Due ore dopo, Lenora Rhodes arrivò quasi di corsa dall’ascensore alle porte del reparto di terapia intensiva.
«Che succede?», chiese Jo.
«Si è svegliata e ha visto che non c’eravate. Sta facendo di nuovo confusione».
«Posso aiutarvi», si offrì Jo.
«No, è meglio se impara che i suoi capricci non funzionano». Si affrettò a varcare le porte.
«Ma che diavolo?», disse Jo.
«Già», fece Gabe. «Perché non dare a una bambina che sta male quello che la fa stare meglio, soprattutto se deve parlare della morte di sua madre?»
«Perché hanno la testa nel culo!».
Si sedettero e aspettarono di nuovo. Mezz’ora dopo uscirono dall’ascensore, il detective Kellen, l’agente McNabb e una donna con capelli ossigenati lunghi fino alle spalle. Jo e Gabe rimasero in piedi. «Questa è la dottoressa Shaley», disse Kellen, gesticolando verso la donna bionda. «È la psicologa di Stato di Orsa».
Jo e Gabe strinsero la mano della donna.
«Ho sentito della sua veglia», disse Shaley a Jo. «La sua dedizione mi ha molto colpito. Quattro giorni in una sala d’attesa dell’ospedale! Ho sentito dire che si lavava nel bagno, qui».
«Le persone che non hanno voce hanno bisogno che ci sia qualcuno che parli per loro», disse Jo.
«Si riferisce a Orsa?»
«Sì».
«Perché dà per scontato che non abbia voce?»
«Perché è una settimana che chiede di me, e non le è stato permesso di vedermi».
«Stiamo cercando di fare ciò che è meglio per lei, non solo per adesso, ma per il futuro».
«Sapete, è molto consapevole del fatto che il suo futuro è appeso a un filo, ed è abbastanza intelligente da sapere cosa è meglio per lei. Quando è scappata, a giugno, credo stesse cercando una nuova casa. Voleva scegliersela da sola piuttosto che farla scegliere a persone come lei».
Shaley e i due ufficiali restarono senza parole.
«E crede di essere lei quella casa?», chiese Shaley.
«Mi piacerebbe esserlo. Ma deve essere una sua scelta».
«Non ha nemmeno nove anni», disse McNabb.
«Non può chiamarsi veramente una scelta, dato che sei stata la prima persona che ha incontrato», disse Shaley. «Ci sono molti meravigliosi genitori adottivi pronti a offrirle altre opzioni eccellenti».
«Spero che lei abbia ragione», disse Jo. «Perché se non le piacciono, scapperà, e potrebbe non imbattersi in brave persone la seconda volta».
«Sappiamo quello che stiamo facendo, Joanna. Abbia fiducia in noi», replicò Shaley. Lei e i due uomini se ne andarono.
«Vi faremo chiamare quando avremo stabilito che Orsa sta abbastanza bene da poter rilasciare una dichiarazione», disse Kellen prima di seguire gli altri in terapia intensiva.
Jo avrebbe voluto lanciare loro una stampella. «Vi faremo chiamare! Vedi come ci stanno usando?»
«Calmati», disse Gabe. «Dire loro queste cose non può che peggiorare la situazione».
«Perché? Ho detto solo la verità. Orsa cercava la sua nuova casa. Questo era lo scopo dei cinque miracoli: darle il tempo di decidere e dare a noi il tempo di legare con lei».
«Jo… tu non sei l’unica persona al mondo che può amarla».
«Lo so! Ma perché guardare oltre, se è quello che vogliamo entrambe?»
«Tu sei single, tanto per cominciare. Cercheranno di sistemarla con una famiglia più tradizionale».
«Sì, ma che stronzate sono queste? Perché dovrebbe essere meglio? Pensi davvero che scelgano in base a questo? Allora dovrebbero prendere in considerazione anche le coppie gay, e non credo lo farebbero».
«Jo…».
«Che c’è?»
«Stai crollando. Sei stata in questa stanza troppo a lungo. Devi uscire e concederti un po’ di riposo».
«No, voglio aspettare che ci chiamino. Pensi che ci permetteranno di vederla dopo che avranno risolto il loro omicidio? Che ne sai, magari stanno ingannando anche noi».
