Partirono dalla nave alla sera, lui e Manuel, in un tramonto di ombre grige. Manuel non aveva voluto lasciarlo andare solo.

– Finora abbiamo agito come sonnambuli del mare, – disse, appena messo piede a terra, nella cala. – D’ora in avanti dobbiamo stare piú attenti, per chi ci aspetta a casa e per chi prega, se c’è, per noi nel cielo.

Ci si vedeva appena. E presero per il sentiero che avevano studiato prima e che adesso finiva contro una riga scura, un orlo di querce già stellato.

Dall’alto un gufo schiamazzava.

– Buon segno. Vuol dire che non c’è nessuno.

Andavano contro l’aria che scendeva dall’altopiano.

– Chi ti aspetta a casa? – chiese Manuel.

– Che mi aspetta proprio, forse nessuno. Ma una donna conta su di me per i suoi problemi. Dorme con la finestra aperta per sentire il mare.

– È cosí in ansia?

– S’accorda col suo fiato per dormire. Da noi il mare sale per rocce e per dirupi col suo respiro. Ma adesso non parliamo. Meglio sentire che essere sentiti.

Il gufo aveva cessato il suo canto caotico. L’aria portava soffi non amalgamati: pietre, cespugli e un fruscio solenne di foglie secche: querce alte, a perdita d’occhio.

Pensava ancora a Clara che spesso andava a coricarsi dove il mare batteva secco, i capelli stesi al sole come un drappo funebre.

Camminavano in silenzio, al buio, su un piccolo altopiano. Poi alla loro destra comparvero le luci del paese. Cercarono un sentiero per scendere.

Il paese era impaurito e tranquillo. La guerra era al di là delle colline, degli schienali rocciosi, forse la tenevano lontana gli uomini armati sul crinale. Non c’era nessuno per le strade. Sulla piazza un vecchio parlava da solo, piano, sembrava pregare. Nella locanda affollata, umanità indefinibile, contadini non piú tali, pescatori che non osavano piú uscire o rimasti senza imbarcazioni. Vita fermata dalla brutalità dei tempi, rapinata: negli occhi, nel mormorio i segni di una isterilita dolcezza. A un tavolo, un uomo ferito, la spalla avvolta da una benda.

Fu una ragazza ad avvicinarsi. Si era messa poco discosta, alla finestra, e si girava a guardare, piuttosto timida e come assente. Era di una modesta eleganza, giaccone blu, da marinaio, e calzoni attillati. Le si rivolsero in francese e la invitarono a sedere. Fortunatamente capiva.

– Vi credevo di Zagabria.

– Perché di Zagabria?

– Sono venuti da là degli uomini in questi giorni.

Le chiesero chi erano gli uomini venuti da Zagabria e come mai sapeva cosí bene il francese. L’aveva studiato a scuola, lei disse, e degli uomini di Zagabria non sapeva niente. Erano comparsi in paese da due giorni. Un tempo ne venivano molti in vacanza. Aveva una stanza che dava sul porto e la affittava. Suo marito lavorava in Germania, lei era senza lavoro. Erano stati compagni di scuola.

– Compagne di scuola non ne avevo, – disse Manuel. – Avrei voluto averne una, ma come lei.

La donna alzò gli occhi lievi, distanti, sorrise con mestizia.

– Mi sono sposata adolescente e mi sono ritrovata adulta appena sposata.

– Io mi sono trovato vecchio sul mare, – disse Manuel. – La gioventú non l’ho proprio conosciuta.

– Ma se è ancora un ragazzo, – lei disse, – non ha l’aria di un uomo maturo. Si ricordi che qui ci sono dei pericoli.

– Il paese è tranquillo, mi pare.

– Ma la strada è contesa. Ogni tanto portano un morto.

Le colline erano parallele al mare e la strada scendeva dalle colline. A Edoardo sembrava di aver già capito ogni cosa: ora nelle mani degli uni, ora nelle mani degli altri, circondata da rocce, chi usciva allo scoperto perdeva. Gli sembrava anche di capire chi potevano essere quegli uomini venuti da poco e aspettava che la donna ne parlasse ancora.

Ma quei due sembravano persi in un idillio. L’eco della guerra lo favoriva. Manuel aveva lasciato da poco il mare e lei aveva il marito lontano. Chissà che andavano sognando.

– Bene! – disse Edoardo, – vado a fare un giro.

