Al mio ingresso la segretaria si alza dalla scrivania. Mi ha riconosciuto, ma non ricorda il mio nome. «Ah, signor...»
«Mi chiami Burl.»
«Sì, signor Burl. Cosa posso fare per lei oggi?»
L’ultima volta che mi ha visto mi ha lanciato un astuto messaggio sulle necessità di una sorveglianza professionale. Ora sorride piena di aspettative, pensando che abbia visto la luce.
«Ho riflettuto. Il tasso di criminalità continua a peggiorare. Quel poveretto ucciso l’altra notte, per esempio. Proprio non vorrei che succedesse qualcosa al mio bistrò. Mi domandavo se potesse dirmi qualcosa in più sulla Jayavarman Security.»
La segretaria mi fa cenno di sedermi e mi porge un depliant con un giovanotto dall’aria rassicurante in piedi davanti a un’automobile blindata, con un mento squadrato e l’uniforme della ditta. «Noi siamo una società con personale professionale fondata molto tempo fa in Cambogia per fornire servizi necessari a clienti sia stranieri sia nazionali. Tutti i nostri sorveglianti hanno un diploma liceale o universitario e parlano correntemente l’inglese...»
Università? Inglese parlato correntemente? Non sembra il caso di Red. Che cosa ci fa nel libro paga della Jayavarman?
«...molti con trascorsi professionali nella polizia o in servizi collegati.» Ancora una volta, non sembra il caso di Red.
«L’estesa gamma dei nostri servizi comprende...»
«Sembra molto rassicurante» commento, dopo che la segretaria mi ha detto qualcosa di più sulla gamma dei servizi offerti dalla società. A quanto pare, l’automobile blindata e la Guardia Mentoquadrato entrano in gioco nel caso in cui io gestisca un’impresa su larga scala.
Ma ciò che voglio veramente scoprire è che cosa di preciso rappresenta il capitano Heng per la ditta.
«In effetti, proprio questa mattina parlavo con il capo della polizia di Khan Daun Penh, il quale mi ha personalmente raccomandato la Jayavarman. Lei conosce il capitano Heng?»
«Il capitano Heng?» mi fa eco la ragazza. «Sì, naturalmente, abbiamo uno stretto rapporto con lui. Come con tutti i distretti di polizia. Khan Daun Penh, Khan Makara, ovunque abbiamo dei clienti. Può fidarsi di noi.»
«Beh, a quanto pare, il capitano Heng è coinvolto un po’ più da vicino. In effetti, mi sembra di capire che lui potrebbe essere il proprietario della Jayavarman Security. Certo, saperlo mi renderebbe più tranquillo.» Le rivolgo uno sguardo che dovrebbe trasmettere fiducia e sicurezza.
Sorridendo dolcemente, lei scuote la testa. «Non sarebbe corretto per un poliziotto in servizio attivo dirigere una ditta privata per la sicurezza. Ma naturalmente abbiamo un buon rapporto professionale con il comando di Khan Daun Penh, comprenderà...» E via, la segretaria procede a spiegare come, se volessi assumere un sorvegliante professionale della Jayavarman, avrei un uomo addestrato nel combattimento a mani nude e armato, fornito di porto d’armi e, nel caso dovessero fallire sia il kung fu sia la sparatoria all’OK Corral, di una radio nel cinturone per chiamare il capitano Heng e i suoi ragazzi.
A questo punto, per mio sollievo, suona il cellulare. «Pronto, qui Burl» rispondo dopo essermi scusato.
«Burl? Sono April. Sono alla villa di Maurice. Sta succedendo qualcosa che non mi piace. Puoi venire?»
«Non vogliono farmi vedere neppure una carta di identità» dice April. La Mercedes bianca è posteggiata nel vialetto, mentre una Mercedes nera è accostata al marciapiede di fuori, vicino alla guardiola. I finestrini sono chiusi e il motore acceso, certo per l’aria condizionata. Io sono sotto il frangipani insieme ad April.
Ho tentato di vedere chi ci fosse dentro la Mercedes nera quando è arrivata, ma i finestrini sono molto scuri. Ora la porta posteriore dal lato del marciapiede si apre e scende un uomo piccolo e grasso, con una marcata curvatura in avanti e una testa che pare inserita direttamente nel torso, senza il beneficio del collo. Sembra Porky Pig in una divisa della polizia. Non appena si volta, si accorge di essere solo e si rivolge bruscamente a qualcuno all’interno dell’automobile. Dall’altra porta, scende un secondo uomo, molto più giovane, magro, con l’aria da sprovveduto, una divisa penzolante e, come Porky, i capelli rasati in voga tra i poliziotti e i detenuti.