«Non hanno mai detto che potremo vederla dopo».
«Lo so». Si lasciò cadere all’indietro su una sedia. «Dannazione!».
Gabe si sedette accanto a lei e le prese la mano.
Qualche minuto dopo, Lenora uscì e vide Jo accartocciata sulla sedia. «Tutto bene? Pronta?».
Jo non aveva scelta. Se non avesse costretto Orsa a raccontare quella storia, non l’avrebbe più rivista. Se ci fosse riuscita, avrebbe avuto almeno una possibilità.
«Sì, pronta».
Lenora li condusse in reparto. Il detective Kellen, il vice McNabb e il poliziotto di guardia stavano conversando tranquillamente fuori dalla vista di Orsa. La dottoressa Shaley era dentro la stanza a parlare con lei.
«Jo!», gridò Orsa quando la vide. Rimbalzò sulle ginocchia, tirando il tubicino della flebo.
«Attenta!», disse un’infermiera. «Non sarà piacevole se dovrò rimetterlo dentro!». Spinse Orsa contro il cuscino.
Jo mise giù le stampelle e la abbracciò.
«Perché te ne sei andata?», le chiese Orsa stringendola.
«Ce l’hanno chiesto loro. Non avremmo voluto».
Orsa si ritirò e rivolse uno sguardo severo all’infermiera.
«Hai mentito! Hai detto che non sapevi perché se n’erano andati!».
L’infermiera uscì dalla stanza borbottando: «Questa ragazzina mi farà morire».
Orsa aveva gli occhi rossi. Doveva aver pianto tanto.
«Ti sei di nuovo staccata la flebo?», le chiese Jo.
La ragazzina annuì. «Volevo venire a cercarvi».
«Eravamo qui fuori, nella sala d’attesa. Devi smettere di toglierti la flebo. Non fa male quando la rimettono?»
«Sì! Sono cattivi qui! Mi hanno tenuta giù con la forza!».
«Hanno dovuto, perché non potevamo sedarla», spiegò Lenora.
Certo, dovevano tenerla sveglia per la deposizione.
«Voglio andarmene!», disse. «Odio questo posto! Voglio venire con te e Gabe!».
«Non stai ancora abbastanza bene», disse Jo.
«E quando sarò guarita posso venire con voi? Per favore?».
Jo non voleva mentirle. «Vorrei che potessi, ma non dipende da me».
La dottoressa Shaley strinse le labbra rosse, chiaramente insoddisfatta della risposta di Jo.
«E da chi allora?», chiese Orsa.
«Ci sono visite per te, Orsa», disse Lenora per distrarla. «Ti dispiace se entrano?».
Orsa rivolse uno sguardo sospettoso alla porta. «Chi è?»
«Ti ricordi di Josh Kellen?»
«L’uomo con la pistola?»
«La indossa perché è un agente di polizia», disse la dottoressa Shaley. «È uno dei buoni».
L’aveva detto con una voce che si usava per parlare a un bambino, ma Orsa era più intelligente di tutti loro messi insieme.
Lenora uscì e disse a Kellen e McNabb di entrare.
Jo guardò Gabe, che sembrava costernato quanto lei. Due poliziotti, un consulente e uno strizzacervelli avrebbero fissato Orsa mentre parlava di come era morta sua madre.
Gli occhi della bambina si riempirono di paura. Sapeva perché erano lì.
Lenora si avvicinò al letto. «Orsa… Jo e Gabe vogliono che tu dica loro cos’è successo la notte in cui sei scappata».
Orsa rivolse a Jo uno sguardo stupito, come se all’improvviso la vedesse come un nemico. Jo si sedette sul letto e fece cenno a Gabe di spostarsi dall’altro lato. Capì subito quello che aveva in mente. Si sedette anche lui vicino a Orsa, in modo che il suo corpo e quello di Jo la tenessero al riparo dalla vista delle altre quattro persone presenti nella stanza.
Jo le prese la mano. «Vogliono tutti che tu sia per sempre al sicuro», disse. «Perché questo sia possibile, la polizia deve sapere cosa è successo la notte in cui sei scappata di casa».
«Tu sai perché ho lasciato Aarret. Per prendere il mio dottorato».
