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La troviamo rannicchiata in un angolo con i lenzuoli arrotolati, le braccia attorno alle gambe e la faccia seminascosta nelle ginocchia, ma all’ingresso di Poung salta su con aria sollevata e mi rivolge un sorriso. Poung si trattiene dall’abbracciarla, anche se è evidente che vorrebbe farlo. La sorella maggiore ci domanda se vogliamo sederci, poi manda la bambina a prendere la Coca. Poung ha una faccia temporalesca e riesce a stento a staccare gli occhi da Thida.

La polizia è venuta poco dopo che ce ne siamo andati, mentre lei era sola, dandole appena il tempo di chiamare una vicina perché badasse alla piccola, dopo di che l’ha portata a un commissariato, non sa dove. Erano poliziotti comuni, di Khan Daun Penh. Le hanno fatto le mie stesse domande, ma non sono stati così gentili. No, non le hanno fatto male (Poung sembra sollevato), ma hanno detto che l’avrebbero mandata a Prey Sar per molti anni (Poung va in collera). Le hanno detto che sapevano che lei era la ragazza di Maurice (Poung sembra incredulo). Lei ha risposto che non lo era (Poung sollevato), ma loro hanno detto che aveva un ragazzo (Poung dubbioso) e lei lo ha fatto entrare per derubare la casa di Maurice (Poung schiaffeggia il pavimento), ma lei ha risposto che non aveva nessun ragazzo (certo!) ma loro hanno detto che mentiva (no!) ma lei ha risposto che diceva la verità (sì!) e poi l’hanno lasciata andare.

Thida è spaventata, sua sorella spaventata e incollerita, Poung solo incollerito. Thida ha paura che la polizia ritorni. La sorella dice che il marito è fuori tutto il giorno al lavoro con il suo mototaxi, e anche lei deve lavorare, tra l’affitto, il cibo, e la bambina. Thida non può restare sola, quindi non sa che cosa fare, dice, attorcigliando uno straccio attorno alle dita. Thida riprende la posizione fetale, due grandi occhi sopra le ginocchia.

Dopo una breve conversazione, si scopre che Poung conosce il marito della sorella. Lavora sul Lungofiume, a pochi isolati dal Civilisation. Poung ha un’idea. Lui ha bisogno di un posto dove stare, le cose si stanno mettendo male per i tuk-tuk sul Lungofiume con questa nuova legge, e lui ha un po’ di denaro perché è il conducente ufficiale di tuk-tuk del Civilisation (al suo sguardo, annuisco), quindi può affittare uno spazio al pianterreno di questa casa per dormire, e quanto al tuk-tuk, oh conosce un posto dove può pagare per lasciarlo la notte, così baderà a Thida.

Come un coniglio con la lattuga.

E Thida può lavorare al Civilisation, non è vero? Mi fissa con l’espressione di un cagnolino, come se una ragazza minorenne che non sa nulla del servizio e non parla neppure inglese sia esattamente la persona che ci vuole per prendere le ordinazioni e servire polpette di carne e spaghetti nel caos del sabato sera. Poung scorge la mia faccia dubbiosa. «Potere aiutare Sokanthea in cucina. Può tagliare, lavare, pulire, spazzare. Tutto. Di giorno con Sokanthea, Champei, di notte qui in Dey Krahom.»

«E la bambina?» La bambina ha più o meno tre anni e non può essere lasciata sola. No, non può stare al Civilisation, non avrò una bambina di tre anni tra i piedi. Poung riconosce che è ragionevole. Il salario che pagherò a Thida potrà servire per pagare la vicina perché faccia da baby-sitter. La sorella dice che per lei sta bene se il marito è d’accordo, anche Thida annuisce con aria sollevata e, in effetti, dice la sorella, sul retro c’è una stanzetta dove Poung può stare, e tutto sarà meraviglioso e io sono un uomo buono e meraviglioso.

