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Donnelly si appoggia alla porta, mentre faccio una doccia e gli dico come ho trovato Maurice.

«Se l’è cercata, quel bastardo» commenta.

Gli rispondo che non posso dissentire, benché con le manette, probabilmente, si sia superato un po’ il limite. E anche con il lavoro dentale.

«Tu l’hai...» domanda Donnelly in tono casuale.

Ci sono un troppe persone intorno ansiose di accreditarmi il merito di aver fatto fuori Maurice. «No, amico» rispondo, sebbene l’enfasi sull’ultima parola, probabilmente, vada perduta. «No, non sono stato io.»

«No. Non pensavo questo. Quello sbirro lo pensa?»

«Che cosa pensi, non lo so, ma non lo escluderei.»

Gli dico della scadenza fissata per venerdì.

Donnelly emette un fischio silenzioso. «Vuoi dire che vuole che tu faccia una soffiata? Questo non puoi farlo!»

Nell’universo morale di Donnelly dubito possa esistere una forma di vita inferiore a un informatore della polizia. Neanch’io sono molto favorevole a quell’interpretazione. «No, non credo che sia questo che vuole. Lui pensa semplicemente che potrei sentire spifferare qualcosa in giro. Non è proprio la stessa cosa di un informatore.»

Non sono sicuro che la distinzione lo persuada, ma Donnelly l’accetta per quel che sembra valere.

«Piedipiatti! Tutti uguali, i bastardi. Ti ho detto che quel bastardo di Heng è venuto da me all’alba. Mi ha fatto una merdosa carrettata di domande su di te e Smiffy e quel fottuto Maurice, ma non preoccuparti, amico, ho tenuto la bocca chiusa.»

Così non sono il solo a suscitare interesse. Incoraggiante, anche se non voglio che Donnelly si trovi nei guai con la polizia. Poi mi rendo conto che lui si trovava nel suo bar all’ora del crimine. A differenza mia, ha un alibi di ferro.

«E Smiff? Sono andati anche da lui?»

«Già. Anche lui ha tenuto la bocca chiusa.»

Compatisco il poliziotto che l’ha interrogato. Ma Smiff sarà nella stessa posizione di Donnelly, dato che si trovava nel suo bar nella 104 o fuori a fare un giro, anche lui con una dozzina di ragazze seminude pronte a testimoniare per la sua innocenza. Il che mi lascia solo.

«Hai un avvocato?» mi domanda Donnelly.

C’è un solo avvocato per la comunità di espatriati a Phnom Penh, anche se preferisce occuparsi di contratti e acquisti. Esco dalla doccia con un asciugamano in vita e telefono all’Arrangiatore Solitario, com’è ampiamente conosciuto in omaggio ai suoi talent.

Sì, ha saputo, dice Leo. Aspettava la mia telefonata. Vieni subito.

«Vengo anch’io» dice Donnelly. «È il meno che possa fare.»

L’ufficio di Leo si trova in una casa-negozio cinese ottocentesca ristrutturata, dietro il Palazzo Reale, sulla 240, tra un elegante outlet di artigianato e una lussuosa spa. Questa è una delle zone più desiderabili della città, perché non c’è mai un blackout, salvo quando il re è all’estero. Al momento il re è in patria. La BMW rosso morato di Leo è posteggiata sotto un albero. L’autista, intento a lucidare la carrozzeria, si raddrizza e ci rivolge un cenno e un sorriso mentre entriamo. È il terzo autista di Leo in trent’anni. Come i predecessori, è giovane, con il sedere compatto e la vita snella. Come i predecessori, guida come ci si aspetterebbe da uno che si è seduto al volante per la prima volta sei mesi fa.

