Non si poteva scendere. Un gruppo avversario aveva preso posizione sull’altura di fronte. Teneva la strada sotto tiro. E veniva sera. C’erano roveri sbalzati nel cielo come sculture. Piú in là dei loro riflessi metallici c’era una vigna, protetta da un muretto, con l’uva che si appannava di brina. «Bisogna che parli, – pensava Edoardo, – che dica tutto quel che penso di male del mio viaggio, che dica dei morti non ancora sepolti laggiú sul sentiero».

– Deve passare qui la notte, – disse il comandante. – Stanotte li snideremo.

– Non c’è un punto da cui si possa vedere il porto?

– È troppo a ridosso.

Si vedeva il mare scivolare sotto una riga di diamante.

– Vuol dire che aspetto, non ho premura. Speriamo che il porto sia sicuro. O non c’è niente di sicuro in questo paese?

– È sicuro, stia tranquillo.

Arrivavano uomini armati e trafelati. Gettavano su un tavolo di lastre d’arenaria tascapane e giacche a vento. Era un tavolo da pastori, poggiato su due grandi pietre.

Poi arrivò un gruppo di gente giovane che non depose i fucili. Edoardo capí che parlavano di fucilare un uomo che avevano lasciato con i polsi legati accanto al muro della vigna. La morte era di casa su quelle alture già nel lume della sera.

«Col buio posso andarmene, – pensava, – troverò ben un sentiero per scendere, un sentiero che passi al riparo fino al mare».

Sentí una raffica d’arma corta e fissò la terra per non guardare. Immaginò la sera che cadeva su quell’uomo con le sue ombre pietose. Una mano gli toccò la spalla. Era Narenta; e mancò poco non l’abbracciasse.

– Com’è venuta?

– Ero al di là della vigna in un’altra postazione.

– Ma com’è salita? Si può passare?

– Sono venuta su con una macchina poco dopo di lei.

– C’è anche Manuel, per caso?

– Ci aspetta sulla nave.

La sera cadeva come una coltre di terra con una grazia austera. Egli sentiva il suo sangue come sedimento di mare che fiottava verso qualcosa di mite. Guardò gli insetti che, prima del buio, si affrettavano a involare il polline al calice azzurro di alcuni fiori. C’era poca terra, erano tutte pietre.

– Che pensa? – lei chiese.

Non c’era piú nulla che potesse rallegrargli il cuore. Ma in un impulso di marinaio, facendo ricorso a spazi e tempi lunghi: – Finirà, – disse. Aveva visto cose peggiori, anche se queste non se le aspettava.

Parlavano. Ma era come se avessero fatto silenzio nella luce che danzava sulle pietre, mentre un insetto volava con ali vitree. Le cose entravano nella memoria e un giorno avrebbero lanciato un grido. Sarebbero occorsi anni di sole e di mare per guarirle. Ma ormai era vecchio.

– Se ne vada, lei che è giovane.

– Pensavo di venire via con voi.

– Non le posso negare un passaggio, – egli disse, anche se andava contro i suoi piani. Per lui su ogni nave vigeva una sorta di dovere d’asilo.

– La ringrazio –. E si allontanò a passi lenti verso il muro brillante sull’ombra e l’uva con la brina.

Nella notte la sentiva gemere. «Plus on tue, plus on couche», dicevano i francesi. Chissà in realtà come andava. Perché una donna decideva di coprire una malinconia con vecchi impulsi.

Dopo, il silenzio si stese sulle brande e sul fieno dove una parte degli uomini dormiva. Edoardo sentiva di non avere potere sulla memoria, dove i ricordi salivano: le strade su cui andava, la terra percorsa invano...

Rivedeva il crinale sopra la casa di Clara e Clara in tutta la sua bellezza nel suo dolore antico. Poi galleggiò su un ricordo la vigna paterna, coi mandorli davanti alla casetta murata a secco.

Ora c’era silenzio, ora spari, ora fruscio di fieno.

Al mattino gli fluttuavano nella mente ricordi di sogni.

– Com’è andata? – gli chiese il deputato.

– Bene.

Clara stava preparando il caffè su un fuoco di fuscelli. Batteva sulle rocce una luce grigia, le pernici cantavano.

