L’ho fatto alla fine.
E non so davvero spiegarmi il perché.
Insomma, tutti gli elementi razionali portano nella direzione opposta.
Lia non è per niente d’accordo e anzi la considera una cosa che non darà nessun risultato e in ogni caso nuocerà terribilmente alla mia vita e alla mia immagine.
Ma quale immagine?
Alla prossima partita, Roberto, ammesso che lo verrà a sapere, non mi darà tregua con le prese in giro.
Lorenzo resterà muto.
Lucrezia mi astengo dal pensare cosa dirà.
E mia madre?
Forse lei, visto tutto quello che ha combinato, sarà un minimo più clemente.
Forse però Piero potrà sostenermi e far capire agli altri che oggi la fama, il successo passano da lì. Ammesso che la cosa funzioni...
Di nuovo sto mettendo mio figlio nella condizione di dovermi appoggiare invece di essere lui aiutato, supportato da me.
Ci rifletto mentre Vanessa procede al trucco, mi passa qualcosa sulla faccia e dice che altrimenti verrei troppo sparato in video.
Non so se a convincermi è stata la disperazione per la fine di settembre che si avvicina senza apparenti soluzioni che salvino la casa in cui sono cresciuto, la paura di uno scontro in tribunale che mi allontani ancora di più da mio figlio oppure le parole improvvise del tizio del bar che tornato per la terza volta mi ha abbracciato davanti a tutti dicendo che doveva offrirmi da bere, che come capisco io le donne non le capisce nessuno.
«Tu sei un genio... dovresti aiutare tutti quelli che hanno bisogno... un vero guru della seduzione...»
Non solo la ragazza l’aveva ricontattato come reazione al suo silenzio, ma sembrava che ora si fosse trasformata in una gattina ammaestrata.
Ammesso che fosse vero, non era certo un risultato di cui vantarsi, ma tanto era bastato per scavare nella mia mente quel pertugio su cui venuto da solo, la terza volta, il Bambasone era riuscito a fare breccia.
«In-insomma ci ha pensato be-bene? Lo so... non avrei ma-mai do-dovuto fru-frugare nella sua po-posta e nei suoi account social, ma...»
«Lasciamo stare» l’avevo bloccato subito, «però ora fammi lavorare che i problemi non si risolvono da soli...»
«Io po-posso aiu-aiutarla, mi creda...»
«Ancora?»
«Ma sì... ho le sta-statistiche a-approfondite... se lo pe-pensiamo be-bene può a-avere enorme successo.»
«Finiamola qui. Si tratta di una pazzia e io ho bisogno di soluzioni serie e soprattutto immediate.»
«Più im-immediate della re-rete? Qui i like si trasformano in visibilità e la visibilità in successo e in soldi... io questo mondo lo conosco bene, è il mio mondo.»
Come sempre quando si parla di web era diventato un’altra persona e la balbuzie era scomparsa. Una cosa che mi ha sempre spaventato.
«Sicuro... e poi chi dovrebbe fare le riprese?»
«Mi-mica sia-siamo più negli anni Ot-ottanta. In rete oggi sono tutti videomaker e la nostra Va-Vanessa ha una sua... una sua e-esperienza anche lì» aveva affermato lui ostentando sicurezza.
Da quello che diceva, avevo immaginato che Vanessa boom boom, nome d’arte con cui si era lanciata alla fine degli anni Novanta, fosse tornata in una veste nuova. Conoscendola bene avrebbe potuto anche fingere di essere una inquieta e annoiata signora di chissà quale altro posto. Col giusto trucco, tutto è possibile.
Non avevo indagato oltre.
«Inutile... non sono convinto. Io non ho mai fatto di queste cose e non sarei comunque in grado, senza contare che lo vedrebbero tutti e che figura ci farei?»
«Pe-peggio che e-essere fi-finito a fa-fare il ba-barista?» aveva risposto mostrando un coraggio che non avrei mai pensato potesse avere di fronte a una persona a cui riconosceva una certa autorità.
Possibile che anche lui vedendomi dietro al bancone con il grembiule sporco di caffè avesse perso ogni rispetto per me. Il lei forse era solo un riflesso condizionato.
Lo avevo guardato in cagnesco.
«Mi scu-scusi... ma pe-penso sia la ve-verità e lo sa anche lei.»
Avevo lasciato cadere le mani sui fianchi e non avevo neppure sentito una signora di lato che mi chiedeva un ginseng.
Mi ci erano voluti alcuni secondi per riemergere.
Mentre la servivo avevo sentito tutto il peso di quei giorni cadermi addosso in un colpo solo. Lucrezia, la vita dura quotidiana, Piero e il timore che si allontanasse, il silenzio di Anna di cui non mi ero curato come se non ci fosse stato nessun legame tra noi, la delusione avuta con l’editor, la paura del nuovo rapporto con Lia.
Tutto lì insieme.
E di fronte un mio ex paziente che sembrava avere in tasca la soluzione a tutto.
«Ammesso che lo facessi...» ecco il primo segno di cedimento che si affacciava «chi ci garantisce che lo vedrebbero non dico tanto... ma dieci persone? Io non ho nessuna visibilità.»
