INTRODUZIONE

I

Gli studi comparati di sociologia delle religioni di Max Weber, che qui di seguito si pubblicano in traduzione italiana con la sola omissione, per ragioni essenzialmente editoriali, di qualche sezione minore, sono giustamente famosi e sufficientemente noti anche al non specialista. La traduzione da tempo tuttavia si raccomandava, in primo luogo, per ragioni strettamente metodologiche.

Non si può certo dire che la tesi di Max Weber intorno al nesso fra etica vissuta e forme della vita economica sia sconosciuta.

Fin dalla sua prima pubblicazione nell’«Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik» (voll. XX e XXI, 1904–1905), il saggio Die Protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus era in breve divenuto una sorta di best-seller ed anche in Italia era noto al lettore medio fin dal 1928 nell’adeguata traduzione di Pietro Burresi, corredata di una lunga e dotta, se pure per qualche aspetto fuorviante, introduzione di Ernesto Sestan.

Ma appunto questa diffusa notorietà sembra nascere da fonte sospetta o tradisce quanto meno un’interpretazione volgare della tesi weberiana così semplificata da sfiorare l’arbitrarietà. Nessun dubbio che l’eccezionale fortuna dello scritto di Max Weber su L’etica protestante e lo spirito del capitalismo nel primo decennio di questo secolo fosse dovuta per gran parte al «rovesciamento», che molti credettero di individuare in esso, della tesi marxistica relativa alla genesi e al funzionamento del sistema di produzione capitalistico nonché, in una prospettiva più ampia, dell’interpretazione materialistica della storia. Se si tiene conto della violenta reazione idealistica e spiritualistica che precisamente in quegli anni si andava profilando in Europa contro l’evoluzionismo e il positivismo in primo luogo, ma poi, per logica estensione, contro ogni impostazione coerentemente mate rialistica dell’indagine scientifica e contro la stessa idea di scienza, intesa come conoscenza intersoggettiva ed empiricamente verificata, la fortuna e il retentissement della posizione di Weber non hanno bisogno di commento.

Erano gli anni cui andavano emergendo e si affermavano, sul piano teorico, rapporto dell’«evoluzione creatrice» di Henri Bergson in Francia, che fin letteralmente «correggeva» l’evoluzione della specie darwiniana e spenceriana.

Il neo-idealismo in Italia nelle versioni di Giovanni Gentile e specialmente di Benedetto Croce, il quale, appena compiuta la riduzione del marxismo a puro canone d’indagine storiografica con Materialismo storico ed economia marxistica, rotti i ponti con il maestro Antonio Labriola, s’apprestava a dar corso alla pubblicazione de ha Critica.

Il neo-kantismo, l’impostazione della «nuova scuola storica» e la contrapposizione sempre più netta fra Kultur e Civilisation in Germania, che dovevano a poco a poco preparare e infine condurre alla prevalenza della spiegazione culturologica dei fenomeni sociali e ad una equivoca critica della scienza in nome d’una conoscenza non stipulata e non intersoggettiva, di natura para-mistica e religiosa, in Max Scheler e nella fenomenologia di Edmund Husserl, premessa al decisionismo tragico delPesistenzialismo e alla vuota, assurda angoscia dell’irrazionalismo nelle due simmetriche accezioni di misticismo extra-mondano e di vitalismo privo di protezioni logiche.

Parallelamente, sul piano pratico politico, il revisionismo marxista preparava e giustificava gli accomodamenti e le rinunce riformistiche della Seconda Internazionale mentre il sistema di potere europeo, con la violenta riscossa dei nazionalismi e la crisi e quindi il crollo dell’internazionalismo operaio e della solidarietà internazionale, faceva presagire lo scoppio della prima guerra mondiale e si poneva come sinistro preludio al fascismo e al nazismo. Dal punto di vista dell’itinerario intellettuale individuale con riguardo al trapasso dal positivismo scientistico allo spiritualismo e quindi al «ritorno all’ovile» nel seno materno della Chiesa cattolica, resta esemplare, per gli anni a cavallo del secolo, il caso di Charles Péguy, ma anche più drammatica, se pure non scevra di toni e di sostanza d’un opportunismo buffonesco, risulta pochi anni dopo in Italia la «conversione» di Giovanni Papini, l’«uomo finito» che dal «don giovannismo cerebrale» approda all’esperienza religiosa vissuta come irrazionalità programmatica e alla nozione di patria come unica fonte di valori autentici secondo i vieti clichés nazional-fascistici all’epoca avallati anche dai rappresentanti di chiese che si presumono universali.

Sembra chiaro che Max Weber, con la sua categoria di «spirito» del capitalismo, e quindi con l’importanza riconosciuta agli elementi non economici ed extra-economici nella spiegazione della sua genesi, si inserisca in questa tumultuosa e rumorosa corrente di pensiero. Ma con una dignità e con una solidità di informazione e con un’ampiezza di visione che vanno recuperate e riaffermate. Unire ed eventualmente affogare la voce di Weber fra quelle della «canea nazionalista», come pure è stato fatto, finisce per essere, prima ancora che una conclusione scientificamente insostenibile, un affronto morale. Il nazionalismo di Weber non aveva nulla di gretto né di meschino. Non era per alcun aspetto assimilabile alla xenofobia dell’idiota abitante del villaggio né poteva venire legittimamente presentato come l’«ultimo rifugio d’un furfante». Il suo concetto di «spirito del capitalismo» non si poneva, d’altro canto, come postulato unilaterale e fuori discussione. Era invece essenzialmente uno strumento euristico, la formulazione dell’elemento importante, ma non di per sé esauriente, d’una grande ipotesi storico-evolutiva al livello macro-sociologico. In realtà, Max Weber non era, a mio giudizio, interessato a polemiche che reputava contingenti, sibbene tutto il suo sforzo teorico e di ricerca era volto a verificare la stessa ipotesi marxistica, allargandone però i termini, considerandola cioè come una costruzione «ideal-tipica» e quindi, in una certa misura, arbitraria e unilaterale. L’accezione popolare della posizione di Weber nel senso delPanti-marxismo di maniera, pur responsabile com’è della sua rapida fama presso il gran pubblico, fa torto alla serietà weberiana.

L’intento di Weber era diverso e più profondo. Vi era in primo luogo il bisogno, acutissimo in lui per tutta la vita, di venire in chiaro con se stesso intorno all’essenza di ciò che è «moderno» e intorno al significato, all’apparenza prontamente individuabile, in realtà sfuggente e ambiguo, del razionalismo, come costruzione teorica e come razionalizzazione pratica della vita sociale in termini burocratico-organizzativi, e della sua genesi storica. Si può dunque di re che, lungi dal voler semplicisticamente rovesciare e quindi dismettere l’insieme dei problemi teorici e pratico-politici posti dal marxismo, per tutta la vita Weber abbia duramente, in maniera aperta o allusiva, dialogato con Marx, cercando disperatamente di salvare l’autonomia, per quanto ridotta e relativa, del «regno delle idee».

In altre parole, Weber è perfettamente consapevole dell’esistenza di un marxismo volgare, derivato da un’interpretazione frettolosa e meccanicistica del pensiero di Marx e di Engels. Si tratta sostanzialmente della stessa interpretazione contro cui polemizzava con vigoria eccezionale in Italia Antonio Labriola, stimandola responsabile di costruzioni teoriche ibride, intellettualmente irresponsabili, in senso proprio «loriane», come dirà più tardi Antonio Gramsci, e sul piano politico fonte di confusioni e di pressappochismi dagli effetti, per la classe operaia, mortali. Questo marxismo filosoficamente impoverito e de-dialettizzato, ridotto a formula dogmatica poco più che catechistica, e già denunciato nell’introduzione a L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. «Parleremo più avanti in dettaglio della concezione del materialismo storico ingenuo - scrive Weber - che tali idee (cioè quelle che costituiscono l’Ethos, o lo spirito, del capitalismo) vengano alla luce come «riflessi» o “sovrastrutture” di situazioni economiche» (p. 130; virgolette nell’originale). Così come non è legittimo contrapporre scolasticamente la tesi di Weber agli assunti di Marx criticamente intesi, vale a dire correttamente intesi nel loro senso dialettico e dinamico, così è necessario a mio giudizio riconoscere che la ricerca di Weber può a ragione venir fatta rientrare nell’ambito di una sociologia del fenomeno capitalistico globalmente concepito come un insieme di aspetti - economici, politici, giuridici, culturali e sociali - dialetticamente legati e inter-reagenti l’uno sull’altro senza che fra l’uno e l’altro possa postularsi aprioristicamente un carattere di decisività o di mono-causalità se non in senso relativo e con riguardo ad uno specifico contesto storico.

Non a caso la grandiosa ricerca di Weber comincia con un interrogativo che riguarda l’affermarsi della scienza moderna nell’Occidente e dei fenomeni economici e culturali ad essa collegati. «Per quale concatenazione di circostanze - si domanda - proprio qui, in terra d’Occidente, e soltanto qui, si sono prodotti dei fenomeni culturali i quali… si sono trovati in una direttrice di sviluppo di significato e di validità universali?» (p. 89; il corsivo corrisponde allo spaziato deiroriginale). è straordinario che Weber, lo studioso ancora di recente e autorevolmente rimproverato da G. Lukacs per aver rescisso il legame fra l’economia e le altre forme delle attività umane, colleghi esplicitamente raffermarsi della scienza in Occidente alla possibilità che essa offre di applicazioni pratiche lucrose e quindi al sorgere di un’attività economica continuativa nel tempo, generatrice di congrui profitti, tenuta insieme e sviluppata in base al calcolo razionale sia con riguardo al rapporto fra costi e ricavi sia rispetto alla previsione metodica degli sviluppi futuri, legata quindi non tanto all’ exploit occasionale d’un capitalismo piratesco e predatorio quanto invece al concetto e alla pratica quotidiana del Beruj, inteso nel duplice senso di «vocazione» religiosa e di «professione» secolare, cui il guadagno non appare come lo scopo supremo, ma semmai come il puro e semplice sintomo esterno, quasi una conferma non strettamente necessaria, che gli individui e interi gruppi umani stanno vivendo la «retta vita», secondo l’insegnamento delle scritture.

