A Tolone trovò chiusa l’agenzia marittima e salí sulla collina, alla casa di François. Gli aprí Annick.
– François è andato a Marsiglia. Ma si fermi. Non tarderà a tornare.
– Posso sedermi in giardino?
Il mare era alto e sembrava chinarsi per venire in rada. Se ne staccava una nuvola grigia.
– Ha fatto buon viaggio?
– Dopo Cannes non c’era quasi nessuno per la strada.
Con tatto e gentilezza lei si informò della sua vita. Forse lo faceva con tutti gli uomini che suo marito stava per ingaggiare. Parlandone egli s’accorgeva del poco valore del suo passato: triste sequela di navi, di sogni e orizzonti. Sperava soltanto che non fosse troppo tardi per cambiare.
La donna stava quasi sprofondata su una poltrona di vimini, le gambe accavallate. Aveva la gonna bianca. Anche lei vestiva di bianco (o di nero) come Clara.
– Arthur Kerber se lo ricorda bene? – lei chiese.
– Come se l’avessi visto ieri. Si discorreva sul Cormorano. Era, come molti bretoni, un rude sognatore. Veniva da una famiglia di capitani di mare.
– C’era fra noi una fraterna amicizia. Con me si confidava. Lei non viene da gente di mare?
– I miei erano contadini, ulivicoltori.
Gli venivano in mente gli ulivi, dalle fronde quasi minerali e dai tronchi quasi umani. Risplendevano dentro, e sembravano parlare nella luce del mattino.
– Perché viene fin qui a cercar lavoro?
– Cerco lavoro e fortuna. Alla mia età lo trova strano?
– Direi di sí! Ma voi marinai, chi vi capisce? Anche Arthur era incomprensibile, cosí serio, cosí inadatto all’avventura.
– Si vede che anche lui aveva deciso di abbreviare la carriera. Subentrano a volte miraggi improvvisi.
– Di che parlavate sulla nave?
– Quel che si dice su una nave non ha valore. Lui, d’altronde, tra cielo e mare, non parlava. Veniva, come dicevo prima, da una famiglia abituata a navigare, da una famiglia di Saint-Malo.
– Se si sapesse il destino!
– Era di poche parole.
– E lei, invece?
– Ma, non so. Spesso vorrei tacere.
Il tempo cambiava, da grecale fluivano piccole nuvole. Il cielo smorzava il tono e assorbiva il mare, le terre marine erano rarefatte e martellate dalla luce.
Ora lei taceva, forse l’aveva intimidita senza volere. Aveva gli occhi tristi, lievemente ironici.
– Signora, capisco la sua gentilezza, lei vuol farmi compagnia, ma io non so fare conversazione.
La donna sorrise, alzandosi e ricomponendo con una mano i capelli.
– Forse François sta arrivando, – disse. – Sente?... Non sente questa macchina che sale? Avrei voluto parlarle ancora. Verrà di nuovo, spero.
François lo portò con la macchina a Puyloubier, al Domaine, ai piedi della Sainte-Victoire.
– È meglio che ti conoscano.
– Dici?
Una costruzione in cruda pietra, forse un castello, dentro un vigneto, fra due crinali ventosi, dominava un altopiano e una vallata.
– Parla solo se ti interrogano. È brava gente, ma orgogliosa. Non meravigliarti di niente.
– Non mi sono mai meravigliato.
– Sono invalidi, gente ferita.
– È con questa gente che vogliamo fare il nostro affare?
– Sono loro, questi invalidi, che smerciano le armi smesse dalla Legione.
– Tutto è possibile in questo mondo.
– Loro riescono a vivere e la Legione non si compromette. Vedrai: sono dei galantuomini... Aspettami qui, vado ad annunciarti.
– Mi seggo su questa panca.
Si vedeva un uomo che legava le viti: teneva la rafia in bocca e si destreggiava con una sola mano. Spuntavano, sul crinale a occidente, lapidi, croci e torrette, e capre un po’ piú lontano. L’atmosfera era grandiosa, dominata dalla montagna arida e bianca nei flutti di un cielo errante.
Erano in tre ad aspettarlo in una sala con un caminetto spento e un pavimento consumato. Spade, fucili e asce alle pareti crude, tutti i tipi d’ascia per boschi e savane, e vanghe, piccole vanghe per scavare trincee nei deserti. Un mondo di malinconia, di sforzi vani.
– Bene, signore! Lei vuole lavorare con noi.
L’uomo che parlava, impettito e sbilenco, aveva un braccio e una spalla anchilosati.
– Per me sarebbe un onore.
– Qualunque cosa accada, lei non dirà mai da dove proviene il carico.
– Di questo può essere certo. Vengo da un paese povero, ma antico; certe regole le conosco.
– Antico nel senso di nobile? Fra queste mura abbiamo certi principî: servire con onore e fedeltà e noi, «les anciens», abbiamo a cuore coloro che nel passato hanno servito. Lei capirà: c’è necessità di aiuto sociale e fraterno. Là sulla collina ci sono i nostri morti. Erano sparsi nel mondo, abbiamo raccolto tutti quelli che abbiamo potuto.
– Onore a loro, – Edoardo disse. Pensava alle loro ombre fra quelle petraie, sotto la montagna bianca.
Passarono nel salone bar. C’era un grande banco di quercia e foto di soldati alle pareti. S’aggiunsero alla compagnia un mutilato d’una gamba e un suonatore di flicorno. Suonava nel fumo che filtrava la luce.
Quando se ne andarono, il sole era obliquo e l’azzurro intagliava la montagna. Il cielo si dorava a maestrale.
– Basta, – disse François, – con questi «Médaillés Militaires» e «Gueules Cassées». Non se ne può piú.
– Erano amichevoli. Chissà se la loro è forza o debolezza?
– Perché te lo chiedi? Gli sei andato a genio.
– In fondo non mi hanno domandato niente. Nemmeno il nome.
François si mise a ridere.
– Ognuno è custode del suo anonimato. Non far domande sul passato è una regola formale. Hai azzeccato due o tre parole: l’onore, la nobiltà...
– Speriamo che tutto vada bene. Ma ho l’impressione che siamo ancora in alto mare.
Andavano con la macchina nell’arido sole, che schiacciava i cespugli e le vigne.