Leo si è laureato in legge all’università di Sidney. Nulla di male in una laurea all’università di Sidney, ma allora, perché esercita l’avvocatura a Phnom Penh? Secondo le chiacchiere, l’avevano arrestato a Redfern per essersi reso inopportuno in un bagno pubblico. Agli agenti che l’avevano arrestato, si era presentato come John Smith, facendo il nome dell’avvocato che l’avrebbe difeso. Quando il caso del signor Smith fu esaminato, Leo informò il giudice che il suo cliente era latitante e non si riusciva a rintracciarlo. La causa contro il signor Smith venne accantonata, o finì come finiscono le cause che gli affaccendati giudici ritengono insolubili. L’errore di Leo fu di raccontare la storia ad alcuni dei suoi amici più stretti, quelli di cui sapeva di potersi fidare. Ben presto, tutta Sidney ne fu informata. Ciò coprì di ridicolo il magistrato, e il magistrato non ne fu felice, e quando raccontò la storia agli amici, tutti i magistrati di Sidney non ne furono felici, il che rese Sidney un posto difficile per gli affari di Leo. Così traslocò in Cambogia, dove vide certe opportunità legate al diritto commerciale e agli autisti. Di questo, naturalmente, Leo non parlerà mai. Tornando a quello che ho detto riguardo alla discrezione che a Jake mancava, Phnom Penh sa essere una città molto discreta.

L’ufficio ha un impianto ad aria condizionata regolato in modo perfetto per i completi. Alla reception, siede una ragazza. Per come la vede Leo, ci si può anche accontentare di un autista un po’ incerto, ma l’agenda degli appuntamenti dev’essere tenuta da qualcuno che conosce il suo lavoro. La segretaria, già avvertita, ci conduce in una sala riunioni foderata di scuri pannelli di mogano, con scaffali pieni di volumi di statuti giuridici rilegati in cuoio e quadri di scene rurali cambogiane.

La ragazza ci invita a sedere, suggerendo, nella breve attesa del signor Leo, una pila di riviste sul tavolo. Comincio un articolo sul boom delle proprietà immobiliari in Cambogia. Forse il boom è alla fine? Il giornalista ha intervistato diversi professionisti, tutti concordi nel dire che i prezzi continueranno a salire all’infinito e oltre. A corredo, fotografie patinate di lussuose ville e piscine. Donnelly, aperta una rivista simile, mi mostra un servizio su un magnate cambogiano delle proprietà immobiliari, uno di quegli articoli sul Volgare Stile di Vita dei Nuovi Ricchi Totalmente Priva di Gusto: foto d’interni della mega-dimora, dove tutto ciò che non è marmo è rivestito con foglia d’oro. «Il fottuto Maurice sembra un poveraccio» commenta.

Dalla porta arriva un colpo di tosse. Leo è entrato senza farsi notare, come di solito fanno i grandi uomini. Prende posto su una sedia, assomiglia a un grande sacco nel suo completo stazzonato con una testone di capelli che tendono a cadergli negli occhi. Li ricaccia con un mignolo impreziosito da un anello d’oro con una grossa pietra, forse un rubino. Quando la segretaria, che gli trotta dietro con tè e biscotti su un vassoio d’argento, posa una tazza davanti a ognuno di noi e i biscotti al centro, lui si avvicina il vassoio, prende un biscotto, lo inzuppa e ne stacca un morso gocciolante.

Leo sa già come ho trovato Maurice, perché gliel’ho detto quando gli ho telefonato dalla villa ieri sera. Ora l’informo sul resto della mia serata con la polizia per gli stranieri. Leo ascolta in silenzio. «Che impressione ti ha fatto Rong?» mi domanda alla fine.

«Eccellente. Un simpaticone, penso di metterlo nella mia lista per gli auguri di Natale.»

Leo mi guarda sdegnoso. «Il sarcasmo è il surrogato dell’arguzia per l’uomo poco intelligente, non lo sapevi? Ironia in un paio di scarponi. Dimenticalo, amico, non è il tuo genere.» Porta la tazza alle labbra, decide che è troppo calda e la posa, dopo di che si avvicina al frigobar nell’angolo e torna al tavolo con tre birre. «Facciamo un brindisi.»

«Un brindisi?» replica Donnelly indignato. «Che cosa c’è da celebrare? Quel fottuto sbirro vuole incastrare Burl per l’omicidio del fottuto Maurice! Dovrebbero dargli una fottuta medaglia!»

Leo si siede con un sospiro. «Burl, hai ucciso Maurice?»

«Tutti oggi mi fanno la stessa domanda. Forse avrei dovuto, ma non l’ho fatto. Vuoi difendermi o no?»