Max Weber è in proposito quanto mai esplicito: «”L’istinto del profitto ”, la “sete di guadagno”, di guadagno monetario, anzi del massimo guadagno monetario possibile: tutto ciò non ha niente a che vedere con il capitalismo. Tale aspirazione è presente, e lo è sempre stata, presso camerieri, medici, cocchieri, artisti, prostitute, impiegati venali, soldati, banditi, crociati, giocatori d’azzardo, mendicanti - è presente, si può dire, presso all sorts and condi- tions of men… Questa ingenua definizione del concetto di capitalismo dovrebbe venire abbandonata una volta per tutte allo stadio primitivo della storia della cultura. La sconfinata sete di profitto non s’identifica minimamente con il capitalismo né tanto meno con il suo “spirito”. Il capitalismo, anzi, può coincidere con il temperamento o perlomeno con il controllo razionale di questi impulsi irrazionali» (p. 92).

Un ordinamento capitalistico in senso proprio presuppone, secondo Weber, la moderna impresa razionale a carattere stabile, capace di un calcolo di capitale in termini monetari e tesa al profitto come condizione fondamentale di sopravvivenza, fondata sull’organizzazione del lavoro formalmente libero (caratteristica, questa, unica ed esclusiva dell’Occidente), sulla separazione netta tra amministrazione domestica e impresa (ed in questo senso il lavoro a domicilio resta come caratteristica tipicamente preo paleo-capitalistica) e infine sulla contabilità razionale.

Ma il sorgere di questa struttura sociale non sarebbe stato possibile, in particolare non sarebbe stato possibile raffermarsi di un capitalismo industriale borghese, scoperte scientifiche e innovazioni tecniche a parte, senza quella che, a giudizio di Weber, è la sua caratteristica essenziale, vale a dire senza l’organizzazione razionale del lavoro libero. D’altro canto, questa caratteristica, rimasta altrove allo stato potenziale, si è pienamente sviluppata nell’Occidente grazie alla «struttura razionale del diritto e deU’amministrazione». «Il moderno capitalismo imprenditoriale razionale - spiega Weber - ha infatti bisogno, oltre che di strumenti tecnici di produzione che permettono un calcolo di previsione, anche di un sistema giuridico fondato sulla certezza del diritto e di un’amministrazione fondata su regole formali» (p. 101). Un’amministrazione e un diritto siffatti sono stati messi al servizio dell’attività economica solo in Occidente. Perché? La domanda di Weber è precisa: donde proviene questo diritto? La risposta del materialismo storico ingenuo o del marxismo meccanicistico è intuibile: questo diritto è il riflesso degli interessi economici dominanti. Risposta troppo facile e chiaramente inadeguata. La risposta di Weber mostra ben altra consistenza: «In altre circostanze… anche gli interessi capitalistici, da parte loro, hanno spianato la via - seppure certamente non da soli e nemmeno come elemento principale - al dominio, nel campo della giustizia e dell’amministrazione, di una classe di giuristi specializzati nel diritto razionale. Ma questi interessi non hanno creato tale diritto. Ben altre forze invece hanno avuto un ruolo attivo in tale sviluppo. E perché gli interessi capitalistici non hanno avuto lo stesso ruolo in Cina o in India? Per quale motivo laggiù né lo sviluppo scientifico, né quello artistico, né quello politico, né quello economico hanno imboccato la via della razionalizzazione che è propria dell’Occidente?» (p. 101; il corsivo corrisponde allo spaziato dell’originale).

È implicito in questo interrogativo l’intento profondo di Weber, il quale cercherà, in questi studi comparativi e dopo aver tentato di provare il nesso fra l’etica protestantica in quanto comportamento quotidiano e il formarsi dello «spirito», o ethos o mentalità prevalente, del capitalismo, di dimostrare l’esistenza di una correlazione significativa fra i precetti di un sistema etico-religioso così come sono percepiti e vissuti e lo specifico svolgersi del comportamento economico, in particolare cercherà, «con una visione generale dei rapporti che intercorrono fra le più importanti religioni, la vita economica e la stratificazione sociale del loro ambiente, di esaminare ambedue le relazioni causali nella misura necessaria per scoprire i punti di somiglianza con lo sviluppo occidentale» (p. 102). Non si tratta dunque mai, per Weber, di porre aprioristicamente l’etica economica a matrice causale univoca del comportamento economico e dello «spirito» che lo muove ed eventualmente lo spiega, bensì di considerare la interazione, ossia il rapporto bi-direzionale, che è a un tempo causa ed effetto e che lega nell’esperienza storica effettiva etica ed economia, struttura e personalità, religione e interessi pratici.

La grandezza e la perdurante validità di Max Weber come sociologo risiedono fondamentalmente in questa qualità del suo lavoro di ricerca, una qualità che non appare semplicemente riducibile a un tour de force erudito, quale ci è dato abbastanza spesso di incontrare nella storia del pensiero sociologico anche recente, e i nomi di Vilfredo Pareto e di Pitirim A. Sorokin vengono subito alla mente, bensì sottende lo sforzo sistematico di descrivere e fissare le componenti costitutive del sociale come globalità, e della quale non sfuggiranno certamente al lettore attento testimonianze eloquenti nelle pagine che seguono. è chiaro che le correlazioni ricercate da Weber nel groviglio dell’esperienza storica effettiva non possono qui contare su strumenti d’indagine diretta, come il questionario, l’osservazione partecipante, le storie di vita, che pure Weber aveva dimostrato di saper usare con rara perizia nell’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini ad est dell’Elba, ma intanto il ricorso alla autobiografia di Benjamin Franklin come tipo emblematico del nuovo spirito di tutta un’epoca immette una ventata potente di rinnovamento metodologico e sostanziale nella storiografia tradizionale, ancora ferma alla storia come intuizione artistica e narrazione delle gesta dei grandi uomini e incapace o riluttante ad usare quelle categorie sociologiche, descrittive ed esplicative, che ad essa avrebbero aperto gli occhi sugli aspetti sociali, economici e culturali che stanno alla base e che formano il tessuto connettivo dei grandi avvenimenti.

A chi abbia sempre presente questo intento profondo di Weber non giungerà inattesa la sua affermazione che «nessuna etica economica è mai stata determinata unicamente da fattori religiosi. Ognu na possiede, naturalmente, un grado di autonomia pura determinato per lo più da dati geografico-economici e storici, che si contrappone a tutti gli atteggiamenti dell’uomo verso il mondo che siano determinati da fattori religiosi o da altri fattori (in questo senso) interiori. Comunque, tra i fattori che determinano l’etica economica c’è anche - nota bene: si tratta di uno dei fattori - la determinazione religiosa del modo di vita. Questo però, evidentemente, entro date frontiere geografiche e politiche, sociali e nazionali, è a sua volta fortemente influenzato da fattori economici e politici» (p. 328; il corsivo corrisponde allo spaziato dell’originale). E che questo non resti come un astratto programma, ma che al contrario funzioni come fondamentale criterio direttivo metodologico della ricerca è provato da una molteplicità di passi.

Per esempio, trattando dell’ebraismo antico e in particolare dell’importanza del concetto di «patto» per Israele, importanza che per Weber si lega all’antico sistema sociale di Israele, fondato su un rapporto contrattualmente definito fra le schiatte guerriere proprietarie della terra e le tribù-ospiti con status di meteci giuridicamente protetti, Weber osserva che «la fattispecie di questo processo non corrisponde alla concezione secondo la quale le condizioni di vita dei beduini e dei semi-nomadi avrebbero “prodotto” la fondazione di ordini, come “esponente ideologico” delle loro condizioni d’esistenza. Questo tipo di costruzione storica materialistica è altrettanto inadeguata qui che altrove. è invece corretto dire che se questo tipo di fondazione si fosse realizzato esso avrebbe anche avuto, date le condizioni di vita di questi strati, probabilità di gran lunga maggiori di sopravvivere, nel corso della lotta selettiva, alle altre formazioni politiche più fragili. Ma la sua nascita stessa dipendeva da circostanze storico-religiose ben concrete e spesso da vicende estremamente personali» (p. 891; virgolette nell’originale; il corsivo corrisponde allo spaziato dell’originale).

È qui abbozzata la famosa reazione reciproca, la umwälzende Praxis, di cui parla Engels, degli elementi ideologici ed extra-economici e insieme delle qualità personali e delle vicende biografiche sulla base socio-economica. Questa «base» non va mai mitizzata come una specie di deus ex machina e il suo rapporto con la cosiddetta «sovrastruttura» è da concepirsi prioritario solo in senso molto relativo tanto più che non solo la «sovrastruttura» è capace di reazione reciproca, o «dialettica», sulla «struttura», ma è inol tre in grado di sviluppare nessi dialettici nei suoi propri termini. Se infatti, prosegue Weber, in seguito alle circostanze religiose e alle vicende personali, «l’efficienza dell’affratellamento religioso come mezzo di potere politico ed economico veniva sperimentato e riconosciuto, allora naturalmente ne conseguiva una forte espansione di questo stesso mezzo. La predicazione di Maometto come quella di Gionadav ben Recab non vanno “spiegate” come il prodotto di condizioni demografiche ed economiche, per quanto il loro contenuto possa essere stato codeterminato anche da queste. Erano invece l’espressione di esperienze e di scopi personali. Ma i mezzi spirituali e sociali di cui si servivano, oltre al fatto del grande successo riscosso proprio da questo tipo di elaborazione, questi sì che sono gli elementi spiegabili alla luce delle condizioni di vita in questione» (pp. 891–892; virgolette nel testo; il corsivo corrisponde allo spaziato dell’originale).

Se l’avvedutezza metodologica si arrestasse a questo punto, la cosa sarebbe già di per sé notevole. Ci troveremo in presenza del tentativo geniale e nella sostanza vittorioso di andare oltre sia alla concezione ingenua del marxismo, che lo blocca al limite del materialismo volgare, sia alla concezione dialettica astratta, che predica il rapporto dialettico ma non dà corso alle ricerche storiche circoscritte che consentano di riempire la forma vuota e quindi mistificante, di quel rapporto con dei contenuti storici specifici. Ma Weber compie un passo innanzi anche più decisivo: si pone con estrema consapevolezza il problema della globalità dell’analisi.

Se l’etica economica è importante per lo sviluppo o per il blocco di determinati comportamenti economici, Weber avverte correttamente come tale importanza investa anche altre sfere, apparentemente lontane o meno immediatamente raggiungibili nei termini del problematico rapporto fra religione ed economia. «Se l’etica di fratellanza religiosa - scrive Weber nelle mirabili “Osservazioni intermedie” - vive in uno stato di tensione con l’autonomia dell’agire mondano razionale rispetto allo scopo, lo stesso avviene, in misura non inferiore, per i suoi rapporti con quelle forze mondane della vita, la cui essenza è fondamentalmente di carattere arazionale o anti-razionale; in particolare per quanto riguarda la sfera estetica e quella erotica» (p. 604).

