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Silenzio attonito, poi un urlo, piedi che corrono, un farfugliare di voci, le urla di Cheng che sovrastano ogni cosa. Red tira fuori la pistola, mi guarda incerto. Annuisco: vai!

Tiene la pistola davanti a sé con ambo le mani, la sinistra a coppa sotto la destra. Pare nervoso, ma nella sua uniforme da vigilante potrebbe sembrare più che convincente a chiunque si trovi lì dentro. Balza nella stanza.

Silenzio attonito numero due.

Entro.

Pawpaw e Dracula sono strette in un abbraccio. Sovann su una grande sedia apparentemente scomoda, Bong Cheng in piedi vicino a Sovann con un’aria stupita e indignata, soprattutto indignata. Accanto alla finestra, Porky. Red tiene sotto tiro la stanza. Abbaia un ordine e Porky e Sovann alzano lentamente le mani sopra la testa. Così anche Bong Cheng, tutt’altro che intimidito.

Fa una risatina. Mi volto e lo vedo per bene. Mi trovo faccia a faccia con uno degli uomini più potenti della Cambogia, il suo paese: per quanto l’Arrangiatore Solitario e il colonnello Rong continuino a dirmi che la Cambogia è un paese governato dalla legge, sospetto che Bong Cheng la sappia più lunga.

Distende il volto in un grande sorriso. È un bell’uomo sui sessanta, con una di quelle facce che figurano bene a un tavolo da riunioni o nelle pagine finanziarie del Phnom Penh Post, ma il suo non è un bel sorriso. Guarda il figlio. «Lui?» domanda in khmer.

Sovann annuisce.

Cheng si volta verso di me. «Ah Burl!» E ride.

In inglese, i pronomi hanno dei casi, e i verbi svariati tempi, e ci sono predicati e soggetti e complementi oggetti, e lo scopo di tutta quella grammatica è di descrivere le relazioni fra le parti del discorso. In Asia è diverso. La grammatica esiste allo scopo di descrivere le relazioni tra le persone. Se bong è un’espressione rispettosa, ah è l’opposto. La si può usare per i bambini, come un vezzeggiativo: piccolo Burl. O per i parenti intimi: caro Burl. Con un adulto che non si conosce, significa: spregevole Burl.

«Ah Burl! Che succede?»

La voce di Bong Cheng è profonda e rauca. Dio solo sa che cosa sta tentando di dire: è abbastanza ricco e potente da non avere bisogno di imparare l’inglese. Red lo tiene sempre sotto tiro con la pistola che, vedo, ha la sicura. Sospetto che Cheng abbia notato il particolare, anche se sta al gioco, le mani sopra la testa. Parla in khmer a Sovann, che dovrebbe fare da l’interprete. Poi si volta verso di me e resta in attesa.

Sovann comincia ad abbassare le mani. Red gli punta la pistola e, vedendo l’altro esitare, cerca il mio sguardo. Annuisco: è okay. Sovann mette le mani sulle ginocchia. Ha l’aria di non dormire da un pezzo.

«Mio padre dice che sei benvenuto. Dice anche che il tuo uomo non dovrebbe puntargli una pistola contro. Dice di dirgli dov’è.»

«Che cosa?»

«La chiavetta. Sa che ce l’hai. È importante. Ti prego, digli dov’è. Oggi gli ho spiegato che ce l’avevate tu e Crew. Ti prego, Burl, digli dov’è. Sono stanco.»

Sovann non sorride. In Cambogia ci sono centinaia di tipi di sorrisi, ma nessuno per un’occasione come questa.

Bong Cheng interviene bruscamente, qualcosa di svelto in khmer. «Ba, ba» risponde Sovann e poi, rivolgendosi a me: «Mio padre è impaziente, domanda perché parliamo tanto. Vuole che tu gli dica dov’è. Dice che vi lascerà andare tutti quanti, una volta che l’avrà».

Sarà, ma a mio avviso la sola cosa che ci tiene in vita al momento è la necessità di Bong Cheng di trovarla.