Insieme a un conducente di tuk-tuk felice, mi avvio verso il Civilisation e la festa di JD sulla barca. Intanto, prego che la folla della colazione arrivi molto in fretta, in modo da poter pagare tutto il nuovo personale che sto per assumere.

Cade una pioggia sottile, un’acquerugiola incerta che si infila dappertutto, sotto le luci delle barche che creano aloni luminosi nel crepuscolo. Un ragazzino aspetta con vari ombrelli appoggiati al braccio. «Tu barca buoncompleanno?» domanda, e indica la barca di Annie. «Barca buoncompleanno!»

Stretti gradini portano dal cemento della banchina fino al fango del fiume. Tra un mese, tutto questo sarà sott’acqua con l’arrivo del monsone e l’innalzamento del fiume, ma ora è una distesa di canne dove bambini seminudi cercano lattine di bibite vuote fra sandaletti di gomma perduti e sacchetti di plastica abbandonati. Una passerella attraversa il fango dai piedi della scalinata alla barca. Come al solito, echeggia una musica, canzoni cambogiane amplificate fino al limite massimo degli altoparlanti e anche un po’ di più.

JD accoglie gli ospiti in fondo alla passerella. «Salta su» mi dice. Una dozzina di persone siede a un lungo tavolo al riparo dalla pioggia, ma con vista sulla città e sul fiume scuro. «Sei l’ultimo ad arrivare. Tu conosci Noon, vero?.»

Rintraccio Noon e le auguro buon compleanno. Lei sorride, fa una risatina. Quanti, venti? No, ventidue adesso. Oh, le dico, adulta a tutti gli effetti. Ancora una risatina e mi da un bacetto sulla guancia, prima di voltarsi verso le amiche, radunate a un’estremità del tavolo attorno a un’enorme torta affogata in una glassa zuccherosa rosa e verde (se pensate che la torta sia troppo elaborata, non avete visto le ragazze).

Il ragazzino arriva con un vassoio di bibite. «Ah, questo dev’essere Roger il Mozzo» dice JD. Alzo un sopracciglio. «Capitan Pugwash. Telefilm inglese di secoli fa. Programma per bambini. I papà lo guardavano con i figli perché lo davano poco prima del notiziario. I personaggi presero tutti nomi nuovi. Il Marinaio Staynes diventò Mastro Bates. Tom il Mozzo, Roger. Non l’hai mai visto?» Una donna vicino a JD, la sola occidentale a bordo, scuote la testa con aria di scherzosa indignazione.

Qualcuno ha tolto la passerella. La barca vibra e si stacca dalla riva. Siamo in crociera, due ore su e giù per il fiume con un carico di uomini occidentali di mezz’età che ricordano spettacoli televisivi di un’epoca in cui le loro troppo agghindate ragazze khmer erano ancora bambine. Mi sento molto, molto vecchio. Le vivide luci del Lungofiume sfilano dietro di noi, una lunga successione di balconi alti e stretti. «Ti ho detto che ho comprato un nuovo appartamento?» domanda JD. «Proprio sul fiume. Il padrone di casa mi ha offerto anche il terrazzo sul tetto, ma non l’ho preso. Ora vorrei averlo fatto. Lui è andato a venderlo a qualcun altro, e adesso stanno costruendo un altro piano in cima. Prima o poi precipiterà tutto nel fiume.»

La pioggerella è cessata quando passiamo davanti al palazzo reale. Mi domando che cosa stia facendo il re stasera. Folle di persone vanno su e giù lungo la passeggiata comprando palloncini a forma di animali e tarantole fritte, consultando gli astrologi, osservando i ballerini di break-dance o facendosi borseggiare. All’altezza del Naga Casino, a quanto ho sentito completamente prenotato per tre giorni per un matrimonio, viriamo e cominciamo a risalire il fiume.

Al timone c’è Annie, un giovane khmer in jeans aderenti e blusa color vinaccia, i lunghi capelli annodati dietro con un cencio. È truccato. Non molto, un po’ di fard sulle guance, un po’ di ombretto per gli occhi e un tocco di rossetto. Annie balla nel cabaret di ladyboys al venerdì sera. Il resto della settimana fa il capitano di una barca da crociera. Quando è in servizio non porta l’abito da ballo.