È in questa capacità di scoprire legami e di cogliere la sostanza e il senso della più remota interconnessione fra fenomeni che appaio no al senso comune differenti e lontani che consiste propriamente il lavoro sociologico. Ed è appunto in grazia della interconnessione che la spiegazione sociologica è una spiegazione condizionale più che causale. In altre parole, è una spiegazione che ricostruisce il significato del sociale ricollegandone e totalizzandone gli aspetti che si presentano empiricamente frammentari, causali e slegati.

Si veda, per un esempio luminoso, la spiegazione che Weber offre delle «caste e tradizionalismo» in India. Perché l’India non conosce, se non per l’intervento inglese e sempre stentatamente, lo sviluppo del capitalismo razionale moderno? «Karl Marx - osserva Weber, ed è una delle poche volte in cui Marx viene direttamente citato - ha individuato nella posizione peculiare dell’artigiano del villaggio indiano, che lavora per un compenso fisso in natura invece che per la vendita sul mercato - il motivo della speciale “stabilità dei popoli asiatici”. E in questo ha ragione… (però) va presa in considerazione non solo la posizione dell’artigiano del villaggio, ma anche l’ordinamento di caste nel suo insieme come puntel lo di questa stabilità. Qui l’effetto non va concepito in maniera troppo diretta. Si potrebbe pensare, per esempio, che gli antagonismi ritualistici delle caste abbiano reso impossibile il sorgere della “grande impresa” con la divisione del lavoro in uno stesso stabilimento, e che questo sia stato il fattore decisivo. Ma non è così. La legge delle caste si è mostrata altrettanto flessibile di fronte alle necessità della concentrazione del lavoro nelle fabbriche quanto lo è stata di fronte al bisogno di concentrare il lavoro ed il servizio nelle caste di famiglie nobili… Nello stesso modo anche il laboratorio (ergastérion) era considerato puro. Di conseguenza l’impiego congiunto di diverse caste nella stessa sala di lavoro non avrebbe incontrato ostacoli rituali, proprio come il divieto dell’interesse, come tale, nel Medioevo, non ostacolò lo sviluppo del capitale industriale… Il nocciolo del problema non stava in queste difficoltà particolari… Il vero ostacolo era nello “spirito” di tutto il sistema… Dovrebbe apparire come il colmo dell’inverosimile che sulla base del sistema di caste potesse mai nascere originariamente la moderna forma organizzativa del capitalismo industriale. Una legge rituale in base alla quale ogni cambiamento di professione e ogni cambiamento nella tecnica lavorativa poteva portare alla degradazione rituale non era certo adatta a promuovere delle rivoluzioni economiche e tecniche nella sua sfera né a rendere possibile anche solo il primo germogliare di tali mutamenti. Il tradizionalismo dell’artigiano, già di per sé molto forte, veniva esasperato da questo sistema… I mercanti stessi, nella loro segregazione rituale, rimanevano nelle pastoie della tipica classe mercantile orientale che non ha mai creato da sé una moderna organizzazione capitalistica del lavoro» (pp. 761–762; virgolette nell’originale; il corsivo corrisponde allo spaziato nell’originaie).

Nessun dubbio che le interconnessioni messe in luce da Weber ed invocate a spiegazione di fenomeni storici specifici siano ancora troppo late, vale a dire si servano di categorie come «stabilità», «tradizionalismo», «razionalità», e così via, ancora troppo ampie per non destare almeno il sospetto che possano adattarsi e coprire situazioni storiche e sociali effettivamente non corrispondenti o addirittura neppure simili. Weber è consapevole di questo pericolo e lo denuncia apertamente: «Una grande quantità di possibili rapporti emergono dinanzi a noi confusamente presentiti… Il nostro compito dunque dovrà essere quello di formulare quel che adesso confusamente ondeggia dinanzi a noi con tanta chiarezza quanta ne consente l’inesauribile varietà, che è riposta in ogni fenomeno storico. Ma per poterlo fare si deve necessariamente abbandonare il terreno delle vaghe concezioni generali… e si deve tentare di penetrare nei caratteri particolari e nelle differenze di quei vasti mondi del pensiero religioso…» (pp. 121–122).

Non solo: Weber si rende conto del pericolo di approssimazioni para-scientifiche e di eclettiche confusioni allorché si tratta di abbracciare in un solo quadro teorico e di organizzare ai fini della prova di verifica i dati relativi ad interi contesti storici e ad archi evolutivi che comprendono intere epoche, la cui sola descrizione comporta di per sé un impegno filologico eccezionale.

II

Queste osservazioni non dovrebbero far pensare che con Weber ci troviamo davanti ad un metodologo formalista del tipo oggi assai comune. Weber sa che il problema del metodo è fondamentale, e ha del resto dedicato ad esso lunghi periodi di meditazione e saggi ancora oggi, per alcuni aspetti, decisivi. Ma sa anche che metodo e oggetto di indagine non si possono scindere, che la funzione del metodo non la si può chiarire nel vuoto problematico, che l’idea di potere indifferentemente applicare a qualsiasi oggetto di indagine un metodo elaborato e definito dal punto di vista tecnico è per la sociologia un’illusione mortale in quanto comporta l’indifferenza rispetto ai temi di ricerca e quindi la caduta nel metodologismo gratuito (si vedano in proposito i rilievi nel mio volume Max Weber e il destino della ragione, Bari, Laterza, 1965).

Più volte Weber torna sulla caratteristica bi-razionalità della sua ricerca: «La questione che si pone in primo luogo è… di riconoscere i caratteri distintivi del razionalismo occidentale e, all’interno di questo, i tratti della sua forma moderna e di spiegarne poi l’origine. Ogni ricerca esplicativa di questo tipo, tenendo conto dell’importanza fondamentale del fattore economico, dovrà prendere in considerazione innanzi tutto le condizioni economiche. Ma anche la correlazione inversa non dovrà essere lasciata in disparte» (p. 102, corsivo mio). Addentrandosi nella trattazione del problema, Weber teme di cadere vittima del solito travisamento che confonde la consapevolezza problematica e la definizione precisa dell’oggetto di ricerca con la valutazione normativa che trasforma qualsiasi catalogo tipologico in una scala di priorità dal punto di vista del valore. «Lo schema costruito - scrive - ha naturalmente il solo scopo di essere uno strumento ideal-tipico di orientamento, non di insegnare una propria filosofìa» (p. 585; corsivo mio).

La cosa deve premere molto a Weber poiché si sofferma puntigliosamente su questo punto particolare offrendo al lettore gli elementi meccanici, per così dire, ossia la tecnica di costruzione ideal-tipica in vista della elaborazione d’una tipologia capace di guidare la ricerca fra la selva dei dati empirici e nello stesso tempo di garantire la possibilità di stabilire tutta una serie di interconnessioni plausibili, se non assolutamente provate dal punto di vista delle pezze d’appoggio empiriche. «I tipi teoricamente costruiti di “ordini di vita” in conflitto - spiega Weber - indicano semplicemente che in questi luoghi (Cina, India, ecc.) tali conflitti sono possibili e “adeguati” - ma non si esclude l’esistenza di punti di vista dai quali questi conflitti possano considerarsi “superati”. Si può facilmente vedere come le singole sfere di valori siano elaborate in una struttura organica e razionale quali raramente si attuano nella realtà, anche se possono attuarsi e di fatto si sono attuate storicamente in forme importanti. Questa costruzione, in presenza di un fenomeno storico che per certi aspetti e per il suo carattere globale si avvicina ad una di queste fattispecie, permette di individuarne la posizione tipologica tramite Vaccertamento del grado di vicinanza o di distanza dal tipo teoricamente costruito (pp. 585–586; virgolette nelPoriginale; corsivo mio).

Ma già si avverte nelle osservazioni metodologiche di Weber un moto di impazienza. Egli è pronto ad immergersi e a fare i conti con le situazioni storiche, culturali e sociali specifiche, cioè a spiegare il suo metodo praticandolo nel vivo della ricerca, e a far capire che in fondo per lui le questioni metodologiche sono semplicemente riflessioni sul lavoro durante il lavoro stesso, il pensare ad alta voce d’un infaticabile artigiano intellettuale. Il puro concentrarsi sul metodo indipendentemente dai contenuti o, più precisamente, trascurando, come dimensione secondaria della ricerca, la consapevolezza problematica specifica, è uno dei segni più certi di decadenza del pensiero sociologico, la riprova dell’avvenuta separazione fra concetti e tecniche di ricerca e quindi dell’inevitabile impoverimento di entrambi. Evidentemente, ciò non significa misconoscere l’importanza del metodo. Significa solo riconoscere il carattere dialettico, storico dei concetti sociologici, che vanno pertanto costruiti e tarati sul metro dei problemi storicamente maturi ed emergenti in relazione a definiti contesti storici, e nello stesso tempo non dimenticare che l’oggetto della sociologia non è la sociologia, bensì i problemi sociali, vale a dire quelle situazioni umane problematiche che vengono indicate non dal mercato né da più o meno lungimiranti committenti, bensì dalla logica interna della ricerca stessa, che per tal via si pone come la suprema garanzia delPautonomia del giudizio sociologico.

Questa autonomia non è un assoluto. Al contrario, essa è direttamente correlativa alVauto-collocazione storica del ricercatore. In questa delicata operazione di auto-collocazione, ossia nella consapevole scelta di un esplicito punto di vista, che implica la rinuncia all’oggettività di tipo naturalistico e nello stesso tempo il franco riconoscimento che ogni tentativo, da parte del ricercatore, di mettersi al di sopra delle parti storicamente in causa, sorvolandone liberamente gli interessi materiali e le prese di posizione ideali, significa in realtà e comporta una condanna all’irrilevanza, consiste propriamente la «coscienza storica». Ciò implica inoltre, e necessariamente, il riconoscimento della relatività di ogni punto di vista, non nel senso d’un relativismo assoluto che coinciderebbe con l’istanza scettica universale e l’indifferentismo morale, ma piuttosto nel senso che ogni punto di vista, anche il più plausibilmente verificato, non può rifiutare di aprirsi all’istanza problematica senza congelarsi in dogma, e quindi senza negarsi precisamente come punto di vista legato ad una «coscienza storica» datata e vissuta, non contraddittoriamente ipostatizzata come forma eterna, meta-storica.

