CAPITOLO III
BASI SOCIOLOGICHE: C) AMMINISTRAZIONE E SISTEMA AGRARIO
1. Sistema feudale e sistema fiscale.
Lo straordinario sviluppo dell’impulso al guadagno da parte dei Cinesi e la sua intensità già da molto tempo non lascia più alcun dubbio. La sua veemenza e — finché non erano in gioco dei rapporti interfamiliari — la sua assenza di scrupoli non erano da meno di quelle esistenti nei rapporti di concorrenza degli altri popoli, fatta eccezione per i grandi mercanti e per alcuni commercianti con l’estero che attraverso le gilde monopolistiche avevano sviluppato una forte tempra etica negli interessi d’affari. La diligenza e la laboriosità dei Cinesi sono sempre stati considerati impareggiabili. Le organizzazioni dei mercanti nelle loro gilde erano, come abbiamo visto, più potenti che in qualsiasi altro paese del mondo, e la loro autonomia era praticamente illimitata. Nel gigantesco aumento della popolazione verificatosi in Cina dall’inizio del xvm secolo, e nel continuo incremento delle scorte di metalli preziosi, si dovrebbero vedere, secondo le concezioni europee, opportunità estremamente favorevoli allo sviluppo del capitalismo. Ritorniamo sempre al problema che domina tutte queste trattazioni. Alcune spiegazioni per il mancato sviluppo capitalistico nonostante questi elementi favorevoli sono già state addotte. Ma non possiamo accontentarci solo di quelle. Il fenomeno che più stupisce, nello sviluppo della Cina, e che presenta il più forte contrasto con l’Occidente, è che non si è verificato, come in Inghilterra, un calo (relativo) ma bensì un enorme incremento della popolazione rurale, contadina dell’epoca, dall’inizio del xvm secolo; che d’altra parte la fisionomia prevalente delle campagne non era determinata dalle grandi imprese agricole, come nella Germania orientale, bensì da aziende contadine parcellari; che infine, collegate ai fenomeni precedenti, la quantità di bestiame bovino era molto limitata, la macellazione dei bovini era rara (destinata solo a scopi sacrificali), mancava il consumo del latte e «mangiare carne» voleva dire «essere di ceto superiore» (perché significava la partecipazione al consumo della carne dei sacrifici, che spettava ai funzionari). Da cosa derivava tutto ciò?
Illustrare lo sviluppo del sistema agrario cinesea sarebbe del tutto impossibile, per chi non è un sinologo, in base alle fon ti accessibili al non-specialista. Prenderemo quindi in considerazione tale sviluppo soltanto nella misura in cui la problematica della politica agraria cinese esprime la natura particolare e l’essenza dello stato. Poiché appare comunque evidente al primo sguardo che i mutamenti più profondi del sistema agrario sono stati determinati dalla riforma della politica militare e fiscale del governo. Proprio per questo motivo la storia della questione agraria cinese presenta un’oscillazione monotona tra diversi princìpi, tutti egualmente possibili, in materia di imposizione e, come conseguenza, del trattamento da riservare alla proprietà terriera: princìpi che non avevano nessun legame con lo sviluppo interno, da quando era stato abbattuto il feudalesimo.
Nell’epoca feudale i contadini, perlomeno in parte — anche se non è necessario o nemmeno probabile che lo fossero tuttib — erano senza dubbio fittavoli del signore feudale al quale pagavano i tributi e certamente prestavano anche servizi. Lo stato che gli annali indicano come chien ping, cioè quello dei contadini che in seguito alla minaccia di guerra e airinsicurezza o per un sovraccarico di imposte e di debiti, si erano «concentrati» presso le corti degli strati possidenti, cioè si erano affidati a loro come clienti (tien ke), fu di regola aspramente combattuto dal governo. Si cercava di mantenere in piedi il contributo fiscale immediato dei contadini, ma soprattutto di impedire l’avvento di una casta di proprietari fondiari politicamente pericolosa. Tuttavia sotto la dinastia Han si verificò, almeno temporaneamente, una situazione - alla quale si riferiscono esplicitamente certi rapportic. — in cui i proprietari terrieri pagavano le imposte per i loro coloni. Come il monarca militare Shih Huang-ti, anche l’«usurpatore» militare Wang Mang tentò di distruggere questa posizione dei proprietari terrieri attraverso l’introduzione della regalia imperiale sul suolo, ma apparentemente tale sforzo fu vano. Non sappiamo in che misura ci siano stati abbozzi di un’economia di tipo occidentale basata sul lavoro della servitù della gleba. è tuttavia improbabile che tale economia — nella misura in cui la sua esistenza è dimostrabile — vada considerata come un fenomeno tipico, né tantomeno vada vista come una conseguenza del feudalesimo. Poiché il trattamento giuridico riservato al feudo fa sorgere dubbi circa la sua possibilità di rappresentare la base di un’autentica signoria feudale di stampo occidentale. Inoltre le fonti accessibili al non specialista non permettono di accertare nulla di preciso sui tipi di sfruttamento in comune della terra esistenti: rimangono dubbi sul se ed eventualmente sul come fossero collegate al sistema feudale — tale sembrava essere il caso tipicod. — o se invece, come accadeva spesso, fossero di origine fiscale. Di per sé questo sarebbe perfettamente possibile. Sotto la dinastia T’ang1, per esempio, nel 624, i contadini vennero ripartiti a scopi fiscali in piccoli distretti amministrativi (h slang), all’interno dei quali veniva garantita a ciascuno una determinata unità fondiaria, eventualmente assegnata su terre demanialie. L’abbandono o — in questo caso — la vendita della terra erano permessi, ma presupponevano l’ingresso in un’altra comunità fiscale. Ma non c’è dubbio che questo carattere solo relativamente chiuso dei gruppi di proprietari terrieri molto spesso non si è mantenuto tale. Le misure alquanto radicali di raggruppamento della popolazione in associazioni che garantivano in solido le imposte, le corvées ed i contingenti di reclutamento, mostrano con certezza che il dovere della coltivazione del suolo (per interessi fiscali), menzionato anche negli annali, continua sempre ad essere considerato come il fatto primario, mentre il corrispondente «diritto» sulla terra ne era solamente il derivato. Non sembra però che da questa situazione sia nata un’economia comunitaria dei villaggi con condizioni analoghe a quelle germaniche, o a quelle russe o a quelle indiane. L’esistenza di pascoli o boschi comuna li di proprietà del villaggio, alla maniera occidentale, si può solo dedurre da indizi occasionali, come un fenomeno del lontano passato. Di fatto i vari sistemi fiscali imperiali non avevano preso come unità tassabile il villaggio, bensì la famiglia ed i suoi membri abili al lavoro (tìng) - calcolando di solito quelli compresi tra i 15 e i 56 anni - conglobandoli poi, al più tardi a partire dall’xi secolo della nostra cronologia (ma probabilmente già molto prima), in quelle associazioni in solido a carattere artificiale. Che il villaggio nondimeno costituisse un’associazione con la più ampia autonomia amministrativa è un fatto che dovremo ancora discutere. Qui c’interessa innanzitutto un altro fatto, tutt’altro che ovvio dato il rigoroso intervento fiscale: che cioè un’altra associazione, in origine forse limitata ai ceti signorilif, racchiudesse in sé la totalità della popolazio-
ne rurale (considerata di pieno valore), fin da un tempo remoto per noi inafferrabile, e che tale associazione non sia stata distrutta da queste misure fiscali.