«A que-quello pe-penserei io. Farei indicizzare il suo canale YouTube in un certo modo. Utilizzando le giuste parole e incrociando dei dati, muovendo altri meccanismi che non le sto a raccontare entreremo in contatto con un primo blocco di persone e poi le assicuro... che sarà virale.»
Mi aveva convinto. Quel ragazzone di centoventi chili con lo sguardo spiritato e un passato da bullizzato cronico, persino dal padre, mi aveva convinto.
Forse sono arrivato al capolinea.
Questa è la sensazione che mi porto dietro da quel momento e che si è accentuata ora che Vanessa ha finito e siamo pronti a iniziare.
Insomma, ora tocca a me.
«Anche io ero sempre tesa prima di andare in scena... un’emozione indicibile, vero?» dice lei con un sorrisetto sardonico che non promette nulla di buono.
«Ci si deve lasciare andare completamente ed entrare in un altro mondo che non è quello di tutti i giorni.» Questo suo tono da donna esperta e matura quasi stona con il vestito super stretch, la bocca troppo rossa e i tacchi. Anche dentro casa, decisamente troppo alti.
Penso che ora, venendo a casa sua, ho davvero infranto ogni minima regola professionale.
Siamo oltre i limiti della decenza, direi.
Il Bambasone continua ad armeggiare al pc.
Deve finire di predisporre tutto. Ha anche delle teorie ben precise sull’orario in cui bisognerà mettere online il video.
Breve, intenso, preciso.
Lo stile e il modo di parlare il più naturale possibile. Capisco da subito che le prove che ho fatto allo specchio prima di venire saranno del tutto inutili.
La gente si aspetta che sia me stesso, niente di più e niente di meno. O piace così o non piace.
Inutile ricamarci troppo sopra.
«Capito? Mi guardi ora...» dice lei avvicinandosi anche più del dovuto.
«D’accordo. Sono ok» rispondo.
Lei si scosta un attimo, poi aggiunge: «Sicuro che non vuole che la rilassi un po’ io?». Fa anche un gesto irripetibile e a cui non voglio neanche pensare.
«Come se avessi accettato» rispondo e mi alzo dalla sedia per evitare nuovi assalti.
«Come crede» sbuffa mentre si va a prendere una sigaretta. «Chiamatemi quando si deve iniziare.»
Le sue movenze da donna ferita però mi fanno davvero sorridere. Penso che le ho viste in mille altre occasioni. Quel modo che hanno le ragazze di allontanarsi dalla folla. Sedersi in disparte e aspettare che qualcuno arrivi a salvarle.
Alcune ancora aspettano.
# Mai fare la parte del principe azzurro, neanche per gioco.
Ma non devo distrarmi con altro.
Già è abbastanza difficile così.
Ho raccontato balle a tutti per trovarmi in questo piccolo appartamentino in centro.
Mi giro intorno e rifletto su quanti uomini avranno varcato questa soglia e passato delle ore, addirittura dormito forse su quel gigantesco lettone con la testata a forma di cuore rovesciato.
Forse la parola kitsch è stata inventata qui dentro.
Normalmente mi piace girare per le case per capire meglio le persone, ma qui rischio solo di vivere un déjà-vu delle tante ore passate ad ascoltare Vanessa.
Vicino alla tv non posso fare a meno di vedere una pila di dvd che incautamente passo in rassegna.
Alì Babà e i 40 zozzoni, Banana meccanica, Chi la dà, lo aspetti... quando trovo Don Camillo e Pappone mi fermo perché andare avanti potrebbe nuocere ad alcuni dei ricordi più sereni della mia infanzia.
Lei dal fondo, ringalluzzita, mi fa l’occhiolino.
«Ancora pochi minuti» annuncia il Bambasone con uno sguardo da invasato.
Da quando siamo arrivati e ha sistemato tutta la sua attrezzatura ha parlato pochissimo e quando l’ha fatto non ha mai, dico mai, balbettato.
Provo a ripassare mentalmente delle idee che ho avuto e a capire di che cosa potrò davvero parlare per evitare che all’ultimo momento mi prenda il panico.
Ecco la parola giusta, panico, mentre il Bambasone alza per la prima volta dopo mezz’ora le dita dalla tastiera, le sgranchisce come se fosse un pianista e annuncia: «Ci siamo».
Ci guardiamo fisso negli occhi.
Lui si alza e viene verso di me: «Ora rimanga calmo. Perché se le cose vanno in un certo modo, stasera la sua vita sta per cambiare».
Purtroppo non so ancora se in meglio o in peggio.
Ma arrivato a questo punto non posso certo tirarmi indietro.
Vanessa si unisce al gruppo munita di telecamera.
«Non sarà mica in diretta...» chiedo io con la voce che mi si incrina.
«Certo che sì» dichiara Vanessa.
E il Bambasone aggiunge: «Altrimenti si perde tutto. Qui non siamo in un quiz a premi o in un film, tutto deve essere realistico, anche qualche parola detta fuori posto o altro che non le sembra perfettamente deciso. La rete vuole questo».
Mi metto in piedi con una parete color vinaccia alle spalle e Vanessa di fronte pronta a iniziare la ripresa.
Lui invece conta.
Tre.
Due.
Uno.
Ecco la mia vita che cambia.
Forse.