Porky si avvicina, ma il dito alzato di April lo ferma.
«Che cosa vogliono?»
«Vogliono che io entri con loro e apra la cassaforte. Hanno frugato la casa e, a quanto pare, l’hanno trovata. Non sono riusciti ad aprirla, così mi hanno fatto telefonare dal sorvegliante. C’è qualcosa che non quadra. Non hanno distintivi con il nome, e quando ho chiesto loro di mostrarmi la carta di identità, hanno detto che non l’hanno con sé.»
«Chi li avrebbe mandati?»
«Il capitano Heng. Al telefono, mi ha detto che sono suoi uomini e dovrei cooperare con loro. Allora ho chiamato il capitano Pov, che ha detto di non saperne nulla, perché la responsabilità delle perquisizioni è del capitano Heng, e mi ha suggerito di telefonarti e chiederti di venire.»
Porky e Junior aspettano impazienti al sole, accanto alla Mercedes. Capisco quello che dice April, qualcosa non torna: tanto per cominciare, i poliziotti di basso grado non vanno in giro in Mercedes, e poi questi hanno un’aria insolente che proprio non mi piace.
«Okay, andiamo dentro.»
Insieme ad April faccio da guida per il vialetto fino alla porta d’ingresso che è spalancata: evidentemente, i due visitatori hanno usato la chiave della polizia ufficiale per entrare.
L’interno è sempre un casino e, se possibile, sembra ancora più sottosopra di quanto ricordi, ma Porky, senza perdere tempo a esporre le sue opinioni sulle faccende domestiche, si fa strada oltre April, concedendomi una piena visuale del suo grasso sedere oscillante mentre saliamo le scale.
Ormai, dovrei essere abituato al gusto di Maurice nell’arredamento. Antichi tavolini di servizio cinesi con una quantità di cassettini, antiche sedie cinesi, antichi divani francesi e, naturalmente, l’antico letto matrimoniale cinese. Tutto è antico, tranne un’unica cosa: il tavolino da caffè con l’ampio piano in legno duro. Salvo che il piano non è più sul piedistallo, ma è appoggiato al muro, e il piedistallo mostra un grande buco. In fondo, una piastra metallica con una tastiera digitale nera e un cartoncino incollato a poca distanza.
Porky si fa da parte e grugnisce qualche parola ad April. Perfino io capisco ciò che dice.
April guarda il tavolino, poi Porky. Direi che adesso è molto irritata, ma non si nota granché. «È la cassaforte di Maurice» mi spiega con tono tranquillo. «Vuole che la apra.»
Guardo Porky e Junior in impaziente attesa vicino alla porta. «Guadagna tempo. Sono impostori» dico con un sorriso, come se stessimo discutendo del clima, dato che parliamo in inglese e sono sicuro che i due non capiscono. «Vado in bagno a chiamare Pov. Dì a questi due che devo fare pipì.»
April annuisce. Nel momento in cui mi muovo, Porky mi ordina di fermarmi e dice qualcosa ad April finché, alla sua risposta, si fa da parte con aria sospettosa.
Chiusa la porta, premo il numero di Pov per la selezione rapida, ma non risponde. A chi altri posso telefonare? Chiamo Leo sempre con la selezione rapida. «Qui Leo» risponde al primo squillo.
Me lo vedo seduto nel suo comodo ufficio davanti a un tavolo ordinato e a una tazza di tè appena portata dalla segretaria, mentre si domanda se sia tempo di cambiare l’autista.
«Ascolta, Leo, sono a casa di Maurice. Puoi venire?» Tengo la voce bassa per non attirare l’attenzione.
«Che cosa? Non sento. Parli più forte.»
Glielo ripeto. «Sono io, Burl! Sono a casa di Maurice.»
Questa volta sente. Non sembra di buon umore.
«Cosa ci fai lì? Non ti avevo detto di starne alla larga? Gesù Cristo, ma non ascolti mai?»
«Leo, chiudi il becco. C’è un problema, ho bisogno di te. Solo...»
Si apre la porta. Junior guarda dentro e mi vede con il telefono all’orecchio. Se si sia accorto che non mi sono aperto la cerniera, non lo so. Non ha importanza, basta il telefono. Volta la testa e dice qualcosa dietro la spalla, in preda al panico. Porky si accosta, spalanca la porta. Grida in khmer, prende il telefonino e lo getta in terra schiacciandolo sotto lo stivale. Poi mi afferra per le spalle e mi trascina nella camera da letto.