Infatti, ciò che si può accertare con sicurezza è la continua ininterrotta coesione della schiatta attraverso i millenni e la posizione dominante del capo della schiatta. La più antica forma di proprietà fondiaria in Cina può essere derivata da questo fenomeno. Come si è osservato, in origine le prestazioni militari e presumibilmente tutti gli oneri pubblici erano ripartiti tra le schiatte, e il capo della schiatta, di conseguenza, garantiva la distribuzione e la prestazione dei servizi, come si può arguire da tutte le analogie presenti e anche da induzioni fondate su modifiche posteriori. Dopo l’attuazione del sistema di proprietà privata, cioè dopo l’appropriazione formale del suolo (o del suo sfruttamento) da parte delle singole famiglie, sappiamo che talvolta il capo della schiatta è stato sostituito in queste sue funzioni dal proprietario terriero più benestante (secondo la tradizione nel 1055), e che in seguito l’«anziano» prescelto, a cui veniva affidata la ripartizione degli oneri gravanti sulla terra, e che perciò era investito d’autorità e in posizione favorevole per accumulare altre proprietà, si trasformava in grande proprietario fondiario mentre i membri impoveriti della sua casata divenivano suoi fittavoli: un fenomeno, questo, di cui si conoscono numerosi parallelig. In che misura, accanto ai membri della schiatta — che come dappertutto costituivano uno strato superiore che soleva rivendicare per sé il monopolio del possesso della terra e degli schiavih. — esistesse anche da tempo immemorabile uno strato di servi senza legami di casato non può essere valutato da un non—specialista. è accertato che c’erano i servi della gleba e che in origine una grande parte della popolazione agricola — la porzione di gran lunga maggiore — apparteneva a questa categoria. Il possesso di servi della gleba nel iv secolo a. C. era concesso solo alle famiglie kuan (a quel tempo qualificate per le cariche ufficiali); i servi non pagavano J(o (imposta fondiaria) né compivano yü (corvée), ma evidentemente i loro signori pagavano l’imposta per loro finché non avevano ottenuto l’esenzione. Alcune famiglie, secondo gli annali, possedevano «fino a 40» servi, il che tuttavia ci fa capire che la proprietà fondiaria ed il possesso di servi della gleba erano ancora, a quell’epoca, fenomeni di entità modesta. La schiavitù in Cina è esistita in tutte le epoche. La sua importanza economica tuttavia sembra essere stata veramente considerevole solo nei periodi di accumulazione dei grandi patrimoni in denaro attraverso il commercio e le forniture statali, e si trovava sotto forma di schiavitù o servitù per debiti; di questo parleremo tra poco.
I mutamenti decisivi del sistema agrario partivano sempre, apparentemente, dal governo, ed erano connessi alla regolamentazione degli obblighi militari e tributari. Del «primo imperatore» (Shih Huang—ti) si dice che attuò un disarmo generale del paese. Senza dubbio tale misura era diretta in primo luogo contro le forze militari dei signori feudali, radicalmente repressi dall’imperatorei. Contemporaneamente fu introdotta la «proprietà privata» — e questo da allora si è ripetuto più volte in Cina. Ciò significa che la terra veniva assegnata alle famiglie contadine (quali, è difficile da stabilire) che venivano liberate dagli oneri esistenti fino allora (quali?) mentre i nuovi gravami statali venivano accollati direttamente a queste famiglie. Questi oneri statali erano in parte tributi, in parte corvées, in parte contingenti di reclute per l’esercito principesco—patrimo— niale dell’imperatore. E per lo sviluppo successivo un elemento di importanza decisiva era dato naturalmente dal peso relativo attribuito rispettivamente al potenziale militare, alle prestazioni di corvées e alla capacità contributiva dei contadini; è importante inoltre sapere se esistevano più tributi in natura o più tributi in denaro, se — collegandosi a questo problema l’esercito era formato da sudditi reclutati con la forza o da mercenari e infine quali erano i mezzi tecnici creati dall’ammi— nistrazione per assicurare la prestazione di questi oneri, ognuno secondo il suo diverso tipoj. Ora tutte queste componenti sono cambiate di volta in volta e i dissidi tra le scuole di letterati, che si trascinano attraverso tutta la letteratura cinese, erano collegati in misura non trascurabile a questi problemi tecnici dell’amministrazione. Si sono particolarmente acuiti quindi nel periodo della minaccia dell’attacco dei Mongoli, a partire dal— l’xi secolo della nostra era. Un problema centrale per tutti i riformatori di allora era sempre (proprio come per i Gracchi) quello della creazione e del mantenimento di un esercito sufficientemente potente a difesa dai barbari del nord—ovest, e dei mezzi finanziari occorrenti: denaro e prestazioni in natura. Il mezzo tipico (ancora una volta non soltanto proprio della Cina) per assicurare le differenti prestazioni dei contadini era la formazione di associazioni obbligatorie garanti in solido (di 5 o 10 famiglie ciascuna che venivano a loro volta raggruppate in altre associazioni) e di classi tributarie dei proprietari terrieri, graduati a seconda della proprietà (per esempio in 5 classi). Inoltre però era sempre in corso il tentativo di mantenere ed accrescere il numero dei contadini atti a fornire tali prestazioni, il che significava ostacolare l’accumulazione della proprietà ed il sor gere di terre incolte o coltivate estensivamente e quindi: stabilire dei massimali di proprietà; collegare il diritto di possedere la terra alla sua effettiva coltivazione; aprire nuove terre alla colonizzazione agricola e provocare eventualmente delle divisioni di terra sulla base del diritto ad una porzione media di proprietà di terra per ogni singola forza—lavoro contadina, che sarebbe stata un po’ il corrispondente del nadél2 russo.
L’amministrazione fiscale cinese, anche per via dello sviluppo del tutto insufficiente delle sue tecniche di misurazione, si trovava di fronte a difficoltà considerevoli, sia per questo che per tutti gli altri problemi di catasto. L’unica operak che tratta propriamente di «geometria», in senso scientifico, sostanzialmente mutata dagli Indù, sembra indicare che non solo la misurazione trigonometrica era esclusa, dato il livello generale delle conoscenze, ma che anche la misurazione dei singoli appezzamenti di terreno raggiungeva a malapena il livello dell’antica agrimensura germanica, e non toccava nemmeno la tecnica realmente primitiva degli agrimensori romani. Sorprendenti errori di misurazione — errori enormi come gli errori di calco lo dei banchieri medioevali — sembra fossero incidenti quotidiani. L’unità di misura, il «piede» cinese, malgrado la riforma di Shih Huang—ti, continuò chiaramente a variare da provincia a provincia; il piede imperiale (320 mm) era perlopiù l’unità maggiore, per il resto si trovano delle unità oscillanti tra i 255, 306, 315, 318 e 328 millimetri. La misura fondamentale per la terra era il mou, in teoria una lunga striscia di terreno, in origine di 100 più tardi di 240 x 1 pu, pari ora a 5, ora a 6 piedi; in quest’ultimo caso, quindi, prendendo per base il piede di 306 mm., si avevano 5,62 are che moltiplicate per 100 facevano un ching (pari a 5 ettari e 62 are). Sotto gli Han, 12 mou, ognuno dei quali produceva 1,5 shih di riso, erano considerati, secondo l’espressione russa, il ««v/tV—per—anima» cioè il necessario per ogni individuo. Le notizie più antiche sembrano so stenere che all’epoca di Wen Wang (xn secolo a. C.) venivano calcolati 50 mou (pari allora a 3,24 are l’uno) per individuo, di cui un decimo, cioè 5 mou, veniva coltivato per il fisco come kung tien (terra della corona), sicché sarebbe stato considerato normale per ciascun individuo un possesso di 2,916 ettari. Non c’è però da fidarsi di tale notizial. Anche dopo un millennio e più, si continuava ancora a calcolare normalmente non in termini di unità di terreno, bensì in termini di famiglie; queste poi venivano eventualmente classificate — come si è già detto — secondo il numero dei ting, cioè degli individui abili al lavoro che comprendevanom. I suoli però erano classificati in maniera molto grezza; si distingueva semplicemente tra terre «nere» e terre «rosse», cioè (e possiamo prendere questo dato pratica— mente per certo), tra terre irrigue e non irrigue. Ne derivano due classi di imposte. Oppure, secondo la misura del maggese, tre categorie: 1) terra senza maggese (cioè irrigua), 2) terra con rotazione triennale e 3) terra con pascolo temporaneo a rotazione. Secondo le più antiche notizie accessibili si calcolava che la porzione normale di terra per una famiglia era di 100 mou (5,62 ettari) per terre del primo tipo, 200 mou (11,24 ettari) per il secondo e 300 mou (16,24 ettari) per il terzo. Anche questo era conforme ad un’imposta unitaria per famiglia e non per unità di terreno. Le differenze di dimensioni e struttura di età tra famiglie suggerirono occasionalmente l’idea di installare i grossi nuclei sulla terra buona e quelli piccoli sulla cattiva. In che misura questo concetto fosse messo in pratica rimane naturalmente del tutto problematico. è vero che i trasferimenti di popolazione erano sempre stati considerati come un mezzo di facile impiego per eguagliare i livelli di sostentamento e le capacità in materia di tributi e corvées: sarebbe stato tuttavia difficile mettere questa possibilità alla base di tutto il regolare sistema di tassazione. Oppure si dividevano le famiglie in base ad un inventario che distingueva tra quelle in grado di prestare lavoro con animali e no (v secolo a. C.). Questo sistema di imposizione personale (tsu) però, si alternava continuamente con sistemi di imposta fondiaria pura (tu) di diverso tipo. Potevano essere quote fiscali in natura. Questo avveniva, per esempio, subito dopo la proposta del ministro Shang—yung (360 a. C.), nello stato di Chin, e in misura considerevole (presumibilmente da 1/3 a 1/2 del prodotto lordo), il che illustra abbastanza chiaramente il potere del signore e l’impotenza dei contadini in quello stato. Secondo gli annali, tuttavia, nonostante il peso di queste quote fiscali, il risultato fu un incremento della coltivazione del suolo, dovuto all’interesse personale nell’attività agricola. Più tardi questo sistema venne usato regolarmente con quote molto più limitate (da un decimo a un quindicesimo). O, ancora, potevano esserci tributi fissi in natura, a seconda dei prodotti del suolo. Questo sistema era in uso, a quanto pare, sotto Shang—ti (78 a. C.) e (sempre a quanto pare) lo ritroviamo nel iv secolo d. C., basato ogni volta su una classificazione abbastanza rozza delle terre. O, infine, potevano esserci i tributi in denaro. Così nel 766 d. C. (15 chien per mou). Inoltre i proventi insufficienti resero necessaria, nel 780, l’autorizzazione delle prestazioni in natura in base alla stima del loro valore monetario fatto dalle autorità fiscali, una fonte, questa, di innumerevoli abusi.
