Me ne sto sul tappeto di Leo come uno scolaretto davanti al preside. Tra noi, la scatola di latta di Donnelly si riflette debolmente nel mogano lucido della sua scrivania. «Che cosa hai combinato, Burl? Non ti avevo detto di stare fuori dai guai?»
Sto per rispondere, ma lui alza una mano e mi zittisce.
«Non dirmelo, lascia che te lo dica io. Stamattina ricevo una telefonata da Rong. Questo mentre sto facendo colazione. La maledetta colazione, Burl! Lo sai quante volte Rong mi chiama mentre sto facendo colazione? Non una fottuta volta! È fuori di sé, Burl. E lo sai perché è fuori di sé? Per colpa tua. Perché diavolo l’hai fatto? Non dirmi che non ci hai pensato, chiunque ci avrebbe pensato! Non si va sul luogo del delitto e... Cristo, cosa stavi pensando?»
Mi siedo senza aspettare l’invito di Leo. «Stavo cercando degli indizi.»
Leo mi guarda con un’aria di esagerata incredulità. «Tu? Alla ricerca di indizi? Burl, se tu hai una qualche parte in questo caso, è quella del testimone e sei vicino a diventare il primo sospettato. Se finora non ti hanno arrestato, è perché non vedono legami fra te e l’omicidio. Ragazzo mio, vuoi finire a Prey Sar? Perché questa è la via più rapida a cui puoi pensare per riuscirci. Accidenti, non me la bevo. Che cosa ti fa pensare che tu sia la persona che deve andare a cercare degli indizi?»
Buona domanda. La risposta è che, nonostante il crescente affetto per il capitano Pov, non mi fido di Heng.
Leo scuote la testa. «Amico, non importa se non ti fidi di loro, tu tieniti alla larga!»
Gli rispondo che, naturalmente, ha ragione e non c’è neanche bisogno di dirlo.
Leo sospira e si lascia sprofondare nella sua sedia, quindi scuote ancora la testa, si drizza e prende in mano la scatola di latta. «Questo non è un modo decoroso di portare una scatoletta di latta in una stazione di polizia. La metterò in una comune carta da pacchi marrone e la infilerò nella mia borsa.»
Mi rivolge l’ombra d’un sorriso. «Mai sottovalutare il potere della comune carta da pacchi marrone.»
Quando usciamo dall’ufficio, canticchia sottovoce: «Di latta una scatoletta, di latta una scatoletta, che apre una chiavetta...».
L’ultima volta a Khan Daun Penh ci avevano fatto entrare subito, ma ora è diverso. Il capitano Heng, ci dicono bruscamente, è impegnato e dobbiamo aspettare. Aspettiamo per oltre un’ora, mentre una processione di poliziotti, segretarie, fattorini e portacarte impegnati in urgenti commissioni per il tè e le paste va avanti e indietro. Non ci offrono il tè, tanto meno le paste. Infine un giovane poliziotto esce e dice che ora il capitano Heng può riceverci, ma ha solo un minuto.
Leo si alza e batte un piede per riattivare la circolazione. «Grazie, Burl.»
Heng siede dietro la scrivania, tra i muri smorti. Non si alza a salutarci, non parla e non sorride, limitandosi a indicare dove sederci. «Grazie per averci ricevuti» dice Leo, riuscendo in qualche modo a prendere un tono affabile e distaccato.
Heng annuisce, gli occhi su Leo, non su di me.
«Cosa posso fare per lei?» gli domanda.
«Sono venuto per la stessa questione dell’altro giorno. Il mio cliente a Prey Sar e il vostro agente Map. Come sta l’agente Map?» Leo prende il pacchetto dalla borsa sulle ginocchia e lo posa sul tavolo.
Heng guarda Leo da sotto le sopracciglia. Non guarda il pacchetto. Posa i gomiti sulla scrivania e intreccia le mani davanti a sé con un profondo sospiro, dopo di che punta un dito verso di me, senza aprire i pugni.
