La collina era scura, il mandorlo carico d’ombra contro la striscia di perla sul mare. Edoardo si fermò sulla porta di casa. Il chiarore si alzò dietro il crinale, a macchie, come uno stormo di colombi.

Entrò. «Quest’alba, al tuo arrivo, – pensava. – Pare un buon segno». Avvolgeva la casa. Leniva il rimorso d’aver lasciato i compagni in un porto, in attesa, sotto bandiera honduregna. Ma la casa era vuota. Si coricò vestito. Aveva fatto bene a venire, il carico non lo riguardava. Moralmente.

Prima di lasciare Tolone aveva chiamato Clara. Gli era sembrata sorpresa. «Si farà viva». Sul mare, stavolta, non l’aveva quasi mai ricordata. «Il mare ha formato le lunghe nebbie del tempo». Sulla credenza vivevano ancora, spente, le eriche raccolte dietro Pietrabruna.

Quando si alzò, le colline tremavano a contatto della cupola del cielo, scosse da un blu denso e luminoso. Ma c’erano terre che volgevano le spalle al sole, sconfortate (da ragazzo lo avevano fatto sognare). I raggi scendevano dai picchi senza toccarle. Terre in perpetuo desiderio.

Clara arrivò che il mattino finiva. Indossava una giacca gialla, del colore che appare a oriente quando il cielo è ancora scuro; il volto ne riceveva la luce delicata.

Disse che aveva avuto paura di non rivederlo e che da lontano non le era stato di conforto, come se non lo avesse ricordato.

– Certi giorni la memoria non serve, – disse Edoardo.

– Ora sei qui, ma non me ne rendo ancora conto –. E lo invitò ad andare da qualche parte.

Sui pendii terrazzati batteva il sole, la falesia a oriente era incendiata.

– Non prendere la macchina, fermiamoci qui. Sarai stanco.

Camminarono sul pietrisco. Si fermarono in un angolo che le piaceva. Si vedeva il mare, tagliato da rocce e terre scoscese. Si appoggiarono a un muretto. Sembrava tornata quella di sempre: lineamenti duri, testa rozza, ma modellata da una carezza invisibile.

– Sarei stata adatta a fare la tua vita, forse avrei dovuto viaggiare.

– Andare per mare alla mia età, non c’è da essere orgogliosi.

– Certi ricordi non mi avrebbero preso.

– Quali ricordi?

La ascoltò con calma. Ora capiva il perché di quei grandi occhi innocenti. Vi sono episodi da cui anche Dio è assente e cadono dalla memoria; ma poi tornano...

Potevano anche non essere accaduti, ma che importava. Lo sguardo sul passato a volte inganna, suscita ombre che nemmeno il sole alza.

– Andiamo in casa, – le disse.

– Quella casa vuota, quei fiori secchi!... E il tuo viaggio com’è andato?

– Normale e breve.

– Facevo per parlare d’altro. Ma se non vuoi parlare...

Se ne andò che il mare era tutto un deposito di sole sotto celesti campiture. Era cominciata la brezza della sera e il mandorlo stormiva. La seguí con lo sguardo finché la vide sparire. Allora uscí di casa. Per le strade del paese cercò di ragionare su ciò che lei rappresentava. L’intimità di quei vicoli, coi suoi tutti morti, gli sembrava vana.

Finí al bar.

– Quando è arrivato? – domandò la signora inglese.

– Stamattina.

– E come va la flotta?

– Si è arenata. Lei sa dirmi di Giovanni?

– Quello delle api?

– Sí, proprio lui, signora.

– È scomparso. Lei forse non sa che gli hanno bruciato tutto.

– Tutto cosa?

– Gli alveari. Qualcuno lo ha visto in località Argenta, tra Pietrabruna e Boscomare.

– È sera di luna?

– Sí, è luna piena.

– Allora, vado a cercarlo.

– Se lo trova, lo saluti da parte mia.

Uscí dal paese, senza rimpianti. Per strada, uliveti abbandonati, muretti a curve, a spigoli, a controtornate. Da tutta quell’antichità il cielo era come ringiovanito. La luce era in crescendo man mano che si saliva. Quando in una piega del terreno sembrava buio, ecco che su un crinale tornava il sereno. «Dovrei avere anch’io un uliveto da queste parti, forse in quel rosa che si stinge. Era un quadrato, cosí lo chiamavano: il Quadrato. Aveva un nome. Generazioni dei miei vi si sono consumate le braccia. Al ritorno devio e vado a vederlo».

Su una selletta, un crocevia di sentieri, chiamò: Giovanni! due volte. Gli rispose un fischio. Poi cantò un saltimpalo. Erano gli ultimi a cantare. Il loro canto era già tenebra.