Ogni volta, dopo che i tentativi di una politica finanziaria di stato su base monetaria erano di nuovo naufragati, si tornava a questi esperimenti e ciò evidentemente allo scopo di poter mantenere una forza militare realmente efficiente, cioè un esercito di mercenari. La forma cambiava. Così nel 930, sotto gli usurpatori Hou T’ang i prodotti in natura prelevati come tributi venivano «rivenduti» ai contribuenti, è facile immaginare con che risultato. Un fatto decisivo era la mancanza di una burocrazia fiscale fidata: solo nel 960 la dinastia Sung tentò per la prima volta di creare una tale burocrazia. Ma il memoriale di Pao Shih del 987 dipinge a fosche tinte le massicce evasioni fiscali dei contribuenti, ed il tentativo di Wang An—shih (1072), sotto l’imperatore Shen—tsung, di attuare una registrazione catastale generale, non giunse in porto: alla fine del suo governo circa il 70 del la terra non era tassata e il bilancio del 1077n, pur mostrando un incremento delle entrate monetarie rispetto a quelle in natura, è tuttavia ben lontano dall’essere un bilancio anche solo prevalentemente monetario. Nel xm secolo, l’economia fondata sulla carta moneta, come già la svalutazione della moneta di conio sotto Shang—ti (1 secolo a. C.), ha sempre avuto per conseguenza la ricaduta nell’economia fondata sui tributi in natura; solo sotto i Ming troviamo per la prima volta, accanto ad un considerevole incasso sotto forma di cereali e un (relativamente) modesto quantitativo di seta, anche un grosso importo d’argento. La pacificazione dell’impero sotto i Manciù — dovuta in parte alla domesticazione dei Mongoli attraverso il buddhismo — insieme al contingentamento delle imposte del 1712–13, fece calare i tributi ad un livello modesto e d’importo fisso (circa io del prodotto nella prima metà del xix secolo) ed eliminò gli ultimi residui del «dovere verso la terra» e della sorveglianza sull’attività agricola. Gli editti imperiali dell’ultimo decennio proibivano di rendere responsabili per gli oneri i capi delle associazioni raggruppanti le famiglie a dieci a diecio.
Ma nei due millenni che seguirono Shih Huang—ti il dovere di coltivazione del suolo incombente su tutti i ting, cioè tutti gli individui abili al lavoro e di conseguenza anche obbligati alla corvée, le comunità di famiglie solidali per la corvée e le imposte, i massimali sul possesso di terra e il diritto di trasferimento forzato non erano stati mera teoria, ma all’occasione anche realtà perfettamente tangibile. Finché l’imposta e la corvée erano ripartite tra le famigliep — e questa era la situazione che di fatto continuava a verificarsi, come abbiamo visto, perché la creazione di un catasto territoriale appariva e— stremamente difficile — il fisco non solo favoriva le partizioni familiari ma usava tutto il suo potere per costringervi la famiglia, onde accrescere il più possibile il numero dei contri—buenti. Ciò può aver avuto un’influenza considerevole sulla nascita di quelle aziende minuscole tipiche della Cina. Ma dal punto di vista sociale tale influenza aveva i suoi limiti precisi.
È vero che tutte queste misure ostacolavano il sorgere di grandi unità aziendali. In cambio però favorirono — stando ai risultati effettivi — la coesione delle vecchie schiatte contadine come portatrici della proprietà della terra (o del diritto di sfruttamento del suolo, nella misura in cui sussisteva una pretesa alla regalia sulla terra): le schiatteq erano i quadri effettivi delle associazioni garanti in solidor. Ogni tentativo di creare un’autentica eguaglianza di proprietà nel senso del principio del nadél naufragò regolarmente per via dei mezzi del tutto inadeguati usati dall’amministrazione. E gli esperimenti di «socialismo statale» dell’xi secolo, che in ultima analisi avevano delle motivazioni puramente fiscali, come pure quelli di alcuni monarchi posteriori, lasciavano chiaramente dietro di sé soltanto un’intensa avversione per qualsiasi intervento del potere politico centrale, avversione che accomunava i burocrati prebendari locali e tutti gli strati della popolazione. Il desiderio fondamentale del governo centrale (per esempio nel x secolo), di avere cioè a propria disposizione non un tributo globale fisso ma tutte le eccedenze di oneri (corvée e imposte) che superavano i bisogni locali, è stato realizzato solo temporaneamente da imperatori particolarmente energici; il tentativo poi è ripetutamente naufragato e venne definitivamente abbandonato3, come si è detto, sotto i Manciù. In connessione con quanto affermato, si possono rilevare ancora perlomeno alcuni aspetti di questa politica agraria fiscale, onde completare il quadro.
Una posizione particolare nel sistema agrario era occupata in primo luogo dall’allevamento di bachi da seta, importante per i bisogni propri della corte, ma anche per il commercio estero; seguiva la cultura «bagnata» (cioè irrigua) del riso. La prima cultura — un ramo molto antico della cultura a giardino e dell’artigianato domestico — fu imposta all’economia domestica contadina, secondo gli annali, nel v secolo della nostra era, collegata alla coltivazione degli alberi da frutta, e in un determinato rapporto rispetto alle porzioni di terra. La seconda, invece, può essere stata la base concreta, o perlomeno quella primitiva, del cosiddetto sistema del «pozzo», che presso gli autori cinesi godeva di una specie di classicità consacrata, come l’autentico sistema nazionale di divisione della terras. Un campo, cioè, era diviso in nove parti ottenute dividendo per 3 i 4 lati di un quadrato e tracciando le rette corrispondenti: l’appezzamento centrale doveva essere coltivato per il fisco (o eventualmente per il proprietario fondiario) dai proprietari degli altri 8 appezzamenti circostanti. Non si può pensare a una diffusione generale di questo sistema: a prescindere dalla sua stessa improbabilità, sarebbe in contraddizione con le vicende del diritto fondiario. L’«abrogazione» del sistema del «pozzo» (come per esempio sotto i Chin nel iv secolo d. C.) — che equivaleva a sostituire il sistema del «campo del re» generalmente con tributi — e la sua «restaurazione» (dichiaratamente priva di successo) si alternano regolarmente. è accertato però
che tale sistema era solamente locale: non c’è dubbio che la sua esistenza fosse legata essenzialmente alPirrigazione delle risaie; tutt’al più da lì veniva trasferita occasionalmente sulla terra arabile. In ogni caso non si trattava di un’istituzione fondamentale del sistema agrario cinese, come in passato si era talvolta pensato, ma solo di una forma dell’antico principio del kung—tien (terra della corona) applicato occasionalmente alla cultura bagnata del riso.
Dal punto di vista legale, nel corso di tutti i mutamenti del sistema agrario una posizione particolare era quella dei feudi e degli appannaggi che venivano continuamente creati ex novo con durata vitalizia ma che regolarmente venivano nuovamente conferiti agli eredi in caso di idoneità all’assunzione delle cariche liberatesi. In parte si trattava evidentemente di prebende che dovevano servire al mantenimento di coloro che si dedicavano alla carriera delle armi: da cui la prescrizione in base alla quale l’interessato, compiuti i sessantanni, doveva passare allo Altenteil4 (come nell’inkyo giapponese). Questi feudi militari appaiono — graduati secondo le classi dei guerrieri — in particolare a partire dal i secolo d. C. e nel periodo che va dal vii al ix secolo, e hanno svolto il loro ruolo fino all’epoca della dinastia Ming. I Manciù furono i primi a farli cadere in disuso, o meglio a sostituirli con i propri «feudi di gonfalone». Del pari si trova nelle epoche più diverse il sistema della terra concessa ai funzionari per i loro servizi (al posto dei compensi in natura, in particolare dopo la decadenza del sistema dei magazzini che era alla base di tali compensi). In parte si trattava di piccoli feudi plebei, oberati di liturgie d’ogni sorta (corvée dell’acqua, delle strade, dei ponti, proprio come nell’antichità — lex agraria del in, e a più riprese nel Medioevo). Nel xvm secolo sorgevano ancora tipi analoghi di stati patrimoniali di nuova fondazionet.