«Orsa… So che Aarret è Terra scritto al contrario».
«Ma ho dovuto farlo! La gente sulla Terra non potrebbe pronunciare il vero nome del mio pianeta. Noi non usiamo le parole».
«E mi hai detto anche il tuo nome al contrario».
«Non capisci? Faccio tutto quello che faceva anche Orsa. Il suo cervello ora è il mio cervello».
«Joanna…», disse la dottoressa Shaley.
Jo la guardò. «Non dobbiamo affrettare le cose. La sto aiutando». Poi si rivolse a Orsa. «Hanno bisogno di sapere cosa è successo perché hanno paura di farti uscire di qui. Sono preoccupati che ci siano altri uomini che potrebbero farti del male».
Guardò Gabe. «Ma tu li hai uccisi».
«Li ho uccisi tutti?», chiese.
Lei annuì.
«E l’uomo che abbiamo visto al ristorante?», chiese Jo.
Orsa non rispose.
«La polizia teme che possa essere pericoloso. Hanno paura per te, e anche per Gabe e me».
«Gabe ha ucciso quelli veramente cattivi», disse Orsa.
«Ma perché l’uomo del ristorante li ha chiamati per dire loro che eri lì?»
«Era loro amico».
Il detective Kellen si avvicinò, distogliendo purtroppo l’attenzione di Orsa da Jo. «Sai come si chiama quell’uomo?», chiese Kellen.
«Diglielo», disse Jo. «Va tutto bene».
«Se glielo dico, se ne andrà?»
«No. La polizia deve sapere cosa è successo a tua madre».
«Non ho una madre», disse Orsa con voce tranquilla.
Jo le strinse la mano. «Per favore, tira fuori questa cosa. Ti fa male tenerla dentro. Non farlo per loro, o per me e Gabe. Fallo per te stessa».
«Ho detto che glielo dirò solo se mi lasceranno vivere con te e Tabby a Urbana».
«Ci stiamo lavorando», disse Lenora.
Jo ricambiò lo sguardo di rimprovero che le aveva rivolto lei poco prima. Bugiarda.
«Se non me lo permetterete io scapperò», disse Orsa a Lenora.
«Lo so. Me l’hai già detto un paio di volte», replicò Lenora.
Jo accarezzò la guancia di Orsa. «Diccelo, così possiamo farti uscire da questo ospedale senza aver paura per te. Dimentica che sono tutti qui e dillo solo a Gabe e a me. Perché sei scappata quella notte? È successo qualcosa a tua madre?»
«Non era mia madre».
«Portia non era tua madre?».
Orsa reagì sentendo quel nome, apparentemente sorpresa che Jo lo conoscesse. Ma in quel momento Jo non poteva preoccuparsi di infrangere le condizioni che le avevano dato. Doveva seguire l’istinto. «Perché dici che Portia non era tua madre?»
«Perché era la madre di Orsa. Io non ero ancora nel corpo di Orsa. L’ho presa dopo che gli uomini l’hanno uccisa».
«Intendi tua madre?»
«Intendevo Orsa».
«E Portia?»
«Prima hanno ucciso lei».
«E tu hai visto tutto?»
«Orsa ha visto tutto. E quando sono entrata nel suo corpo, l’ho visto anche io perché era ancora nel suo cervello».
In qualche modo Jo riuscì a non piangere. «Raccontami cosa hai visto nel suo cervello. Dimmi tutto quello che è successo quella notte».
Orsa distolse lo sguardo. Afferrò il gatto di peluche che le aveva regalato Tabby, l’unica distrazione a portata di mano, e piegò la testa un po’ all’indietro mentre si portava il peluche sul viso.
«Orsa…», disse Jo.
Orsa si premette il gattino sul viso con entrambe le mani e chiuse gli occhi. «Lo chiamerò Cesare», disse. «Mi piace il suo odore, ha il profumo di Tabby».
Jo le tolse delicatamente il giocattolo dal viso e lo poggiò sul copriletto. «Orsa, puoi farcela. Racconta a me e a Gabe cos’è successo quella notte».
Continuava a fissare il gattino.
«Che ne dici di far finta di scrivere una storia?», disse Gabe.
