Stasera c’è festa nella 136. Il colonnello Rong ha scambiato due parole con il vicedirettore di Khan Daun Penh e anche con il suo buon amico, il capitano Heng, così siamo d’accordo di chiudere l’isolato, dal Lungofiume all’incrocio successivo, dalle otto fino a tardi. Transenne e sbirri onesti terranno lontane le automobili, e ci sarà una happy hour che durerà tutta la notte. Le ragazze hanno portato tavoli e sedie in strada e la musica è più alta che mai. Tutto l’isolato si è unito, dal Salt Lounge al Barracuda fino al Satin Club.
La sola persona che manca è Foggy. Donnelly e Srey Momm l’hanno portato a casa questo pomeriggio. Lui ha fatto un gran pranzo, inviatogli da Hendryk, si è rasato, ha fatto la doccia e ora sta dormendo. Forse lo vedremo domani sera a quest’ora.
E Dracula sta di nuovo danzando all’Irish Bar di Donnelly. Le ragazze, quelle vere, sono riunite intorno a lei a festeggiarla. Donnelly ha montato un barbecue in strada. Impossibile entrare nel suo bar, ma fuori c’è qualche tavolo extra, e anche una sedia per me. Smiff non si vede. A quanto dice Donnelly, è da qualche parte nelle vicinanze. «A fare pratica con le sue barzellette. Se lo vedo arrivare, ti avviso» mi assicura, ma so che non parla sul serio.
Arriva Jake a salutarci. «Congratulazioni» si felicita Donnelly. «Jake sta per sposarsi. Lui e Dracula.»
Mi complimento, strappando a Jake un timido sorriso. A quanto dice, lascerà il lavoro a Huddersfield o Grimsby o dovunque sia e verrà a stabilirsi a Phnom Penh.
C’è posto per un altro bar, a suo avviso. Un bar speciale. Dracula lo aiuterà.
«Davvero?» interviene Donnelly. «Splendido. Quella ragazza è un gioiello, amico, un gioiello.» Facciamo un brindisi a Jake e Dracula, che sta ancora danzando, sempre indefessa, come dice Jake.
«In... che cosa?» fa Donnelly.
«Non si stanca mai» chiarisco.
«Già» conferma Jake. «Puoi dirlo forte.»
Conclusa la danza, Dracula viene a prenderselo. «Pawpaw lei non venire» mi dice. «Lei andare da amico, sai, ricco fidanzato. Lei fortunata. Io anche, io avere fidanzato. Io volere tutti avere fidanzato, fidanzata, fare felici. Io trovare ladyboy per te Burl, okay?» Fa una risatina. Jake sorride indulgente e si lascia portare via a festeggiare.
«Sì, Burl, com’è che sei il solo barang che conosca a non avere una compagna stasera?» mi domanda Donnelly.
Poiché mi conosce da tempo, può farlo.
Se non ho invitato Champei, gli rispondo, è perché mi avrebbe detto di no, perché è una ragazza rispettabile e la 136 non è un posto dove una ragazza rispettabile vorrebbe farsi vedere.
Donnelly annuisce, dandomi ragione: «Dovresti prenderti cura di lei».
Lo farò, lo dico seriamente.
Qualcuno mi dà un colpetto sulla spalla. Quando mi volto, il capitano Pov lascia cadere qualcosa sul tavolo: il mio passaporto. «Salve, Barry» mi saluta. «Felice serata a lei. Io contento lei nessun problema. Stasera rumore non problema, ragazze non problema, tutto okay. State bene, divertitevi, polizia pensare a tutto. Salve Shirley» conclude rivolgendosi a Donnelly, che con tono grave gli augura la migliore delle serate.
«Ti ha chiamato Shirley?» gli domando, mentre il capitano si allontana.
«Già. Mia mamma. Il suo cognome da ragazza. Mio papà non voleva assolutamente chiamarmi così, ma lei disse che era una tradizione di famiglia. Mi sono trovato a fare a botte una quantità di volte per quel nome quando ero ragazzo. Immagino sia questo il motivo per cui ho preso il mare appena mi è stato possibile. Ho sempre pensato di essere padrone della mia vita, ma immagino di non esserlo mai stato.»
Restiamo zitti per un po’, piccola isola di silenzio in mezzo alla musica dei Boney M, le ragazze, i clienti e la folla. Donnelly tossisce, schiarendosi la gola. «E tu, invece? Ti ha chiamato Barry?»