Del resto, dopo la cosiddetta creazione della «proprietà privata» (Shih Huang—ti) si possono accertare i mutamenti più svariati nella distribuzione della terra. I periodi di forti tensioni interne vedevano sempre, come menzionato, il sorgere di grandi proprietà fondiarie che erano conseguenza dell’affida— mento spontaneo, della violenza subita e della liquidazione della proprietà da parte di contadini impoveriti e disarmati. D’altra parte il concetto di un massimale per l’estensione della proprietà tornava sempre naturalmente a legare i contadini alla loro gleba o meglio alle associazioni garanti in solido. Formalmente questi interventi, determinati sostanzialmente solo da motivi fiscali, portarono innanzitutto, sotto la dinastia orientale dei Chin, nel iv secolo (dopo alcuni abbozzi antecedenti), alla dichiarazione del diritto statale di regalia sulla terra. Dalle notizie appare chiaro come anche in questo caso uno degli intenti decisivi era quello di rendere possibile una regolamentazione generale della corvée. Il concetto già citato di un’identica porzione di terra «per anima» (per ogni individuo tra i 15 e i 60 anni) con ridistribuzione ciclica annuale della terra — in teoria! — fece la sua apparizione negli stati combattenti del 111 secolo, dopo che il sistema piuttosto rozzo della combinazione tra imposta pro capite (per ogni anima—ting) e imposta fondiaria (all’inizio semplicemente per ogni fattoria) aveva portato a dei risultati del tutto insoddisfacenti. Ricomparve nel 485 d. C., e poi di nuovo sotto i T’ang (vii secolo) e venne modificato (in teoria) sotto molti aspetti nel senso di una «politica sociale» (assistenza alle persone anziane viventi da sole, agli invalidi di guerra e altre categorie analoghe). In questo modo, la proprietà ereditaria e quella variabile, come i «campi comunali» del Badén, nonché quella determinata dal rango potevano essere combinate tra loro in diverse maniere. Nel 624, per esempio, nello stato dei T’ang, per ogni fattoria veniva lasciata una determinata porzione di terra come proprietà ereditaria e ad ognuna in base al numero di anime veniva concesso un supplemento di terra. Dall’unità fiscale così creata venivano prelevati tributi di grano e corvées, in parte cumulativamente e in parte alternativamente.
All’inizio dell’xi secolo la proprietà fondiaria autorizzata venne graduata secondo il rango. Se mancava la terra erano autorizzati i trasferimenti: c’erano allora molte terre da colo nizzare nel nord e ciò spiega la possibilità almeno temporanea di attuare un tale sistema. In caso di trasferimento o di eccedenza di terra oltre la norma — altrimenti solo in caso di «vera necessità» (mancanza di mezzi per la sepoltura) — doveva essere autorizzata la libera vendita al miglior offerente con diritto di prelazione per la schiatta. In pratica però tornò subito a prevalere un commercio fondiario del tutto privo di vincoli e falliva così il tentativo di instaurare l’eguaglianza delle proprietà; questo in particolare dopo che il nuovo sistema fiscale del 780 ebbe nuovamente indebolito l’interesse dell’amministrazione per la capacità di prestazioni obbligatorie militari e civili. Tutti questi provvedimenti, come abbiamo visto, erano connessi ai bisogni fiscali e militari. Dopo il fallimento del tentativo di eguagliare la proprietà fondiaria, l’amministrazione si accontentò di intervenire sulla formazione di redditi da locazione fondiaria allo scopo di proteggere i contadini. Anche il divieto di esigere corvées, in particolare servizi di corriere e prestazioni di assistenza, a fini privati, dovette più volte essere riaffermato (x secolo). I burocrati, che erano esentati dalla corvée, sfruttavano questa possibilità per l’arricchimento e l’accumulazione delle terre, per cui nel 1022 venne stabilito specificamente per loro un massimale di proprietà fondiaria. Secondo gli annali, il carattere estremamente precario della proprietà fondiaria dovuto a tutti questi interventi e le pesanti liturgie gravanti sulle proprietà rappresentavano un notevole ostacolo per qualsiasi miglioramento del terreno. Lo stato fondato sulle liturgie rischiava sempre di fallire, sul piano finanziario e militare; erano queste le difficoltà che costituivano la motivazione e l’orientamento dei numerosi tentativi di riforma agraria. Un esempio di ciò è dato dal celebre tentativo di riforma di Wang An—shih nell’xi secolo, il cui orientamento primario era fondamentalmente militare—fiscale. Esaminiamo i fattori che l’hanno condizionato.
2. L’organizzazione militare ed il tentativo di riforma di Wang An—shih.
Il disarmo del paese sotto Shih Huang—ti (la tradizione vuole che le armi raccolte dai funzionari nei 36 distretti creati a questo scopo siano state fuse in campane) doveva significare una pace duratura per il paese (come l’imperatore proclamava sempre nei suoi editti). Ma le fortificazioni di frontiera dovevano essere guarnite e di conseguenza la popolazione venne reclutata alternativamente per i posti di frontiera e per le prestazioni di lavoro obbligatorio per le costruzioni imperiali (ciascuno dei due servizi durava un anno). è vero che questa misura rimase puramente teorica. Ma la creazione dell’impero unitario, come abbiamo visto, procedette di pari passo con un gigantesco potenziamento delle prestazioni di lavoro obbligatorie della popolazione civile per le grandi costruzioni. Accanto a ciò l’esercito era rimasto tuttavia essenzialmente un esercito professionale. Questo esercito pretoriano provocava delle guerre civili croniche. Sotto gli Han si tentò quindi di sostituire (o di completare) l’esercito professionale esistente con un’armata di leva. Ogni giovane di 23 anni doveva servire per un anno nell’esercito effettivo (wei shih, cioè «mandria») e poi due anni nella milizia (chai huang shih); erano previsti esercizi di tiro all’arco, equitazione, guida dei carri, che cessavano al compimento dei 55 anni.
La corvée doveva ammontare a un mese all’anno. Era permesso assoldare un sostituto. In che misura questi progetti volti a creare una gigantesca potenza militare si siano tradotti in realtà è del tutto incerto. In ogni caso nel vi secolo d. C. la corvée era stata fortemente potenziata: ufficialmente, secondo il raccolto, andava — in teoria — da 1 a 3 decadi all’anno per ogni lavoratore della famiglia. A questo si aggiungevano le esercitazioni militari, e il servizio di frontiera nel lontano ovest, che separava per anni i membri di una famiglia, oggetto di gran lamentele anche nella poesia cinese. La durata delle corvées aumentava: con la summenzionata riforma fondiaria dei T’ang arrivò fino a 5 decadi per coloro che non pagavano l’imposta in denaro. Per i grandi lavori fluviali venivano impiegati talvolta oltre 1 milione di uomini simultaneamente. Invece il servizio militare obbligatorio, formalmente generalizzato (servizio nella milizia), rimase palesemente lettera morta e non fece che ostacolare la nascita di un esercito tecnicamente efficiente. Sotto la dinastia Sung esisteva la «guardia» come truppa permanente, accanto a due formazioni di truppe e milizie locali che si fusero insieme e poi decaddero. A quell’epoca
le reclute per la «guardia» venivano arruolate con la forza e (perlomeno in alcune province) marchiate nella maniera in uso in Medio Oriente (1042). Ma il nerbo dell’esercito era costituito, stando a tutte le notizie a noi accessibili, sempre e soltanto dai mercenari, la cui fedeltà era sempre problematica e legata soprattutto al regolare pagamento del soldo. Le croniche difficoltà finanziarie costrinsero a ridurre l’effettivo militare nel 1049, in un periodo dominato dalla continua minaccia di un attacco da parte dei barbari del nord—ovest. In questa situazione si colloca il tentativo di Wang An—shih di fornire, attraverso una riforma razionale, i mezzi adatti alla formazione di un esercito nazionale adeguato ed efficiente. Questo tentativo di riforma è stato talvolta definito come «socialismo di stato»; espressione che potrebbe essere adeguata solo se intesa in quel senso, molto ristretto, che si riferisce (anche se non proprio nello stesso modo) alla politica di monopolio sulle banche e i depositi di cereali praticata dai Tolomei, che era fondata su di un’economia monetaria molto sviluppata.