«Sicuro, non preoccuparti amico. Rilassatevi, tutti e due. Ascolta, Rong probabilmente è lo sbirro più intelligente della Cambogia. È cresciuto in Inghilterra, il padre aveva un incarico all’ambasciata cambogiana. Lui è andato a scuola a Eton o qualcosa del genere e si è laureato a Oxford. Mi dicono che parli l’inglese meglio del khmer.»

«Se è una tale perla, com’è che vuole incastrarmi per l’omicidio di Maurice?»

«Non è così. Se lo volesse, saresti già dietro le sbarre. Ad ogni modo, qui non è così che funzionano le cose. Qui vige il sistema continentale. Sai cos’è il sistema continentale?»

«No, sono solo un contadino ignorante.»

«No che non lo sei, stai solo dandone una convincente interpretazione. Ma tu sei nei guai e ci sono alcune cose che devi capire. Come ho detto, qui vige il sistema continentale, non quello a cui eri abituato. Rong è il capo della polizia per gli stranieri. Il lavoro di questo dipartimento consiste nel tenere d’occhio tutti gli stranieri del paese, sono un ramo della sicurezza, non della polizia giudiziaria, quella che conduce le indagini criminali. Questa indagine è coordinata da un magistrato, che si rivolge per consulenza alla polizia giudiziaria, ovvero al dipartimento per le indagini criminali, alla scientifica, alla polizia locale di Daun Penh e via discorrendo. Poiché è coinvolto uno straniero, si è aggiunta anche la polizia per gli stranieri, istituita specificamente dal primo ministro. Rong ha una linea diretta con il suo ufficio. Lui non è incaricato alle indagini, ma ha una voce molto importante nella commissione congiunta.»

«Così Rong fa parte della polizia segreta?»

«Si potrebbe anche dire così. Non sarebbe del tutto corretto, ma neppure sbagliato. In effetti, lui ha la reputazione di agire un po’ a modo suo. Sembra che conduca una guerra personale contro la corruzione. Non che questo gli impedisca di comportarsi come un bastardo del tutto privo di scrupoli.»

«Mi sento molto meglio. E allora, che cosa celebriamo?»

«Foggy. È fortunato. Prima aveva tre problemi, e ora ne ha solo due. Fino a ieri sera Maurice si rifiutava di ritirare la denuncia per aggressione. Grazie al folle dentista, ora non dobbiamo più preoccuparcene. Normalmente avrei preferito un modo meno drammatico per risolvere un caso, ma anche questo potrà andare. Così, ci rimangono solo due problemi. Il primo è l’accusa per droga. Voi sapete tutto al riguardo, non è vero?»

«La polizia ha fatto irruzione da Foggy e ha trovato...»

«...un sacchetto di plastica con una sostanza illegale dentro la cassetta del bagno. Possiamo dare per scontato che Maurice abbia pagato la polizia per metterlo lì.»

«Maledettamente giusto» borbotta Donnelly.

«Maledettamente giusto» conviene suadente l’Arrangiatore Solitario. «Anche se nessuno lo dirà, neppure il colonnello Rong. E così Foggy è stato arrestato e trattenuto a Daun Penh, fino a quando mi ha telefonato...»

«Più che sensato» osserva Donnelly.

«...di conseguenza, io ho parlato con il capitano Heng della polizia di Daun Penh e ho fatto una controfferta perché archiviassero la denuncia, come hanno fatto, rilasciando Foggy.»

«Lo apprezzo molto, amico» interviene Donnelly.

«Grazie amico. Comunque sia, una buona mossa. Questo avrebbe dovuto risolvere il problema. Ma non l’ha risolto, perché sapete che cosa è successo dopo?» Da sotto le folte sopracciglia, Leo guarda Donnelly che sembra parecchio a disagio. «Ve lo ricorderò io» prosegue. «Gli amici che dovevano badare a lui, voi, per primi avete lasciato che quello stupido idiota aggredisse Maurice!»

Scuote la testa disgustato finché, vedendo che Donnelly non sa dove guardare, s’impietosisce. «Anche se in un certo senso» sospira «è stato giusto, dato che, a quanto si dice, Maurice aveva già fatto una contro-controfferta perché lo rimettessero dentro. Heng stava per fare un’altra irruzione da Foggy.»

«Allora, si mette male?» domanda Donnelly.