«Il suo nome?»
Heng e Leo ora mi guardano entrambi.
«Burl. Burl Ives. Io sono...»
«Lo so. So chi lei. Colonnello Rong dire me. Ora io parlare lei. Lei ascolta. Non parla. Io parlare lei. Lei non andare casa, non andare nessun posto. Suo amico Prey Sar, lui restare Prey Sar. Lei creare ancora me problema, lei andare Prey Sar.»
Cala il silenzio nella stanza. Le mani del capitano Heng rimangono fermamente intrecciate, lo sguardo non si sposta. Leo prende il pacchetto e lo rimette nella borsa. «Non la trattengo. Grazie per il suo tempo, capitano.»
Nell’anticamera, l’autista di Leo, intento a parlare con la graziosa segretaria, si raddrizza e rientra in servizio non appena facciamo la nostra comparsa. Penso che Leo avrà qualche problema con questo chauffeur. Anche Leo sembra pensarlo, da come indica bruscamente la porta.
«Maledetto Heng» dice mentre partiamo. L’interno della BMW è fresco, la fodera di cuoio beige morbida e confortevole. Per Leo, la visita a Heng è stata solo una spiacevole interruzione del mondo reale che c’è qui fuori. Si asciuga la fronte e il labbro superiore con un fazzoletto. «Un tipo coraggioso, rifiutare il denaro. Ha paura di Rong, ecco il suo problema. Gli manca il coraggio per la sua corruzione. Diamogli un giorno o due finché le acque si saranno calmate e ci riproveremo.»
«Le acque si calmeranno?»
«Senza dubbio. Rong ha fama di essere incorruttibile, oltre ad avere una linea diretta con il primo ministro. Hengie non vuole mettere un piede in fallo finché sono entrambi nella commissione che indaga sul caso di Maurice. Non appena sarà finita, diventerà di nuovo un gattino.»
«Cosa ne faccio di questi soldi? Donnelly e tutti gli altri pensavano che mi sarei occupato io di questa faccenda per Foggy. Dovrò dare una spiegazione.»
«Ti sta bene» risponde Leo implacabile. «Vuoi lasciarli a Donnelly, allora? Ti faccio scendere qui. E d’ora in avanti, stai lontano dai guai.»
«Signorsì, capitano.»
Leo mi guarda negli occhi. «Burl, dico sul serio.»
Trovo Donnelly seduto a un tavolo con una Anchor. Sarà dura. C’è una seconda Anchor in mia attesa sul tavolo. Anche Smiff è qui, con una Anchor davanti e due lattine vuotate di fianco. Purtroppo la norma, per lui. Donnelly mi volta la schiena mentre mi avvicino, ma non appena una delle ragazze mi indica, si volta e salta su stupito e felice. «Amico» mi fa, stringendomi la mano nella sua, esile e ossuta. «E allora, com’è andata? Quando torna a casa Foggy? Sono venuti in così tanti a chiedermelo, che non puoi nemmeno immaginare! Stupefacente!»
Questa sarà veramente dura.
«Hai sentito di Bubba e del suo contabile?» dice Smiff. «C’è questo contabile, capisci, e lui è dentro per avere taroccato i libri, capisci, ed è in cella con il vecchio Bubba, capisci?»
«Chiudi il becco, Smiff» gli fa Donnelly senza voltarsi. «Anche Momm» riprende, rivolgendosi a me «è così emozionata al pensiero che Foggy torni a casa.»
«Ad ogni modo,» riprende Smiff «la prima sera, Bubba dice al contabile: “Tu vuoi essere mamma o papà?” Così dice.»
«Chiudi il becco» gli fa Donnelly, mentre prendo la sedia e apro la birra di cui penso di avere bisogno tra poco. «Sto parlando di Foggy con Burl.»
«Così il contabile ci pensa su e dice: ‘‘Okay, voglio essere papà’’» insiste Smiff.