Orsa lo guardò con occhi curiosi, incoraggiata dal suo suggerimento.
«Vediamo, qual è la prima cosa che succede», chiese.
«È notte e io scendo dalle stelle», disse. «Sto cercando un corpo da usare».
«E poi?», chiese.
«Vedo una bambina che salta giù da una finestra». Si accorse che Jo era turbata. «Non era altissima», aggiunse. Poi si voltò verso Gabe. «La bambina cade nei cespugli. È così che si procura alcuni lividi. È spaventata perché due uomini la stanno inseguendo. Arrivano e la soffocano. Vedo che la uccidono».
Guardando Jo, passò bruscamente dalla fantasia alla realtà, o meglio alla fantasia che era diventata la sua realtà. «Allora sono entrata nel corpo di Orsa, perché non sopportavo che dovesse morire. Volevo che il suo corpo fosse vivo anche se non lo era».
«Cosa è successo dopo che sei entrata nel suo corpo?», chiese Jo.
«Prima ho dovuto farla respirare di nuovo, con i miei poteri. L’ho fatta stare meglio e mi sono alzata. Sapevo che gli uomini avrebbero pensato che fossi Orsa, quindi sono scappata. Sono riuscita a seminarli perché mi sembrava che avessero come un po’ paura del fatto che Orsa fosse ancora viva. C’era un distributore di benzina vicino a casa di Orsa, e sono corsa lì. Ho visto un pick-up, simile a quello di Gabe, ma più grande».
«Un pick-up aperto?», chiese Gabe.
Annuì. «Era parcheggiato a lato del negozio, e io sono salita sul retro. C’erano delle cose lì dentro sotto le quali potevo nascondermi. Avevo paura di muovermi, e all’improvviso il proprietario è salito e ha iniziato a guidare. Immagino che sia andato su quella strada che si prende per Champaign-Urbana, la 57. Ero davvero spaventata perché il pick-up andava molto veloce, e io ero in un corpo nuovo e tutto il resto».
Jo e Gabe si guardarono.
«È così che ti ho trovato», disse Orsa. «Con i miei quark. Fanno succedere cose buone come questa».
«Come, esattamente, mi hai trovato?», chiese Jo.
«Il camion ha guidato a lungo. Prima di fermarsi, ha percorso una strada dissestata. In seguito ho scoperto che era Turkey Creek Road».
«Di che colore era il furgone?», chiese Gabe. «Era rosso».
«Era ammaccato… un po’ come il mio?».
Annuì.
«Probabilmente era il camion di Dave Hildebrandt. Abita dall’altra parte della strada».
Il detective Kellen prese nota. «Dave Hildebrandt?», chiese mentre scriveva.
«Sì», disse Gabe. «Si muove molto in cerca di ricambi, è un carrozziere».
«Dave ti ha visto?», chiese Gabe a Orsa.
Scosse la testa. «Mi faceva paura. Appena è tornato a casa, si è messo subito a urlare contro qualcuno. Hanno litigato tantissimo».
«Doveva essere Theresa, sua moglie», disse Gabe.
Kellen scarabocchiò di nuovo sul suo quaderno.
«E quando sei scesa dal camion?», chiese Jo.
«Ho aspettato che smettesse di urlare. Ma quando sono scesa, c’era un grosso cane che mi stava abbaiando, allora sono scappata perché avevo paura che mi mordesse. Inciampavo perché era buio e mi trovavo in una foresta, e mi sono fermata quando sono arrivata all’acqua».
«Era il Turkey?», chiese Gabe.
«Sì, ma ancora non sapevo il suo nome. L’ho seguito e sono sbucata in quel punto dove la strada finisce sulla collina, proprio accanto alla casa di Jo… cioè di Kinney. Avevo troppa paura di avvicinarmi alla casa, così sono andata nel capanno. C’era un letto, cioè un materasso, e mi ci sono sdraiata sopra. Mi sono addormentata e non mi sono svegliata per molto tempo. Quando ho aperto gli occhi, era di nuovo giorno e ho visto un cucciolo: era Orsetto». A quel punto le si riempirono gli occhi di lacrime. «È stato il mio primo amico. Orsetto è stato il mio primo amico dopo che sono scesa dalle stelle. E ora è morto».