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Sono circa le cinque, quando Sovann mi lascia davanti al Barracuda Bar di Foggy. Nessuna delle ragazze è ancora al lavoro, ma Momm, la compagna e direttrice del mio amico, sta rivedendo i conti dietro il banco con uno dei due barman. Vedendomi entrare, si ferma, sorride e mi fa cenno che sarà da me tra un minuto. Mi siedo al banco vicino alla porta. L’altro barman mi domanda se voglio qualcosa, ma scuoto la testa. Sistemati i conti, Momm viene a sedersi accanto a me.

«Ho visto Foggy» dico.

«Come stare?» mi domanda con ansia. Sembra provata.

«Non bene di testa. La salute è a posto, ma sta perdendo il controllo. Dice che vuole uccidere Maurice.»

«Anch’io volere uccidere Maurice» dice Momm con aria cupa.

«Non sul serio. Tu hai visto Foggy?»

«No. Non potere. Badare al locale. Andare domani.»

«Ha bisogno di un po’ di cose. Domani, portagli sigarette, detersivo in polvere e soldi, okay? Ha bisogno di questa roba. Non troppi soldi. Può essere pericoloso là dentro.»

«Io sapere. Avere cugino, lui prigione. Furto quando ragazzo, diciassette poteva avere, ruba dalla casa del vicino. Lui raccontare me, molto brutto in prigione. Lui ammalarsi, niente medicine, niente dottore. Posto di merda. Okay, quando vedere lui domani portare tutte le cose. E tu? Cosa fare ora? Potere aiutare Foggy?»

«Dipende da Maurice. Se ritira la denuncia, è okay. Ma non so come convincerlo.»

Momm mi guarda accigliata. «Quel bastardo non ritirare denuncia. Lui odiare tutti. Forse qualcuno fatto a lui brutta cosa quando bambino.»

Interpretazione non proprio sottile, da un punto di vista psicologico, ma non riesco a trovare spiegazione migliore per la guerra di Maurice contro il mondo.

«Odiare tutti. Uomo cattivo.» Grosse lacrime sgorgano all’improvviso dagli occhi di Momm e le scivolano lungo le guance. «Scusami» dice, e si asciuga gli occhi con un tovagliolino di carta. Sospira. «Vai, ora. Tu buon amico, ma penso tu non potere aiutare.» Sorride, mi prende la mano e la stringe.

Il sorvegliante di Hendryk apre la porta, e il barman, quello che chiama le persone “signoria”, alza gli occhi e mi sorride. Clienti giunti di buon’ora giocano a biliardo. Hendryk affetta i limoni sul banco. Dietro, gli scaffali sono nuovamente forniti, e non c’è un solo segno a indicare che ieri sera sia successo qualcosa fuori dell’ordinario. Gli domando come vanno le cose.

«Bene, bene, nessun problema» sorride. Agita una mano alludendo all’atmosfera generale di un sofisticato locale notturno pronto per la sera. «Tutto a posto.» Sorride. «E tu, cosa hai combinato?»

Quando gli racconto la visita a Prey Sar, scuote la testa. Entra una ragazza del turno serale, ancora con i suoi abiti. Hendryk le fa un cenno di saluto, e lei risponde con un largo sorriso fitto di denti bianchi, scomparendo nel retro per indossare l’uniforme da cameriera.

«È felice» osservo.

«Certo. Tutte le ragazze sono felici. Tutti qui sono felici. È un posto felice.»

Più in là, lungo il banco, i due giocatori di biliardo sentono e sbuffano. «Avete ragione, laggiù!» sogghigna uno dei due.

Dracula sta ballando. Sul biliardo dell’Irish Bar di Donnelly, dove sono venuto ad aggiornare l’uomo tatuato. Panciuti leprecauni di plastica sui muri reggono boccali di birra fumante, un’arpa d’oro e due violacei trifogli d’Irlanda si contrappongono ai lati della porta, un anaconda stritola un maialino sulla TV sopra il banco e Dracula fa gesti allusivi accennando il ritmo di Shake Your Money, tra gli incoraggiamenti delle ragazze e dei clienti.