«Già. Il mio nome. Le mie zie cominciarono a chiamarmi Burl quando ero un ragazzino. perché ero una specie di barilotto, suppongo, e col fatto che Burl Ives era un cantante famoso, il nome mi è rimasto appiccicato.»
«Burl Ives?»
«Era famoso negli anni Sessanta.»
«Mai sentito. Tu non dire a nessuno di Shirley, e io non farò parola di Barry.»
«Affare fatto.»
«Dunque» riprende Donnelly dopo un po’. «Che cosa è successo veramente?»
«Successo veramente?»
«Già. Quel tuo Cheng. Che cosa è successo?»
«Cheng e Sovann e Pawpaw hanno avuto una lunga discussione amichevole e sistemato le cose fra loro.»
È tutto il giorno che racconto questa storia. Ordini di Rong. Il colonnello è arrivato a casa di Cheng insieme a tipi gallonati in costosi completi, alcuni visti in TV pochi passi dietro il primo ministro. Questa è la storia che hanno concordato, e mi hanno detto che avrei fatto bene a essere d’accordo. Nessuno ci crederà, ma tutti l’accetteranno. Non hanno scelta.
Donnelly fa un grugnito. «Cosa è successo veramente? Ho sentito che Sovann stava per sparare a Pawpaw. È vero o no?»
«Macché. Quando gli ho afferrato la mano, la pistola non era puntata verso Pawpaw.»
«E verso chi era puntata, allora?»
«Se stesso. Stava per spararsi alla testa, davanti al padre. Gli ho afferrato la mano e l’ho spinto proprio mentre schiacciava il grilletto. Ha colpito il lampadario.»
«Oh.» Donnelly butta giù una lunga sorsata della sua birra e la posa, perso nei pensieri.
«Karma» dice dopo un po’. «Sai cos’è il karma? Chantrea me ne ha parlato. Significa che hai quello che ti meriti. O che ti meriti quello che ti succede. Qualcosa del genere. Buffo, è buddismo, ma ricorda molto quello che diceva la mia vecchia mamma, e lei era una buona cattolica.»
Come se avesse sentito il suo nome, Chantrea chiede a una delle ragazze di sostituirla alla cassa e viene a sedersi fuori, vicino a Donnelly. Quando gli prende la mano, lui intreccia le dita alle sue. «Non fare troppo tardi, eh? Vieni a casa presto, okay?» Donnelly annuisce. Chantrea sorride, si alza. «È okay, lei telefonato me, è okay» gli dice ancora con un largo sorriso mentre torna dietro il banco.
Donnelly sorseggia la sua birra. «Brava ragazza» osserva.
«Già, brava ragazza» convengo.
Donnelly tace. Sta considerando se parlare o meno. Si decide. Tossisce e guarda qualcosa sopra i tetti. «Da quanto sei qui, Burl?»
«Tre anni. Lo sai.»
«Già, lo so. Per via di tuo padre, giusto?»
«Giusto.» Donnelly è il solo a cui abbia detto del mio passato. Mi faceva troppo male ma, non so come, ultimamente fa meno male.
Lui sembra leggermi nei pensieri.
«È tempo di lasciarsi tutto alle spalle, amico. Se posso permettermi di dirtelo. Nuova vita e via.»
Sto per rispondere qualcosa, ma lui cambia argomento.
«Chantrea ti ha in simpatia, lo sai. Tutte le ragazze ti hanno in simpatia. L’altro giorno Chantrea mi ha domandato perché non vieni mai qui con la tua ragazza. Non che volesse essere indiscreta o altro. Ad ogni modo, lei ha chiesto a qualcuno di venire stasera. Non prenderla sul personale.»
Sto per dirgli che non la prenderò sul personale, ma lui mi ferma. «Se guardi da quella parte, verso la fine della strada, c’è qualcuno che ti aspetta all’angolo. Dai un’occhiata.»
Da dove mi trovo non riesco a vedere, mi alzo e vado in mezzo alla via. Guardo tra la folla verso l’angolo dove la 136 sbocca sul Lungofiume, ma sulle prime non riesco a vedere chi dovrei vedere. C’è una mano, però, che ondeggia alta sopra la testa di qualcuno. Qualcuno che conosco, sotto l’albero di frangipani in fondo alla strada, che appare, scompare e riappare tra le molte facce.
Donnelly si materializza accanto al mio gomito. Mi toglie la birra. «Sai,» dice «per essere un bastardo intelligente, sei il bastardo più ottuso che conosca. Lei non verrà fino a qui. Devi andare tu da lei. Forza.»
E come se la vita fosse appena cominciata, mi avvio per la strada verso quel sorriso di Angkor.