«No, amico, si mette bene, perché ora Maurice non può più stare dietro ai pagamenti. Heng sarà felice di accettare l’offerta di Foggy. La sua offerta, cioè, per l’uso personale della droga trovata in bagno» spiega Leo, notando lo sguardo vagamente stranito di Donnelly.

«Allora, si mette bene?»

«No, amico, non si mette bene. C’è ancora il secondo problema.»

Leo sposta lo sguardo da Donnelly a me.

«Naturalmente. Qual è il secondo problema?»

L’avvocato si appoggia allo schienale e intreccia le mani sullo stomaco, come chi si gode un bel problema in cui può affondare i denti. «Il secondo problema è il sorvegliante aggredito da Foggy davanti al locale di Maurice. Se volete il mio parere, la colpa è del sorvegliante, mettersi di mezzo così, quell’idiota troppo zelante. Ad ogni modo, questo è un problema più grosso di quello che Heng ha infilato nella cassetta del bagno, perché il sorvegliante era uno sbirro fuori servizio di Daun Penh, e Heng ci tiene ai suoi ragazzi. Il capitano ha una buona reputazione, in certi ambienti.»

«Quindi si mette male.»

«Non si mette bene, ma neppure del tutto male, perché noi possiamo infilare l’offerta finale di Foggy per la droga nel compenso che pagheremo allo sbirro. Quindi, finisci la birra, che andiamo a sistemare le cose con il capitano Heng.»

Leo ci conduce in automobile fino al quartier generale della polizia a Khan Daun Penh. L’agente all’entrata lo saluta per nome (l’avvocato è ben noto alla polizia di due continenti), mi sorride e rivolge un cenno a Donnelly, prima di indirizzarci dal capitano Heng.

Heng balza in piedi, unico ornamento del piccolo ufficio dai muri in cemento dipinto con varie gradazioni di marcio, verde marcio per un terzo in basso, bianco sporco per due terzi in alto, il tutto decorato con generosi spruzzi di qualunque cosa si sia potuto mangiare negli ultimi due decenni dall’ultima volta che è stato pitturato. Gli occhi del capitano sono segnati dalle rughe da risata di un uomo che ha visto molte cose buffe in vita sua. Come, per esempio, stranieri impigliati nel sistema giuridico cambogiano. Un vero spasso.

Leo comincia le presentazioni, ma il capitano le interrompe, prendendo la mano di Donnelly nella sua e stringendola con calore. «Conoscere già signor Donnelly» dice. «Parlato fin troppo stamattina. Come stare mio amico?»

Donnelly è alle strette: essere chiamato amico da un poliziotto!

Heng ci invita a metterci comodi, poi sporge la testa nel corridoio e grida a un tirapiedi di portarci il tè.

«Vostro amico grosso guaio» dice, quando torna alla scrivania. «Colpito agente polizia.»

Leo mi guarda con la coda dell’occhio. Lascia fare a me, mi sta dicendo, questa è roba da professionisti.

«Sì,» annuisce affabilmente «grosso guaio» conviene con aria preoccupata. «Spero che questa offerta vada bene.»

«Si tratta dell’agente Map. Ferito fuori servizio.»

Leo annuisce penserioso. La circostanza che l’agente fosse fuori servizio, mi sembra, gioca in nostro favore.

«Una ferita non troppo grave, spero?»

«Dovuto andare in clinica. Temo naso rotto.»

«Oh. Mi dispiace sentirlo. Come sta?»

«Dottore clinica dire naso non rotto.»

Il capitano Heng sembra serio, e Donnelly quasi rovina tutto ridacchiando.

Leo lo zittisce con un’occhiata.

«E dunque, dov’è ora l’agente Map?» domanda con la massima serietà a Heng.

«L’agente Map avere bisogno di riposo» risponde il capitano. «Io dare permesso ad agente Map, firmare io stesso. Dottore clinica raccomandare. Dottore mio cugino, bravo dottore. Io stesso mandare da lui agente Map.»

«Forse il mio cliente potrebbe fare una donazione alla clinica per mostrare il suo apprezzamento.»

«Questo sarebbe molto apprezzabile. Agente Map uno dei miei agenti giovani. Padre di famiglia. Bambino piccolo, cinque anni. Bambino intelligente, molto carino. Ragazzino avere compleanno mese prossimo, cominciare scuola. Scuola costosa.»