Non si può dire che Weber abbia risolto questo insieme di problemi, eccezionalmente arduo, specialmente con riguardo al rapporto fra conoscere e valutare e a quello, altrettanto controverso, fra lucidità intellettuale e decisione pratico-politica, che nella letteratura marxistica tradizionale viene sbrigativamente indicato come il problema del rapporto fra la teoria e la prassi. Quello che si può con una buona dose di sicurezza affermare è che il metodo è per Weber secondario: come per Marx, come per Thorstein Veblen, come per tutti i grandi sociologi dell’età classica della sociologia.

Per costoro il compito della ricerca non consisteva nel contemplare il proprio ombelico e nel concentrarsi su se stessi in una intimistica attività di auto-auscultazione. La sociologia era in primo luogo ed essenzialmente uno strumento per rendersi conto della situazione storica in cui si trovavano a vivere, delle sue caratteristiche fondamentali e dei probabili sviluppi che, in base a tali caratteristiche, si potevano correttamente ipotizzare. La sociologia era dunque per essi la scienza del movimento storico sociale e della direzione e del significato di questo movimento. Teoria sociologica e società non si fronteggiavano quindi come realtà esterne e contrapposte. La teoria era nella società; la interrogava costantemente e ne era continuamente chiamata in causa; la seguiva e l’anticipava come la sua inseparabile ombra.

In questo senso, un pericolo di fraintendimento si nasconde nella formulazione ormai consueta della tesi weberiana, che la riduce all’esame critico dei rapporti fra religione e società. Lo stesso fraintendimento del pensiero di Weber nel senso delPanti-marxismo volgare è in questa prospettiva un chiaro avviso di pericolo. Religione e società non sono infatti mondi a parte, né vanno grossolanamente concepite come stanze separate. La religione, come l’economia, la cultura, la politica, e così via, è un fatto sociale. Religione e società hanno in comune questo fatto fondamentale, il fatto di essere due realtà sociali, di indicare due realtà non solo analoghe o omologhe o assimilabili o a vario titolo inter-reagenti, bensì di essere entrambe esperienze sociali, istanze storiche della socialità del sociale.

Occorre dunque evitare contrapposizioni dovute, più che ad uno sforzo di genuina concettualizzazione, vale a dire al tentativo di organizzare concettualmente una serie di dati empirici, agli scherzi ottici di schematismi intellettualistici che girano a vuoto su se stessi e pagano la loro eventuale eleganza formale con un incolmabile distacco rispetto alla realtà. Beninteso, Weber si rende conto e descrive le tensioni intercorrenti fra un’etica religiosa di fratellanza e i requisiti funzionali di un’economia capitalistica razionale moderna e la struttura di uno stato politico moderno. «Un’economia razionale - scrive - è un’attività funzionale. è orientata ai prezzi monetari che originano dalla lotta di interessi degli uomini sul mercato. Senza stime in prezzi monetari e quindi senza questa lotta di interessi non è possibile calcolo di sorta. Il denaro è la cosa più astratta e “impersonale” che esista nella vita dell’uomo. Di conseguenza, quanto più il mondo della moderna razionale economia capitalistica seguiva le sue leggi immanenti, tanto più diventava inaccessibile a qualsiasi rapporto con un etica religiosa di fratellanza. E questo distacco cresceva con il crescere della razionalità e dell’impersonalità. Infatti, un regolamento etico integrale del rapporto personale tra padrone e schiavo era possibile proprio perché si trattava di un rapporto personale. Non era possibile invece… regolare i rapporti tra i detentori sempre diversi di titoli ipotecari ed 1 debitori della banca delle ipoteche, a loro sconosciuti e anch’essi intercambiabili, tra i quali non sussisteva nessun tipo di legame personale» (pp. 593–594; virgolette nell’originale; corsivo mio).

Un ragionamento analogo viene svolto da Weber a proposito delle moderne strutture politiche. «L’idea di fratellanza delle religioni redentrici - osserva - se coerente, doveva anche trovarsi in uno stato di tensione particolarmente acuto nei confronti degli ordinamenti politici del mondo. Per la religiosità magica come per quella degli dèi funzionali il problema non esisteva… (ma) Elemento costitutivo di ogni società politica è l’appello alla nuda violenza come mezzo di coercizione non solo verso l’esterno ma anche verso l’interno. Anzi, la violenza è ciò che nella nostra terminologia definisce in primo luogo la società politica: lo “stato” è quella associazione che rivendica il monopolio dell’uso legittimo della violenza - altre definizioni non ne esistono… Ogni politica sarà quindi tanto più estranea alla fratellanza quanto più sarà “oggettiva” e calcolatrice, libera da sentimenti appassionati, senza ira e senza amore. L’estraneità reciproca delle due sfere, quella politica e quella etica, quando ambedue sono completamente razionalizzate, si manifesta con particolare asprezza su punti decisivi, in quanto la politica, contrariamente aireconomia, e in grado di presentarsi come una diretta concorrente delVetica religiosa» (pp. 595–597; virgolette nell’originale; corsivo mio).

Si tratta dunque, nelle parole di Weber, della tensione fra due sfere, l’una religiosa, l’altra economico-politica, ma non di una contrapposizione, con la conseguente mutua esclusione, fra religione e società. Piuttosto, e con maggior precisione, siamo di fronte all’interazione di due situazioni che sono, l’una, religiosa e l’altra extra-religiosa, o mondana, o profana, ma che nello stesso tempo sono ambedue situazioni sociali. Per questa ragione, l’impostazione globale dell’indagine e la ricerca delle interconnessioni non prontamente visibili all’occhio del senso comune divengono momenti importanti della ricerca sociologica fino a costituirne l’essenza e il modo di procedere tipico. Qui Marx e Weber mostrano la chiara tendenza a coincidere. Né si tratta solo di convergenze esistenziali determinate dalla comune matrice culturale tedesca, dal fatto che si tratta di due personaggi dalla morale personale e dalle reazioni umorali tipicamente vittoriane e perbenistiche, tutto sommato molto consci del loro essere Herr Professor in una situazione in cui il professore è ancora un semi-dio non degradato a funzionario. Separati da un paio di generazioni cruciali, hanno però ambedue studiato a Berlino; credono ambedue nella «etica del lavoro» e la praticano, Marx al British Museum e Weber in casa sua per via dell’esaurimento nervoso, con un accanimento sovrumano; e quanto al puritanesimo vittoriano e perbenistico, basti pensare alle angosce di Marx a causa del figlio naturale e ai tormentati rapporti di Weber con la madre, forse non senza influsso sulla tragica, misteriosa scomparsa del padre. Non si tratta solo di questo, che ha naturalmente la sua importanza. Si tratta di una convergenza di metodo e di sostanza che porta a risultati analitici impressionanti.

Si veda il passo in cui Weber, analizzando il confucianesimo e il taoismo, è colpito dal loro fondamentale anti-individualismo e osserva come «né qui né in Egitto o in Mesopotamia la tecnica militare cavalleresca abbia mai portato ad una compagine sociale così individualistica come nelPEllade “omerica” e nel “Medioevo” (p. 400; virgolette nell’originale). Il fattore esplicativo di questo antiindividualismo, o mancato individualismo, non è ricercato né nell’etica né nella psicologia né nel sistema socio-politico. Scatta invece la interconnessione con un dato di natura geografica e tecnologica insieme: la inevitabile dipendenza di tutta la popolazione dalla regolazione dei corsi d’acqua e quindi la subordinazione totale al governo personale burocratico del principe «hanno agito da contrappeso».

Vi è qui in nuce tutta la «teoria idraulica del dispotismo orientale» di Karl Wittfogel, ma le osservazioni weberiane richiamano anche l’articolo pubblicato da Marx nella Herald Tribune di New York a proposito degli effetti razionalizzanti e anti-tradizionalistici che la ferrovia costruita in India dagli Inglesi avrebbe avuto su un sistema sociale statico e tecnicamente arcaico. Vi è di più: la struttura del ragionamento weberiano non è dissimile da quella del ragionamento di Marx là dove, nel libro primo del Capitale, in quei mirabili capitoli dedicati all’avvento della grande industria meccanizzata e alla giornata lavorativa, così ricchi di particolari tecnici e così accurati nella descrizione del processo produttivo da far sospettare il contributo diretto da Friedrich Engels e le risorse della sua esperienza personale di direttore generale della produzione nello stabilimento tessile paterno a Manchester, Marx ricostruisce magistralmente la matrice contestuale e le condizioni della disgregazione della famiglia operaia attraverso una serie di interconnessioni che partono da una innocente innovazione tecnica, dalla incorporazione dell’utensile nella macchina: questa innovazione tecnica, all’apparenza neutra, ha in realtà un duplice ordine di conseguenze. Da un lato, specializza la macchina mentre dequalifica l’operaio. Il vecchio artigiano d’un tempo, divenuto operaio avendo perso la proprietà, cioè il controllo legale, dei suoi mezzi di produzione, ora perde anche il controllo della erogazione della sua forza nervosa e muscolare e il suo senso di responsabilità diretta sul lavoro, in quanto non dipende più da lui decidere l’inclinazione dell’utensile nell’incisione della materia prima, e quindi la velocità di taglio della macchina, e quindi i tempi di produzione. Dall’altro lato, l’incorporazione dell’utensile nella macchina rende possibile l’assunzione in pianta stabile di manodopera femminile, meno qualificata - ma la qualifica non è più un requisito essenziale ora che la macchina è stata «promossa» - e più docile; le donne abbandonano dunque casa e figli e sostituiscono i loro uomini nel posto di lavoro; questi si trovano a spasso e si danno alPalcoolismo. Con una caratteristica assenza di sentimentalismo proletario, Marx osserva che gli operai, in concomitanza con quell’innovazione tecnica, si vedono la famiglia disgregata, cominciano a darsi al bere, vendono sul mercato del lavoro capitalistico, formalmente libero, moglie e figli; divengono, conclude Marx, i «neo-mercanti di schiavi».

Non dovrebbe eccessivamente meravigliare che questa straordinaria capacità di cogliere le interconnessioni significative consenta a Marx, ma anche a Weber, previsioni fulminee che hanno per noi, retrospettivamente, un valore pressoché profetico. Non penso al cosiddetto «messianesimo» di Marx, che soprattutto allorquando viene collegato con il retaggio culturale israelitico o più precisamente biblico di Marx non so considerare se non con invincibile fastidio. Penso invece alla previsione scientifica di Marx relativa al gigantismo industriale, al crescere del proletariato industriale, appena agli inizi all’epoca di Marx, alla visione della società industrializzata come società di classe, dicotomicamente spezzata e divisa fra chi possiede i mezzi di produzione e chi ne è posseduto, cioè fra proprietari ed espropriati. Anche se a breve termine questa visione dicotomica della società appare smentita dai dati di fatto, tanta è la proliferazione di ceti e di quasi-classi «intermedie», non sembra dubbio che, nel lungo periodo, si vada profilando una bipolarità tendenziale in termini di potere destinata a contrassegnare in maniera essenziale la struttura di classe delle società tecnicamente progredite.