Giovanni aveva una casetta nelle terrazze gerbide sotto una cima di pini: era là di sicuro. Infatti gli venne incontro sul sentiero. Era imbacuccato. Non si vedeva il suo sguardo; a malapena, il suo volto.

– Ho sentito chiamare dallo «Stracolletto», mi è parso di riconoscerti. Solo tu potevi capitare qui a quest’ora. O sei venuto apposta?

– Ho domandato di te al bar di Pietrabruna.

– A Pietrabruna se la ridono.

– Chi vuoi che se la rida!

– Mi hanno bruciato le api.

Edoardo non sapeva che dirgli.

– Perché te ne stai qui da solo? – chiese.

– Non si sta mica male. Ho un mandorlo, il fico, un nespolo di Spagna e, nella stalla, una capra a cui manca solo la parola. Forse fa bene a non parlare a questo mondo malvagio.

La capra aveva sentito i passi e lo chiamava, timidamente. Saliti di sopra, Giovanni accese un lume a olio. L’ombra massiccia scivolò sul grezzo.

– Hai già cenato?

– Non importa.

– Non vorrai fare il ritorno a stomaco vuoto. Se mangi qualcosa ti faccio compagnia. È un onore aver avuto la visita di un capitano di nave –. Si chinò, mise uno stecco sotto il gambo del tavolo: – Ecco, adesso non traballa.

Da dietro una roccia uscí la luna e si posò su un sorbo, ne invase d’oro il legno rosato.

– Chissà che notti di luna sul mare!

– Non è la luna che manca, – disse Edoardo.

E gli venivano in mente i suoi compagni. Era appena un giorno che li aveva lasciati e gli pareva già tanto. Li allontanava la collina che la luna incantava.

– E a Tolone non ci sei piú stato?

– Ne vengo adesso, sono arrivato stamattina. C’era un’alba bianca... – Ma tagliò corto. Stare a spiegare un chiarore di buon augurio a un uomo disperato, stare a dire troppe cose...

La luna nuotava tra cime e picchi. Lassú, pastori forse la guardavano.

– Sono già scesi i greggi? – chiese.

– Staranno scendendo. Stamattina c’era brinato. Ho visto anch’io l’alba. Era piú bianca del solito.

– Grazie per la cena.

– Per quello che ti ho dato!

– Niente di piú buono dell’olio sul pane raffermo.

– Aspetta! Allo Stracolletto la terra è già a scaglie. Sente subito la tramontana, – disse Giovanni.

Andò al nocciolo e fece un bastone tra lo stridere delle foglie secche.

– Sta attento: il crinale fuori dei pini è esposto a tutti i venti.

– So bene. Ci conosco.

– Verrà il giorno che mi porterai a Tolone?

Edoardo gli mise una mano sulla spalla.

– Grazie anche per il bastone.

Camminò sulla terra soffice e poi dura e poi di nuovo soffice. Andava svelto per quanto il cuore lo trattenesse. Le scalinate di terrazze salivano al cielo. Gerbidi desolati. Gli venivano in mente quelli che un tempo le dissodavano, affondati dentro i sassi fino alle ginocchia.

Fece un giro largo, ma al suo uliveto non riuscí ad arrivare, il sentiero era invaso dalle arastre. Lo guardò dal basso: era quasi un fantasma accampato nell’aria. Forse era meglio non avvicinarsi, non vedere il male che aveva addosso.

Riprese ad andare. Un murmure d’aria veniva dalle montagne e soffi dal mare secondo le svolte del cammino. Negli ulivi e negli orti la penombra copriva l’abbandono. Sul manto grigio dei colli, in un alito di luce, il tetto e il campanile del Santuario delle Grazie.

«Non partire piú, – pensava, avvicinandosi a Pietrabruna, – avere una vigna al sole, o essere un pastore con l’ovile interrato e la casupola annerita dal fumo, da cui si scorgesse il mare». Era una bella notte, faceva uno strano effetto vedere il cielo stellato, la sua pace, sopra quegli aspri siti: sopra il crinale di Argenta il quadrato di Pegaso puntava a nord verso i Guardiani del Polo.

Gli tornava in mente il suo uliveto, col melo cotogno, dai fiori bianco-rosati, e il nespolo di Spagna con i frutti sparsi intorno al ceppo sulla terra brinata... Cose da non parlarne piú. Dolorosa ombra d’argento.

Arrivò nell’orto di casa e sentí uno scricchiolio di foglie di fico. Era Clara che lo aspettava.

– Da dove arrivi? Sono già venuta una volta.