«Okay» rispondo. «È in un luogo sicuro. Manderò gli altri a prenderla. Io resterò qui fino a che non la riporteranno.»

Sovann traduce. Bong Cheng mi guarda, poi fa un largo sorriso e annuisce. «Ba, ba!» esclama, e aggiunge qualcosa in khmer al figlio.

«Mio padre domanda chi vuoi mandare» traduce Sovann.

«Crew. È con noi. Aspettate solo un momento e lo porto qui.»

Sovann traduce per Bong Cheng che sorride e annuisce. «Ba! Ba!»

Tanta arrendevolezza mi dà da pensare: se posso intuire la possibilità di un doppio gioco, di certo può intuirla anche lui. In ogni caso, dico a Red di tenere tutti sotto tiro, esco e ripercorro il corridoio.

Crew e Champei sono nascosti dietro il sofà in attesa di vedere che cosa succede. Li aggiorno rapidamente e li conduco nella stanza dove ho lasciato Red che tiene Bong Cheng sotto tiro.

«Ah Burl» dice Bong Cheng, mentre noi entriamo. «Buon ah Burl» e ride con la risata soddisfatta di chi, ora, ha lui la pistola.

Red ha un’aria contrita. In fondo alla stanza, vicino a Porky, si pulisce la punta della scarpa sinistra sul retro della gamba destra dei suoi pantaloni. Ha le mani sopra la testa. Pawpaw, Dracula e Annie sono rannicchiate su un divano vicino abbracciata l’una all’altra. Sovann siede ancora nella grande poltrona. Scrolla le spalle. «Quando sei uscito, mio padre ha detto al tuo uomo di dargli la pistola. Lui è una persona semplice, e mio padre è il bong, e lui ha fatto come gli diceva.»

Grazie, O Dèi delle Diversità Culturali! «Non hai tentato di fermarlo?»

Sovann scuote ancora le spalle: forse l’ha fatto, forse no, ormai non importa. Non sono sicuro al cento per cento che stia dalla nostra parte. Forse neppure lui ne è sicuro.

A un cenno di Cheng con la pistola, metto le mani sopra la testa. Crew mi imita. Champei comincia a farlo, ma Bong Cheng ha altri piani. La chiama: vieni! Lei mi guarda atterrita, ma va verso Bong Cheng a piccoli passi. Trema. Faccio un passo avanti, ma Cheng rivolge la pistola verso di me, poi tende il braccio, prende Champei per i polsi e la attira a sé. Le dice di mettere le mani sopra la testa e stare davanti a lui con la faccia voltata verso di me. Champei obbedisce. Cheng le mette la canna contro la nuca. Sentendo la bocca della pistola, lei sussulta, gli occhi spalancati, la bocca aperta, rigida come un palo.

Bong Cheng parla a Sovann che fa un lieve cenno di assenso e si gira verso di me.

«Mio padre dice che non si fida di te. Dice che i suoi uomini gli hanno detto che lei è la tua ragazza. Vuole che tu gli dica dov’è la chiavetta. Lui manderà i suoi uomini, e se loro non la troveranno, lui sparerà alla ragazza davanti a te. Burl, ha minacciato anche me in questo modo con Pawpaw, ma non l’ha fatto.»

«Stai dicendo che dovrei considerarlo un bluff? È questo che mi stai dicendo? Con la vita di Champei in gioco?»

«No, io non lo so. Lui non uccide solo per uccidere. Dov’è questa cosa, ad ogni modo? Oh, mio Dio!»

Cheng parla ancora. Ora sembra impaziente.

Sovann parla adagio, gli occhi a terra.

«Mio padre dice che è stanco di giocare. Dice che, secondo lui, tu non credi che sparerà alla tua ragazza. Vuole dimostrarti che non sta bluffando. Dice che ora sparerà a uno dei ladyboys per fartelo capire.»

Cheng muove la pistola e la punta verso Dracula sul divano. Dracula grida e si tuffa dietro la spalla di Annie. Pawpaw si copre la faccia con le mani, mentre Annie, nel mezzo, cinge le amiche tra le braccia, squadrando Cheng.