«Anche Foggy lo sa» mi confida Donnelly. «Un paio dei ragazzi sono andati da lui ieri pomeriggio e gliel’hanno riferito. Proprio non so dirti quanto tutti ti siano grati per avere risolto questa cosa, Burl.»
«Bubbadiceokaykhmereciucciacazzodimamma!»
Donnelly guarda Smiff. Io guardo Smiff. Smiff non guarda nessuno. Smiff ha gli occhi chiusi e la bocca aperta. Sta ridendo. Poi si accorge che nessun altro ride. Si ferma. Guarda verso di noi che guardiamo verso di lui. La sua fronte si corruga.
«Togliti di mezzo» suggerisce Donnelly.
Smiff si toglie di mezzo con aria offesa.
«Mi spiace, è inglese» dice Donnelly. «Ad ogni modo, quando esce Foggy?»
Quando comincio a parlare, ha l’aria eccitata come un bambino a Natale, ma alla fine guarda il piano del tavolo con i pugni così stretti attorno alla lattina di birra da far scricchiolare l’alluminio.
«Così,» concludo «ho mandato tutto all’aria.»
«E cosa facciamo adesso?» domanda Donnelly a nessuno in particolare.
Gli rispondo che il meno che posso fare è andare a Prey Sar e dirlo a Foggy.
«E Momm? Lei, te l’ho detto, lei era, tu lo sai. Cosa le diremo?»
In un lampo vedo Foggy disteso sul pavimento di cemento con altri quindici detenuti, i topi che corrono sopra di loro, le code alla latrina, le lotte per il cibo e i privilegi e il sesso. Che cosa fanno quindici uomini in una cella? Bubba. Lascia stare, non pensarci.
«Non ci arrendiamo.»
«No» dice Donnelly con un cenno di assenso che quasi gli stacca la testa dal collo. «Noi non ci arrendiamo. Vengo con te. E porteremo Momm.»
«Non mi piace questo posto» dice Donnelly. Siamo seduti a un tavolo nella sala per le visite di Prey Sar, in attesa di Foggy. I tavoli rotondi sono di cemento. Donnelly guarda i muri intorno. Non gli piacciono. «Mi dà i brividi.»
«Peggio» rincara Momm. «Io lo vedo ogni giorno. Ogni giorno è peggio.»
La porta si apre e una guardia fa entrare un Foggy sudicio e magro, come se non avesse dormito o mangiato. Ma la sua faccia si illumina quando ci vede. Le spalle si drizzano leggermente. Ci alziamo, incerti su cosa fare dopo.
«Sedete» dice Foggy, come se fosse una normale visita di cortesia. Tra un po’ ci offrirà il tè. Sediamo. Ha l’aria fiduciosa. «Bene» domanda «che notizie?» Ci guarda uno a uno, poi capisce dalle facce che le notizie non sono buone e si rannuvola. «Cosa c’è?»
Donnelly struscia i piedi e tossisce. «Le cose stanno così» comincia, e si ferma inerte, voltandosi verso di me.
«Ho mandato tutto all’aria.»
Foggy mi guarda senza capire. «Mandato tutto all’aria?»
Gli racconto come il poliziotto di Leo si rifiuti di prendere il denaro per via della mia visita alla villa di Maurice. Vedo la sua faccia diventare inespressiva a mano a mano che parlo, fino a che non posso sopportare più di vederlo e, mentre finisco di spiegare, fisso il tavolo. «E questo è quanto, mi spiace.»
Foggy sta seduto con le spalle ricascanti, mentre Momm tende la mano fino a stringere la sua. Si tengono la mano sopra al tavolo, poi Foggy guarda me e Donnelly. «Burl, non dispiacerti» mi dice. «Non potevi sapere che cosa sarebbe successo. Ringrazia i ragazzi. A chi hai detto che dovevi dare i soldi?»
«Al capitano Heng, il capo della polizia di Daun Penh.»