– Da nessuna parte. Ho fatto un giro. Mai piú pensavo che saresti tornata stanotte.

Entrarono. Lei scoperchiò la stufa e si chinò a prendere legna. Mostrava le gambe: fini alle caviglie, tornite in alto, dove entravano in un blu cosparso di piccoli girasoli.

– Come ti sei vestita? Hai sempre avuto gonne nere.

– Avevo bisogno di colore per un lieto addio.

– Non sono ancora di partenza.

– Sono io che posso andarmene.

Fuori il mandorlo stormiva e ogni tanto cigolava di vecchiaia. Dal paese, dal suo selciato, veniva lo zoccolio di un mulo. Qualcuno partiva già per la sua campagna. Ce n’erano di distanti tre o quattr’ore. Ricordò che dicevano: «Se arrivi nel tuo non è mai lontano».

Batteva sul pendio una luce netta, quasi un alito a suggerire tenerezze. Qua e là cespi di rose, bianchi, di sentiero. Piú su, il cielo sul roccione.

– Il cielo è fine, il tempo gira.

– Non si è mai visto un cielo cosí sottile.

A un tavolo parlavano del tempo, a un altro giocavano a carte. Edoardo pensava a Clara. Sedeva solo. Si ricordava che temeva il vento, la rivedeva con una mano alta, sui capelli, mentre laggiú sul mare il vento entrava.

La padrona lasciò il banco e venne al suo tavolo. Gli domandò se aveva visto Giovanni.

– Sta in un bel posto, sotto picchi altissimi, sopra gli ulivi.

– Ma perché si nasconde?

– Dipende dal carattere.

– Noi inglesi ci daremmo al bere. Se lo vede ancora gli dica di venire.

– Lo farò, signora.

– Mi chiami Anne. Mi sembra di conoscerla da chissà quanto.

– Anche questo è un bel posto.

– L’ha visto coi mandorli fioriti a fine gennaio?

In quel momento entrò don Alberto. Salutò dalla porta. Era un tipo espansivo, con voce forte. Raggiunse subito Edoardo, lo abbracciò chinandosi, non lo lasciò alzare.

– È un vero amico, – disse.

– Siediti e bevi qualcosa.

– Stavamo parlando, – Anne disse, – gli chiedevo se ha visto la riva dei mandorli a gennaio.

– È come se non li ricordassi.

– È sempre in viaggio, – disse don Alberto. – Non è vero che sei sempre in viaggio?

– Ancora per poco.

– Anch’io sogno di ritirarmi nei momenti di stanchezza, penso all’ospizio.

– Non ci resisteresti tre giorni. Si va finché si regge, anche stanchi, anche su una vecchia carretta.

– Per dove parti, adesso?

Edoardo alluse alla costa verso cui stava per andare, del carico non disse nulla. Alberto gli mise una mano sul braccio e gli parlò di San Gerolamo, nato in quella terra, un santo dal grande rigore e dall’immaginazione ardente.

– Non la credevo terra di santi.

– Pensa a lui quando ti avvicini a quella costa. È sempre stata un mezzo inferno, terra contesa, slavi di vario genere, Bisanzio, Venezia, Turchi.

– Che cosa vi posso portare? – chiese Anne rialzandosi.

– Ce l’ha una bottiglia di màlaga? Qui facevano un’ottima màlaga una volta.

– Erano anni che non ci si vedeva, e adesso due volte in pochi mesi.

– Mai piú pensavo di incontrarti sul poggio di San Michele quella sera, ti avevo preso per un ladro. Avevi uno sguardo...

– Che sguardo? Tu eri con un bell’angelo custode.

– Fammici pensare... Era lo sguardo di uno che fa fronte, come certi miei compagni di navigazione.

– Grazie per il riferimento. Hai buoni compagni?

– Forse sí, ringraziando il cielo. Ma a che faremo fronte?

– Sera di sera era piú chiaro, – dicevano al tavolo vicino.

– Sera di sera? Che vorrà dire?

– Semplicemente ieri sera. Non ti ricordi?

Alberto non rispose. Si passò una mano nei capelli, fino al bavero consunto. Aveva una giacca grigia, che gli era diventata grande. E aveva pallore nel volto massiccio e una trepidazione insolita alla sua età. Edoardo gli chiese se aveva il vino triste.

– Non triste, – l’altro disse. – Te ne vai per la tua strada e pensi.

– E dov’eri?

– Sulla mulattiera che portava alla casupola di mio padre. Non avevamo niente.

– Fai sempre gli stessi giri? – disse Edoardo.