In realtàu si trattava del tentativo di creare delle entrate monetarie, mediante una politica sistematica di sussidi all’agri— coltura e di regolazione delle coltivazioni, mediante l’accentramento monopolistico dello smercio dei cereali nelle mani dell’amministrazione centrale e la sua ordinata programmazione; simultaneamente alle corvées e ai tributi in natura si dovevano sostituire delle imposte in denaro (sistema chien shu fa). Si sarebbero così ottenuti i mezzi per creare un grande esercito nazionale, disciplinato e addestrato, che stesse incondizionatamente a disposizione dell’imperatore. In teoria un adulto su due poteva essere chiamato sotto le armi e a questo scopo fu prescritta la redazione di liste della popolazione, e assieme a queste, venne rinnovato il sistema delle «decine»5(pao chia fa), sotto degli anziani eletti, con doveri di censura e un servizio di guardia notturna per turni. Inoltre, armi (archi) fornite dallo stato dovevano essere distribuite alle leve della milizia lo cale, cavalli acquistati dallo stato dovevano essere affidati all’uso e alla cura delle leve iscritte nei ruoli della cavalleria; cavalli e armi venivano passati annualmente in rassegna, erano sotto la responsabilità di chi li aveva in consegna, sanzionata dall’eventuale pagamento di un premio. L’amministrazione dei magazzini di stato si era retta fino allora sui tributi in natura e ad essa provvedevano i possidenti sotto forma di liturgie: un onere rovinoso per questi ultimi, che nello stesso tempo portava a tutte le possibili forme di concussione. La riforma prevedeva che tale servizio venisse affidato a funzionari stipendiati, che fosse posto sulle basi di un’economia monetaria ed organizzato ai fini di una gestione economica programmata. L’amministrazione concedeva anticipi di semenza (ch’ìng miao: «semenza verde») e prestiti in natura o in denaro, contro un interesse del 20. La proprietà fondiaria doveva essere stimata ex novo e in base alle nuove stime si doveva determinare, per ogni classe, l’imposta, la corvée (mochi) e la «porzione per anima» di terra. Invece di avere delle corvées riscattabili in denaro si mirava ad assumere lavoratori salariati con i proventi dell’imposta in denaro. Accanto all’attuazione del sistema fiscale monetario, l’altro punto fondamentale che da allora è sempre tornato ad emergere sotto diversi aspetti nei progetti di riforma era la monopolizzazione del commercio dei cereali. Il governo doveva effettuare gli acquisti nei periodi di basso prezzo (quelli del raccolto), immagazzinarli, e concedere su queste scorte i prestiti di cui si è parlato, realizzando inoltre profitti di natura speculativa. La creazione di una burocrazia specializzata, in particolare di giuristi particolarmente preparati, doveva rendere possibile sul piano tecnico la riforma e su quello economico in particolare la stesura e la presentazione del bilancio annuale da parte di tutte le autorità locali, garantendo così l’unitarietà dell’amministrazione finanziaria.
Gli oppositori (confuciani) di Wang An—shih criticavano in particolare, oltre all’intrinseco carattere militaristico del sistema, altri tre suoi aspetti: i. l’armamento del popolo, pericoloso per l’autorità dei funzionari in quanto poteva indurre alla rivolta; 2. l’eliminazione del commercio che metteva a repentaglio la capacità contributiva della popolazione, e soprattutto 3. l’«incetta di grano» dell’imperatore: il prestito ad interesse della semenza e l’esperimento con l’imposta in denarov. La riforma di Wang An—shih fallì completamente nel suo obiettivo fondamentale: l’organizzazione militare. Come in tutti i casi analoghi, ciò avvenne indubbiamente perché mancava il personale amministrativo indispensabile a questo fine e perché data l’organizzazione economica del paese non era possibile far rientrare prontamente i proventi delle imposte in denaro. La canonizzazione pronunciata dopo la sua morte (1086) e l’istituzione di sacrifici furono nuovamente sospesi nel xn secolo. Già alla fine dell’xi secolo il nerbo deiresercito era di nuovo costituito da truppe mercenarie. Per quanto riguarda la creazione della burocrazia specializzata, i letterati da essa minacciati nei loro interessi di prebende — interessi che costituirono la forza decisiva in tutta la battaglia sulla riforma! — seppero impedirla; anche le imperatrici del resto, i cui eunuchi vedevano in questo ordine nuovo un pericolo per il loro potere, avevano preso posizione contro di essa sin dall’iniziow.
Se la riforma di Wang An—shih fallì così nel suo obiettivo principale, essa sembra tuttavia aver lasciato delle tracce profonde, in quanto il «sistema di autoamministrazione» cinese, di cui si parlerà più avanti, ha conservato, attraverso questa razionalizzazione delle associazioni di dieci e cento famiglie già più volte illustrate, quella sua forma ancor oggi operante.
Anche più tardi si sono avuti a più riprese radicali interventi del governo nella distribuzione della proprietà fondiaria. Nel 1263, nel corso della lotta contro i Mongoli, il governo espropriò tutti i possedimenti fondiari che superavano una determinata estensione (100 mou), contro obbligazioni del tesoro, per procurarsi i mezzi necessari, e anche i periodi successivi portarono di volta in volta a forti incrementi, tramite confisca, del patrimonio demaniale (nel Che kiang, aH’avvento della dinastia Ming, solo 1/15 della terra dev’essere stato di piena proprietà privata). Il sistema dei magazzini di stato (tsun—shu) era antico di per séx e giocava un ruolo importante già prima dei programmi di Wang An—shih. A partire dal xv secolo circa tale sistema prese la forma che poi conservò: l’acquisto in autunno e in inverno, la vendita in primavera e in estate divennero sempre più delle misure di calmieramento prese nell’interesse del mantenimento della tranquillità interna. In origine la vendita allo stato non era spontanea ma veniva imposta: la quota del raccolto da consegnare oscillava normalmente intorno al 50 e veniva computata nelle imposte. La misura di quest’ul— time era molto oscillante: da 1/15 a 1/10 del raccolto, cioè una quota molto bassa, come abbiamo visto, costituiva sotto gli Han l’aliquota normale; bisogna però tener conto del fatto che a ciò si aggiungevano le corvées. I particolari dell’evoluzione delle quote d’imposte non interessano qui proprio per questo motivo, in quanto non forniscono un quadro degli oneri tributari effettivi.
3. La protezione fiscale dei contadini e le sue ripercussioni sul sistema agrario.
Tra i risultati dei diversi tentativi di riforma fondiaria a carattere fiscale, due meritano comunque di essere presi in esame: la mancata nascita della grande impresa agricola razionale, e la profonda diffidente avversione di tutta la popolazione rurale per qualsiasi tipo di intervento del governo sulla proprietà fondiaria e i tipi di coltivazione: la teoria del laissez—faire di numerosi esperti di finanza cinesi godeva di una crescente popolarità presso la popolazione rurale. Le misure di politica dei consumi e quelle di calmieramento furono naturalmente mantenute come inevitabili. Ma per il resto, solo la politica protezionistica del governo nei confronti dei contadini trovò appoggio presso la popolazione, essendo diretta contro l’accumulazione capitalistica, cioè la trasformazione dei beni acquisiti attraverso le cariche, il commercio, l’appalto delle imposte, in patrimonio fondiario. Questa legislazione che in parte si è già discussa è stata resa possibile soprattutto dalla buona disposizione dei contadini e proprio per questo motivo ha potuto operare interventi di vasta portata nello stato patrimoniale dei possidenti. Sorta dalla lotta del governo autocratico contro i vassalli e le schiatte nobili che in origine erano le sole in grado di combattere, in seguito questa legislazione dovette continuamente intervenire contro la nuova formazione del latifondo determinata da fattori capitalistici.
