi nascondi. Ricordo le sue parole che ora quasi mi farebbero piacere perché sarebbero meglio di questa pace armata.
«Dimmi.»
«Quanta fretta, che c’è, stai facendo dei cappuccini?» dice, e questo mi fa davvero male. «Non lo so... un uomo come te, laureato, un professionista e ti metti a fare il barista? Bah... almeno capirai il valore del lavoro.»
«Detto da te...» ribatto. Da quando la conosco non ha mai lavorato un minuto. E so che questa risposta potrà restituirle la ferita.
«Stronzo.»
Passa qualche secondo in cui nessuno ha niente da aggiungere. Pagherei perché il padre la vedesse così in difficoltà. Sarebbe una piccolissima rivincita.
«Il mio avvocato ha preparato delle carte. Dove dovrebbe mandarle?» dice infine, provando a recuperare il suo classico contegno.
«L’indirizzo di casa mia te lo ricordi, no? Quella che non avresti voluto neanche regalata.»
«Tua madre come sta?» Una domanda formale che non sopporto. Non si vedono da così tanto tempo. «Al telefono mi sembrava molto scossa» aggiunge.
«E il tuo uomo?» rispondo duramente. «Perché di questo non abbiamo mai parlato. Qualcuno di approvato dal grande notaio, scommetto.» Resta muta. Le butto addosso tutta la mia rabbia, ma ne sono consapevole mentre lo faccio.
# Finché hai un piccolo vantaggio con una donna colpisci sempre dove fa più male.
«Questo non ti riguarda, sono affari miei» replica.
«E te li sei fatti bene...» Lascio la frase a metà, poi aggiungo: «A proposito, ho ancora accesso al nostro conto o è stato già adeguatamente prosciugato?».
«Non sono mai stati soldi nostri...» dice, e ha ragione.
«Come tutto il resto» commento ad alta voce.
«Che c’è? Hai un così disperato bisogno di soldi da venirli a chiedere ancora alla mia famiglia?»
«Vaffanculo.»
Attacco il telefono.
Richiamerà, ma ho intenzione di non risponderle più, almeno per oggi.
Il cielo dannatamente blu, senza una nuvola.
Avrei preferito un’atmosfera diversa, qualcosa come il mare increspato e indomabile di Turner, penso.
Metto un piede davanti all’altro.
Verso casa.
Da Porta Pia a piazza Bologna ci vuole mezz’ora buona e tra il caldo e la stanchezza ci metto quaranta minuti netti.
Un tempo quasi interminabile in cui ho pensato così tanto a soluzioni possibili da avere la testa totalmente fusa.
Ho bisogno di cambiarmi.
Anche perché tra poco dovrò essere a lavoro.
Scelgo una strada alternativa proprio per non passare dal bar, ma trovo un’altra sorpresa.
Ecco mia madre che furtiva entra nella sala scommesse.
Il primo istinto è quello di gridarle contro frasi irripetibili, poi però penso che sia meglio coglierla sul fatto.
Accelero il passo, ma proprio quando arrivo di fronte alla vetrina, eccola che esce.
«Tana per mamma» dico.
Lei mi guarda come se l’avessi sorpresa a rubare la marmellata. La fisso e mi intenerisce, quello sguardo da bambina.
«Sono solo venuta a ritirare una vincita» dice alzando le mani.
«Ma per vincere devi aver giocato, no?» rispondo.
«Una cosa vecchia... se vuoi entriamo e te lo faccio verificare.»
«Bah... e quanto avresti vinto?»
«Seicento euro» dice fiera, in tono fin troppo alto. «Una tripla!»
Qualcuno intorno batte le mani e io quasi mi preoccupo dando uno sguardo alle facce. Rifletto però sul fatto che potremmo metterli tra le risorse in vista della guerra con la banca.
«Molto bene, perché oggi ho ricevuto una bella telefonata dalla banca e potrebbero farci comodo» le dico nell’orecchio.
Le indico la strada di casa.
«Vai avanti tu, che io devo comprare delle cose per cena» risponde guardandosi intorno furtivamente.
«Quali cose?»
«Be’... il risotto... sì, zia vuole farti un bel risotto con lo zafferano.»
«Ci passiamo insieme» ribatto.
«Ma tu sei in ritardo, no?»
Ecco di nuovo la bambina.
Mi fa quasi sorridere quanto diventi ingenua e prevedibile nel momento in cui vuole svicolare e provare a darmi a bere qualcosa.
«Andiamo» ribadisco.
«Ma io...»
Quasi la trascino. Sembra una sorta di contrappasso, perché un tempo era lei a tirarmi via dal giocattolaio strategicamente posizionato di fronte all’entrata della scuola.
Una lotta quotidiana. Come è diventata ora la nostra.
«Guarda che se abbiamo bisogno di soldi posso davvero raddoppiarli o triplicarli, forse, con una scommessa che mi ha proposto Costantin.»
Di nuovo il bisonte pelato dell’altra volta.
Sorride in un angolo e fa un cenno di saluto a mia madre. Mi avvicino io. «Senta, Costantin, dovrei chiederle una cosa.» Fingo un distacco che spero gli abiti che indosso mi conferiscano. «Mia madre è una persona anziana e non può continuare a fare giocate. Vive di pensione e lei capirà bene che non ha soldi da buttare.»
Mentre parlo mi rendo conto della follia di questa conversazione. Insomma, sto cercando davvero di convincere un allibratore a non prendere scommesse da una signora anziana con il vizio del gioco?
«Signora Iole è amica. Io faccio sempre condizioni speciali.»
«Nessuna condizione...» Alzo un po’ troppo la voce e altri due tizi non propriamente raccomandabili si voltano verso di noi.
Il gesto con cui lui gli indica di stare tranquilli fra tutte è la cosa che mi preoccupa di più.
«Non deve più prendere giocate da mia madre...» dico, e mi fermo un attimo prima di aggiungere altrimenti potrei anche chiamare la polizia.
Ecco, quella non sarebbe stata una bella mossa.
«Io prendo scommesse da tutti... e mai ordini da nessuno.»
Digrigna i denti mostrandomene due d’oro.
«Signora Iole è simpatica, ma non venire più a parlarmi così...» Sembra molto più convincente di me. «E poi perché vai vestito così? Non sei forse il barista?»
Ci ridono tutti sopra.
«Tienici due birre in ghiaccio per dopo» aggiunge un ragazzo che non avrà più di diciott’anni.
Mi prudono le mani, ma resto saggiamente fermo.
Ci fissiamo per qualche altro secondo, poi torno da mia madre e mi allontano.
«Fatto bene barista... meglio che vai a lavorare» sento alle mie spalle, e giù altre risate.
Mia madre guarda per terra.
«Ci siamo chiariti con quel tizio... ora tocca a te» provo comunque a dire. «Basta scommesse. Adesso non possiamo permetterci di buttare soldi.»
Come se prima fosse un’opzione sana.
Le racconto tutto e si mette di nuovo a piangere.
Ora siamo io, lei e la frittata con le cipolle di zia Gina.
L’odore ci accoglie dall’androne.