April guarda me e poi Porky con gli occhi spalancati. Sembra arrabbiata. Gli dice qualcosa in khmer. Lui sembra egualmente arrabbiato, ma anche incerto, come se non sapesse che fare. Mi scrollo la sua mano dalla spalla. «Domandagli che cosa ha in mente.»
Non capisco le parole di April, ma il tono è palese: è furiosa.
Porky si guarda intorno come un attore che d’improvviso si accorge che qualcuno ha cambiato il testo nel bel mezzo della commedia. Restiamo immobili per un momento. April di fianco alla cassaforte, io e i due scontrosi khmer in divisa vicino al bagno. Poi Porky decide il da farsi. Mi spinge verso April, tira fuori la pistola dalla fondina e la punta su di noi. Grugnisce qualcosa ad April. Lei impallidisce.
« Dice...»
Porky la ferma. Solo khmer signora, basta trucchi con l’inglese. Grugnisce ancora una domanda. April risponde in khmer. Lui sembra rabbonirsi, e lei riprende da dove si è interrotta. «Dice che vuole che io apra subito la cassaforte.»
Porky mi guarda e le brontola qualcosa.
«Vuole sapere con chi parlavi poco fa.»
«Digli che stavo parlando con il colonnello Rong. Digli che Rong è un mio intimo amico e sta arrivando.»
April gli dice qualcosa, sottolineando il nome di Rong. Porky deglutisce, il pomo d’Adamo accenna un sussulto nello strato di grasso sopra l’osso del collo, dopo di che mette via la pistola e dice qualcosa all’altro. Junior fa un cenno con la testa e corre sul balcone a sorvegliare il cancello.
Porky parla ancora con April.
«Dice che ho un minuto per aprire la cassaforte.»
«Okay, trattienilo ancora un po’, ma non aprirla. Leo sta arrivando» rispondo, anche se non ho mai visto né ora riesco a immaginare Leo nel ruolo della cavalleria americana.
April s’inginocchia davanti alla cassaforte, si siede con aria concentrata e, al rabbioso brontolio di Porky, risponde chiaramente qualcosa del tipo può-per-favore-lasciarmi-in-pace-mentre-cerco-di-ricordare. Lui guarda il balcone e grida qualcosa a Junior. Junior grida di rimando e scuote la testa: nessuno in arrivo, non ancora.
Intanto April è inginocchiata vicino al piedistallo, ma non fa nulla. Porky cede alla collera, e a una buona dose di panico crescente. In piedi sopra di lei, sembra sul punto di colpirla. Se alzerà la mano, non risponderò per quanto succederà dopo, pistola o non pistola. Lui, tuttavia, si controlla con uno sforzo e si limita a un brontolio. April alza lo sguardo e risponde con fermezza. Porky fa due passi indietro, ma non si rilassa, sempre più teso con il passare dei secondi.
«Che cosa ha detto?»
«Mi ha detto di sbrigarmi. Io gli ho risposto che non ricordo la combinazione.»
«Chiudi il becco» grida Porky in gergo khmer. Un’espressione che conosco. Champei non la usa mai, ma Mickey Mouse sì. Porky va da Junior sul balcone. È chiaro che l’ultima cosa che ora vuole è incontrare il colonnello Rong, ma quanto più si ferma qui, tanto più l’evenienza sembra probabile. Borbotta qualcosa a Junior e, come lui, si volta verso la camera da letto, poi parla con April che si alza e si volta verso di me.
«Vuole che l’aiuti a portare giù la cassaforte.»
Evidentemente è a corto di idee, oltre che di tempo. Guardo Junior. Guardiamo entrambi il piedistallo. Sembra pesante.
«Uno per parte» dice Porky tramite April.
Junior e io ci mettiamo in ginocchio. Lui mi guarda, in attesa che prenda l’iniziativa, come un bravo ragazzo khmer. Tiro verso il petto la cima del piedistallo e gli dico di farlo scivolare sotto le dita.
Poi lo lascio cadere.
Junior si alza con un urlo, le dita in bocca. Porky grida un ordine: devo fare le cose come si deve.
Il piedistallo si è rovesciato sul fianco. Junior non si fida più di me, ma il capo lo costringe a prendere il carico da una parte. Io lo prendo dall’altra. Proprio mentre stiamo per sollevarlo, il clacson di un’automobile risuona nel vialetto. Junior s’immobilizza e guarda con gli occhi spalancati Porky, che a sua volta spalanca i suoi, prima di filare giù per le scale, seguito una frazione di secondo dopo dal complice.