– Erano belle queste terre, un tempo. Lei da dove viene?

– Da un paese di vigne, di uliveti.

– Non di mare?

– Di mare? Non direi. C’è una conchiglia in chiesa per acquasantiera.

– Bigotti?

– Mah! Cosí, per portafortuna.

– È bello questo mattino. Non le pare?

Chinò la testa. Tornava a vedere la sua donna nell’aria pura, corpo limpido, da pala d’altare. Forse un po’ bigotto lo era. Anche le rocce avevano uno sfondo trasparente.

Parlò di vigne. Non erano, disse, quelle della Gironda, grandi, con viali di carpini davanti all’Oceano e alle maree.

– Un po’ come queste?

– Piú costruite; ma se ne stanno andando.

Narenta versò il caffè in tazze senza manico posate sul tavolo di lastre.

– L’avevo presa per un’altra. Il mattino mi fa degli scherzi.

– C’è qualche somiglianza?

– Direi negli occhi.

Lo guardò con malizia. Chissà quanti uomini avevano cominciato cosí, per attaccar discorso in tempi normali.

– Stanotte ti aspettavo, – lei disse al deputato; – ma non ti ho visto.

Parlavano in francese perché i loro connazionali non capissero. Edoardo si allontanò di qualche passo verso la vigna e il morto. Sull’uva e sull’uomo la brina s’era ispessita; soltanto il sole l’avrebbe sciolta.

Fu lei a raggiungerlo. Un passo che scricchiolava.

– Non li seppellite proprio?

– Ce n’è troppi in giro.

– La pietà non ha potere. È troppo vecchia?

Fu lei a cambiar discorso:

– Allora, ha gli stessi miei occhi?

– Non dovevo dirlo.

A Clara non piacevano i raffronti; com’era, era: non voleva che se ne parlasse. Il lato fisico delle cose lo dava per scontato.

– Si faccia coraggio e me ne parli.

(Sembrava avere indovinato i suoi pensieri).

Sui muretti, sulle rocce, brillava il vento. Montagne, finora grige, tentavano il colore. Non sapeva che dirle. Pensava ancora a come si comportava quando era nelle mani dei ricordi: si aggrappava a un fiore, a un cespuglio, ascoltava il mare come una liturgia.

– Dev’essere molto bella, – lei disse, visto che lui taceva.

Per loro adesso parlava il vento, non forte, melodioso come un canto armeno. Dove aveva visto quel colore, un azzurro spento, lontano, che la montagna prendeva?

Si avvicinò il deputato e disse che la strada era sicura e che fra poco si partiva. L’aveva liberata il comandante quasi da solo e ne era uscito ferito.

– Bravo quel comandante!

– Peccato che nella testa abbia un Dio fatto libro.

– Nella testa ci può essere di tutto, – disse Edoardo.

Bisognava capire al volo. Ne aveva conosciuto di credenze, di fedi, quando navigava, nei suoi anni migliori, con spirito d’avventura. Gli piaceva parlare coi Padri Bianchi, che attraversavano i deserti e si conciliavano coi popoli con un brindisi.

Andarono a sedere al tavolo di lastre, dove c’erano ancora, sui cespi vicini, gli accaniti insetti del giorno prima. Avevano ripreso la stessa vita per sopravvivere.

S’accorse che Narenta aveva nel volto quegli zigomi che tendevano gli occhi verso l’alto, che anche Clara aveva.

– Non ha sete? – lei chiese.

E lo portò a una fontana che sgorgava da una roccia. Si chinò a bere. Abito slacciato, pelle sottile e chiara, nelle lamine splendenti di un’aria morsa dal mare.

– Adesso che ho bevuto, potrei incamminarmi, – disse Edoardo.

Sentiva la tristezza della fine di un compito. E sulla nave lo stavano aspettando.

– Al di là di quelle colline si passa da una banda all’altra. Rapine, saccheggi, uccisioni. Capisco che se ne voglia andare.

Parlava con calma e il suo corpo mandava lampi lussuosi.

Non si partiva ancora, un cecchino teneva sotto tiro il tornante dei lentischi. Qualcuno si era già avviato per andarlo a liquidare. La morte pendeva sul suo capo, una morte nuda fra quelle rocce.