Foggy annuisce pensieroso. «Già. Conosco quel bastardo. Quello che ha fatto irruzione nel mio locale e che ha trovato la roba nella cassetta del bagno. Perché non avrebbe dovuto trovarla, se è stato lui a metterla lì? Sì, conosco bene Heng.»
«Ascolta, Leo dice...» comincio, ma Foggy non mi ascolta, preso dal pensiero del capitano Heng. «Heng, già, Heng. Ti ricordi come hai trovato Maurice, Burl? Ti ricordi?»
«Sono andato in giro per casa sua...»
«No, amico, in che stato era quando l’hai trovato. Ti ricordi quel piccolo particolare?»
Mi fermo a guardarlo. I suoi occhi hanno un che di folle.
«Quale particolare?»
«Le manette. Tu mi hai detto di averlo trovato ammanettato al letto. Non ti sembra un po’ strano? Perché le manette? Perché non legarlo con una corda o qualcosa del genere?»
Donnelly si schiarisce la gola. «Burl, ha ragione. Strano che abbiano usato le manette. Non è che si trovino in giro così.»
«Hai maledettamente ragione» ruggisce Foggy. «Sai da dove vengono?»
Ho la sensazione di sapere ciò che Foggy è in procinto di dire, ma aspetto.
«Sono venute dal fottuto Heng, ecco da dove vengono!»
Foggy ora sta gridando. Mi guardo intorno, ma nessuno ci fa caso.
«Foggy, tieni la voce bassa. Come fai a saperlo?»
«Io so le cose. Divido una cella con quindici persone. Le sento le cose.»
Si china sul tavolo, bisbigliando in tono teatrale: «Quando sono arrivato, eravamo in diciassette dentro la cella. Ora siamo quindici».
Si tira indietro con l’aria compiaciuta di chi ha appena dimostrato la soluzione di un problema che ha sconcertato i saggi per secoli. Donnelly guarda gli occhi folli di Foggy, poi me e di nuovo Foggy. «Amico,» bisbiglia a sua volta «cosa stai cercando di dirci?»
«Vi sto dicendo che diciassette meno due fa quindici!» sibila Foggy, picchiando un dito sul tavolo. «Due in meno! Due andati! Fuori!» Ancora si risiede con un cenno soddisfatto della testa.
Donnelly e io ci scambiamo uno sguardo. L’aquila sul suo cranio sembra perplessa di fronte a questo improvviso interesse per l’aritmetica elementare, ma il drago è più incline al misticismo e sembra pensare che vi sia qualcosa di più profondo nella faccenda.
Cerco di mantenere un tono di voce ragionevole. «Foggy, non capisco...»
Lui poggia gli avambracci sul tavolo e si sporge di nuovo in avanti. «Due andati! È successo quel giorno che sei venuto qui. Lo stesso giorno in cui hanno ucciso quel bastardo di Maurice!» Prende un tono di voce confidenziale. «Tu sei venuto e mi hai detto che quel bastardo di Maurice non avrebbe ritirato la denuncia per aggressione. Forse io sono andato un po’ fuori di testa. Poi loro mi hanno riportato in quel buco merdoso. Poco dopo, altre guardie sono venute e hanno portato via i due tizi. Non ci ho mai fatto troppo caso, ma non sono più tornati. Il giorno dopo cominciano a girare le voci. E uno dei carcerati barang, lui è qui già da cinque anni e deve farne altri dieci, lui parla khmer e mi dice...»
Foggy si guarda in giro per assicurarsi che nessuno ci ascolti.
«Mi dice che questi due sono arrivati solo la sera prima di me. Dice che erano qui per via di una rissa in una birreria all’aperto, hanno sparato a qualcuno in un piede o qualcosa del genere e così sono finiti dritti a Prey Sar. Non sono andati davanti a un giudice, ma due giorni dopo sono fuori. Questo non succede mai. Lui mi dice...»
