Tornò al bar. Sul terrazzo, guardò di nuovo il mare, le sue alture nel cielo secco. Gli veniva voglia di starsene al sole, fermo come un ramarro nella polvere della strada. Non partire piú per quel celeste dai confini scoscesi.

Si avvicinò la donna che prima gli aveva portato il caffè.

– Bella giornata!

Parlava con accento inglese.

– Sí, anche troppo.

– È la prima volta che viene a Pietrabruna?

– Ci sono nato.

– Non l’ho mai vista.

– Navigavo.

– Io ho un fratello in marina. In Inghilterra, nella marina militare.

– E lei dall’Inghilterra è finita qui, su queste frane?

– Mio marito è di Pietrabruna, l’ho conosciuto a Jersey.

Foglie di leccio le caddero sulle spalle. Le tolse posandole nella tazza che aveva ritirata dal tavolo.

– Nella marina militare... – disse come tra sé, – è una gran bella cosa... Signora, potrei telefonare?

– Telefoni quando vuole.

Andò dentro e chiamò François il Tolonese.

Un «Allô» secco.

– Sei François? Ti ricordi di me? Sono Edoardo di Pietrabruna.

– Come se ti avessi visto ieri... Quanti anni abbiamo navigato insieme?

– Otto o nove.

– Di piú... C’era anche Kerber. Hai saputo che è morto con gli stivali ai piedi?

– Senti, François, avrei bisogno di un imbarco.

– Chi ti ha dato il mio numero?

– Tu stesso, tre anni fa, lí sul porto di Tolone.

– Già, mi ricordo... hai bisogno di guadagnare...

– Un paio di viaggi, per farmi le ossa, qualche mese, non anni... su qualunque carretta.

– Per te una carretta c’è sempre... Ti ascolta qualcuno?

– Sta’ tranquillo.

– Al carico ci penso io... Hai un telefono?... Non ce l’hai?... Richiamami fra cinque giorni, o vienimi a trovare. Addio, «mon vieux».

Ripose nel portafogli l’indirizzo del compagno di un tempo. Non aveva mai pensato che se ne sarebbe servito per concludere la sua carriera e ne era avvilito. Uscí dal bar, attraversò il paese pensando alla sua vita: anni volati via sul mare, da un imbarco all’altro, un continuo andare... per poi entrare nel crepuscolo a vele ammainate...

Lasciò i vicoli, andò lungo una muraglietta diroccata per una strada aperta a occidente. Laggiú l’ultimo azzurro impallidiva, varco diafano in un cielo che bruciava.

Sulla porta di casa trovò Clara.

– È tanto che sei qui?

– Non è molto.

– Ti ringrazio d’essere tornata.

– Volevo rivederti.

Entrarono, sedettero al tavolo. Lei si sorreggeva il volto con una mano.

– Questa storia deve finire, – disse.

– Io vorrei che non finisse...

– Fa’ qualcosa perché continui. Sei abituato a ridurmi a un sogno. Io no, invece. Cerca un lavoro a terra.

– Sognare è ridurre?

– Per me, sí.

– Anche per me, ora. Non sono piú in grado di navigare. Cerco un lavoro breve: un cargo per uno o due viaggi.

La finestra si riempiva di stelle.

Nella notte si sentiva la brezza sugli ulivi e sulle rocce.

Nel raggio di una lampada, era dolce e snella. Voleva essere guardata e presa... Aveva gli occhi dilatati, di un blu lieve.

Al mattino disse che si sentiva rifiutata. – Non ti fidi di me, non vuoi mettermi alla prova.

– Ancora un anno di duro lavoro.

Lei chinò il capo nel sole.