Gli venivano in mente mulattiere bianche, case rotte col cielo che entrava dentro. Gli giungevano voci discordi e pietà per tutto quanto.

Diede un’occhiata fuori, alle nuvole che salivano dal mare. Non l’avevano ancora vinta sul sole che le cospargeva d’oro spento; un falco gli andava incontro dal picco d’Argenta; spaziava dal picco alla falesia, padrone del cielo.

Era rimasto solo e guardava. (Alberto se n’era andato augurandogli buon viaggio). C’erano uliveti sempre piú cenerini, addossati a rocce che azzurreggiavano. Avevano coltivato anche limoni in tempi lontani, sulle terrazze meno avare, di terra morbida, leggera. Ne fornivano la flotta inglese e olandese in barili di sale. Se ne vedeva ancora qualcuno fra l’infestazione dei rovi.

E pensò ad alberi scomparsi: nespoli di Spagna, meli cotogni; poi ai cespugli che accompagnavano i sentieri verso le alte campagne, e che non aveva rivisti: ginepri e rose canine. La memoria era un naviglio leggero. Lo portava verso certe mattine, avanti l’alba, tra voli di caprimulghi, che tamburellavano nell’aria con le ali flautate. Seguivano i greggi a caccia di insetti.

– Che cosa fa lí tutto solo?

– Aspettavo che venisse sera.

– È già venuta, – disse Anne; e gli indicò la vetrata. – Vada al telefono, la chiamano da Tolone.

«È già ora?» egli disse a se stesso.

Sí, l’ora di andare era già venuta. Gli pesava. Ora che cominciava a trovarci gusto, doveva assottigliare la memoria e ripartire. Non aveva fatto quasi nulla di ciò che sperava.

Andò a casa e scrisse un biglietto per Clara, fece la valigia. Attaccò il biglietto alla porta con due puntine.

Scese per scalette, fino alla piazza della chiesa antica, dove aveva la macchina. C’erano due vecchi sotto la lampada, appoggiati al bastone, il volto mite.

– Che fate? Si passeggia?

– Aspettiamo il sensale. Abbiamo il mucchio delle olive nel solaio.

– Vanno care?

– Dodici lire alla quarta –. (Volevano dire dodicimila).

– Non è un gran prezzo. Quant’olio danno?

– Tre chili scarsi, forse meno e non è ancora rotondo.

– A me piace con quel fruttato.

Li riconobbe, rugosi e sereni, molto invecchiati. Sapeva dove avevano gli uliveti, un’erta di ombre fonde e chiarori sulle cime pendule degli alberi quando entrava il sole. Gli venne voglia di scambiare con loro quattro parole prima di accomiatarsi.

– Quanti saremo adesso? – chiese.

– Ottanta, – uno disse.

– Cinquanta, – corresse l’altro umilmente. – Si ricorda quando non c’era la strada? Ne ho portati giú a spalla al cimitero di dolcezza.

– Bene, io devo andare. Vi lascio la buona sera.

– Buona sera a lei, buon viaggio.

Scese giú al mare. Poi risalí per qualche minuto su un raccordo d’autostrada e lí, in un incrocio di luci, s’accorse veramente di lasciare donna casa e conoscenti. Ed era duro sul finire della carriera.

Arrivò a Tolone quasi senza accorgersene. Raggiunse la sua nave. Dormivano già tutti, eccetto due che ascoltavano una radio sintonizzata sulle onde corte. Andò nella sua cabina, si coricò sulla branda. Si sentiva la boa-campana e il mare frangersi sul molo foriero. Sarebbe piaciuto a Clara, alla sua anima inquieta. La immaginò prima di dormire. Avvolta in un impermeabile chiaro, che le schiacciava il seno e le rendeva il corpo intimamente severo, aveva la testa nobile, come al solito, e un che di tirannico sugli occhi e sulla bocca. Si ricordò di un dialogo, colto per caso tra lei e un tipo di Monaco.

– Tâchez de comprendre, – lei diceva. – J’ai fait l’amour avec un tas de messieurs, c’est toujours devenu moche. Il y a un marin d’un côté et un tas de messieurs de l’autre.

– Quel malheur pour moi. Vous êtes toujours sur mes paupières, je meurs de ne pas vous voir nue.

– C’est parce que vous sortez de prison. On le sait, on devient des vicieux ou des adolescents là dedans.

– Le malheur c’est que je vous ai rencontrée et vous êtes, je peux bien le dire, une maladie...

Il malheur si sprecava e gli occhi di lei non erano severi, ma trasognati.

Si domandò perché si faceva venire in mente quel dialogo che risaliva a quattro anni prima. Per rammemorare una fedeltà di lei alla sua maniera, una lunga attesa?