Narenta propose a Edoardo di far due passi, gli procurò una pistola. – Non si sa mai, – disse. – Sa sparare?

– Con il fucile ero preciso.

Non aveva intenzione di adoperarla, a meno di non essere minacciato e che non minacciassero lei soprattutto. Quel corpo dorato steso al suolo: proprio non gli andava.

Passarono in un’erta di rosmarini agitati dal vento. Gli vennero in mente rosmarini e api di Pietrabruna, i cespi di lavanda che il cielo rendeva armoniosi ed infuocava.

– Allora a casa ha una donna? E son tanti anni che l’aspetta?

– Son tanti anni...

Cercò di pensarla e si copriva di tenebra.

Ma sapeva che ogni volta che tornava la riscopriva, bellezza ignorata. Gli raccontava cose incredibili: «Un mese fa ho portato una rosa al mare...» Già la tenebra andava diradandosi.

– E Manuel ha qualcuno che l’aspetta? – Narenta chiese ancora.

– Non lo so, non me ne ha mai parlato.

– Che ne direbbe se venissi via con voi?

– È già d’accordo con Manuel?

Lei rispose con un malandato sorriso.

– Una sorta di diritto d’asilo sulle navi esiste ancora, – egli aggiunse.

Le colline dal crinale bianco erano blu ombra dove non batteva il sole. Un picco ricordava il «dito di dio» di una calanca marsigliese. Un flutto nell’aria, e un astore si posò su un albero. Teneva, per reggersi, le ali semiaperte. «In qualche modo questo viaggio si dovrà concludere, – egli pensava. – Non vorranno tenermi qui per sempre».

Maree petrose qua e là si coloravano di un azzurro torbido. «È strano l’animo umano, adesso vorrei inoltrarmi». Al di là palpitava il cuore di un popolo perduto.

– Che fa? – lei disse. – Ha allungato il passo. Meglio tornare, qui ci esponiamo troppo.

Da un casolare usciva un uomo. Andava con passo ondulato, piedi aderenti al suolo, lento, con pastorale eleganza. «Noi marinai non riusciremo mai a essere cosí, coi nostri sbandamenti». Lo seguiva un cane lionato e mogio.

Edoardo salutò in francese. L’altro rispose in italiano; chiese dove andavano.

– Si passeggia.

– Ognuno è libero d’andare. Ma non sono posti da passeggiate. Oltre quel crinale si scannano. A me hanno rubato le capre. Mi è andata ancora bene, coi tempi che corrono.

– Ci consiglia di tornare indietro?

– Io non vi consiglio niente. Cercate il rotto?

Tornarono alla costruzione dove avevano dormito. Comandante e deputato erano spariti.

– Questo è un mondo dove tutti si eclissano.

Prima il silenzio di Tolone, ora mancava un responsabile.

Sedettero sulla porta, su ceppi allineati sotto un corbezzolo. Guardava i sentieri che scendevano tra rocce. «Se vai piano fai da bersaglio e se corri... la morte ama chi corre».

– Aspetto ancora un poco, – disse, – fino a mezzogiorno.

– Ora ritornano. Qui non si trova bene?

– Mi posso trovare bene dappertutto. C’è la vigna, il bosco.

Era tentato d’andare a vedere se l’uomo ai piedi del muretto s’era coperto di sole. Ma non si mosse.

– Tanto, la nave aspetta, – disse ancora.

Passarono due giovani e un anziano usciti dal casolare. Li guardò girare tra i cespugli. «Che razza di ronda!» pensava. Narenta si tolse dal ceppo, si coricò per terra. Mise la testa su un cespo di timo.

– Stanotte ho passato le mie.

– Ho sentito.

– Credevo non se ne fosse accorto. Ha fatto bene a non muoversi.

Anch’egli si stese. Giravano due nuvole come due grandi falchi.

– Pensavo fosse d’accordo.

– Li avrebbero fucilati.

Egli pensò che si moriva anche per meno, dopo che erano scaturiti dalla terra odî atavici. Poi pensò di nuovo alla nave che lo aspettava. La ronda era tornata, incespicava nelle pietre. Parlarono con Narenta in una lingua che non capiva. La donna indicava verso il mare.

– Che hanno detto?