Ora è buio, le nuvole si stanno aprendo e una luna quasi piena si sta levando dal Vietnam. Abbiamo virato verso il lato opposto del fiume. Phnom Penh viene a trovarsi sulla nostra sinistra, come se il mondo ruotasse attorno a noi. Alla nostra destra si para Choy Chrangvar, la punta lunga e stretta fra il Mekong e il Tonle Sap, dove i due fiumi uniscono le forze per la discesa finale fino al Mar cinese meridionale. Un cartellone pubblicitario illuminato con i riflettori annuncia un nuovo complesso residenziale di lusso progettato per quel terreno. La mappa illustra dove il fiume verrà interrato.

«Stanno giocando col fuoco» dice la barang. Me l’hanno presentata come Margaret, responsabile di un qualche incarico all’ambasciata australiana. «Nel fiume scorrerà ogni anno lo stesso volume d’acqua. Se non avrà lo spazio necessario, l’acqua dovrà scorrere più in fretta, e l’interramento si eroderà. Non credo che se ne rendano veramente conto.»

«Non se ne curano» dice JD. «Faranno un po’ di soldi in fretta. E l’interramento non si eroderà, perché lo rivestiranno di cemento. L’erosione ci sarà più a monte. Nel fiume finirà la casa di qualcun altro.»

Immanuel Kant, cercando una definizione laica della morale in un’epoca dominata dal soprannaturale, disse: agite secondo una massima tale per cui possiate al contempo desiderare che essa divenga una legge universale. Kant non arrivò mai a padroneggiare l’arte dello slogan. Gesù la mise in modo più succinto. Fate agli altri ciò che vorreste che gli altri facessero a voi. Domando a JD se il khmer, responsabile del quasi certo crollo di un’intera fila di case altrui nel Mekong, sarebbe d’accordo con Kant e Gesù.

«Difficile a dirsi, ma in ogni caso i cambogiani sono buddisti. Diversa morale. Cin-cin.»

Nel buddismo non c’è alcun dio né comandamento, né anima immortale da salvare, né papa o sacerdote o pastore per chiarire le istruzioni più ambigue. Era lo stesso problema di Kant, che non credeva nei sacerdoti, nei pastori e nelle Bibbie. E così il buddismo e Kant sono concordi: la vita è qualcosa che devi risolvere da te.

«Stupidaggini!» esclama Margaret. «Quelle persone non vogliono che le loro case cadano nel fiume più di quanto tu non voglia che il tuo appartamento cada sul Sisowath Quay!»

«Non con me dentro, ad ogni modo. Ma, come giornalista, credo nell’informazione. Se hai le informazioni giuste, puoi prendere le decisioni giuste.»

Google, che i responsabili lo sappiano o meno, si poggia sullo stesso principio guida di Buddha e Immanuel Kant: non fare del male. Laddove Kant pone l’imperativo categorico e Google l’algoritmo, Buddha insegna il karma. Il karma è il principio secondo cui, nel corso della tua vita, tu dai un bilancio delle azioni moralmente buone e cattive destinate a stabilire le condizioni della tua prossima reincarnazione. Secondo il cristianesimo, le tue azioni buone e cattive decidono se finirai in paradiso o all’inferno ma, a differenza del buddismo, non c’è un conto del bene e del male da tenere in considerazione nel bilancio. Kant non dice nulla sulle conseguenze, anche se sospetto che gli sarebbe piaciuto tornare a essere ancora un professore universitario tedesco.

«Conseguenze? Non ce ne sarà nessuna. Al massimo, pagheranno un risarcimento, a seconda di quanto sono importanti i proprietari delle case.»

«E questa è la morale in Cambogia?» commenta Margaret. «Molto deprimente. Non so come possiate continuare a vivere qui.»