L’indomani si incontrò con Manuel nella sala ufficiali.

– Tutto è in ordine?

– Tutto in ordine.

Era una bella mattina, minerale; dall’oblò si vedeva una nuvola cozzare nel cielo. L’Hondurian piú che ferma sembrava incastrata nel mare.

– Nulla di nuovo allora?

– Tra ventiquattr’ore si parte. Com’è andato il soggiorno a casa?

– Bene. Tu non sei andato da nessuna parte?

– Sono rimasto a Tolone, ho rivisto Annick... Sembra accesa ed è di ghiaccio, con gli uomini fa delle prove. Meno male che sono uno che non perde la testa.

– Io, purtroppo, ogni tanto la perdo.

– Non credo, – disse Manuel sorpreso. – Beviamoci questo caffè. Stanotte ho dormito poco. François ci aspetta all’agenzia.

Scesero dalla nave e camminarono per banchine e imbarcaderi.

– Non diresti che stamattina la terra mostra il suo scheletro? Guarda quei colli nudi.

– Sono spogli, non vedo differenza fra oggi e gli altri giorni.

Salirono per una breve scala. Vi stavano seduti un uomo e un cane, i loro sguardi erano tristi. Edoardo mise qualche soldo nel berretto steso sul gradino.

François li accolse con cordialità. Sorrideva dietro il vascello fabbricato dagli ergastolani.

– Si direbbe che tu abbia dei pudori, non hai voluto vedere cosa si caricava.

– E chi non li ha? – disse Edoardo.

– Meno male che ti conosco, so come ti comporti al momento opportuno, ti accompagna una certa fama, tutto l’equipaggio ti stima.

– Stavolta forse è immeritata.

François gli diede dei fogli. Erano i documenti del carico e, come era regola, li aveva già firmati il primo ufficiale. Naturalmente in quell’elenco non c’era nulla di vero. Poi gli chiese com’era stato a casa.

– Tanti di quei problemi.

– Li hai risolti?

– Appena sfiorati. Con un po’ piú di tempo...

Si cominciava a capire e si doveva andare.

– Vi aspetto oggi a colazione, voglio dire tutti gli ufficiali. Forse stanotte partite.

– A questo punto vorrei già aver preso il mare.

– Signori, – disse François nel giardino della sua villa, – siete tutti uomini di valore, state per intraprendere un viaggio importante. Su di morale! – Aggiunse che gli sembravano un po’ tristi, prigionieri di se stessi. Ma erano al primo di una serie di viaggi che li avrebbero trasformati.

Erano in sette, quattro ufficiali di coperta e tre di macchina, ed erano tutti silenziosi; solo François, loro ex collega, sapeva diventare eloquente al momento opportuno. Sedevano, dopo colazione, tra olivastri e carrubi e pini cosí sulfurei che sembravano fiorire benché fosse autunno. Si vedeva la città e le rade, il porto tagliato dall’ombra delle navi e dei moli, con le onde che andavano in senso contrario per vento di rimbalzo.

– Tutti i fiumi vanno nel mare e il mare non è mai pieno, – disse il primo ufficiale; e lasciò lí la sua sentenza. S’accorse che si aspettavano da lui una spiegazione e allora aggiunse che gli era venuto in odio l’andazzo della vita e che non voleva giungere senza accorgersene al giorno della morte. S’era alzato in piedi e il suo volto s’era acceso d’un leggero entusiasmo, ma i suoi occhi erano freddi. Dietro di lui la siccità curvava la testa dei viburni nei brividi dell’aria. Annick allungava le gambe accanto a un cespuglio e con una mano si sorreggeva il mento.

Edoardo, accasciato da un vago senso di colpa, non prese la parola, finché Annick non andò a sedere al suo fianco.

– Non mi sembrano molto responsabili, studi lei la situazione, li tenga sotto controllo.

– Dal mio punto di vista non posso lamentarmi, – le disse, – il loro lavoro lo sanno fare. Sono solo preoccupato per il viaggio; non ci vedo tanto chiaro.

– Si vede che lei è coscienzioso, – la donna disse. Poi domandò com’era la sua casa con un lieve sorriso. Forse voleva un gioioso congedo.

– Dove c’è una sedia, un tavolo, un letto c’è casa. In quanto al posto è molto antico e rovinato.

– Poteva star qui, invece ci ha lasciati. Qualcuno l’aspettava?

– Sí e no. Credevo di dover fare un esame di coscienza.

– L’avrà fatto, immagino.

– Non ne ho avuto il tempo.

– Le auguro buon viaggio e lieti pensieri.