– Chiedevano chi eri.

– Non lo sapevano ancora?

Un torrente arido attirò la sua attenzione: s’infilava in una gola e aggirava uno sperone, probabilmente scendeva fino alla costa. Un buon varco, nella notte, o anche prima, quando le colline gettavano la loro ombra nell’oro della sera.

Su una cresta tesa nel sole comparvero degli uomini e sparirono. Forse studiavano una strada pure loro e aspettavano la notte per scendere.

– Bisogna star calmi, – disse.

Bisognava star calmi e orientarsi in quella confusione. Adesso non si vedeva piú nessuno. Narenta s’era quasi addormentata e non parlava. Un po’ piú sopra, dove c’era il morto vicino all’uva, la luce faceva una sorta di vela bianca.

Un azzurro liquido, stratificato, navigava nel cielo. L’aria tremava contro una parete di blocchi orlati di scuro e luminosi. Gli veniva davanti agli occhi il mosaico di un mondo vano.

Ecco, adesso, la ronda tornava. Volevano interrogarlo, tramite Narenta. Rispose con scrupolo. Ma quando gli chiesero perché lo faceva (per motivi morali, per arricchire?) non seppe che dire.

Rimase solo. Narenta era andata a cercare qualcosa da mangiare. Guardava una quercia: stentava sulle rocce e faceva compagnia al vento. C’erano al suo paese terre altrettanto avare intorno a un ultimo ulivo. Mancava uno specchio di mare nel lento cammino del giorno. Era bene. Non era tempo di mettersi a ricordare.

Ma Clara fece il suo colpo di mano nella memoria: si sdraiava in silenzio, meno avara della terra. I suoi occhi non guardavano nulla e nessuno.

Si sentí di nuovo sparare. Ma Narenta riapparve sul sentiero, un pane sottobraccio. Posò il pane su una pietra.

– Chi c’è lassú?

– Un ferito, e uno che lo custodisce.

– Grave?

– Leggero.

– Lo uccideranno?

– Se non è dei loro.

Pensò di nuovo a Clara: «Se non la scampo, ti cercherò sempre in qualche mare».

– E la ronda? – chiese. – Voglio dire quelli che ci hanno interrogato.

– È ancora in giro.

Guardava una casetta solitaria e ben esposta sotto le rocce, con querce allineate come per un ornamento antico. Sopra c’era il mosaico, l’uva e il morto. Era come un altare a cui mancava solo il mare ad allargare il respiro. Prima aveva osservato il crinale.

– Non voglio comandare, – disse. – Ma, dia retta a me, è meglio il buio con questi chiari di luna.

Adesso era Narenta a volersene andare prima di sera, anche se le giornate s’erano accorciate. E chiese se la notte non gli faceva paura.

– Non mi ha mai fatto paura. Quante volte mi sono incamminato prima dell’alba. Se l’aria è fine e il cielo è sereno bastano le stelle per vederci.

– Andava a caccia?

– Me ne sono pentito, – disse subito.

Le lepri arrestate nella loro corsa gli davano rimorso: dondolavano sulla schiena prima di morire. Le pernici stramazzavano nel volo dopo il canto del mattino.

Lei domandò se aveva avuto un cane.

– Un breton. Non l’ho mai piú portato a caccia, è impazzito.

– Era un cane fedele?

– Alla sua passione. Ha mai visto i cani dei mendicanti accucciati sulle scale? Quelli sono fedeli...

– Pensa che ce la faremo ad andarcene?

– Penso di sí. Me lo auguro per lei che vuol venirsene via con noi.

Ma l’Hondurian sembrava ancora un miraggio, nave carica di speranze che puntava ad altri viaggi.

Osservava il terreno intorno. Si vedeva ancora qualche traccia di solco seminativo, qualche traccia di terrazza. Qua e là un coppo ben messo, raso suolo, per far scorrere l’acqua della cisterna. Una vite s’aggrappava coi viticci dei tralci secchi a un resto di muretto, i tralci verdi, già dorati dall’autunno, pendevano nell’aria. Il legno morto reggeva il legno vivo.