Ma grate sorprese di questo genere, forse più circoscritte e meno civettanti, dal punto di vista del linguaggio, con l’impianto del discorso hegeliano, si trovano numerose anche in Weber. Per esempio, sulla base di una somiglianza delPorganizzazione proprietaria agricola fra Cina e Russia, cogliamo in Weber una straordinaria intuizione profetica: «I contadini per così dire “effettivi”… erano quindi, molto tipicamente, in balìa dell’arbitrio dei Kung kun, i kulaki (“pugni”) come si direbbe nella terminologia contadina russa… i contadini avevano a che fare con i nullatenenti organizzati da ogni kung kun, cioè con la bédnata (“povertà del villaggio”) nel senso proprio della terminologia del bolscevismo, che potrebbe trovare proprio in questo la base della sua forza dfattrazione sulla Cina» (pp. 497–498; corsivo mio). Forse solo in Thorstein Veblen, nel libro Imperial Germany and thè Industriai Revolution, dove sulla base d’una descrizione ferocemente distaccata delle «propensità sportive delle masse» odierne, ivi compresa la classe operaia, si teorizza la possibilità della cattura della «lealtà» di queste masse da parte di un qualsiasi Führer sufficientemente abile nell’arte della mistificazione, abbiamo un analogo esempio di intuizione predittiva.

Tenuto a dar fondo alla propria informazione enciclopedica, Weber non disdegna tuttavia, accanto alla ripresa dei Veda o alla lettura dei testi biblici o dell’ Istituzione di Calvino, di ricorrere talvolta alla citazione dell’articolo di giornale, e anche in ciò la somiglianza con Marx colpisce. Come Marx cita dal Morning Star del 23 giugno 1863 nel Capitale (Cap. VIII, «La giornata lavorativa») la notizia circa la «morte da lavoro» della giovane sartina Mary Anne Walkley, così Weber non esita, a conforto della sua tesi sull’importanza delle schiatte in Cina, a citare la Peking Gazette del 14 aprile 1895 a proposito della «liberazione, da parte di due associazioni di schiatte, di una persona arrestata da un percettore di imposte» (p. 499; nota). Una tradizione, questa dell’uso sociologico della citazione giornalistica, tutt’altro che indegnamente continuata da Vilfredo Pareto e giunta senza gravi scosse fino allo Herbert Marcuse di One-dimensional Man.

III

Da Weber, dunque, come da Marx, giunge a noi un forte impulso verso la elaborazione di una scienza unitaria dell’uomo in società: un’impostazione globale della ricerca che va oltre alla concezione scolastica e puramente strumentale dell’approccio inter-disciplinare, che si riduce pertanto ad un semplice artificio per garantire la divisione del lavoro accademico, spezzando il carattere tendenzialmente unitario della ricerca sociologica intorno ai problemi specifici. Ma è chiaro, ed è appena necessario avvertirlo nel caso di Max Weber, che le esigenze correlative delPunitarietà e della globalità non vanno intese come una specie di inconfessata indulgenza verso la vaghezza generalizzante e l’indistinto teorico.

è specialmente ne Uetica protestante e lo spirito del capitalismo che Weber ha deliberatamente tentato di stringere, per così dire, il suo discorso, che doveva lui per primo stimare un discorso fatto a maglie eccessivamente larghe, con rimandi e confronti dà una civiltà all’altra, anche solo a causa dell’ampiezza e poli-dimensionalità del disegno della sua ricerca. Non v’è dubbio che a proposito del cristianesimo, e dei rapporti fra cattolicesimo e protestantesimo e quindi, all’interno di quest’ultimo, a proposito delle sette protestantiche, dal calvinismo al pietismo, al metodismo e al movimento battista, Weber intende scendere nel dettaglio, si rende conto della necessità di una determinazione logico-linguistica più rigorosa dei termini impiegati, anticipa sostanzialmente le osservazioni del suo critico più temibile, Kurt Samuelsson: «l’ipotesi di Weber di una correlazione diretta fra Puritanesimo e progresso economico rappresenta una generalizzazione la quale, a parte il problema della sua fondatezza di fatto, è metodologicamente inammissibile. I due fenomeni sono così vaghi e universali da non riuscire suscettibili di valutazione mediante la tecnica della correlazione» (cfr K. Samuelsson, Religion and Economie Action, Stoccolma, 1957; trad. ingl., New York, 1961, p. 148).

Abbiamo già più sopra accennato a queste difficoltà metodologiche in senso stretto, difficoltà che sono vere ma che non sono tuttavia tali a mio giudizio da infirmare le basi concettuali e il generale disegno della ricerca weberiana, tanto più che l’analisi delle religioni mondiali condotta da Weber è importante nel suo progetto solo come verifica indiretta dell’analisi che intende condurre delle forme dell’etica cristiana, intesa non come «teoria teologica» ma come «spinta all’azione», in rapporto allo sviluppo del capitalismo razionale moderno e segnatamente del suo «spirito» (concordo in proposito sostanzialmente con le osservazioni di Benjamin Nelson e di S. N. Eisenstadt per cui cfr. Ch. Y. Glock e Ph. E. Hammond (a cura di), Beyond the Classies: Essays in the Scientifie Study of Religion, New York, 1973).

Con un modo di procedere che ritroviamo ne Le suicide di Emile Durkheim, Weber si pone davanti alla mappa d’Europa, concentra la sua attenzione sulla Germania, «paese di confessioni miste», e constata un fatto (non da tutti accettato pacificamente): «il carattere prevalentemente protestante della proprietà e dell’impresa capitalistica e delle élites operaie più colte, e specialmente del più alto personale tecnico o commerciale delle imprese moderne» (p. 109). Come Durkheim, di fronte alla stessa carta geografica dell’Europa, notava un più alto tasso di suicidi nei paesi nord-europei, fra i protestanti e in genere fra gli individui appartenenti a civiltà ad alto grado di individualismo e di responsabilità personale, mentre i casi di suicidio diminuivano nell’Europa mediterranea fin quasi a sparire del tutto, e in base a ciò legava un fatto generalmente reputato come la conseguenza d’una decisione eminentemente individuale al tipo e al grado della coesione sociale, così Weber, in modo del tutto analogo, distingueva fra paesi a struttura religiosa protestantica, più proclivi a creare le condizioni, ideali e pratiche, per l’affermarsi dello «spirito» del capitalismo, e paesi cattolici, più tradizionalistici e meno pronti ad accettare con coerenza le conseguenze del razionalismo economico.

Ma Durkheim aveva a che fare con un problema più circoscritto e tutto sommato più «maneggevole». Di più, poteva contare sulle statistiche di Enrico Morselli e di altri ricercatori, che gli avevano fornito una base statistica e matematica, almeno a prima vista, ineccepibile. Per Weber il problema si presentava più complesso. Era sufficiente il caso di Benjamin Franklin ad illustrare il nuovo «spirito» ? E del resto, proprio nel caso di Franklin, si trattava del «prodotto» di un’etica religiosa o non piuttosto degli effetti, per eccellenza «laici», dell’Illuminismo francese, che il solerte americano aveva abbondantemente assorbito durante il soggiorno parigino? E la stessa concezione di Beruf, ricavato con indubbia genialità da Lutero come «eroe della Riforma», poteva dirsi caratteristica esclusivamente protestantica o andava invece riconosciuta anche al mondo cattolico? E lo stesso Calvinismo, visto come la fonte propulsiva del capitalismo razionale e imprenditoriale, nella misura in cui invece di godere edonisticamente (o artisticamente, come alla corte papale o medicea) dei profitti, impone di reinvestirli produttivamente e quindi, avendo in mente la «retta vita», l’insegnamento delle Scritture, e la conseguente certezza di redenzione, porta intanto nei fatti alla costruzione delle gigantesche imprese bancarie, come si concilia con la secolarizzazione razionale della vita sociale? Non è forse esso stesso un movimento religioso e una struttura dogmatica anche più dura, ortodossa e rigorosa della Chiesa cattolica cui si oppone? E allora, non è forse giusto, storicamente fondato e logicamente necessario ritenere, come suggerisce Herbert Lùthy, l’ultimo e il più raffinato critico della tesi weberiana, che non la Riforma ha stimolato e a vario titolo determinato l’avvento del capitalismo razionale moderno, ma al contrario la Controriforma, come reazione alla Riforma stessa, ha dapprima ostacolato, e quindi bloccato e soffocato tutti quei germi e quelle prime esperienze di capitalismo moderno che in Italia, e in generale nei paesi cattolici, già andavano fermentando e sviluppandosi assai prima che nei paesi protestantici?

Ma intanto, che cos’è lo «spirito» del capitalismo ? (Alla parola Geist, spirito, Schopenhauer usava domandare: Wer ist der Bursche? E chi è questo giovanotto?) Weber mette le mani avanti: «La perfetta definizione concettuale non può… stare al principio ma deve essere posta alla fine delPindagine; si paleserà perciò, nel corso della trattazione, e ne costituirà l’importante risultato, come debba formularsi nel miglior modo, più adeguato ai punti di vista che qui ci interessano, ciò che noi comprendiamo come “spirito del capitalismo”» (p. 122; virgolette nell’originale).

A poco a poco emergono nelle pagine di Weber le caratteristiche costitutive di questo concetto-chiave: l’utilitarismo ragionevole; la sete di guadagno temperata dalla razionalità e soprattutto dall’onestà, strumentalmente vista non tanto come valore in sé quanto come il mezzo per ottenere crediti finanziari; Tanti-tradizionalismo; infine, il concetto di «professione» nel suo duplice significato di «attività lavorativa» e di «vocazione religiosa», che sarebbe «pura stoltezza» (p. 155) voler considerare come il semplice riflesso di condizioni materiali. Secondo Weber è questo concetto di Beruf il concetto che fa da perno a qualsiasi spiegazione scientifica della genesi del capitalismo moderno. Contrariamente alla concezione di Werner Sombart, che scorge le origini del capitalismo moderno semplicisticamente nella «soddisfazione dei bisogni» e nel «guadagno», Weber trova che nell’etica vissuta delle sette protestantiche «assolutamente nuova era una cosa: il valutare l’adempimento del proprio dovere, nelle professioni mondane, come il più alto contenuto che potesse assumere l’attività etica» (pp. 163–164). A Weber non sfuggono le conseguenze pratiche di questa «assoluta novità»: «Trova dunque espressione nel concetto di Beruf quel dogma centrale di tutte le denominazioni protestanti, che rigetta la distinzione cattolica dei comandamenti etici del Cristianesimo in praecepta e consilia, e che riconosce come solo mezzo per vivere in maniera grata a Dio, non il superamento tramite l’ascesi monacale della morale di chi vive nel mondo, ma esclusivamente l’adempimento dei propri doveri mondani, quali essi risultano dalla posizione di ciascuno nella vita» (pp. 165–166).