«Salve, caro» mi fa una voce non lontana dal mio braccio. È Pawpaw che arriva con un gran sorriso e le braccia aperte. «Dove sei stato, tesoro, non vederti da un pezzo.»

Mi ha visto ieri sera, quando mi sono portato dietro Foggy in modo che Donnelly potesse farlo ubriacare e metterlo a letto. Poi sono tornato al Civilisation, mentre Foggy e Donnelly, dopo essersi ubriacati insieme, sono risaliti per la strada e hanno aggredito Maurice.

«Ti piace la danza di Dracula? Dracula danzare bene, sì?»

Dracula si chiama così per via del trucco transilvano (stasera ombretto viola scuro con qualche riflesso luminoso, rossetto nero) e una generale somiglianza con il conte, se solo avesse avuto un petto più voluttuoso. Pawpaw mi stringe in un abbraccio soffocante.

«Non so come riescano a farli» mi dice Donnelly dallo sgabello accanto. «Sembrano veri, non trovi?» Sta parlando dei seni di Pawpaw.

«Sono veri» rispondo. «Il meglio che i soldi possano comprare, non è così, Pawpaw? Da quanto ce li hai questi?»

Pawpaw sembra compiaciuta. Va fiera dei suoi seni. «Tu piacere? Io avere da un anno, ora. Tu trovare sexy?»

«Su di te, cara, solo su di te.»

E sexy, Pawpaw, lo è. Divide una stanza con alcune amiche da qualche parte dietro il Mercato Vecchio, pochi isolati all’interno rispetto al Civilisation. L’ho vista passare nel tardo pomeriggio in jeans attillati e t-shirt, mentre gagliardi turisti eterosessuali seduti ai tavoli la spogliavano con gli occhi, felicemente ignari di quanto si stessero sbagliando.

Pawpaw scivola via in cerca di altri clienti da intrattenere, mentre Dracula scende dal biliardo e la raggiunge. Puntano a un barang piccolo e grasso che, dalla rotonda faccia bruciata dal sole fino alla camicia hawaiana, ai bermuda da marinaio, ai sandali e alle calze, grida “turista”. Sui trent’anni e rotti, ora se ne sta con Pawpaw da una parte e Dracula dall’altra, l’aria felice per aver trovato così in fretta due ragazze tanto attraenti. Di certo gli chiederanno di offrire loro da bere, e lui, di certo, non si tirerà indietro.

«Andiamo fuori» dice Donnelly.

Prendo la birra e lo seguo oltre il biliardo dove i clienti giocano con alcune delle vere ragazze. Come la maggioranza dei bar, caffè e ristoranti di Phnom Penh, il locale di Donnelly di sera si riversa sul marciapiede, con sedie e tavolini bassi di vimini, e si crea una sorta di privacy, poiché ogni bar delimita il suo pezzo di marciapiede con una fila di piante in vaso. Qui è anche più tranquillo. Le note di Shake Your Money arrivano fioche.

All’esterno del bar un cartellone doppio reca la scritta 16 ragazze e 2 ladyboys, ma quali sono le une e quali gli altri? Stando a Donnelly, i secondi sono i dipendenti migliori, cui spetta il merito per una buona parte dei clienti di ritorno. Sono più vivaci delle ragazze, più disinibiti, più divertenti, o forse più amanti del divertimento. Donnelly dice che sono anche più fidati, sempre in orario, tutte le sere, o altrimenti avvisano in anticipo. Personale eccellente, sostiene, fermamente convinto che ogni bar a Phnom Penh dovrebbe seguire il suo esempio.

Si avvicina una delle ragazze incaricate di tenere allegri i clienti, far sentire loro che in quel bar, quella sera, in loro compagnia, sono più belli, più spiritosi, più giovani e, in generale, più desiderabili di quanto potrebbero mai esserlo in qualunque altro posto immaginabile al mondo. Mi domanda se voglio che lei si sieda vicino a me, ma al mio diniego sorride con grazia e torna al bar.