Nel corso di tale evoluzione i tipi di interventi sono profondamente cambiati, come mostra già l’esposizione fatta finora. Negli annali dello stato di Chiny da cui è venuto il «primo imperatore» Shih Huang—ti, si riferisce che sotto il governo di Hsiao Kung (361–338) il letterato Wei Yang, suo ministro, gli avrebbe insegnato, come «la più alta forma di saggezza)), l’arte di «diventare il signore dei propri vassalli». A questo fine, accanto ad una riforma del sistema fiscale consistente soprattutto nella sostituzione delle corvées di coltivazione della terra con un’imposta generale fondiaria, si trova in prima linea lo sforzo di frantumare il latifondo. Le divisioni forzate dei patrimoni familiari, le esenzioni di imposte per le fondazioni di nuovi nuclei familiari, l’esenzione di corvée per la produzione più intensiva, il registro delle famiglie e l’abolizione della vendetta privata: tutti questi erano allo stesso tempo i tipici mezzi della lotta contro il sorgere e il perpetrarsi del potere fondiario e l’espressione di una tipica politica fiscale populista. La legislazione, come abbiamo visto, era oscillante: il governo, alternativamente, consegnava i contadini senza terra ai grandi latifondisti imponendo restrizioni alla libera circolazione o permettendo la loro riduzione in servitù, e ridava loro la libertà. Nell’insieme, però, prevalse decisamente la tendenza a proteggere i contadini. Nel 485 d. C. (sotto la dinastia Wei) fu autorizzata, evidentemente per motivi di politica demografica, la vendita della terra superflua. Era alla protezione dei contadini che mirava, nel 653 d. C., il divieto del commercio fondiario e in particolare dell’acquisto di terre da parte dei benestanti, e nel 1205 d. C. il divieto di alienare la terra e di continuare a risiedere suillappezzamento venduto in qualità di servo dell’acquirentez. Le due ultime disposizioni permettono di verificare con la massima certezza che all’epoca della loro emanazione e — come mostrano altre notizie — anche molto prima, esisteva una proprietà privata della terra alienabile di fatto. Il tipo di evoluzione che qui si voleva impedire, infatti, era quello verificatosi in numerosi paesi, in tutto il mondo, soprattutto nell’antica polis ellenica; ad Atene, ad esempio, chi accumulava patrimoni in denaro attraverso il commercio o le cariche politiche, cercava un investimento nella proprietà fondiaria, comperando le terre ai contadini indebitati ed impiegandoli come servitori per debiti o fittavoli soggetti a servitù sugli appezzamenti di terra riuniti con l’acquisto.
Ma basta con questa ripetizione monotona che non può comunque offrire una vera «storia economica». A questo fine ci mancano finora i dati decisivi (prezzi, salari, ecc.). Ciò che appare nell’insieme è il carattere decisamente precario, durato secoli — per un millennio e mezzo, si può dire —, della appropriazione del suolo, e l’assoluta irrazionalità della legislazione sulla proprietà fondiaria, determinata da fattori politico—fiscali e oscillante tra interventi arbitrari e un totale rilassamento. L’idea di una codificazione giuridica era respinta dai letterati con una motivazione caratteristica: se il popolo conoscesse i propri diritti disprezzerebbe le classi dominanti. In tali circostanze il mantenimento della schiatta come associazione di autodifesa era l’unica soluzione.
L’odierno diritto immobiliare in Cina presenta quindi, accanto a tratti apparentemente moderni, i residui della sua struttura più anticaa1. La stesura del catasto per tutto il paese e la disposizione fiscale (che in verità ha continuato a scontrarsi con l’ostruzionismo della popolazione) che richiedeva per ogni contratto di vendita l’apposizione del sigillo (shou—ctii), soggetto a diritti erariali, da parte delle autorità competenti, e che riconosceva al possesso di questo titolo d’acquisto, agli estratti del catasto e alle quietanze del pagamento delle imposte il valore di prova del possesso, sono misure che senza dubbio hanno facilitato moltissimo i trasferimenti di proprietà fondiaria attraverso la mera negoziazione di documenti. La clausola contenuta in ogni contratto di vendita (mai ctìi), secondo cui la proprietà viene alienata «in seguito ad un reale bisogno di denaro per uno scopo legale» è oggi una formula vuota. Ma essa permette di dedurre con certezza — in connessione con la disposizione esplicita del 485 d. C. di cui si è parlato — che in origine la vendita era permessa solo in caso di «vero bisogno»; esiste inoltre un diritto di prelazione, oggi puramente formale ma in passato senza dubbio obbligatorio, a favore dei parenti, soprattutto considerata l’abitudine — che sussiste ancora oggi come «usanza disdicevole» — del venditore e in certe circostanze anche dei suoi eredi, in casi di difficoltà sopravvenute, di chiedere all’acquirente attraverso un tan ch’i (billet de géminance)b1 uno o più pagamenti supplementari in via di «elemosina»c1. Il tipico acquirente di terra era qui come nell’antica polis dell’Occidente il ricco creditore con molto denaro, ma la proprietà della terra, in origine, era legata alla schiatta dal diritto di riscatto. La vera forma nazionale di alienazione non era quindi la vendita incondizionata e definitiva, ma in parte quel tipo di vendita che si trova dappertutto, il negozio d’emergenza con riserva di riscatto (hsiao mai), in parte l’enfiteusi (infatti il proprietario del diritto di superficie, tien—mien, assumeva evidentemente la posizione di enfiteuta rispetto al proprietario del suolo, tien—tì) e in parte l’anticresi (tien—tang) per fondi rustici (l’ipoteca, ti—ya, era in uso solo per le aree urbane).
Tutti gli altri fenomeni propri al sistema agrario si inseriscono sulla medesima direttrice: la lotta che oppone l’antico vincolo tra la terra e la schiatta al potere economico dell’acqui rente di terra, e l’intervento moderato, ma tuttavia sostanzialmente teso a produrre effetti fiscali, del potere politico patrimoniale. Già la terminologia ufficiale dello Shih—ching6 e degli annali della dinastia Han distingue semplicemente, proprio come il diritto romano, la proprietà privata e la proprietà pubblica: sulla terra del re ci sono i conduttori statali, sulla terra privata («terra del popolo», min ti) i contribuenti fiscali. Della terra privata, quella porzione indivisibile e inalienabile che costituiva la terra degli antenati (luogo di sepoltura e terra per il sostentamento del bestiame destinato ai sacrifici agli antenati) rimaneva proprietà familiared1; al testatore succedeva, occupandone il rango, il figlio maggiore della moglie principale ed i suoi discendenti. Al contrario, dopo la vittoria del patrimoniali— smo, il patrimonio familiare inclusa la terra era legalmente soggetto alla divisione naturale tra tutti i figli, mentre le disposizioni del testatore avevano solo un valore eticamente vincolante (come «fedecommesso» nel senso proprio del concetto). Tra le forme di locazione infine, si trovavano, giustapposte, la colonia parziaria, il pagamento in natura e il pagamento in denaro dell’affitto, mentre il locatario poteva ottenere la non di— sdicibilità del contratto mediante il versamento di una cauzione. Tuttavia gli schemi più usuali dei contratti di locazione sui terreni agricolie1 mostrano nel modo più chiaro che il locatario andava visto come un «colono» — nel senso applicato ai rapporti di locazione degli appezzamenti fondiari nell’antichità e nell’Europa meridionale — che oltre al diritto si assumeva anche l’impegno di coltivare la terra e di regola rimaneva indebitato nei confronti del locatore. Il tipico locatore, invece — che corrisponde direttamente a quanto detto prima — appariva come un magnate della terra che valorizzava con la locazione il possesso di singoli piccoli poderi. Ed è vero che molto spesso il patrimonio familiare comune di una schiatta — la quale aveva ereditato e comperato numerose parcelle fondiarie registrando e conservando i documenti di acquisizione di questo latifondo sparso in particolari atti e libri di inventariof1 — era indicato apertamente nel catasto con un nome comunitario specialeg1, come quello di una ditta, per tutti gli appezzamentih1: lo stesso nome che era inciso su una tavola nell’atrio familiare. Attraverso i suoi anziani la schiatta governava i suoi coloni in modo patriarcale, simile, anche nello stile, a quello di un latifondista dell’antichità o dell’Europa meridionale o di uno squire inglese. Come dappertutto, anche qui le grandi vecchie famiglie come pure i parvenus arricchiti dal commercio o dai guadagni di natura politica tenevano il loro patrimonio solidamente unito in proprietà comune, onde assicurarsi in via ereditaria la loro posizione di potere. è chiaro che questo era il surrogato economico che sostituiva il privilegio di ceto dell’antica nobiltà, infranto dal patrimonialismo.