«Una volta Somerset Maugham fece visita a Phnom Penh» le dico. «Stava viaggiando per l’Asia Sud-Orientale, da Rangoon ad Hanoi, a dorso di un cavallo e, mentre cavalcava, leggeva. Partì con una borsa di libri enorme, pesantissima, ma a mano a mano che finiva una pagina, la strappava e la gettava, così che la borsa diventava sempre più leggera via via che procedeva. Quando arrivò a Phnom Penh, era vuota.»

«E che cosa disse Somerset Maugham di Phnom Penh?» domanda JD.

«Non sembra che ne abbia avuto una grande impressione. Alberghi sporchi, palazzi malridotti, e il cibo gli faceva venire la diarrea.»

Il codice morale di William Somerset Maugham era questo: fai quello che credi, ma non farti beccare. Non credeva nel cielo o nell’inferno, ma credeva nella polizia. Passò una notte su un sampan, la più bella della sua vita, a quanto disse, e visse più di ottant’anni senza farsi mai beccare. Sospetto che Maurice si sia spinto parecchio più in là rispetto a Willie, ma lui evidentemente si è fatto beccare. La domanda è: chi l’ha beccato, e perché?

«Hai ragione, però loro non se ne curano» riprende Margaret a proposito degli speculatori cambogiani che vorrebbero interrare il Mekong.

«Parli come Sovann» osservo.

Donnelly sembra divertito. «Sai chi è Sovann?»

«Un amico di Crew, ecco tutto.»

«Crew è una brava persona. Ad ogni modo, il padre di Sovann è quello che sta portando avanti l’interramento. Sovann è stato richiamato dall’America perché si occupi della ditta di famiglia. Ha un MBA fresco fresco della Cornell o di un posto del genere. Mi domando se cercherà di dire al padre che interrare il Mekong non è una buona idea.»

Margaret sorride. «E se lo farà, suo padre l’ascolterà?»

«C’è sempre speranza. Dev’essere il momento della dannata torta.»

Siamo sotto il Ponte giapponese. Viriamo, con la corrente a favore, verso l’ormeggio. «Lo sapete che c’è un pescatore vietnamita che ha salvato due dozzine di persone dal fiume? Suicidi. Quelli saltano giù dal ponte e lui li tira fuori. Alcuni sono tornati e ci hanno riprovato. Non molti però.»

«Pensi che il nostro amico scappato in Malesia ritornerà da Kuala Lumpur?»

JD sogghigna. «Credo che ormai sia agli sgoccioli. I suoi amici lo scaricheranno, in modo da poter andare a letto con il grand’uomo.»

«Di cosa state parlando?»

«È tutto nel Phnom Penh Post» dice JD. «È di questo che volevo far parlare Sovann ieri a pranzo. Di che cosa stia facendo suo padre. Suo padre è in politica, oltre che nell’edilizia.»

«Voi che vi interessate di politica,» dice Margaret «sempre a cercare il tornaconto personale.»

«Mi sembra che JD abbia detto che sei all’ambasciata? L’ambasciata non s’interessa di politica?»

«Io sto all’ambasciata, ma nel ramo consolare. Non tutti s’interessano di chi va a letto con chi.»

«Ascolta» replica JD. «Dopo il cibo, le persone pensano solo ad andare a letto le une con le altre.»

Le ragazze stanno scavando la glassa della torta e se la tirano addosso con grazia. Gli abiti da sera e le complicate acconciature si vanno impiastricciando di un’appiccicosa sostanza rosa, verde e arancione. «La maturità di un gruppo di bambine di cinque anni» commenta JD. «Chissà se la moglie del primo ministro fa questo genere di cose per la sua festa di compleanno? Non ci sarebbe da stupirsi. Noi, dopo, andiamo all’Irish di Donnelly, se ci state.»