«Fosse cosí anche per noi!» Si scosse come da un sogno. Guardò di nuovo il crinale. Gli pareva di scorgervi ancora movimenti d’uomini. Forse aveva ragione Narenta. Era meglio muoversi. Si preparava – lo vedeva dai lenti moti dell’azzurro – un tardo meriggio, solenne e di massacri.

– Andiamo verso quel greto di torrente, – disse. – Ormai le strade sono tagliate.

Camminarono sino al greto del torrente, poi nella gola che aggirava lo sperone e sfociava sopra il mare. Ma alla fine di quella gola, in una roccia a scafe, il greto si perdeva. Raggiunsero, camminando sui ciottoli, l’orlo di un precipizio.

– Ora bisogna cercare un sentiero.

C’era, non molto lontano; ma dopo due giri valicava un saliente roccioso esposto da tutte le parti. Un invito per il tiro al bersaglio.

– C’è di sicuro qualche arma puntata, – disse ancora.

– Su noi?

– Su quel valico.

Tornarono all’idea di aspettare la sera e si nascosero tra massi e ginepri. Il sole girava ancora alto e si vedeva il mare ridotto quasi a petraia.

– Quale dio avrà inventato questi posti, quale maestà rocciosa?

– Non le piacciono? – disse Narenta.

S’era seduta, braccia poggiate sulle ginocchia, mani incrociate. S’era tolta le scarpe ed era a piedi nudi.

– Sono piuttosto disagevoli.

– Se fossi ricca, e ci fosse una bella strada, mi ci farei una casa.

Lui disse che l’idea gli piaceva.

– La sua com’è?

– È tutta fessurata, fra poco sarà buona per i nidi dei passeri solitari. Li conosce? Hanno un piumaggio azzurro scuro, un canto dolce e malinconico.

Ma non era il momento di pensare alla casa. Non era colpa sua se era piantata su una frana. Non era il momento di pensare a rinforzarla.

Scese un grande silenzio. Si sentiva la risacca. In mezzo al mare pullulava una piccola macchia argentea, sembrava voler prendere il largo.

– È questo torrentaccio che risorge. Qui tutta l’acqua deve scorrere sotterra.

Cominciarono dei tiri, rari, di disturbo e di aggiustamento, sepolti da lunghi silenzi, poi piú nutriti. La luce del sole sembrava tremare.

– Forse distruggono la casa dove eravamo, siamo andati via in tempo. Speriamo che in porto siano sicuri.

– Il porto lo difendono.

– Ne è certa? Cerchi di riposare.

Stava seduta, le braccia ancora sulle ginocchia. Il volto era quasi di profilo e la luce di sbieco esaltava gli zigomi in un gioco di forza e di tenerezza.

– Giú di là, – le disse, – ci dev’essere uno scoglio.

Si vedeva a malapena con tutte quelle macchie di sole, tutti quei riflessi.

– Non posso piú guardare, soffro di vertigini.

– Ci mancava anche questa.

Lei gli sorrise.

– Che ci posso fare?

– Non si preoccupi. Cercheremo di camminare in modo che non abbia a soffrire.

– Vuole già andare?

– Piú tardi.

Contro la massa altera delle rocce, l’andirivieni della luce. E dietro lo scoglio, dove l’azzurro si spezzava, appariva la prua dell’Hondurian.

– In una cala non lontana da qui forse c’è Manuel che ci aspetta.

Gli altri erano là dietro quello scoglio. Immaginava i loro discorsi, la loro preoccupazione che si sarebbe chiusa con un breve rimpianto non appena fossero partiti. Per quegli uomini abituati a mantenere i patti era duro decidere di lasciarlo a terra. Era forse per loro che aveva deciso di continuare il viaggio dopo il silenzio di Tolone, e che adesso avrebbe studiato il modo di tornare. Anche se gli sembrava che una forza indipendente da lui lo trascinasse.

Aspettava la sera per muoversi, e non gli importava che il giorno passasse lentamente.

Lí vicino, sulla sponda, c’era un falso girasole, un’inula salicina. Sotto il fiore d’un oro cupo aveva foglie dentate, rivolte verso l’alto, e il fusto glabro. Nel suo paese cresceva a colonie e cospargeva di uno strano fuoco le terre decadute.