«Ferma! Champei, dagliela!»

Champei mi guarda. È terrorizzata, ma vuole che confermi l’ordine.

Annuisco.

Lentamente, abbassa le mani da sopra la testa. Si fruga nella scollatura della camicetta e ne estrae una cordicella scura. La tira di scatto fin sopra la testa, e la chiavetta emerge dai seni.

Bong Cheng l’afferra e ride. Spinge Champei verso di me, e io la prendo fra le braccia. Nascondendo la faccia nel mio petto, lei mi si aggrappa ancora tremante, senza emettere un suono. Sento il profumo dei suoi capelli.

Bong Cheng parla di nuovo. «Mio padre» traduce Sovann «dice che ti ringrazia e domanda perché non gliel’hai data prima. Dice anche che lui è un uomo di parola e vi lascerà andare non appena avrà controllato che lì ci sia veramente il video.»

Cheng dà la chiavetta a Porky con alcune istruzioni. Porky esce. Poi Cheng infila la pistola nella cintola e se ne sta lì, le gambe leggermente divaricate, una mano chiusa a coppa intorno al mento, assorto nei suoi pensieri. Nessuno si muove. Dopo un po’ grugnisce e alza lo sguardo. Ha raggiunto una qualche decisione.

«Tu, vieni!»

Anche se l’ha detto in khmer, ho capito.

Ma non era a me che parlava.

Rannicchiata sul divano fra le braccia di Annie, Pawpaw si guarda intorno atterrita e si posa una mano sul petto: io? Si alza come ipnotizzata e cammina lenta verso Bong Cheng.

Lui le ordina di stare in piedi con la schiena alla parete. Poi parla, a lungo, in khmer, rivolgendosi a Sovann. Sovann tace. Bong Cheng abbaia altre parole in khmer, guardando me.

«Vuole che io spari a Pawpaw» spiega Sovann a voce bassissima. «Dice...»

Si alza dalla poltrona, si mette di fronte a me e mi fissa negli occhi, questo giovane che non guarda mai le persone negli occhi. «Dice che devo dimostrare a lui e a tutti che sono un uomo. Dice che questo è il solo modo. Se sono suo figlio, devo uccidere Pawpaw, adesso, davanti a dei testimoni. Quando sarà stato fatto, potrete andare, perché voi direte a tutti ciò che avete visto, e il mio e il suo nome saranno di nuovo puliti. Questo è ciò che secondo lui devo fare. Hai capito, Burl?»

Sovann tende la destra verso Bong Cheng. Il padre grugnisce in segno di approvazione e gli dà la pistola. Sovann l’afferra. Bong Cheng la riprende e la controlla: la sicura era rimasta inserita per tutto il tempo. La toglie e porge l’arma a Sovann, restando in disparte.

Pawpaw comincia a fare un debole mugolio e cade in ginocchio. Tende le braccia e le stringe attorno alle gambe di Sovann.

Bong Cheng gli dice: sii uomo!

Con delicatezza, Sovann scosta le braccia di Pawpaw, che si lascia cadere a quattro zampe, i capelli ricascanti in una cortina che le nasconde la faccia.

Sovann alza la pistola, tenendola a due mani, le braccia protese, quindi punta la canna verso il cranio di Pawpaw che lo guarda gemendo.

«Sì, padre» dice Sovann in khmer.

Pawpaw inizia a piangere, una specie di urlo a mezza voce stridente come delle unghie su una lavagna, e i capelli sul collo mi si drizzano insieme ai peli sulle braccia.

Sovann chiude gli occhi mentre osservo il suo dito serrarsi sul grilletto. Sembra che impieghi un’eternità mentre si costringe a farlo. Il braccio gli trema con violenza. D’improvviso, nella frazione di secondo che precede l’atto, indovino esattamente ciò che intende fare. L’uomo in nero dice: ora! Il mondo esplode in un milione di frammenti scintillanti.