Contrapposti per molti aspetti, ideali e pratico-politici, Luteranesimo e Cattolicesimo si ritrovano uniti nella comune opposizione al Calvinismo, il «rappresentante storico del Protestantesimo ascetico», cui Weber riconosce una funzione determinante nella creazione dello spirito capitalistico moderno. Naturalmente le ragioni di attrito fra luterani e cattolici, da una parte, e calvinisti, dall’altra, sono numerose. «Ma il fondamento dell’avversione contro il Calvinismo, comune a cattolici e a luterani - osserva Weber - si trova anche nel carattere etico del Calvinismo. Anche l’osservazione più superficiale ci insegna che esso ha istituito un rapporto fra vita religiosa e azione profana di natura del tutto diversa da quello che troviamo nel Cattolicesimo quanto da quello del Luteranesimo» (p. 178). è infatti dal Calvinismo che Weber vede dipendere la doppia accezione, ossia la portata religiosa e profana a un tempo, del concetto di Beruf. Ed è, d’altro canto, e comprensibilmente, su questo concetto che si concentra il fuoco delle critiche anti-weberiane.

Il lungo elenco dei critici è aperto da H. M. Robertson, che accomuna nella stessa polemica Weber e Richard H. Tawney, alleandosi invece con Lujo Brentano, l’insigne collega di Weber, membro di un’antica famiglia di banchieri di origine italiana e cattolica, che del resto non esita a chiamare in causa quale materiale di prova contro la tesi di Weber (per le posizioni di Tawney, che solo in parte coincidono con quelle di Weber, mi si consenta di rinviare alla mia «introduzione» a R. H. Tawney, Opere, Utet, Torino, 1975). Lungi dal riconoscere una funzione importante al concetto e alla pratica di Beruf con riguardo all’avvento del capitalismo razionale moderno, Robertson inclina piuttosto ad attribuire tale funzione alle «scoperte geografiche», prime responsabili per il dirottamento verso i paesi protestantici dell’attività economica e commerciale a scapito dei paesi mediterranei e cattolici (cfr. H. M. Robertson, Aspects of thè Rise of Economie Individualism a Criticism of Max Weber and his School, Londra, 1933).

Nello stesso torno di tempo, Amintore Fanfani e una pleiade di altri critici minori cercavano di dimostrare l’insufficienza della tesi weberiana semplicemente affermando che lo «spirito» del capitalismo e l’etica vissuta o lo spirito religioso, non importa di quale denominazione, non avevano nulla in comune e non avevano quin di nulla da spartire. Singolare risoluzione, questa, del problema, che in definitiva approdava alla sua pura e semplice soppressione (cfr. A. Fanfani, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione del capitalismo moderno, Milano, 1933). L’unica attenuante, forse, era data dalle ricerche, anteriori di qualche anno a quelle di Weber, di W. Cunningham, il quale non menzionava neppure il Calvinismo e vedeva nel processo di secolarizzazione, invece che in un’etica religiosa purchessia, il fattore fondamentale che aveva preparato la via per lo sviluppo del capitalismo individualistico e razionale dell’epoca moderna (cfr. W. Cunningham, An Essay on Western Civilization in its Economie Aspects, Londra, 1904).

Ma il concetto di Beruf, che si presenta difficile da scalzare sul piano propriamente teoretico, offre invece il fianco a critiche che mi paiono fondate allorquando, come vien fatto esplicitamente da Weber, è incarnato nella figura di Benjamin Franklin. è certamente difficile provare il carattere anche solo remotamente religioso di questa figura. In realtà, non so immaginare un tipo umano e sociale più lontano dalPattivismo e dalla preoccupazione tutta calvinistica di procurarsi quante più possibili garanzie della certitudo saiutis alla luce della teologia della predestinazione di questo gentiluomo di Philadelphia naturalmente aristocratico, diplomatico, viaggiatore e perdutamente innamorato di buone letture classiche e di signore mature («sono così grate» !), che sogna solo di risparmiare tanto da potersi al più presto ritirare a far passeggiate e a studiare in una casa piena di libri e in un giardino pieno di fiori. Temo davvero che, dal punto di vista di Weber, Benjamin Franklin, uno dei Founding Fathers e ambasciatore a Parigi dei neo-nati Stati Uniti, inventore del parafulmine e coccolato dalle donne, sia l’eroe sbagliato. Vien da pensare che Weber proietti qui le sue ansie religiose, represse nel fondo della coscienza, su un personaggio calmo che non ha nulla del suo pathos, agnostico, tranquillo come solo un deista può esserlo (gli atei sono i soli a preoccuparsi seriamente di Dio).

Meno convincenti mi sembrano le critiche mosse a Weber sulla base del fatto che, almeno cento anni prima di Benjamin Franklin, un francese, e cattolico per di più, Jacques Savary, aveva pubblicato un libro in cui si possono gustare idee e consigli non dissimili da quelli propinati da Franklin (si veda J. Savary, he parfait nègo- ciant ou Instruction générale pour ce qui regarde le commerce detoute sorte de marchandise, tant de France que des pays étrangers, 1675). Del Savary, proto-utilitarista e proto-rappresentante dello «spirito del capitalismo» fanno gran caso Samuelsson e Liithy (cfr. spec. H. Liithy, Le passé présent: combats d’idées de Calvin a Rousseau:, 1965).

Dal canto suo, Werner Sombart trova un anticipatore di Franklin in Leon Battista Alberti e in Der Bourgeois cita ampiamente da I libri della famiglia. Lo stesso Sombart nella sua opera maggiore, Der Moderne Kapitalismus, indica, come autentico rappresentante dello «spirito capitalistico», in ogni caso più genuino dell’eroe scelto da Weber, il grande finanziere Jakob Fugger, dotato di un gusto sportivo per ammassare denaro e naturalmente mai pronto per la pensione. Weber prende le osservazioni di Sombart molto sul serio e dedica alla questione del rapporto fra Leon Battista Alberti e Franklin una lunghissima nota a pie di pagina.

In realtà, per il ragionamento di Weber, non era tanto importante stabilire i precedenti filologici d’una certa posizione filosofico-pratica quanto invece determinare il carattere di rappresentatività del tipo esemplare o emblematico trascelto come personificazione della nuova mentalità emergente. è probabile, da questo punto di vista e nonostante gli errori interpretativi di Weber, che Franklin abbia un più alto valore di rappresentatività degli altri precursori menzionati dai critici (si vede in proposito Ernst Troeltsch, specialmente con riguardo alla nozione di «individualismo» e «modernità», Die Bedeutung des Protestantismus für die Entstehung der Modernen Welt, München, 1911).

In altre parole, voglio dire che la tesi di Weber non può venire confutata soltanto sulla base di qualche inesattezza di dettaglio oppure in termini di qualche svista filologica. Possibilità, quest’ultima, data la natura enciclopedica dell’opera, tutt’altro che irrealistica. Occorre tener presente l’intento di Weber e il livello di generalizzazione medio sul quale si colloca il suo discorso. Anche se Savary ha preceduto di cento anni Franklin, e forse proprio per questo, è probabile che Franklin abbia un valore rappresentativo, rispetto alla mentalità prevalente o media, decisamente più alto di quello di Savary o di Leon Battista Alberti o ancora di Jakob Fugger. (Per gli effetti negativi, in termini di psicoterapia, della concezione dualistica del calvinismo che divide gli uomini in «eletti» e «dannati», cfr. M. Rotenberg, «The Protestant Ethic against thè Spirit of Psychiatry: thè other side of Weber’s Thesis», in The British Journal of Sociology, XXVI, i, marzo 1975).

Un ragionamento analogo va fatto con riguardo alle critiche di scarsa accuratezza concettuale di cui darebbe prova Weber nell’esposizione delle dottrine teologiche dei rappresentanti del protestantesimo ascetico. Una critica di questo tipo è stata, fra gli altri, mossa a Weber da Carlo Antoni nel profilo, molto istruttivo, che gli dedica nel libro Dallo storicismo alla sociologia (Firenze, 1940). è una critica che rivela in chi la formula un fraintendimento grave. L’intento di Weber non consiste nel disquisire la teologia ad alto livello di astrazione. Non gli interessa una discussione filosofica di etica pura. A lui interessa, ai fini della sua ricerca, non tanto il pensiero etico dei teologi protestanti quanto il sentire morale medio, vale a dire l’etica vissuta, cioè l’etica che diviene comportamento quotidiano, rapporto inter-personale, attività economica, transazione commerciale. Per questa ragione, più che le Istituzioni di Calvino, lo interessano il Christian Directory di Richard Baxter, cioè la teoria teologica ma solo in quanto diventa spinta all’azione, pratica di vita, regola di condotta. (Si vedano in proposito le osservazioni di R. K. Merton, Science, Technology and Society in Seventeenth Century England, nuova ed., New York, 1970, spec. cap. IV). Posso capire al riguardo il disappunto di un compito storico della filosofia o le frustrazioni di un filologo, ma non debbo dimenticare che l’intento di Weber è un altro.

IV

I limiti veri della costruzione interpretativa di Max Weber sono da ricercarsi altrove. La ormai imponente letteratura nei suoi riguardi costituisce per gran parte uno sforzo, anche notevole per erudizione e in qualche caso per genialità, ma fuori strada. Si tratta di colpi sparati-contro il bersaglio sbagliato. I limiti autentici di Weber non riguardano i particolari della sua opera incredibilmente vasta e quindi segnata dalle inevitabili sviste e anche da un certo grado di ripetitività. Chiamano invece in causa la struttura stessa del suo pensiero e alcuni suoi presupposti fondamentali.