Un rombo soffocato sembrò scaturire dalle rocce: forse erano mezzi corazzati che salivano ansimando per l’altra fiancata, meno scoscesa. Andavano, portando pianto e rovina, su qualche tratturo di transumanza.

– Devo dirle qualcosa, – disse Narenta. – Partire mi fa male. Devo lasciare mia madre.

La paura in lei stava già passando.

– E dov’è sua madre?

– Vive in un piccolo paese dell’altopiano.

Tornavano proprio tutte queste madri? Puntuali e inopportune. Occhi angelici.

Non le disse che in quel momento non le serviva.

– Mi riprende la vertigine.

Si appoggiava alla roccia, incastrata nella sua luce.

– Venga piú in qua, si stacchi e guardi verso la montagna.

Rocce, cespugli e cielo si fondevano, come se avessero radunato le loro mani erranti. Quelle terre esposte a ovest, e investite dal sole pomeridiano, sembravano formare un blocco fuori del tempo, senza ombre.

– Fra poco, quando non ci vedranno piú, ci metteremo in cammino.

Forse aveva fatto male a mettersi su questa strada. Perché non aspettare lassú in alto che le cose si risolvessero in qualche modo? E piú lontano risaliva piú il rimorso cresceva. Il giorno se ne andava, emergevano strane punte dalle terre stese al sole. Esistevano ancora in qualche luogo terre in pace? Al suo paese, a quell’ora, gli ulivi si inchinavano alle luci della sera. Pensò ai suoi che avevano eretto pietre che il tempo cancellava.

Scese un’ombra che sembrava un’ombra originaria. Il mare si vellutava e a poco a poco si stellava. L’Hondurian, dietro lo scoglio, scompariva. «Se Manuel sapesse almeno che sono qui, se è sulla cala».

Il mare si fece di sabbia, prima del sorgere della luna.

– Adesso andiamo.

Si mise dalla parte della sponda per frapporsi fra lei e il vuoto.

– Mi parli, sottovoce, ma parli, e non guardi fuori del sentiero.

– Mi parli lei, io non so cosa dire.

– Io qui rappresento i trafficanti d’armi, che viaggiano sempre lungo le frontiere. Ma me ne sento cosí lontano. Ho assolto un compito che mi hanno affidato.

– Mi faccia delle domande, – lei disse.

Ma le domande che egli formulava dentro se stesso gli suonavano inopportune. Per cui taceva.

Nel cielo che prima, al sole, s’era fuso con le rocce, apparve la luna. Pascolava qualche ginepro e dossi di pietra. L’aria scendeva dall’altopiano e il mare era muto.

– Quando non si è piú in grado di navigare sarebbe meglio mettersi da parte.

– Manuel mi ha detto che è un buon capitano.

– Manuel è gentile. In fondo sono solo buono per il Mediterraneo, non me la sentirei piú di passare il fosso.

– Cos’è questo fosso?

– Oh, scusi. Nel nostro gergo è l’oceano.

– Mi faccia delle domande, – lei tornò a dire, – non parli piú di se stesso.

La luna la intrideva di crepuscolo, come le rocce lungo il cammino, e il mare laggiú aveva lo splendore di un mare di nuvole.

– Mi interroghi ancora, – lei disse, – non smetta proprio adesso.

Qualche domanda gliel’aveva fatta alla bell’e meglio. Non aveva figli, molte di loro non ne avevano in quelle terre per assenza di speranza da lungo tempo; col marito era finita, anche se le mandava un po’ di denaro di tanto in tanto.

– La prego, non smetta, – insisté.

– Ama il mare?

– Da qualche anno.

– E il bosco?

– Da sempre.

– L’estate, l’inverno, le nuvole?

– Non ci ho mai pensato.

Un blocco di luminose armonie s’andava formando su quelle rocce alte; sembrava spezzare il tempo sempre in cammino. Il sentiero, ch’egli studiava, vi si snodava ciottoloso. V’era un punto in cui saliva su dei gradini e varcava. «Là forse ci aspetta il messaggero. Se ci va bene, riusciamo a ingannarlo. Se ci fosse nell’ombra una scorciatoia».

– Mi parli ancora, continui, non stia fermo sull’estate o sull’inverno.

(Chissà cosa voleva confessare).