Sentiva l’attrazione di quella terra, di quel paese ancora in pace.

– No, resti, – disse la donna, – non si esponga.

– Che pericoli ci sono?

– È pericoloso girare di giorno, figuriamoci di notte.

– Ci saranno altri bar, altre locande?

– No, questo è l’unico.

Li condusse per vicoli, rasente ai muri. Li fece salire in casa. Era a forma di torretta. Si vedeva il mare.

– Perché hanno costruito il paese cosí in alto?

– Non so. Venite. Da quest’altra finestra si vedono le montagne –. E indicò un’aspra muraglia. – Al di là ci sono gli altopiani.

L’alba era sorta da quella muraglia, l’alba ch’era parsa una grande falena mentre entravano in rada. Su quegli altopiani avvenivano cose a cui era meglio non pensare. Nascevano dalla tenace memoria del male. Il tempo per quei popoli era un eterno presente... (cosí Edoardo aveva sentito dire)... i secoli bruciavano in un istante...

La donna offrí un liquore.

– Beviamo a questo incontro.

– Mi chiamo Narenta. Voi mi dovreste dire che cosa cercate.

– Forse quegli uomini che lei dice venuti da Zagabria.

– Domattina ve li faccio incontrare.

– È meglio stanotte, non possiamo aspettare fino a domani.

– Posso andarli a cercare.

– Posso offrire io adesso? – disse Edoardo. E tirò fuori la bottiglietta dalla tasca della giacca. – Il gin porta bene.

La donna, prima di andar via, passò la mano sul braccio di Manuel.

– Che ne dici, saremo caduti in trappola?

– Credo che ci possiamo fidare. D’altra parte non avevamo altra scelta, – disse Edoardo.

Sorrideva pensando alla morte. A Manuel non ne poteva parlare, non ancora, non c’era abbastanza confidenza. Aveva sempre desiderato d’essere sepolto con la faccia girata verso il mare. Dopo che aveva sentito che nella Franca Contea c’era stata gente che si era fatta seppellire in piedi rivolta verso Ginevra. Clara invece contava di essere bruciata.

– Stare qui al chiuso non ci fa bene, – disse. – Apri la finestra e controlla la strada. Se arrivano in troppi, fuggi. Torna sull’Hondurian e riprendete il largo. Può darsi che da Tolone arrivi qualche notizia. Il mare è mare, ha una sua innocenza.

Meno male che andavano incontro al giorno. Al suo paese non amavano le ore che andavano incontro alla notte. Lo dicevano sulle mulattiere, su lunghe strade. «Se parti col buio e arrivi nel podere all’alba, non è lontano. È lontano quando non arrivi mai nel tuo». Gli venne in mente il padre di suo padre, grande lavoratore e accanito conteur. Non rinunciò nemmeno prima di morire (e aveva già avuto i «tre sudori»). «Duà che giorno è oggi?» «Sabato». «Allora sarà sabato per sempre».

Andò alla finestra e guardò la strada: in fondo, lontano, c’erano bagliori bianchi, di rocce carsiche. La luna stava per sorgere. Tornò al tavolo, trasse di tasca un foglietto e si mise a scrivere. Lo piegò e lo diede a Manuel.

– Lo leggerai, nel caso non riesca a tornare –. Pronunciò quasi senza accorgersene le parole del Santo: – Miserere mei, Domine, quia dalmata sum.

– Hai studiato in seminario? Come parli?

– Sono amico di un prete al mio paese.

Ebbe un soprassalto di nostalgia pensando alla nave che ancorava fuori, dietro lo scoglio, in grado di andarsene, di sfuggire ancora per qualche anno all’appuntamento.

Narenta andava svagata dietro a un uomo che marciava con impeto. In fondo alla strada la luna si staccava dalle rocce.

– Aspettiamoli seduti, – disse Manuel.

Anche entrando l’uomo mantenne il passo impetuoso.

– Sono diversi giorni che aspettiamo, – disse dopo essersi presentato. Tirò fuori dei documenti da una borsa. Erano stati redatti a Tolone.

L’uomo aveva una gran testa di capelli grigi. Era agitato e sembrava aver bevuto.

Dimostrò che metà del carico era già stato pagato. Non capiva perché da Tolone non rispondesse piú nessuno. Parlando il francese incespicava. Disse che una nave si era affacciata ed era sparita.

– Procediamo con calma, – disse Edoardo. – La nave non è lontana. Possiamo andare a prenderla ed entrare in porto domani.