Poi arriva uno dei clienti regolari a salutare Donnelly. Al corrente di quanto è accaduto ieri sera al Satin Club, chiede ulteriori ragguagli. Donnelly lo informa anche della nostra visita da Maurice stamattina. Racconto a entrambi del mio incontro con Foggy. Il cliente scuote la testa e se ne va verso il biliardo a riferire agli amici, che si guardano l’un l’altro scuotendo la testa. Prey Sar!

A un cenno di Donnelly, Chantrea, la ragazza preposta alle operazioni dietro al banco, mette due lattine di Anchor su un vassoio. Buona amica di Champei, a volte viene al Civilisation per una chiacchierata, anche se mai Champei verrebbe di sera nella 136. Una ragazza prende il vassoio, ma Pawpaw glielo toglie di mano e viene verso di noi facendo un cenno a Dracula che afferra per un braccio il turista prigioniero e lo trascina nella nostra direzione.

«Mi siedo?» domanda Pawpaw, una volta posate le birre.

Donnelly annuisce.

Pawpaw si siede, imitata da Dracula e dal turista che prendono posto al suo fianco. Il turista allunga una mano verso Donnelly. «Io sono Jake. Chiamami Jake.»

«Qui da molto?» domanda Donnelly.

«Una settimana, più o meno. E tu?»

«Un po’ di più. Ti trovi bene?»

«Uno sballo!»

Dracula sta mordicchiando l’orecchio di Jake, ma a un’occhiata di Donnelly desiste con una risatina. La Cambogia è un paese dai principi morali, grazie alla moglie del primo ministro, spalleggiata dal marito quando si tratta di estirpare il pubblico vizio. I tavolini sul marciapiede fanno parte della sfera pubblica.

«Le ragazze sono uno sballo, eh?» fa Jake, seduto di fronte al tabellone. Forse non l’ha letto o non vi ha fatto caso. «Io vengo da Sheffield» informa Donnelly. «E tu?»

«Oh, io, già, io vengo dall’Irlanda.»

«Oh, caspita. Si sente dall’accento, sai. Io faccio l’ingegnere. E tu?»

Jake è chiaramente il tipo a cui piace sapere i fatti di tutti. Potrebbe trovarsi costretto a cambiare. La comunità degli expat a Phnom Penh, generalmente, non è incline a spiattellare troppi fatti.

«Oh, io. Io gestisco questo bar.»

«Oh!» fa Jake. E poi: «Come l’hai trovato?».

«Una sera, camminavo per strada pensando agli affari miei, quando una mezza dozzina di ragazze mezze nude è balzata fuori e mi ha trascinato all’interno. Ecco come l’ho trovato. Tutto questo succedeva prima che la moglie del primo ministro diventasse così attenta alla morale.»

Dracula ha la mano sul ginocchio di Jake, e Jake non riesce a staccare gli occhi dalla sua scollatura.

«Oh, sì, è una bella cosa, a volte non è così facile, ma certo, è una gran bella cosa» dice Donnelly. «Questo giro lo offre la casa» continua, e fa cenno a Chantrea di portare altre birre. «In vacanza?»

«Già» risponde Jake. «Com’è gestire un bar?»

Io so, Donnelly sa, che ogni turista che si ferma più di una settimana a Phnom Penh sogna di aprire il suo locale. E a volte lo fa, e per tre mesi lui e i suoi cinque migliori amici bevono birra a spese della casa, il che è splendido per i cinque amici, ma non per l’aspirante gestore che il quarto mese chiude il bar o lo vende a qualcuno che si trova in città solo da una settimana e lui se ne ritorna a Sheffield e da allora in poi va in vacanza a Skegness.

«Si può fare» dice Donnelly. «Ti fermi a lungo?»

«Un’altra settimana. Dovevo andare in Vietnam, ma poi sono arrivato qui e mi sono fermato, non so perché.»

Strizza la coscia di Dracula in alto, e se non sa perché si ferma a Phnom Penh, allora è un uomo di limitata introspezione. Lei ridacchia e rabbrividisce vistosamente. Più su non c’è alcun segno di rigonfiamento, è una meraviglia, non so come facciano, ma penso che debba essere doloroso. Jake comincia a risalire con la mano verso la zona proibita, ma Dracula gli prende delicatamente il polso e lo ferma. «Non possibile!» gli sussurra all’orecchio e gli dà una rapida leccata con una lingua lunga simile a una frusta. Jake rabbrividisce.