La brezza mutò all’improvviso. Saliva dal mare, ne portava il mormorio, la musica risorgente. Erano cominciati «i tre tempi». (Cosí chiamavano al suo paese quel brusco variare dell’aria che illuminava gli ulivi mentre le ombre dei colli camminavano gioiose). Due erano evidenti; ma l’altro?

Si fermarono ad ascoltare. Intorno avevano solo bagliori di rocce, guizzi di ginepri e di lentischi.

– Non ha mica una foto da mostrarmi? – lei chiese, – di quand’era giovane?

– Sarà mica pazza?

– Mi sembrava una richiesta umana. Condividiamo la stessa strada. S’è forse offeso?

– Mai tenuto una foto in vita mia.

– Era per affezionarmi piú velocemente.

– Mai tenuto foto di nessun genere, – egli disse. Non aveva mai avuto quella mania: la memoria lavorava per suo conto. Gli venne in mente quella foto di Giovanni, una Tolone di navi affondate, un paesaggio di astro morto.

Era una cosa da gelare il cuore di chi navigava.

Il mare, col mutare dell’aria, aveva perso l’aspetto di una nuvola. Passò sopra i cespugli un uccello notturno, la grande ala felpata.

– Ora bisogna proprio andare.

In quel momento armi di vario genere cominciarono a crepitare. Rocce e valloni ne rimbombavano.

– È triste dirlo. Ma se si sparano tra loro forse passiamo. Guardi per terra e mi venga dietro.

– Si chini, adesso, si chini.

Lei non fiatava.

– Si metta contro la roccia.

L’eco delle raffiche si perdeva sul mare.

– Piú aderente possibile. E guardi dove mette i piedi. Non ha qualcosa da mettere sui capelli, qualcosa di scuro?

Lei volgeva alle stelle uno sguardo umile.

– Ecco, cosí va bene.

Non avrebbero piú visto quel dorato che si muoveva.

– Adesso uno scatto per quei gradini.

– Mi cedono le gambe, – lei disse.

La prese per mano. I gradini, incisi nella roccia, erano coperti da una sorta di sabbia. Era da un po’ che non vi passava nessuno.

Al di là, il sentiero scendeva dolcemente. Non c’era piú la roccia, ma un gerbido. (Quelle colline mostravano solo al mare un volto di pietra). Poi il sentiero andò pianeggiando verso l’interno. Si profilava un bosco e, dietro, un campanile. La linea di un colle accresceva l’impressione di silenzio.

Entrarono nel bosco, che il sentiero attraversava, e si trovarono di nuovo in una radura, davanti a un piccolo paese.

– Sarà meglio starne alla larga, che ne dice?

Un uomo risolse i loro dubbi. Gli veniva incontro; dalla mano semialzata pendeva un fazzoletto. Era anziano e con la barba di qualche giorno, capelli grigi e senza berretto. Parlò con Narenta.

– Che dice?

– Che dal paese sono fuggiti, i pochi rimasti si sono nascosti.

Quei due sedettero sul margine del sentiero. Parlavano. L’uomo dalle mani grinzose rimasticava il dolore della sua terra.

– Mi domanda perché lei è qui, – disse Narenta.

– Può dire... No, non dica niente.

Le vie che l’avevano portato a quell’approdo si perdevano sul mare in rifrazioni d’orizzonte.

L’uomo indicò una strada. Passava in un vallone, tra le querce. Poi, olmi tremuli fecero da scorta al loro andare. Tra quegli olmi, una chiesa assalita dai cespugli, un campanile dimezzato (il tempo, un proiettile?), la campana era per terra. Edoardo disse che l’ultimo rintocco l’aveva mandato cadendo.

– Nella città dove ho studiato, – disse la donna, – suonavano tutte le ore: l’ora cattolica, l’ora slava, l’ora turca e l’ora di Gerusalemme.

– E adesso?

Usciti dal vallone, il mare apparve: onde bianche, riva rocciosa. A nord, una nera catena di montagne, accompagnata dal blu del cielo, cadeva in un’ansa che la sigillava.

Cercò l’Hondurian: era dietro lo scoglio che il bianco sommergeva. «Speriamo l’abbiano tenuto in ordine... Ma sí, nel loro delirio sono precisi».