Mando Poung alla villa di Maurice in cerca della cameriera del vicino per chiederle se sa qualcosa della ragazza che veniva in visita.
Poi vado alla guardiola. Il poliziotto se n’è andato. Il sorvegliante si ricorda di me e si alza dallo sgabello con un sorriso. Dev’essere un lavoro noioso, sedere lì tutto il giorno, ma lui deve anche vedere molte cose, come, per esempio, le visite dei ladyboys che vanno e vengono dalla casa di un rispettato uomo d’affari espatriato.
Comincio con il chiedergli se sa che cosa ne sarà della villa. Lui mi risponde che nessuno, neppure tra gli stranieri, noti per il loro scetticismo sui fantasmi, vuole affittare una casa dove c’è stato un omicidio. Il suo lavoro, però, è al sicuro, mi dice, dato che il proprietario è una sorta di expat a rovescio, un khmer che abita a Long Beach, in California. Ci sarà sempre bisogno di un sorvegliante, come lui.
«Prima tu mi hai detto che in realtà sei un poliziotto, giusto?»
Lui conferma: «Polizia per capitano Heng».
«Come mai il capitano Heng ti lascia tutto questo tempo per fare il sorvegliante?»
Il ragazzo mi spiega che paga una piccola somma al capitano ogni mese, e in cambio può disporre di tutto il tempo che vuole per fare il sorvegliante. Il capitano Heng è un grande capo. È stato lui, in effetti, a suggerirgli questo lavoro. Il capitano Heng aiuta molti suoi uomini a trovare posti del genere. Tutti gli uomini amano il capitano Heng.
«Ma tu sai qualcosa di una ragazza che veniva a fare visita a Maurice?» domando ancora.
No, mai vista nessuna ragazza. Naturalmente lui è soltanto la guardia diurna. Forse quando era fuori servizio, ma proprio non ha idea.
Poung ritorna dispiaciuto, perché la cameriera non c’è.
«Okay. Andiamo a cercare il giardiniere.»
Voltato di schiena vicino alla piscina, il giardiniere toglie le foglie dall’acqua con una rete. A un tocco di Poung sulla spalla, si gira, sorride, amichevole e felice, come la guardia, di avere compagnia. Con un po’ di fatica vengo a sapere, grazie all’aiuto di Poung, che April non abita nella casa da un pezzo. April gli piace, ma per quanto venga spesso in visita, non abita lì.
C’è stata qualche altra ragazza dopo di lei?
D’improvviso la memoria del vecchio fa acqua. Prendo il portafoglio. La sua mente si rischiara. Sì, una ragazza. Veniva ogni settimana, sempre lo stesso giorno. Giovedì, in serata.
Per Maurice?
No, non per Maurice. Maurice non era mai lì quando veniva. Nessun altro era lì, neppure il sorvegliante di notte. Il signor Maurice usciva sempre di casa il giovedì, e il sorvegliante aveva sempre la serata libera. Allora la ragazza veniva. E anche l’uomo. L’uomo?
Un cambogiano. Sempre a piedi, ma probabilmente scendeva da un tuk-tuk o da un mototaxi da qualche parte lungo la strada. Mai in automobile, benché avesse l’aria di potersela permettere, con quei bei vestiti, sempre elegante. No, non vecchio. Giovane. Prima veniva la ragazza, poi lui, circa mezz’ora dopo. Lei lo aspettava nel portico, l’uomo arrivava e apriva la porta con una chiave, dopo di che entravano. La ragazza aveva una chiave per il cancello, ma non per la casa. Si fermavano tutta la notte e andavano via alla mattina, quando tutti dormivano, salvo lui, il giardiniere, troppo vecchio per dormire più di tanto, sempre sveglio sul presto. No, non aveva mai parlato con nessuno dei due né si faceva vedere da loro, perché Maurice gli aveva detto di non restare lì, ma lui non sapeva dove andare, così si fermava nella sua stanza sul retro. Andavano via così come erano arrivati, separati, ma stavano insieme la notte, ogni giovedì, lì nella villa di Maurice.