Dall’approdo della barca, Noon, i familiari e tutti gli amici fanno ritorno a casa in tuk-tuk per cambiarsi gli abiti insudiciati, mentre JD, Margaret e io risaliamo a piedi la 136 che è in piena attività. JD e Margaret trovano un tavolo sul marciapiede davanti all’Irish Bar. Li lascio e vado da Donnelly dietro al banco. Vicino a lui c’è una scatola di latta per la raccolta in favore di Foggy o del capitano Heng, a seconda del punto di vista. Donnelly ha sparso la voce, e un costante flusso di clienti regolari viene a dare il suo contributo. «Non preoccuparti, amico» mi risponde quando gli domando come stia andando. «Stanno davvero sganciando per Foggy. Vai e divertiti!»

Torno da JD e Margaret che stanno commentando le ultime notizie. «I tuk-tuk e i mototaxi sul Lungofiume sono stati tutti sequestrati ieri sera» dice JD. «Sono andato a dare un’occhiata al comando di polizia. Sembra di essere a Sidney in Parramatta Road. I proprietari dovranno pagare una multa, se vorranno riaverli.»

Margaret spegne la sigaretta. «Che cosa succederà a quelli che non potranno pagare?»

«I tuk-tuk saranno venduti all’asta.»

«Un bel gruzzoletto per la polizia.»

«Non dare la colpa alla polizia; non è stata sua l’idea. È venuta dall’alto. Secondo la versione ufficiale, il progetto è di rendere la zona sicura per i turisti, ma il vero piano è di renderla sicura per i taxi. La nuova compagnia ha difficoltà a trovare clienti. Non può competere con tuk-tuk e mototaxi, così la soluzione più ovvia è liberarsi della concorrenza. Corre voce che ai tuk-tuk verrà proibito di lavorare sul Lungofiume. A proposito, sai chi gestisce la compagnia dei taxi? Il nostro amico Sovann. Suo padre pensa che sia un buon posto per mettere in pratica le sue moderne capacità imprenditoriali americane.»

«Non suona molto moderno» replica Margaret. «Ricorda, piuttosto, la solita, vecchia, corrotta Cambogia.»

«E a Sidney non c’è corruzione?»

Margaret fa un sorriso malinconico. «Perlomeno a Sidney di tanto in tanto li scoprono.»

«Sei un’idealista. In ogni caso, cambiando argomento, Burl, hai voglia di dirci di Maurice? Tutta la città sta parlando di come Rong intenda accusarti del suo omicidio. Che ne diresti di una rapida intervista?»

Scuoto la testa. «La sola dichiarazione che intendo fare è che non ne farò.»

«Okay, amico, come vuoi. Domani pubblicheremo un articolo sul Post, ma senza il tuo racconto in prima persona dei particolari sanguinolenti, mancherà di mordente. Bene, dobbiamo andare, alcuni di noi devono lavorare domani mattina.»

JD e Margaret se ne vanno, mentre Donnelly viene a tenermi compagnia. «Hai visto Jake?» mi domanda. «L’idraulico di Scunthorpe. È uscito ieri sera con Dracula. Laggiù.» Fa un cenno verso il biliardo.

Jake sta giocando. Chino sopra il panno verde, prende la mira per un colpo, il bicchiere di birra sul bordo. Al suo fianco Dracula, rutilante come sempre, gli enormi occhi con il mascara, un’aderente gonna viola con lustrini rosso scuro e i seni che prorompono dalla camicetta. Jake tira, vam, palla in buca. Si rialza, sorride. Dracula applaude festante.

«Tipo simpatico» dice Donnelly. «E ha trovato una buona compagna. Dracula è un tipo tenero, quando impari ad apprezzarla. Non una cacciatrice di denaro come altre che conosco. È questo che si scopre con i ladyboys. Persone suscettibili, ma piene di sentimento. Loro cercano amore.»

«Come va la raccolta per Foggy?»

Donnelly sorride, grattandosi il pugnale confitto nel cuore e il serto di rose che ha sull’avambraccio sinistro. «Al bacio, proprio al bacio. Domani mattina vengo da te sul presto.»

«Meglio un po’ più tardi. Devo andare a trovare una persona fuori città a quell’ora.»