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La saletta ristoro non è niente male.

Mi hanno detto che dovrò stare qui per almeno una mezz’oretta e aspettare il mio turno.

Ora stanno intervistando madre e figlia che dopo essere state abbandonate, povere e sole, si sono inventate un nuovo modello di B&B trasformando la vecchia catapecchia in cui vivevano in una specie di mini-resort con massaggi inclusi.

Poi sarà la volta di un giovane ragazzo nano che dopo anni di vessazioni a scuola e di discriminazioni sul lavoro ha brevettato una app per mettere in contatto tutte le persone nella sua condizione. Una sorta di Facebook per nani, insomma.

Pare sia un successo.

Poi starà a me. Il tema della puntata è Reinventarsi quando tutto sembra perduto.

Praticamente storie di casi umani.

Osservo i tramezzini ordinati sul vassoio, le due bottiglie di Coca-Cola e quella di aranciata. Ci sono anche delle pizzette rosse e dei paninetti con salame o cotto. Stile festa delle medie.

Tutto buonissimo, mi ha assicurato la gentilissima assistente che è venuta a prelevarmi fuori appena arrivato con un taxi pagato dalla produzione.

Mi hanno lasciato per ultimo perché sono il clou del programma. Forse quello pagato di più? O l’unico pagato?

In realtà non è ancora arrivato nessun bonifico, ma abbiamo firmato un accordo, supervisionato dall’amico avvocato di Lorenzo, che mi tutela da questo punto di vista.

Unico impegno: fare una delle mie puntate in diretta da loro.

Ho pensato e ripensato a che cosa fare e alla fine credo che l’unica strada sia prendere il toro per le corna e spiegare come difendersi dall’amore. Come riuscire a far innamorare una persona di sé senza però cadere nella stessa trappola. Parlerò di Lia?

No, non posso, perché non è andata così. Cambierò le carte in tavola, ovviamente sapendo bene che quello che sta male sono io?

Stare male, poi. Che significa veramente?

# La maggior parte delle volte si crede solamente di stare male per amore.

Si tratta più di un malessere che in questi giorni nessuno ha contribuito a ridurre. Mia madre che ormai tengo quasi segregata in casa per evitare che ricominci a giocare, e anche Lucrezia che mi parla solo con i suoi vocali, tra l’altro sempre più brevi.

Sembra essersi rassegnata anche lei alla situazione.

Il suo avvocato si è molto calmato e ora si parla di consensuale in cui il mio unico impegno sia di non intralciare troppo la vita di Piero.

Il termine corretto è influenzare. Come se fossi una malattia, qualcosa di endemico che possa rovinare la tranquillità e il futuro del ragazzo.

Vorrebbe che lo vedessi al massimo una volta a settimana e per non più di dieci giorni d’estate. Al resto penseranno tutto loro, soldi, scuola, formazione, crescita.

Fatto fuori.

L’espressione esatta.

«Ci penseremo noi...» si è fatto scappare l’avvocato quando ci siamo visti. Lucrezia non era presente ovviamente.

Il mio legale ha sorriso convinto di portare a casa una vittoria, io ho capito che forse quel pensiero che mi si era formato nella testa non era tanto lontano dalla realtà. Forse avevo davanti l’uomo che mi aveva buttato fuori di casa.

Non ho saputo biasimarlo.

Anzi, a guardarlo bene era il prototipo perfetto di nuovo marito per Lucrezia. La richiesta di un iter veloce che portasse anche al divorzio nel minor tempo possibile non ha fatto che confermarmi tutto.

Se avessi accettato queste condizioni, che andassi pure a fare il pagliaccio in televisione e che continuassi a pubblicare tutti i video che volevo. Per quanto li riguardava mi sarei potuto anche unire a un circo itinerante.

L’importante era tenermi lontano da mio figlio.

Piero, che mi chiama quasi tutti i giorni per dirmi che i like crescono e che a scuola quella bimba continua a far vedere la mia firma a tutti.

Alcuni hanno provato a prenderlo in giro, ma lui ha detto che quando anche io farò i tiri in porta allo stadio prima della partita ne riparleremo.

«E mio padre era pure forte a calcio... mica come quelle pippe che hanno giocato quel giorno. Segnerà un gol ad Allison, è sicuro.» Così gli ha detto, e a uno che non era troppo convinto comunque pare che abbia assestato anche un paio di spintoni.

Lucrezia è dovuta andare a scuola per chiarire la situazione e poi ha invitato a cena la famiglia del ragazzo per spiegare che attraversa un momento difficile. Sarei curioso di sapere cosa sarà successo quando il discorso è arrivato su di me.

Forse avrà scostato leggermente i capelli da una parte, avrà sospirato e detto: «Era così un bravo ragazzo quando l’ho conosciuto... pieno di idee e brillante. Pensi che a ventiquattro anni già esercitava... la vita a volte ci mette davvero a dura prova. Poverino».

Una difesa a denti stretti.

