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Dico a Poung di riportarci al Civilisation. Smiff comincia a raccontarci una barzelletta. Ci fermiamo al semaforo di un angolo affollato. Dietro di noi, una grossa berlina con gli abbaglianti accesi. Poung sistema lo specchietto per smorzare il riflesso e si volta. I fari si abbassano, lui parte, guarda ancora lo specchietto. «Un’automobile ci segue. Mercedes nera, niente targa. Era al commissariato di polizia, aspettava voi.»

Mi volto, ma è impossibile distinguere granché con i fari negli occhi. Gli dico di dirigersi verso il fiume e di assicurarsi che ci siano sempre un bel po’ di automobili dove andiamo.

«Io già sto facendo» risponde. «Lui seguire.»

La barzelletta di Smiff sembra andare per le lunghe. C’è un paracadutista francese di nome Jean-Pierre che soffre di vertigini e si rifiuta di buttarsi, al che il sergente lo minaccia con un’arma segreta.

«Lui seguire» ripete Poung.

«No, non è così» ribatte Smiff. «Lui non vuole saltare capisci, e dice, Ah, io noon saalto, e il sergente, capisci, lui dice...»

«Forse passa semplicemente di qui» osserva Donnelly.

«No,» replica Smiff «no, vedete, lui dice...»

Quando imbocchiamo il Lungofiume all’altezza di La Croisette, Poung svolta a sud, allontanandosi dal Civilisation. I turisti, seduti ai tavolini sul marciapiede sotto gli occhi dei conducenti di mototaxi e dei mendicanti, si godono i loro deliziosi pranzetti con bevande ghiacciate senza alcun pensiero al mondo.

«Fai un’inversione a U, vai al bar di Donnelly.»

Poung si fa strada nel traffico in arrivo e torna indietro. Abbastanza facile con un tuk-tuk, impossibile con una Mercedes. Li superiamo risalendo il Lungofiume. Una Mercedes nera, finestrini oscurati, due uomini davanti. Il guidatore non l’ho mai visto. L’altro è Eng Sokal.

Smiff tace. Guarda Donnelly e me, aspettando che diciamo qualcosa. Lo guardo con aria vacua. «Che c’è?»

«Voi non ascoltate» sbuffa.

Chiedo a Poung di aspettarmi davanti al bar di Donnelly. La strada è piacevolmente animata di folla. Donnelly va dritto verso il suo solito tavolino esterno. Lo avverto di non dire a nessuno del nostro colloquio con il capitano Heng.

«Non una parola» mi assicura. «Sentito, Smiff?» Ma Smiff è di cattivo umore ed entra a cercare qualcuno che ascolti la sua barzelletta su Jean-Pierre.

Al banco, trovo JD insieme a Noon, la sua ragazza. Ci sono anche Jake e Dracula, arrabbiata perché vuole sapere che cosa sto facendo per trovare Pawpaw. «Tu non cercare! Tu non importare!»

Jake la consola stringendola fra le braccia. «È preoccupata per Pawpaw. La polizia ha scoperto qualcosa?»

La polizia! Jake ha molto da imparare su Phnom Penh. Scuoto la testa, e Dracula se ne va con fare stizzito verso il biliardo, i capelli sfrigolanti attorno alla testa come un’aureola nera. «È un tipo emotivo» dice Jake, e la segue. Le mette una mano sulla spalla, ma lei si divincola e gli volta la schiena. Noon bisbiglia qualcosa a JD, che ride.

«Che cosa dice?»

«Dice che Jake farebbe meglio a sposare Dracula, si comportano già da marito e moglie.»

Dico a JD della Mercedes nera che ci ha seguiti, ma lui non sembra dare molto peso alla cosa. «È solo la tua immaginazione. Probabilmente soltanto un tizio che stava andando da qualche parte.»

«Non è la mia immaginazione. Io so chi era.» Gli dico di Bong Cheng e di Sovann e di Pawpaw.

JD resta in silenzio per un po’, disegnando un cerchio nella condensa su un lato del bicchiere. «Sai chi è Bong Cheng?»

«Certo, un grosso imprenditore.»

«Di più. È il capo in seconda dell’opposizione. C’è una trattativa molto delicata in corso proprio ora con il primo ministro. Non è un buon momento per farlo arrabbiare. Lo sa che hai la chiavetta?»

«Non so che cosa sappia. Devo presumere di sì.»

JD usa l’estremità dell’indice per piazzare con molta cura e precisione al centro del suo cerchio un punto interrogativo. Ora sembra un bersaglio.

«Sovann mi piace. Ragazzo simpatico. Anche Pawpaw mi piace.»

«Non penso che a Pawpaw resti molto tempo» dico.

«E allora, che cosa facciamo?»

«Che cosa farebbe Buddha? Il buddismo non dice che dovresti astenerti dall’azione?»

«No, non è vero. Il buddismo dice che dovresti compiere l’azione giusta.»

«E Buddha dà qualche consiglio su quale sia l’azione giusta per la situazione attuale, con Pawpaw e Sovann scomparsi e questi ceffi che mi cercano?»

JD pensa che io sia melodrammatico o semplicemente buffo, ma non lo sono. È una faccenda seria. Ma un piano sta prendendo forma. Devo entrare in quella casa. A volte, quando vuoi qualcosa, il modo migliore per averla è non sforzarti troppo. Se Sokal mi vuole, può avermi.

È da poco passata la mezzanotte, quando Poung si ferma davanti al Civilisation. La strada è ormai quasi deserta e la porta d’ingresso è sguarnita. «Red non qui» dice. «Vuoi me aspettare?»

«Posteggia dietro l’angolo» gli rispondo quando scendo «e torna qui a piedi.»

Poung si allontana. Apro la porta.

Nessuna traccia di Champei, anzi, di tutto il personale. D’improvviso scorgo una falla nel mio piano; c’è un elemento che ho tracurato: Champei.

Prima che possa pensare a qualcosa, due uomini, entrambi khmer, si alzano dal tavolo in fondo. Fa sempre piacere vedere dei clienti. Quello davanti a me, il tipo ossuto, dà di gomito al compagno mentre entro. Il suo amico è più piccolo e tarchiato.

Sono in piedi e vengono nella mia direzione, lentamente.

Mi volto con eguale lentezza, sapendo che cosa mi aspetta.

«Signor Burl» dice Eng Sokal, poggiandosi contro il muro vicino alla porta. «Noi l’aspettiamo da troppo tempo.»