Quello che le donne non vogliono

Forse avrei dovuto chiudere quella brevissima esperienza su YouTube confessando, in una puntata choc, a tutti i miei follower quello che alla fine ero riuscito a capire. La risposta a tutti quegli anni in cui mi ero illuso di avere una regola pronta per ogni situazione. Quello che le donne non vogliono in realtà ero io. Alla fine avrei convinto persino il Bambasone della necessità di una svolta simile, anche se prima di arrivare al nocciolo di una così profonda riflessione ci sarebbero volute almeno quaranta, cinquanta, forse cento puntate. Il tempo di portare a termine quello che avevamo iniziato insieme.

E solo allora, con l’audience ormai alle stelle, svelare l’arcano e liberarsi finalmente da quel senso di oppressione che può dare il giocare sempre lo stesso ruolo. Un po’ come quando Sean Connery sembrava prigioniero di James Bond. Lui non interpretava, lui era 007.

Io ho preferito non arrivare a quel punto.

Meglio togliersi subito un abito troppo stretto, anche a costo di perderci qualcosa.

In mente un’immagine nitida. Io che aspetto in chiesa Lucrezia e mia madre che mi stringe forte la mano. Sembra quasi commossa, mentre io misuro solamente il tempo futuro in termini di benessere, progetti, case, auto, viaggi. Una vita dorata.

Il problema è che non si possono fare delle scelte mettendo semplicemente i vantaggi e gli svantaggi sulla bilancia e poi aspettarsi che le cose vadano per il meglio.

Ne ho avuto una percezione chiara solo dopo che sono uscito dagli studi televisivi quel pomeriggio. Con l’assistente che mi inseguiva gridando: «Lei così mi rovina... torni indietro!».

Ci ha provato pure la giornalista, che saltellando sui tacchi è arrivata per strada e mi ha detto: «Lei non può comportarsi così! Ha preso un impegno... cosa vuole per rientrare, me lo dica!».

In quel momento sarebbe stata disposta a mettere sul piatto qualsiasi cosa. Una donna completamente prostrata. Ecco forse il culmine di quello che era il mio modo di vedere le cose.

«Niente. Non voglio nulla» le ho risposto, e mi è dispiaciuto farlo perché la stavo mettendo nei guai e non era corretto. Non ho provato nessun piacere.

Anzi.

Ma era la mia vita. La mia vita che stavo regalando per avere indietro una cifra utile a pagare i debiti di mia madre, ed era una cosa giusta dopotutto. Ma poi?

Poi il libro, per rimettermi in carreggiata.

E poi che sarebbe successo ancora?

Cos’altro avrei trovato di così importante e decisivo da mettermi nelle condizioni di scendere un altro gradino?

Mio padre aveva sempre vissuto con un’etica fin troppo solida. Lavoro, lavoro, lavoro e famiglia, famiglia, famiglia.

Niente che facesse per me.

Ma non potevo neanche ignorare il fatto che una famiglia ce l’avevo e non volevo certo rinunciare a Piero, oppure pensare che nel giro di qualche anno il nostro rapporto si sarebbe ridotto a una bella cena offerta nel miglior ristorante di Roma per il suo compleanno.

Io impegnato chissà dove per qualcosa che non mi importava e lui immerso in una vita di cui non sapevo più nulla.

«Ci ripensi! Così butta tutto a mare... per un capriccio.»

Al contrario.

Erano i capricci che mi avevano portato dritto fino a lì.

Salendo sul taxi un attimo prima che si affacciassero anche il Bambasone e Vanessa nel tentativo di riportarmi alla ragione ho mandato un messaggio a Lorenzo.

Tommaso, 18.54, giovedì

Puoi dire tu a Mariottini che il contratto lo può strappare? Non scriverò niente perché non ho niente da dire sull’argomento. Mi dispiace per i casini che ti sto creando ma non ce la faccio. Ti chiamo dopo... non è finita. Devo chiederti ancora un favore.

Libertà.

Se ci ripenso, anche ora mi incanto e mi sembra per una volta di aver fatto qualcosa di unico e di veramente sensato. Essere fieri di se stessi è una bella sensazione.

Al di là dei problemi.

«Ma mi ascolta?» dice l’uomo in giacca e cravatta di fronte a me. «Ho chiesto un decaffeinato.»

Scandisce le parole, poi fa alla donna al suo fianco: «Qui ormai non si riesce più a ordinare neanche un caffè».