«Splendido. Sono sicuro che il mio ufficio si ricorderà del compleanno del ragazzino.»

«Sì. Agente Map apprezzare questo. Io pensare a dirgli lei venuto a parlare me. Lui felice adesso, credo.»

Leo si schiarisce la gola. «Volevo parlarle di un’altra questione, la stessa di cui abbiamo chiacchierato ieri, e cioè del mio cliente, il signor Fogarty. Ricorderà che il signor Fogarty stava facendo un’offerta di risarcimento...»

Il capitano si china in avanti e posa le braccia sulla scrivania. La sua voce prende un tono intimo, mentre guarda ognuno di noi. «Vostro amico ora a Prey Sar, ma vostro amico non pericolo pubblico, io capire lui ha avuto...» il capitano cerca l’espressione «...lapsus infelice. Nessun precedente. Se potere organizzare per fare scuse ad agente Map...»

«Oh, certo!»

«Bene. Sta bene. Quindi non c’è più alcun problema, per quanto vedere.»

Radioso, il capitano Heng si alza con noi, stringe la mano a tutti quanti e ci accompagna alla porta d’ingresso.

«Avete sentito che cosa ha detto» riprende l’Arrangiatore Solitario quando siamo fuori. «Ora voi due filate via e cominciate a raccogliere i Fondi per le Scuse all’Agente Map. Un migliaio dovrebbe bastare. Fatemi una telefonata domani. E tu, Burl vai a casa e tienti lontano dal colonnello Rong.»

«Sissignore» rispondo.

Forse aver fatto l’avvocato per tutti questi anni ti fa perdere la fiducia nelle persone, non so, ma Leo si ferma e mi guarda sospettoso: «Burl, parlo seriamente. Tu ora te ne vai a casa e resti lì, capito?»

«Sicuro» rispondo in tono carezzevole.

Anche Donnelly prende a parlare con una vibrazione particolare. «Non preoccuparti, amico. Mi assicurerò che faccia quello che deve.»

Che faccia quello che deve? Possibile che Donnelly sia capace di sfumature di ambiguità così insospettabili?

Leo ci guarda dubbioso. Sono sicuro che la contorsione delle parole di Donnelly non gli sia sfuggita, ma l’autista gli sta tenendo aperta la porta posteriore della BMW rosso morato, l’aria condizionata è in funzione, così aggrotta la fronte e sale. Subito abbassa il finestrino: «Non mi fido di nessuno di voi due. Posso darvi un passaggio?».

«Grazie, amico, ma andremo per conto nostro» fa Donnelly. «C’è una quantità di mototaxi qui, ce la caveremo.»

Leo grugnisce incredulo e alza il finestrino. L’autista si immette nel traffico esattamente davanti a un camion che sterza bruscamente sulla strada di un tuk-tuk che monta sul marciapiede. Quando vediamo la BMW dileguarsi nel traffico, Donnelly si volta verso di me.

«E allora, cosa facciamo?»

«Tu torni nella 136 e cominci a organizzare la raccolta. Foggy è un tipo benvoluto, non dovremmo avere difficoltà a metterne insieme mille.»

«E tu? Farai come dice Leo, te ne andrai a casa e ti terrai fuori dai guai?»

Se il clan Donnelly avesse un motto, sarebbe Stai Fuori dai Guai.

«No, amico. Andrò a cercare l’altra persona sospettata.»

«L’altra persona sospettata? E chi è?»

«April. La ragazza conosciuta ieri da Maurice.»

Donnelly pare stupefatto. «La ragazza di Maurice? Pensi che sia stata lei?»

«No, amico, non lo penso. Ma se Rong pensa che io sia una persona da tenere d’occhio, allora siamo nella stessa barca. Abbiamo bisogno di confrontarci.»

«Oh» fa Donnelly. «Credo che tu abbia ragione.» Un’ombra di dubbio gli attraversa la faccia. Donnelly è un po’ più vecchio di un tempo, e gli anni gli hanno insegnato a rispettare la polizia. Non gli piace, non se ne fida più di prima, ma la rispetta. «Rong ti ha detto di non farti coinvolgere, giusto?»

«No, amico, è stato Leo a dirlo.»

Donnelly sorride felice. «Allora va bene. Ci vediamo stasera.»