La classe dei grandi proprietari terrieri, fino al giorno d’oggi relativamente estesai1 (attualmente purtroppo non statisticamente determinabile), era quindi solo in parte di antica data; inoltre si trattava chiaramente, in gran parte, di proprietà sparsa. Tuttavia questa classe esiste ancora oggi, e, presumibilmente, prima era ancora più estesa; ad essa si accompagnava la colonia, tipica dello stato patrimoniale. Ma due circostanze caratteristiche della Cina hanno avuto l’effetto di moderare notevolmente il potere dei latifondisti: da un lato il potere delle schiatte, di cui si parlerà tra poco in modo più dettagliato, dall’altro il carattere estensivo e l’impotenza dell’amministrazione statale e della giustizia. Il proprietario fondiario che avesse voluto fare un uso indiscriminato del proprio potere avrebbe avuto poche probabilità di vedere il suo diritto formale confermato da una pronta giustizia, a meno che non disponesse di relazioni personali e che non mettesse in moto ai suoi fini gli organi di potere dell’amministrazione attraverso la via sempre costosa della corruzione. E anche in questo caso il pubblico funzionario, nel tentativo di strappare rendite fondiarie per il latifondista, doveva usare le stesse precauzioni che per strappare imposte a suo beneficio personale. Ogni disordine, come sintomo di minaccia di un male magico, suscitava le inquietudini dell’amministrazione centrale e poteva costargli la carica. Alcuni usi estremamente significativi dei proprietari e locatori indicano che questa situazione escludeva per loro il passaggio a forme più intense di sfruttamento dei loro coloni. La straordinaria intensità di lavoro della piccola impresaj1 e la sua superiorità economica è messa in luce in modo tangibile dall’altissimo prezzo della terrak1 e dal tasso di interesse relativamente basso del credito agricolol1. Qualsiasi altro miglioramento tecnico era praticamente escluso per via dell’intensa parcellizzazione: la tradizione regnava, malgrado lo stadio avanzato deireconomia monetaria.
Alla burocratizzazione patrimonialistica corrispondeva quindi anche qui la tendenza al livellamento sociale. La produzione agricola, conformemente alla tecnica di lavoro intensivo della cultura del riso, rimase quasi esclusivamente affidata alla piccola proprietà a conduzione artigianale. La divisione naturale tra tutti i figli, nella successione ereditaria, aveva finito alla lunga per democratizzare sufficientemente, malgrado tutto, la proprietà fondiaria, anche se in singoli casi la comunione dei beni ereditari rallentava il processo. Pochi ettari di terreno erano considerati una proprietà notevole, meno di un ettaro (15 mou — 85 are) era considerato sufficiente per cinque persone, con coltivazione non a giardino. Gli elementi feudali del sistema sociale erano stati spogliati, almeno giuridicamente, del loro carattere di ceto. è vero che ancora negli ultimi decenni i rapporti ufficiali parlavano sempre di «notabili» del paese come dello strato socialmente determinante. Ma questa gentry rurale costituita dai notabili del villaggio non aveva una posizione garantita dallo stato rispetto agli strati inferiori. Secondo la legge, al di sopra del piccolo borghese e del piccolo contadino c’era direttamente il meccanismo burocratico—patrimoniale. Per la giurisprudenza, e sostanzialmente anche di fatto mancava lo strato intermedio feudale dell’Occidente medioevale.
D’altra parte solo i tempi più recenti hanno introdotto, sotto l’influenza europea, forme tipiche di rapporti di dipendenza capitalistica di tipo occidentale. Perché?
a. è impossibile qui addentrarsi nella preistoria, in particolare per quanto riguarda l’originario nomadismo dei Cinesi, asserito dai sinologi. Naturalmente anche in epoca preistorica le continue invasioni dei popoli nomadi dell’Asia centrale hanno ripetutamente assoggettato le terre della pianura. Ma solo i Mongoli manifestarono seriamente, per un certo periodo, l’intenzione di affermarsi come nomadi contro la cultura superiore degli agricoltori (attraverso il divieto di coltivazione del suolo entro un determinato raggio dalla capitale). I Cinesi però, dal canto loro, - e questo la dice più lunga di tutte le tradizioni sul perpetuarsi della antichissima cultura a giardini con la zappa - ignoravano ancora il consumo del latte e tra gli altri rituali del grande pontefice imperiale figurava la cerimonia della condotta delParatro. Di fronte a questo, la discendenza di una parte o anche di tutto lo strato signorile dai nomadi potrebbe essere del tutto priva di importanza per la continuità della cultura. L’esistenza della «casa degli uomini» (vedi sopra) non ha naturalmente nulla a che vedere con il «nomadismo» ma significa che la guerra e la caccia erano le attività di queste comunità, mentre le donne curavano la cultura della terra. L’assenza del consumo di latte è chiaramente molto antica in Cina e contraddice l’ipotesi del «nomadismo». Il bestiame grosso era da traino o da soma e serviva per i sacrifici, mentre per il consumo normale di carne veniva impiegato solo il bestiame minuto.
Per la storia del sistema agrario collegata al sistema fiscale cfr. N. J. KOCHANOWSKIJ, Semlewladjenie i semljedjelje w Kitaje (Wladiwostok, 1909, in «Iswjestija Wostotschnawo Instituta d.g. isd.» 1907–8, tom. XXIII, w. 2) e A. J. IWANOFF, Wang-AnSchi i jewo rejormy (S. Petersburg, 1906). Purtroppo non mi è stata accessibile la rimanente letteratura russa. Cfr. anche A. M. FIELDE, Land Tenure in China, «Journal of thè China Branch of thè R. Asiat. Soc.», 1888, vol. 23, p. no, al quale non ho nemmeno potuto accedere, come neppure a quasi tutte le altre pubblicazioni di questa rivista.
Altra letteratura più avanti.
b. Sembra infatti che all’epoca di Shih Huang-ti avessero dato prova di un certo grado di combattività. Anche se questo non fosse stato il caso, non c’era necessariamente una «servitù della gleba» rispetto al signore feudale nel nostro senso del termine, bensì un assoggettamento politico al potere del principe, determinato dalla regolazione dei corsi d’acqua, sul modello egiziano e del Medio Oriente.
c. Riportati in BIOT, op. cit.
d. Cfr. l’esposizione (inesatta in molti punti, in particolare per quanto riguarda l’antichità, ma giusta per questo particolare) di R. Leonhard in Schmollers Jahrbuch (segnalazione della valida, ma un po’ unilaterale opera di LACOMBE, Uévolution de la propriété fondere).
e. Sulla realtà di questa istituzione non c’è da dubitare, poiché è stata ripresa dal Giappone: vedi più avanti.
f. Si potrebbe considerare questo dato come sicuro se Conrady avesse ragione con la sua tesi secondo cui si possono ravvisare in Cina i segni di società totemiche. Infatti lo sviluppo della schiatta sembra essere stato dappertutto la forma con cui lo strato signorile nascente si è sottratto alla società totemica (essenzialmente plebea).
g. Del resto all’epoca il «privilegio» dei possidenti non era sentito come una prerogativa ma piuttosto come una liturgia. Si cercava di sottrarsi agli oneri tramite vendite fittizie di terra e divisioni tra famiglie.
h. Il diritto al possesso di schiavi era limitato anche in Cina a certi ceti.
i. Ma l’andamento della rivolta che portò alla caduta della sua dinastia sembra mostrare che fino allora anche larghi strati di contadini erano armati (come in Germania fino al disarmo dopo la guerra dei contadini). Infatti il fondatore della dinastia Han e altri ribelli erano contadini e si appoggiarono (perlomeno in parte) al potenziale militare delle loro schiatte.
j. Nello stato di Lu, per esempio (lo stato—modello confuciano), in un certo periodo, venivano imposte all’unità catastale di allora (composta di 64 ching) le seguenti forniture: 1 carro da guerra, 4 cavalli, 10 capi di bestiame bovino, 3 mezzi corazzati, 64 fanti (non muniti di corazza). è chiaro che tale ruolo delle forniture derivava dal presupposto che le famiglie comprese nell’unità catastale in questione procuravano le forze militari che spettava loro fornire assoldando a loro volta dei mercenari. Il ricorso alla coscrizione obbligatoria diretta rimaneva presumibilmente un mezzo sussidiario (vedremo più avanti il modo in cui condizioni analoghe, in India, si sono sviluppate in prebende latifondiarie). In altri casi (come si dirà tra poco) il reclutamento dell’esercito in Cina era regolato in modo da incidere direttamente sulle singole famiglie. Ma questo sistema, nello stato di Lu, mostra già, al posto della chiamata alle armi dei vassalli, i rudimenti di una forma di «reclutamento» principesco—patrimoniale, e quindi l’eliminazione del feudalesimo come sistema militare. Esistono delle analogie europee di questo fenomeno (Delbrück ha facilmente illustrato questi rapporti per l’esercito feudale euro— peo).
k. Suan fa tung tsang. Cfr. Biot, «N. Journ. Asiat.», 3, Ser. 5, 1838 (esposizione sulla base del Wen hsien tung kao).