In primo luogo, il cosiddetto «individualismo metodologico». Weber non si stanca di analizzare complessi istituzionali, intere epoche storiche, contesti dottrinali e organizzativi a un livello estremamente vario di formalizzazione. Eppure, l’esplicito presupposto della sua ricerca è nettamente individualistico. L’azione sociale, per Weber, è l’azione di un individuo. è vero che egli preferisce parlare di «agire sociale», usando il verbo in luogo del sostantivo ad evitare o a ridurre il rischio della reificazione, ed è anche vero che nell’agire sociale (s oziale Handelti) Weber non fa rientrare ciò che essenzialmente appartiene alla sfera personale di chi agisce; per esempio, l’estasi religiosa, salvo che venga usata per influire sul comportamento di una massa umana; così come viene escluso dall’agire sociale l’agire d’un individuo orientato puramente verso cose (per esempio, scalare una montagna, a meno che lo scalatore si dedichi all’impresa avendo di mira il prestigio per sé, per il proprio paese o per il proprio club, o ancora in vista d’una ricompensa monetaria o d’altro genere). In altri termini, poiché per Weber la sociologia è la scienza che si propone «di comprendere (verstehen) in virtù di un procedimento interpretativo l’agire sociale» (Economia e società, trad. it., Milano, 1961, vol. I, p. 4), l’oggetto proprio della sociologia non può essere né la società, come qualche cosa di diverso dagli individui che la compongono, né lo stesso individuo in quanto tale, bensì l’«agire in società». Con questa formula Weber vuol intendere ogni comportamento, necessariamente individuale, che sia «dotato di senso» (Sinvoli), cioè che sia orientato nei confronti di certi valori diffusi all’interno della collettività cui l’individuo appartiene.

Questa impostazione dell’analisi sociologica è a mio giudizio tutt’altro che fondata sia dal punto di vista epistemologico che sostanziale. In altra sede ho approfondito questo tema (si veda in particolare il mio Trattato di sociologia, Utet, 1968) e su di esso converrà tornare in altra occasione, ma è intanto fin da ora importante osservare che per l’analisi sociologica l’atomo, cioè il nucleo elementare non più divisibile, da cui essa deve partire, non è l’individuo, bensì il ruolo, quindi il gruppo, quindi la classe e la struttura di classe, dialetticamente concepita quale componente e insieme caratteristica fondamentale di una data società. Porre alla base della ricerca l’individuo, e sia pure concepito nel suo esprimersi attraverso l’agire sociale, che non sarebbe altro se non l’agire individuale che sconta le reazioni degli altri e si orienta verso gli scopi e le realtà extra-individuali e che per questa via in qualche modo «si socializza», rende piuttosto difficile evitare in ultima analisi il pericolo dell’irrazionalismo. Senza notare che manca totalmente in Weber, come del resto in Marx, una teoria pienamente esplicitata della personalità. Ma la cosa è meno seria per Marx, dato il suo presupposto materialistico e tenuto conto che Marx pensa in termini di «formazione sociale» e di «soggetto storico». Ben più gravi sono le difficoltà per Weber. Queste si rendono manifeste nella stessa incertezza e nelle ambiguità che circondano la definizione del concetto di «spirito del capitalismo», definizione che Weber rimanda alla fine della sua ricerca, come risultanza conclusiva del suo lavoro, ma che poi dimentica di darci.

In secondo luogo, mentre abbiamo più sopra sottolineato i meriti di Weber come sociologo che non rinuncia ad una considerazione globale delle situazioni storiche e socio-economiche determinate, tanto da contribuire grandemente a criticare quelle impostazioni parcellari della ricerca le quali finivano, e tuttora finiscono, per tradurre una giusta esigenza euristica in uno specialismo tecnicistico incapace di visione sinottica e comparativa, occorre riconoscere che la globalità weberiana è una globalità statica: le componenti del sociale sono tutte contestualmente e coordinatamente indagate, ma si rinuncia a dare ad esse una valenza differenziata con l’inevitabile risultato di una stasi che implica la inesplicabilità del processo storico come processo dinamico in sviluppo (si veda in proposito l’ultimo capitolo del mio libro Weber, Accademia, Milano, 1972, e le osservazioni nella mia «introduzione» a La sociologia del potere., Laterza, Bari, 1973). Le conseguenze di ordine politico di questa paralisi sono eccezionalmente gravi ed è qui che vanno ricercate, a parte il blocco determinato dalla sua origine sociale, le ragioni della straordinaria cecità di Weber dinanzi all’incombente pericolo del nazismo. Sfiora l’incredibile pensare che l’uomo che aveva correttamente previsto la tendenza mondiale verso la razionalizzazione della vita e che aveva inoltre intuito come il processo di burocratizzazione sarebbe passato, sostanzialmente indenne, come un sommergibile, sotto le impalcature ideologiche del capitalismo e del socialismo tanto da poter scrivere che «come il mondo, all’infuori del moderno Occidente, non ha conosciuto un’organizzazione razionale del lavoro, così, per questo stesso motivo, esso non ha conosciuto nemmeno un socialismo razionale» (p. 98), è lo stesso uomo che nella redazione della Costituzione della Repubblica di Weimar ha suggerito l’approvazione dell’articolo 48, ossia del famoso Diktatur Paragraph, quello che in caso di emergenza nazionale riconosceva i pieni poteri al presidente del Reich e in base al quale il nazismo potè arrivare legalmente al governo in Germania nel 1933.

Restano tuttavia in piedi due meriti fondamentali, cui sarà necessario da parte degli studiosi di scienze sociali dedicare anche per l’avvenire attenta riflessione. In primo luogo, bisogna riflettere sul modo stesso di lavorare di Weber, un modo singolarmente alieno da preoccupazioni definitorie estrinseche delle discipline accademicamente intese, in cui saltando allegramente gli steccati formali e le paratie stagne fra materia e materia si mescolano e si arricchiscono a vicenda storia, economia, filosofia, diritto, antropologia e linguistica, tutte sorrette da un apparato teorico-concettuale costantemente rinnovato e mai separato dal vivo svolgimento della ricerca. In questo senso il lavoro di Weber costituisce un passo avanti verso la costruzione di una scienza sociale unitaria e come tale va ritenuto un’acquisizione definitiva. In secondo luogo, e con riferimento particolare agli studi comparati di sociologia delle religioni, la lezione di Weber è di straordinaria importanza. Le ricerche odierne di sociologia della religione hanno ancora molto da imparare, a mio giudizio, dal lavoro di Weber. Troppo spesso queste ricerche sembrano accettare un ruolo subalterno, se non propriamente ancillare, rispetto ai sistemi dottrinali e alle strutture ierocratiche e organizzative delle religioni esistenti. Per questa via, le ricerche sociologiche in questo campo rinunciano alla loro funzione critica per ridursi, più o meno consapevolmente, ad un non sempre brillante capitolo della teologia morale e della pratica pastorale. Anche per ovviare a questi lamentevoli esiti la rilettura dell’opera di Max Weber ci sembra oggi importante.

FRANCO FERRAROTTI

NOTA BIOGRAFICA

1864 Max Weber nasce a Erfurt, il 21 aprile, da famiglia appartenente alla borghesia liberale. Il padre, il giurista Max Weber senior, partecipa attivamente alla vita politica come membro del Partito costituzionale, frazione dell’ala destra liberale, a Berlino, prima di ottenere un posto di magistrato nella cittadina di Erfurt dove nasce il primogenito Max.

1869 Max Weber senior viene chiamato a ricoprire un ufficio al consiglio comunale di Berlino e inizia di lì a poco la sua carriera parlamentare di deputato nazional-liberale; andrà a ricoprire un seggio presso il Landtag ed il Reichstag. La famiglia si trasferisce a Berlino e la casa di Weber diventa un centro di riunione di deputati e uomini politici. In questo modo la villa di Charlottenburg, fuori città, dove risiede la famiglia, diventa sempre più ricca di stimoli ed interessi politici che il giovane Weber assorbe. Frequentano la casa, oltre ai dirigenti del partito nazional-liberale e varie importanti personalità politiche, anche personalità di primo piano del mondo della cultura come Dilthey, Treitschke e Mommsen.

1882 Termina gli studi liceali, nel corso dei quali ha dimostrato un vivo interesse per i classici greci e romani (Omero, Virgilio, Cicerone) e per la storiografia antica, e sostiene l’esame di maturità classica. Si iscrive a Giurisprudenza presso l’Università di Heidelberg, dove segue anche corsi di storia, economia politica e filosofia.

1883 Si trasferisce a Strasburgo per prestare il servizio militare. Vi risiede la famiglia Baumgarten con suo cugino ed amico intimo, Otto Baumgarten, il futuro celebre professore di teologia, che esercita su di lui, specie durante il primo anno di università, una notevole influenza. Frequenta intensamente lo storico Hermann Baumgarten, padre di Otto, e il geologo E. W. Benecke (marito, come H. Baumgarten, di una sorella della madre di Weber). Manifesta vivo interesse per gli scritti del teologo Channing che avranno su di lui una duratura influenza, in particolare per quanto riguarda la dottrina della libertà e della responsabilità della persona; ne rigetta tuttavia la concezione dello Stato e il pacifismo.

1884 Finito il servizio militare, torna a Berlino e riprende lì i suoi studi. Si concentra sullo studio della giurisprudenza; segue inoltre le lezioni di storia di Treitschke e Mommsen. Trascorre un periodo di lunghe disquisizioni col fratello Alfred sul cristianesimo e il rapporto tra fede e scienza.

1885 Va a passare un semestre a Gottinga per preparare il suo esame di referendario.

1886 Supera il suo esame di referendario e torna a vivere presso la famiglia, a Berlino, dove prosegue gli studi per la laurea in scienze giuridiche.

1889 Scrive la sua tesi di laurea, Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter, opera che comprende elementi sia di storia giuridica che di storia economica, e dei cui dati Weber si servirà anche nelle sue posteriori opere sociologiche. Per questo lavoro ha dovuto studiare in modo approfondito l’italiano e lo spagnuolo. Supera l’esame di laurea sostenendo una brillante disputa con Theodor Mommsen, che lo indica come il suo più promettente allievo, anche se portatore di idee diverse.

1891 In vivaci dibattiti e polemiche con Mommsen sviluppa il suo scritto per la libera docenza sulla storia agraria romana dell’epoca imperiale, sotto gli auspici del suo maestro Meitzen, noto studioso di storia agraria.