Il mio passato, quello che ero, non può non essere straordinario se la figlia del notaio Altomonti ha deciso di sposarmi e di vivere undici anni con me.

A tavola avranno tutti acconsentito e poi sparlato, come è normale che sia, al momento di tornare a casa.

Le due signore rientrano sorridenti.

«Siete state bravissime» annuncia l’assistente e chiama il nanetto che molla un tramezzino a metà e salta giù dalla sedia.

Dà il cinque al truccatore e fa segno a me col pollice alzato.

Sembra euforico.

Entra correndo anche la giornalista. Vestita così, con un tailleur bordeaux molto castigato, è quasi sexy.

Il modo in cui ingurgita due paninetti invece non lo è proprio.

«Sc-cusate...» dice ingozzandosi «non ho neanche pranzato.»

Poi corre in studio in bilico sui tacchi.

La mamma e la figlia si concedono un bicchiere di Coca-Cola e si guardano come per dire che non riaccadrà presto.

La forma prima di tutto.

Sono molto simili. La figlia leggermente più alta della madre, due vestitini avvitati, uno rosa e uno nero. Le gambe sottilissime che escono fuori e il décolleté, probabilmente opera dello stesso chirurgo, in bella evidenza.

Sospetto una doppia operazione.

Le dimensioni sembrano identiche. Ai piedi tacchi a spillo color miele.

«Piacere» fa la figlia quando mi vede, «mi sono davvero divertita a vedere i suoi video.»

Sorride tirata.

Sembra la pubblicità di un dentifricio. Denti bianchi e perfetti, come quelli della mamma che aggiunge: «Certo un pizzico maschilistino...» e sorride.

Per fortuna torna l’assistente che le accompagna rapidamente fuori.

Parlottano tra di loro mentre io spengo il telefonino, non prima di notare un ultimo messaggio di Lorenzo che mi chiede novità sul libro.

Probabilmente il tizio della casa editrice è particolarmente ansioso e vuole essere rassicurato. Ha paura che andando in video non accenni al fatto che a breve uscirà.

Su questo sono stati chiarissimi.

O seguo le loro indicazioni oppure posso scordarmi l’anticipo, che per inciso, dopo i miei tentennamenti, è salito a quindicimila.

Lorenzo mi ha spiegato che uno dei loro collaboratori più stretti, che fa parte di un gruppo musicale particolarmente in voga tra i teenager, si è espresso positivamente sull’operazione dicendo che sarà un successo.

Mi guardo le mani.

Non ho voglia di parlare, figuriamoci di scrivere un libro intero su queste cose. Tutto quello che alla prima registrazione mi era sembrato divertente ora è così tremendamente lontano.

Penso a Vanessa e al Bambasone seduti di là tra il pubblico che attendono la mia entrata trionfale. Lei ingenuamente convinta di aver dimostrato a se stessa di poter realizzare qualsiasi cosa e in fondo di avermi adescato senza neanche bisogno di portarmi a letto. Probabilmente prima o poi pensa di ottenere anche quello.

E Mario, Somario che aspetta la rivalsa sul padre. Aspetta che io dica in trasmissione Se siamo qui è merito soprattutto di una persona. Se devo pensare a qualcosa di positivo in tutto questo forse sono proprio loro due.

Oltre ai soldi e quindi alla possibilità di salvare la casa di mio padre. Ho provato a vederla soprattutto da questo punto di vista, per riuscire a dare un senso a tutto.

Ha lavorato una vita per averla e ora per qualche anno ancora di mutuo dobbiamo buttare tutto a mare?

Io devo poter salvare quella casa e occuparmi serenamente di mio figlio. Riavere una vita tranquilla e magari per un po’ farla fare anche a mia madre. Mandarla in uno di quei centri costosi che ben conosco e con cui ho collaborato per curare le dipendenze.

E poi... il tizio della casa editrice l’ha detto.

Se il libro va bene potrò pubblicare quello che voglio. Finalmente avere la possibilità di essere libero e raccontare le mie storie.

Non sembra un dazio enorme da pagare parlare ora venti minuti e poi scrivere un libercolo, in cambio di tutto questo.

Cerco di farmi coraggio.

Il nanerottolo ha quasi completato la sua performance. Un delirio di applausi.

Le persone sono esaltate all’idea che davvero si possano mettere da parte i propri limiti o addirittura sfruttarli a proprio favore per avere successo.

In fondo sarò un esempio anche per tutti quelli che vogliono rimettersi in gioco.

Con questo breve intervento non potrei addirittura aiutare molte più persone di quelle che ho aiutato con la mia breve e inconcludente carriera da terapeuta?

Non è forse così?

«Due minuti e tocca a lei» mormora l’assistente mentre mi stringe forte il braccio, «vedrà che andrà alla grande.»

Ci aggiunge anche un occhiolino.

Sento quasi un counter che parte dentro di me. Due minuti e poi sarò di nuovo al momento della svolta.

Ma sarà davvero così?

Insomma, come la cambi davvero una vita?