l. Bisogna sempre considerare che la prima data cronologica della storia cinese che si può ritenere sufficientemente sicura (Chavannes) è l’anno 841 a. C.
m. Per quanto riguarda le culture non puramente a giardino, si calco— la oggi che una famiglia di cinque persone poteva vivere precisamente con 15 mou (circa 85 are) di terra, il che ci sembra una cifra incredibilmente esigua.
n. Vedi sopra, cap. I.
o. «Peking Gazette», 14 giugno 1883.
p. L’esempio di una lista dei componenti di una casata giapponese con il calcolo della porzione di terra che gli spettava è data da Nachod nella sua esposizione della storia del Giappone, vol. Ili della Weltge— schichte di Pflugk—Harttung.
q. Secondo il senso della «decina» ognuna di queste associazioni era composta di dieci schiatte. Il ripetuto tentativo di passare alla famiglia o alPindividuo al posto della schiatta ha avuto successo solo molto tardi.
r. Se gli scrittori russi vogliono ritrovare nella normale divisione della terra il nadél dtWóbshchina 1 russa, non bisogna tuttavia dimenticare che un comuniSmo di villaggio è derivato da questi provvedimenti puramente fiscali solo date le premesse esistenti in Russia, in primo luogo la responsabilità in solido dell’associazione di villaggio. E non sembra che questa sia esistita in Cina.
s. Sistema del «pozzo» presumibilmente in base all’ideogramma che rappresenta un quadrato diviso in nove parti, ma anche, perlomeno in parte, perché i fossati e le condotte di irrigazione, e uno straripamento di lunga durata sugli appezzamenti di terreno arginati erano indispensabili per la cultura del riso. Dappertutto in Asia (come a Giava) questo implicava delle innovazioni radicali nei rapporti di proprietà e in particolare degli interventi fiscali generali basati sul carattere indispensabile della canalizzazione delle acque. è però certamente possibile che questo sistema, che di solito si considera piuttosto antico, derivi dalla razionalizzazione dell’originaria coltivazione della terra del capo da parte dei membri della schiatta.
t. I proprietari adiacenti al Canale Imperiale, gravati di liturgie da prestare sul canale, hanno ancora avuto un ruolo considerevole nel corso della ribellione dei T’ai-p’ing.
u. Cfr. il memoriale di Wang An-shih in Iwanoff, p. 51 e segg.
v. Cfr. le due relazioni di Su Shi contro Wang An—shih in Iwanofi, op. cit., pp. 167 e segg., 190 e segg., e le obiezioni di altri oppositori, tra cui Ssu—ma Kuang, ID., p. 196.
w. Su questo punto che si collega alla struttura dell’amministrazione interna torneremo più avanti.
x. Sembra che già neH’vin secolo siano esistiti magazzini per la seta ed il lino.
y. Cfr. l’estratto degli annali in P. ALB. TSCHEPE (S. J.), Histoire du Royaume de Tsin, («Varietés Sinol.», 27, in part. p. 118 e seg.).
z. Questo divieto sembra aver ostacolato lo sviluppo della colonia. Ancora oggi infatti la locazione di piccoli poderi apparentemente non è molto frequente.
a1. I feudi vessilliferi delle guarnigioni manciù e le prebende fondiarie ereditarie delle truppe di frontiera tributarie di liturgie, come gli abitanti adiacenti a canali, strade, ecc., restano qui, ragionevolmente, al di fuori del nostro esame.
b1. Così l’espressione è tradotta da P. PIERRE HOANG, Notion techni— que sur la proprieté en China, Shanghai, 1897 («Var. Sinol.», 11, § 20).
c1. O addirittura a titolo legale! è vero che il giudice doveva respingere il ricorso, ma soleva «esortare» l’acquirente a non essere duro di cuore e a pagare. Solo persone influenti potevano sottrarsi a tale onere (HOANG, op. cit.). Vedi più avanti.
d1. La terra degli antenati viene menzionata frequentemente nella «Peking Gazette».
e1. In Hoang, per esempio, op cit., app. XXIII, p. 119. Si è già detto che l’appalto è relativamente poco frequente. Oltre al divieto generale della colonia del 1205 è determinante soprattutto, a questo proposito, la difficoltà di incassare i fìtti.
f1. HOANG, op. cit., p. 12, n. 31, pp. 152, 157 e seg.
g1. Per esempio «Famiglia della pace eterna».
h1. Lo schema del sistema del catasto e del libro fondiario è stato spiegato per la prima volta da un appunto (di BUMBAILLIF) nella «China Review», 1890–91 («Land tenure in China»). L’unità catastale era la proprietà di una schiatta designata in base all’anziano che per ogni complesso familiare fungeva da capo della schiatta all’epoca della stesura del catasto (oppure, se vi era già stata una partizione, in base allo stato di allora della proprietà divisa). Anche in caso di partizione o di trapasso di proprietà continuava a sussistere questo numero catastale originario con il suo contrassegno e si annotava soltanto da chi (da quale capofamiglia) d’ora in poi l’imposta o una parte dell’imposta, e quale, andava prelevata. Dieci capischiatta (o questo numero all’incirca) costituivano una «decina», che ancora adesso, conformemente alla vecchia legislazione, era garante in solido per le imposte e doveva garantire la tranquillità. Questa «decina» possedeva anche della terra comune che i capi gestivano (o davano in locazione) a turno: ogni caposchiatta raccoglieva le imposte della sua schiatta. Chi entro il 16 novembre non era in grado di esibire la sua quietanza d’imposta poteva vedersi togliere la terra dalla decina». Se i proventi dell’economia di una schiatta non arrivavano a ricoprire l’imposta si doveva far ricorso alla terra degli antenati della schiatta. Le «decine» erano variabili nel loro contesto: l’appunto citato parla della proposta di un caposchiatta (o del capo del ramo di una schiatta) ad altri nove di unirsi insieme in una nuova «decina». La misura dello stato patrimoniale delle schiatte era molto variabile. Un certo numero di «decine» erano riunite in una «centina», anche per determinate prestazioni, in origine oneri militari e liturgie.
Per il resto, sulle schiatte, vedi più avanti nel testo.
i1. Si è detto che esistevano dei possedimenti di trecento ettari uniti in qualche modo; in sostanza, tuttavia, i possedimenti di un singolo proprietario che superassero tale estensione non erano frequenti. La dissertazione (presso Francoforte) di WENHSIANLU, Die Vorteile des làndli— chen Grund und Bodens und seine Bewirtschaftung in China, Berlin, 1920, che mi è capitata sotto gli occhi all’ultimo momento non riporta nemmeno alcuna cifra.
j1. Mancava, oltre ai circa 15 giorni festivi ufficiali, qualsiasi tipo di «riposo domenicale».
k1. Nelle pianure con colture a giardino, circa 15 anni fa, si pagavano circa 3–4.000 marchi per ettaro (ove bisogna tener conto del potere d’acquisto ben maggiore del denaro rispetto all’Occidente). Nello stesso tempo la redditività si aggirava all’incirca intorno al 7–9 (o meglio il «provento del lavoro» poiché, stando ai dati disponibili, con l’incremento della qualità del suolo diminuiva il tasso percettuale di questa «rendita»).
l1. L’8–9, contro il 12–30 nelle piccole e medie imprese commerciali e industriali.
1. T’ang, una delle più gloriose dinastie della storia cinese (618–907), segnò l’età dell’oro dell’arte, della poesia e della letteratura. Sotto di essa sorse la celebre Accademia Han-lin (785).
2. Nadél, nell’antica Russia, il lotto di terra assegnato dalla comunità rurale alla singola anima o forza—lavoro, nel quadro della periodica redistribuzione delle terre. Il lotto non poteva essere venduto o ipotecato.
3. Obshchina, termine russo, indica la primitiva comunità agraria russa formata in origine da un insieme di famiglie appartenenti allo stesso ceppo, e caratterizzata dalla periodica redistribuzione delle terre coltivabili tra le famiglie a seconda del numero di maschi, o di braccia, o di bocche.
4. «Feudi di gonfalone»: si riferisce agli «otto gonfaloni», cioè alle otto divisioni dell’esercito manciù sotto bandiere di diverso colore.
5. In tedesco Zehntschajt. Chiamiamo così le associazioni di cui si è già parlato che raggruppavano dieci famiglie ciascuna.
6. Shih—ching, «Libro delle Poesie» o «Odi», il secondo dei Cinque Classici, comprende una raccolta di 300 odi che si dice compilata e edita da Confucio in base a una selezione delle 3000 esistenti. Sembra però che tale raccolta in quella forma esistesse già molto prima di Confucio.