«Beh, amico, è stato splendido conoscerti, conoscere tutti voi» dice alzandosi. «Credo che ora andrò... sapete... bene, splendido fare la vostra conoscenza, splendido!»

Una nuova stretta di mano, e rientra nel bar, avvinghiato a Dracula che lo tiene a sua volta per la vita.

Pawpaw, ancora seduta, ha l’aria tesa. Per tutto il tempo non ha detto una parola. «Tu visto Foggy a Prey Sar?» mi domanda ora. «Come stare?»

«Non bene.»

«Oh!» Si appoggia allo schienale. La sta prendendo male. Tutti i ladyboys sono emotivi, dev’essere colpa degli ormoni che assumono. Non che tra lei e Foggy possa mai esserci stato qualcosa. A Foggy piacciono le ragazze, ma lui è un tipo che piace. Tutte le ragazze lo amano, e anche tutti i ladyboys.

Dracula torna e si china a parlare con Donnelly. «Mio amico pagare consumazioni. Io andare con lui, va bene, capo?»

Donnelly annuisce. «Sii prudente.» Dracula torna da Jake, caccia via le ragazze e gli dice qualcosa. Lui annuisce, e Dracula se ne va con disinvoltura a prendere la giacca nella stanza sul retro.

«Jake non sa, vero?» domando a Donnelly.

«Macché.»

«Non glielo dici?»

Lui si passa una mano ossuta sull’aquila. Donnelly sa essere sorprendentemente discreto. «La natura. Lasciamo che segua il suo corso. Potresti rimanere stupito.»

«Qualcuno lo sarà.»

Pawpaw scuote la testa. «Jake no problema. Io sapere.»

Jake ci rivolge un cenno mentre esce con Dracula. Sembra un po’ imbarazzato, quasi fosse la prima volta che fa una cosa simile, il che può anche essere vero. Dracula ha indossato una giacca sull’esile top, ma assomiglia sempre a un pappagallo su un albero di Natale.

Pawpaw si alza e la saluta con un bacio sulla guancia. «Fai la brava» le dice a mezza voce. Dracula fa una risatina e, preso Jake per una mano, si allontana con lui per la strada.

Pawpaw si siede con aria seria. Non sembra trovarsi veramente al bar, stasera.

«Merda, amico» sbotta Donnelly. «Merda. Quello è un posto veramente merdoso!»

E ha ragione. Prey Sar è un posto merdoso. Domandatelo a Donnelly, maestro della prosa inglese.

«E Maurice è un bastardo» aggiunge con foga.

Anche qui ha ragione.

Pawpaw annuisce. «Maurice no buono. Pawpaw sapere.»

«Hai ragione, cara!» conviene Donnelly. «Salute.» Beviamo tutti quanti: io, Donnelly e Pawpaw. Solidarietà maschile.

Segue un lungo, lungo silenzio, mentre ce ne stiamo seduti a pensare, finché Donnelly si schiarisce la gola. «Ad ogni modo, cosa facciamo, adesso?» domanda, e si volta verso di me.

«Fare? Che cosa resta da fare? Abbiamo parlato con Maurice e abbiamo visto che cosa ne è venuto. Forse Leo può fare qualcosa.»

Donnelly sbuffa nella sua birra. «Leo! Fottuto avvocato! Non è il momento per i fottuti avvocati, quelli sono come i fottuti sbirri. No, amico, dobbiamo tornare a parlare con quel bastardo. Non c’è altro modo. Tu vieni?» Si alza, ed è chiaro che è pronto a marciare di nuovo dritto fra le braccia di Maurice.

«Amico, non è una buona idea!»

«Ne hai una migliore?»

Con un profondo sospiro, gli dico di sedersi, ma lui resta in piedi. «Comunque sia» continuo in tono ragionevole «è tardi. Sai che ore sono?»

«Le undici appena passate. Ancora presto.»

«Potrebbe non essere in casa.»

«Lui sarà in casa. Via, con la testa fasciata a quel modo?» replica Donnelly, ma si siede. «Prendi un’altra birra prima di muoverci.»