Dopo che ho salutato il vecchio e il sorvegliante, Poung accende il motore e mi chiede la nuova destinazione. Il ristorante di April, rispondo, ma siamo appena a metà strada, quando arriva una telefonata dall’università. Crew ha violato il codice.
Il mio amico mi aspetta nel suo ufficio alla Build Bright University. Non so chi abbia ritenuto quel nome adatto a un’istituzione per l’insegnamento superiore, ma sembra che funzioni. La Build Bright è molto stimata in Cambogia, in particolare per la facoltà di informatica. Appena entro, Crew chiude la porta a chiave. «Io visto solo adesso questo. Porto computer casa per la notte. Lavoro fino a tardi, ma non trovare niente, fino a stamattina.»
Si siede al computer, entra nel programma.
«Ecco la chiavetta» dice, prendendola dalla tasca della camicia. «Ora io inserisco. Ora prego guardare.»
Mi aspettavo una delle stanze di Maurice sopra il bar.
Ma è la camera da letto di Maurice.
Sul letto, preparato con lenzuola nere, due persone giacciono, fianco a fianco, avvinte in un lungo bacio. Gli amplessi nei video provenienti dal bar erano goffi e imbarazzanti, ma i due qui sembrano coinvolti in un atto amoroso, oltre che sessuale. L’abbraccio è un intreccio di mani e braccia, gambe e piedi che accarezzano ed esplorano. Dopo essersi separati, restano immobili a guardarsi. Poi si riavvicinano e l’inevitabile ha inizio. L’azione prende un andamento ginnico e sembra proseguire senza fine, in complicate variazioni su un tema di base, quindi gli amanti si fermano ancora, le mani accarezzano i corpi lucidi di sudore, fino a che tutto si compie con un lungo bacio.
Pawpaw è il partner attivo, Sovann il suo amante.
Crew sembra disgustato. Toglie la chiavetta e la rimette nella tasca. «Basta, finito. Visto? Tu sapevi?»
Crew non è omofobo, si vanta di essere moderno, convinto che chiunque debba essere tollerato fino a che non fa del male agli altri, ma pensare non è la stessa cosa che vedere. Non ho mai visto qualcuno torcersi le mani, ma è ciò che Crew sta facendo.
«Burl, questo molto brutto. Ora non so cosa fare. Sovann mio amico, mio amico fin da quando scuola insieme. Mi sento troppo male.»
«Ma non lo sapevi? E poi, in ogni caso, io pensavo che Sovann fosse andato a scuola in America.»
«Sì, ma prima andato a scuola qui con me, Liceo Sisowath.»
Il migliore della Cambogia, prima che cominciassero ad aprire le scuole internazionali. Erano tempi difficili, tempi di fame, un’altra epoca, per quanto risalente a non più di vent’anni fa.
«Padre Sovann ricco, mandare lui America quando quindici anni. Ma noi amici. Scriverci lettere tutto il tempo, e lui venire casa tutti gli anni. In Cambogia, amici di liceo, amici per la vita. Quando lui tornato per sempre, io così felice mio amico di nuovo qui. Ma io sapevo lui essere gay. Lui dire me a scuola. Io non capire allora, troppo giovane.»
«Così ora capisci?»
«Immagino di sì, in qualche modo. Ma non del tutto. Tu non capire, Burl. Questo molto, molto brutto. Credo io andare Thailandia.»
L’incongruenza mi fa sussultare. «Che cosa? Perché dovresti andare in Thailandia?»
«Questa» risponde lui, battendosi la mano sulla tasca dove la chiavetta sta aprendosi un varco infuocato nel centro della sua giornata. «Questo molto, molto brutto.»
«Crew, tu esageri. Questo non cambierà nulla fra te e Sovann. Non è così importante.»