Foggy si guarda ancora intorno e si accuccia sul tavolo. «Lui dice che sono sbirri. Dice che si vantavano di come il loro capo li avrebbe tirati fuori perché aveva bisogno di loro per un grosso lavoro. Io so fare due più due. Se vuoi sapere chi ha sistemato Maurice, inizia a tenere d’occhio Heng.»
Foggy si tira indietro con una smorfia di soddisfazione, ma io non sono sicuro di seguire il suo ragionamento. «Fammi mettere in chiaro questa cosa. Tu stai dicendo che Heng ha fatto rilasciare quei due...»
«Esatto. Perché ne aveva bisogno per un altro lavoro.»
«E quel lavoro era l’assassinio di Maurice?»
«Vedi un po’ tu.»
Guardo ancora Donnelly, ma Donnelly non è d’aiuto, intento com’è a rimuginare le parole del nostro amico.
Mi volto ancora verso Foggy. «Amico, io non dubito che quelli fossero sbirri di Heng se tu dici che lo erano, ma il collegamento con Maurice proprio non tiene. Tutti dicono che Maurice ha pagato Heng perché facesse irruzione nel tuo bar. Perché Heng avrebbe dovuto volerlo morto?»
Ma Foggy ha trovato una teoria che gli aggrada e non permetterà che dei particolari si mettano di mezzo. «Amico, io non lo so, tutto ciò che so lo sento da quel tizio. È qui dentro da cinque anni, abbastanza per sapere come vanno le cose.»
«Perché è dentro?» domanda Donnelly.
«Per che cosa, secondo te? Per che cosa i barang finiscono in una prigione cambogiana per quindici anni? Tipo simpatico, ma... Ad ogni modo, questo spiega parecchie cose, no? Come le manette, tanto per cominciare.»
«Ha ragione» mi fa Donnelly. «In effetti spiega le manette. Insomma, chi altri si porta in giro le manette? Gli sbirri!»
«Le ditte di sorveglianza?» sussurra Foggy.
La conversazione si blocca. Guardo ancora Donnelly, ma lui si limita semplicemente a scrollare le spalle.
«Le ditte di sorveglianza?»
«Heng gestisce una ditta di sorveglianza. I suoi sbirri fanno parte del personale. Così mi dice questo tizio.»
Questo ha un senso. Di certo c’è un qualche collegamento tra la polizia di Heng e la Jayavarman Security. Anche Donnelly lo pensa e annuisce vigorosamente. «Secondo me è Heng!» ridacchia. «Se Heng ha sistemato il vecchio Maurice, si merita una fottuta medaglia!»
«Giusto.» Foggy ride per la prima volta dal nostro arrivo. Poi smette d’improvviso di ridere e ridiventa mortalmente serio. «Ricordatevi le mie parole, tenete d’occhio Heng!» esclama, e comincia una conversazione con Momm sull’andamento del Barracuda Bar in sua assenza. Il pensiero di Momm e del bar è tutto ciò a cui può attaccarsi.
La guardia è pronta a portarlo via, quindi gli lasciamo un po’ di tempo da solo con Momm. Mentre aspettiamo di fuori, Donnelly mi domanda se secondo me Heng potrebbe avere veramente ucciso Maurice.
«Ha senso» rispondo. «Red riceve istruzioni di tirarsi indietro e Heng manda i pesi massimi per Maurice. Spiega anche perché lui non voglia interrogare Red. Rong ha dovuto più o meno trascinarlo via dal villaggio e Pov trascinarlo a Daun Penh, e poi Heng lo tiene solo dieci minuti.»
«Sbirri» commenta Donnelly, come se questo spiegasse tutto.
Ma non c’era alcun motivo perché Heng dovesse farlo. Lui veniva pagato da Maurice, ne cavava dei soldi, che interesse poteva avere?
«Sbirri» convengo.
Su una cosa Foggy ha ragione. La Jayavarman Security ci è dentro fino al collo poiché è successo quella notte, e almeno metà dei suoi sorveglianti, a quanto pare, sono sbirri al comando di Heng che fanno il doppio lavoro. Non sarà male fare un’altra visita.