Caccio un altro sospiro. «Vuoi che faccia questo? D’accordo, andrò da Maurice. Un ultimo tentativo. Ma solo se mi prometti che resterai qui. Affare fatto?»

Donnelly sorride. «Amico, lo sapevo che non ci avresti abbandonati!» È raggiante, l’aquila e il drago traboccanti di fiducia nella mia capacità di far sedere lo psicopatico Maurice e spiegargli semplicemente che la sua visione della vita è completamente sbagliata, mentre lui, nel suo pigiama con gli anatroccoli gialli, stringe un orsacchiotto.

Telefono a Poung e gli chiedo di venire a prendermi al bar di Donnelly. Quando, al suo arrivo, gli spiego dove stiamo andando, mi guarda a lungo di sbieco.

Ha cominciato a cadere una fine pioggia caliginosa, e le strade sono nere e scivolose, le superfici bagnate rimandano i riflessi dei fari delle motociclette sulla 136, mentre puntiamo verso il Norodom Boulevard e il suo traffico ancora maggiore. Quando svoltiamo al Monumento, dobbiamo scartare bruscamente per evitare una grossa berlina nera sbucata fuori all’improvviso. Poung blocca il tuk-tuk e grida qualcosa in khmer, ma gli dico di non preoccuparsi, che non è colpa sua. «Lui fare incidente a mio tuk-tuk,» replica Poung «lui uccidere me, uccidere te, quando noi morti, farmi anche pagare sua automobile. Bastardo!»

Proseguiamo nella terra di Maurice. È quasi mezzanotte, ma la sua casa è illuminata da cima a fondo, una calda oasi nella sera piovosa. Quando Poung accosta il tuk-tuk al marciapiede, gli dico di aspettare. Lui mi guarda dubbioso. «Tu sicuro di voler fare visita a quell’uomo?»

Io sono sicuro di non averne alcuna voglia. «Sì» mento. «Aspetta solo un po’, mentre parlo con il sorvegliante.»

«Sorvegliante non qui.»

Incurvate le spalle sotto l’acquerugiola, mi avvicino alla guardiola. Poung ha ragione, c’è solo una parete tappezzata di calendari, manifesti di pop star cambogiane ed elenchi di numeri telefonici. La pioggia ha buttato giù i fiori del frangipane, e petali a stella color crema sono incollati al sentiero oltre il cancello aperto. La Mercedes bianca che stamattina era nel vialetto non c’è più. Forse Maurice è uscito e ha lasciato le luci accese. Bene, posso dire a Donnelly che non era in casa e non ho potuto fare niente. Andrò solo a bussare alla porta. Faccio segno a Poung di non muoversi.

Mentre risalgo il vialetto sopra la ghiaia scricchiolante, ripasso ciò che dirò alla ragazza se verrà alla porta e, soprattutto, che cosa dirò a Maurice, se lo troverò in casa. Donnelly, perché mi hai mandato qui? No, non farò parola di Donnelly. Non potevo permettere che venisse qui da solo, ci sarebbe stato un omicidio. Manterrò la conversazione su Foggy.

Al gradino d’ingresso, mi blocco. La porta è spalancata, l’intelaiatura fuori squadra e scheggiata. Forse la ragazza l’ha chiuso dentro a chiave, e lui ha usato una mazza. Sarebbe da Maurice. Premo il campanello, aspetto ancora... come si chiamava? April? Il campanello suona da qualche parte all’interno, ma lei non appare.

«Ehi?»

Spingo la porta ed entro nell’atrio.

«Maurice?»

Passo nel salotto attiguo.

Che pandemonio. La costosa televisione ora giace fracassata per terra. Si direbbe che sia stata investita da un tifone. Il tifone Maurice, presumo.

Salgo le scale e mi fermò a metà, do ancora una voce: «C’è nessuno in casa?». Questa volta non aspetto risposta.

Anche l’ufficio di Maurice è sottosopra. La scrivania è rovesciata, la lampada infranta a terra, cassetti, carte e libri sono sparsi ovunque.

Difficile che sia stata opera di Maurice.

Lo trovo in camera da letto.