Lui scuote la testa. «Burl, tu straniero. È padre Sovann, non Sovann. Lui uomo pericoloso. Se lui sapere io avere questa, lui uccidere me.»
Lo guardo: è spaventato. Molto, molto spaventato. «Sarà meglio che la dai a me. Io sono uno straniero, un barang.»
La bocca di Crew si piega in una smorfia. «Burl, tu pensare essere al sicuro? Tu pensare nessuno dare te noia perché barang? Padre Sovann uccidere anche te. Lui non paura di nessuno. Quando uccidere me, trovare mio corpo nella strada. Quando uccidere te, mai trovare corpo, forse sotto qualche nuovo palazzo, forse in fondo al Mekong. Ma tu, io, tutti e due niente per lui.»
«E allora, cosa vuoi fare?»
Crew riflette per un momento, i pugni serrati nelle tasche. Poi decide. «Ascolta, Burl, io non vedere Sovann da troppo tempo. Cercato adesso telefonare lui, ma quando telefono suo cellulare, non rispondere lui. Rispondere suo padre. Padre dire, chi parla, chi? Io spaventato, non rispondere. Voglio noi andare trovarlo sua casa. Voglio vedere se Sovann è lì.»
«Gira a destra, gira» dice Crew a Poung in inglese, per mia fortuna. Come me, non ha un’automobile, quindi ricorriamo ai servigi di Poung.
«Ora destra prossimo angolo. Sì.»
Siamo a Tuol Kork, un quartiere dove palazzi e bordelli stanno fianco a fianco. Non stiamo cercando un bordello. Stiamo scendendo per una strada fiancheggiata da muri dall’aria costosa. Al di sopra si levano dimore di tre, quattro piani, progettate dallo studio cambogiano di architettura più in voga, l’ABBA (Accozzaglia Brutale Balconi e Archi). Muri bianchi e finestre violacee a specchio ci rimandano il riflesso del sole negli occhi. Niente alberi, troppo nuovo il quartiere. Il tempo, forse, lo addolcirà, come ha fatto con le rovine di Roma, ma per quelle ci sono voluti duemila anni e Alarico il visigoto.
«Piano, piano» dice Crew. Poung rallenta. Scivoliamo lungo un muro bianco sormontato dal filo spinato. La villa, come al solito, ha tetto blu, muri bianchi e finestre cieche, oltre ad archi e balconi infilati un po’ ovunque. Due le vie di passaggio, una per l’entrata, una per l’uscita, entrambe con un cancello di ferro dalle punte di lancia dorate. All’ingresso, una guardiola con un sorvegliante. «Questa è la casa» dice Crew.
Poung si ferma. Immagino che viga un protocollo complicato: arrivare in tuk-tuk è poco elegante (uno a zero per il sorvegliante), ma arrivare con un barang è molto elegante (uno pari), salvo che scendere dal tuk-tuk sarebbe poco elegante. Crew non vuole perdere la partita, così chiama la guardia dal punto in cui ci troviamo. Sento il nome di Sovann. Breve risposta del sorvegliante. Altra domanda. Altra risposta, leggermente più lunga. «Okhun» conclude Crew, “grazie”, e ce ne andiamo.
«Sovann dentro» ci spiega. «Anche padre Sovann dentro. Anche molte persone dentro. Non buono. Tu vedere telecamera? Telecamera su cancello osservava noi. Non mi piace stare qui, brutto posto.»
«Hai domandato se dentro c’è il ladyboy?»
«No, io non domandato. Non mi piace domandare, poter essere problema.»
In realtà non c’è bisogno di domandare per sapere che Pawpaw è dentro. Ho visto due automobili nel vialetto. Una è la Lexus dorata di Sovann. L’altra è una Mercedes nera di lusso ultimo modello, senza targa. Rivolta verso la strada, mostra chiari segni di un recente incontro con un carretto di noodle.