Narenta rimise i documenti nella borsa. Poi versò da bere.

– Alla salute di questa terra tormentata, – disse Edoardo.

L’uomo assentí con un sorriso. Lo sguardo rimaneva fiero, quasi truce. Narenta si offrí di accompagnarli se tornavano alla nave. Poi disse che se erano stanchi potevano fermarsi a dormire.

Non erano stanchi e avevano voglia di partire: sulla nave li stavano aspettando.

– Noi vi siamo riconoscenti, – l’uomo disse. Parlò di se stesso. Si chiamava Sutej, era erzegovino. Era stanco di essere al mondo, non gliene sarebbe importato niente andarsene nell’altro, ma c’erano donne e bambini da proteggere.

– Credevo venisse da Zagabria.

L’uomo sorrise, un sorriso che finiva in una sorta di rantolo.

– Vengo da Mostar. Narenta è stata eccessivamente prudente.

Manuel guardò la donna e scosse il capo. Quella prudenza lo insospettiva? Per Edoardo invece era rassicurante.

– Succede di tutto, – l’uomo diceva, – dalla tortura alla crocefissione; l’istinto si fa perverso... Voi mi direte: nulla di nuovo sotto il sole. La terra ha sempre portato il lutto.

All’improvviso si sentí un’arma crepitare sulla montagna; poi una campana si mise a suonare. Un suono argentino. Doveva esserci un’aria fine.

– Affrettatevi ad andare. Entrate in porto quando volete. La mia squadra è pronta.

– Se vengo anch’io non vi dispiace? – Narenta chiese. E si rimise il suo giaccone.

Una nuvola si faceva bianca, il colore del mare si ravvivava, la luce scendeva lungo tristi rocce.

– La guerra l’abbiamo solo sfiorata, – disse Manuel, – ci è andata bene.

– Aspettiamo a dirlo, aspettiamo d’aver ripreso il largo.

– Da alcuni giorni, comandante, vedi la vela nera. In alto mare eri diverso.

– Questo è vero. Non so cosa mi succede.

– Ma tu perché sei qui? L’hai già chiesto a tutti noi, e tu non l’hai mai detto.

Edoardo si fece coraggio e lo disse. Aveva una donna a cui teneva e si sentiva povero e vecchio.

– È bella quella donna?

A guardarla (ma questo non lo disse) qualche veliero salpava in sogno.

I cespugli tra cui passavano erano macilenti, ma qualcuno aveva tutte le gamme del rosso. Vedevano la scialuppa ondeggiare di là dalla frangia, dove l’avevano lasciata, e lo scoglio che celava la nave. Ciò sembrava recare un senso di pace.

– Perché non hai voluto venisse con noi Narenta?

– Credevo vi fossero dei pericoli. Se avessi saputo...

A una svolta si imbatterono in due morti, riversi, accordati alla terra. Uno aveva il berretto discosto, se lo era tolto e gettato via morendo, l’altro teneva una mano al fucile che aveva ancora a tracolla. Edoardo toccò le loro fronti: erano fredde, bagnate di una strana rugiada. Avevano su quel poco di terra una posa raccolta e intima, come se avessero radunato le ali.

– Sta attento, non stare allo scoperto, ci possono tirare dall’alto.

– Non me ne importa.

Sul mare ravvivato si stendeva il sole, miriadi di glicini coi loro rami in fiore. Ripresero a scendere verso la scialuppa.

– Non capisco: noi, ci hanno lasciato passare.

– Forse dall’alto ci hanno protetto, forse quei due andavano ad aspettarci nella cala.

– E bravo, comandante, come fai a saperlo?

– Le cose non avvengono per niente... Ma vorrei sbagliarmi.

Tolsero l’ancora alla scialuppa, andarono remando. Il sole inondava il mare, le rocce di calcare, il balzo dei morti.

– Navegamos! En derredor todo es misterio y calma. Por qué no cantas, capitán?

– Yo nunca voy alegre –. Edoardo ricorreva a quel po’ di spagnolo che sapeva.

– Comprendo: estas naufrago de los mares de la vida.

Non fece commenti.

Allora l’altro disse ancora:

– Por qué no cantas? Una cantiga por una señora o por el mar.

Perché non cantava lui, disse Edoardo, cosí giovane, cosí innamorato di ogni cosa da tornare alla nave come a un «suelo natal».