«Mi scusi» metto insieme rapidamente, colpito dallo sguardo penetrante di lei.

Occhi da cerbiatta.

«Meglio che me ne occupi io, va’...» mi sorprende alle spalle la voce di Lia.

Sorride mentre mi sposto lateralmente come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Affidarmi a lei.

Anche perché riprendermela è stato uno dei compiti più difficili che si possano immaginare. E se far fermare quel taxi sotto casa sua invece che sotto casa di mia madre non era certo un grande sforzo, passare ventisette minuti al citofono per convincerla ad aprirmi e poi dirle tutto quello che sentivo, senza imbarazzo e senza paure, be’, quella è un’altra cosa.

«Fai un attimo di pausa e vai a vedere Piero, che mi sa che vuole un altro gelato.»

La guardo che prepara rapidamente il caffè e penso a Gianni che si è andato finalmente a godere un po’ di vacanza. Festeggia i venticinque anni di matrimonio con la moglie.

«Me tocca, Tommà... non è che potevo cavarmela con due giorni a Chianciano.»

Sarà sul ponte di prua della nave a maledire il tempo perso in una crociera ai confini del mondo.

Gli voglio bene.

Lia invece credo di amarla. Ed è una sensazione nuova, che ha a che fare col piacere ma anche con la paura.

I miei demoni sono sempre lì.

Mi fermo sull’uscio del bar il tempo di vedere mio figlio che scarta un altro gelato per la bambina di fronte a lui. Mi sembra quasi incredibile che Lucrezia non solo non abbia battuto ciglio sul fatto che passasse il pomeriggio con me, ma che mi abbia dato l’enorme incarico di gestire anche la figlia della sua amica.

Sono carini insieme.

«Tutto ok?» chiedo restando a distanza di sicurezza.

«Certo, grazie signor Leoni» fa la piccola.

Non so perché, ma questo signor Leoni non lo riesco a mandare giù. Cerco ancora mio padre. E la cosa è grave.

Ma è una bella giornata e angustiarsi è inutile. Ho del lavoro da finire e dopo aver riaccompagnato Piero dovrò andare di corsa a casa.

Se dovessi dare buca a Vanessa anche con la terapia sarebbe finita.

Non fraintendetemi. Non sono tornato a fare il terapeuta, almeno per ora, ma dopo quello che ho combinato non potevo davvero abbandonare quei due al loro destino. Così ho barattato la fine della mia carriera da youtuber con una terapia speciale per entrambi.

Mi hanno promesso che entro un anno troveremo una soluzione alternativa.

So già che non sarà così.

E poi magari tornerò io a fare il lavoro per cui ho studiato e ho preso una laurea a cui mio padre avrebbe tanto voluto essere presente.

Lo devo a lui, a Piero e forse anche a me.

Anche se pare che Gianni abbia bisogno di un socio per il bar e anche questo non mi dispiacerebbe, perché mollare così di punto in bianco le signore del pomeriggio, e i bevitori seriali delle sette, insomma, sarebbe un peso.

Certo, non potrei farlo ora. Prima devo finire di restituire a Lorenzo i soldi che mi ha prestato per non perdere la casa e anche finire di scusarmi con lui per la ramanzina che gli è toccato subire dal pezzo grosso.

Inutile dire che per me le porte della grande editoria rimarranno strettamente serrate.

«Che non si presenti mai più di fronte a me» pare abbia urlato Mariottini una volta capito tutto quello che avevo combinato.

Lorenzo mi ha detto di fregarmene e che questa volta era davvero, pienamente fiero di me. E poi i soldi non erano un problema se c’era di mezzo mamma Iole.

Alla fine, quando l’acqua arriva alla gola, è vero che le persone che restano sono poche.

E io mi rendo conto di averne fin troppe.

Quasi incredibile.

L’uomo e la donna escono dal bar e parlottano tra di loro. Mi chiedo quale sia la natura del loro rapporto. Certo, lui sa bene come muoversi.

Li guardo allontanarsi e valuto con una certa sicurezza che non si amano più ma che lui ha ancora un forte ascendente su di lei.

Sorrido e provo a non pensarci.

Dentro, Lia dà un colpo di straccio al bancone e sento che non ho bisogno d’altro.

Mi rendo conto che il tempo usato è quello giusto.

Il presente.

E mentalmente appunto.

Regola #

L’amore è una cosa straordinaria.

Almeno finché resta.