1892 Con Die ròmische Agrargeschichte in ihrer Bedeutung für das Staatsund Privatrecht consegue all’inizio dell’anno, a Berlino, la libera docenza in diritto romano, diritto germanico e diritto commerciale e inizia a tenere le sue lezioni all’università. Nello stesso anno intraprende per conto del Verein für Sozialpolitik una ricerca sulla condizione dei contadini d’oltre Elba (Die Verhätenisse der Landarbeiter im ostelbischen Deutschland). Agli studi giuridici si affiancano ora anche quelli di economia politica. In quegli stessi anni (1884–92) si sviluppano in modo più preciso gli interessi politici di Weber. Egli non condivide in pieno l’orientamento liberale in quanto ritiene necessario lo sviluppo di una grande potenza statale nazionale, ma è anche contrario al dominio assoluto del concetto di Stato che va a scapito della libertà di pensiero e dei diritti della persona. In questo senso si pronuncia sulla legge antisocialista in vigore da alcuni anni e protesta contro le «leggi eccezionali». Ammira Bismarck ma non è esente da critiche nei suoi confronti, in particolare per quanto riguarda l’annientamento di altre personalità politiche intorno a sé e l’abitudine indotta nel paese stesso a «mettersi sotto tutela» in qualche modo, e a rinunciare al pensiero politico autonomo.

Sul problema dell’educazione della nazione all’autonomia del giudizio politico e alla libertà dello spirito, Weber si pone anche in polemica con Treitschke ed il suo modo di svolgere la sua funzione docente, concependo la storia contemporanea come un mezzo di politicizzazione degli studenti, al di là dell’oggettività scientifica. Da questo problema prende spunto la sua polemica verso i «socialisti della cattedra», di cui pure è allievo, e che svilupperà più avanti in celebri saggi e conferenze, sostenendo la necessità di lasciare la politica fuori dalle aule, sulla «piazza», laddove spira l’aria del libero contraddittorio.

In nome della libertà di pensiero Weber critica la Kulturkampj, la germanizzazione dei Polacchi e la stessa politica verso i cattolici. Tuttavia non condivide nemmeno la politica della sinistra liberale, di cui critica la spaccatura, e considera sterile e nociva allo stesso liberalismo la sua sistematica opposizione a Bismarck, soprattutto in materia di politica finanziaria. A ciò si aggiunge il fatto che alla sinistra mancano autentici leaders. Gli eventi del 1888, l’avvento di Guglielmo II e la svolta politica di quel periodo, che si conclude con il licenziamento di Bismarck, gli appaiono pure carichi di minacce.

Insieme agli interessi politici, in quello stesso periodo, il giovane Weber sviluppa anche nuovi interessi sociali, frequentando economisti, funzionari con interessi socio-politici, allievi dei «socialisti della cattedra». Tali interessi lo allontanano sempre più dalla politica nazional-liberale del padre. Sono gli anni in cui si sviluppa la «questione sociale» ed una serie di economisti come Adolf Wagner, Schmoller, Brentano, Knapp, e anche giuristi come Kneipp riconoscono la validità della critica socialista della società. Vengono chiamati per scherno, dagli avversari, i «socialisti della cattedra», ed esercitano una notevole influenza sulla gioventù accademica. Un gruppo di questi fonda nel 1873 il Verein fr Sozialpoli- tik, che all’inizio agisce come gruppo di propaganda e di pressione sugli organi legislativi, ma che ai princìpi degli anni ‘80, con la svolta bismarckiana sulla politica sociale, perde questa sua funzione agitatoria per acquistarne un’altra a carattere più accademico. è in questo periodo che Weber entra a farne parte e ne rimarrà membro in permanenza. è particolarmente acuta in quel momento la questione agraria; Weber si occupa dell’inchiesta sui contadini e la sua opera conosce una rapida diffusione e gli acquista la fama di specialista in questioni di politica agraria.

Nello stesso periodo la «questione sociale» penetra anche nei circoli religiosi con cui pure Weber è in contatto e viene ripresa da un gruppo di teologi protestanti. Weber partecipa ai congressi del movimento evangelico-sociale (il primo è convocato dal teologo Stü cker nel 1890). Incontra Friedrich Naumann, già noto come «pastore del proletariato», di tendenze socialdemocratiche ma insieme profondamente religioso, con cui stringe una solida amicizia e dei duraturi rapporti politici. Al terzo Congresso, nel 1892, Weber presenta tre comunicazioni sulla condizione dei lavoratori agricoli (Privatenqueten ber die Lage der Landarbeiter).

1893 II suo professore di diritto economico, Goldschmidt, si ammala e affida a Weber l’incarico di sostituirlo. Il potente accademico, consigliere Althoff, si interessa a lui; sembra aprirglisi la possibilità di una rapida carriera. Tuttavia sugli interessi giuridici di Weber hanno già incominciato a prevalere quelli economici.

Sposa Marianne Schnitzer, una sua lontana cugina, e conduce a Berlino una intensa attività lavorativa divisa tra l’insegnamento, lo studio e le attività del movimento evangelico-sociale, che organizza corsi politico-economici per pastori. Weber tiene in questo ambito delle conferenze di politica agraria, l’argomento che in quel momento lo interessa maggiormente.

1894 In concomitanza con la riforma della Borsa programmata dal Reichstag, inizia a pubblicare una serie di saggi sulla questione, per la rivista di diritto commerciale di Goldschmidt, che vedranno la luce nel corso dei due anni successivi (Ergebnisse der deutscheti B ö rsenenquete). Scrive anche, su richiesta di Naumann, per la «G ö ttingen Arbeiterbibliothek», un manualetto sulla Borsa (Die Bö rse) che ha lo scopo di spiegare anche ai profani come funziona l’organo centrale della politica economica. Weber si pronuncia in particolare contro l’ipotesi di una legislazione «moralizzatrice» delle attività speculative, in quanto la Borsa è uno strumento di potere nella lotta economica internazionale, e nella misura in cui le stesse attività sepculative esercitano una funzione utile al suo rafforzamento, considerazioni etiche non possono che passare in secondo piano e solo finché sono compatibili col rafforzamento economico della nazione. Due anni più tardi, Weber verrà chiamato a partecipare come consulente ai lavori del Comitato per la nuova legislazione della Borsa.

Lo stesso anno viene chiamato a ricoprire una cattedra di economia politica presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Friburgo. Egli accetta, anche per sottrarsi al dispotismo, per quanto illuminato, del consigliere Althofi, che vuole tenerlo a Berlino, ma di cui non condivide i metodi di gestione accademica. Approfondisce lo studio dell’economia politica e elabora i dati dell’inchiesta sui lavoratori agricoli promossa dal Congresso evangelico-sociale. Al V Congresso evangelico-sociale viene infatti posto come tema centrale la questione agraria, su richiesta di Weber e di P. Göhre che nel frattempo hanno stretto una salda amicizia. è stata programmata una grande inchiesta sulle condizioni del lavoro agricolo e stavolta i questionari, invece che ai lavoratori (come nell’inchiesta del Verein) vengono mandati ai parroci. Al Congresso, che si tiene a Francoforte, Weber e Göhre tengono la relazione sui risultati dell’inchiesta (Die deutschen Landarbeiter).

Alla cerchia di amici che Weber frequenta allora appartengono il giovane filosofo H. Rickert, il collega G. von Schulze-Gävernitz, lo psicologo e filosofo Hugo Münsterberg, il filologo Gottfried Baist.

1895 Si concede un lungo viaggio di riposo in Scozia e in Irlanda. Al suo ritorno a Friburgo pronuncia, secondo l’usanza, di fronte ad un vasto uditorio, la sua prolusione accademica ufficiale, dedicata al tema dello Stato nazionale e la politica economica (Der Nationalstaat und die Volswirtschaftpolitif(). In essa Weber si definisce come «nazionalista economico» e indica la politica economica come al servizio dello Stato nazionale. Alla domanda circa i valori a cui si devono conformare le forme della vita economica, risponde che l’economia politica non è in grado di prendere come parametri la soddisfazione e la felicità umane e che i valori ultimi al cui servizio si pone la politica economica di una nazione sono gli interessi legati alla potenza della nazione stessa. Nessuno stato o classe è però attualmente in grado di dirigere la vita economica della nazione, di porre gli interessi politici ed economici della nazione al di sopra dei propri, e ne consegue, se la Germania vuole porsi come potenza nazionale, la necessità di un grosso lavoro di educazione politica in tutti gli ambienti.

Simultaneamente, Weber partecipa alla polemica e al dibattito politico portato avanti da Naumann e dai pastori sociali e scrive una serie di articoli contro gli agrari e contro il grande industriale von Stumm, in occasione delle leggi che reprimono la lotta salariale. Partecipa nuovamente al Congresso evangelico-sociale, a Erfurt, centrato questa volta sulla questione femminile. La prolusione di Friburgo ha avuto un profondo effetto su Naumann e il suo seguito; si fa strada la convinzione che al socialismo cristiano deve subentrare un socialismo nazionale, o meglio nazionalista, nazionaltedesco, vale a dire ciò che mancherebbe ai socialdemocratici, la capacità di difendere la patria e i suoi confini, di incrementare la potenza della nazione, come premessa indispensabile per una politica sociale interna. Weber tuttavia scoraggia sin dall’inizio i progetti di un partito nazional-sociale, che gli appare votato al fallimento. L’Unione nazional-sociale verrà fondata un anno dopo, a Erfurt, presente lo stesso Weber che non ha rifiutato i suoi consigli e che troverà conferma ai suoi dubbi. Il programma di Naumann sarà da lui apertamente criticato. In seguito al fallimento dell’Unione nazional-sociale, il movimento si fonderà con l’ala sinistra democratica della borghesia costituendo un cartello elettorale liberale secondo quanto auspicato da Weber.

1896 Viene chiamato all’Università di Heidelberg a succedere a Karl Knies. Stringe nuove amicizie: Georg Jellinek, Paul Hensel, Karl Neumann e soprattutto il teologo Ernst Troeltsch.

1897 Sente sempre il bisogno di dedicarsi alla politica attiva, poiché il mero successo nella carriera accademica non gli appare come uno scopo soddisfacente. Il Circolo politico liberale di Saarbrücken gli offre una candidatura al Reichstag che però egli rifiuta per via dei suoi nuovi impegni accademici. Trova inoltre difficoltà ad inserirsi in uno dei partiti esistenti. Infatti condivide da un lato gli ideali democratici del liberalismo di sinistra, dall’altro il senso individualistico dei nazional-liberali; nello stesso tempo però è anche legato ai circoli conservatori e pangermanisti dal pathos nazionalistico. Da questi si staccherà nel 1899 perché in disaccordo con il sostegno dato alla politica degli agrari, e richiamando la qualifica che gli è stata data di «nemico dei Junker».

1898 Si ammala; quello che si rivelerà un forte esaurimento nervoso lo costringe prima a soggiorni di riposo in varie località e poi all’inattività.

1899 Rinuncia alle lezioni, che non si sente più in grado di fare, e tiene solo un seminario.

1900 Ottiene un lungo periodo di congedo. Viene istituita, secondo quanto egli aveva ripetutamente richiesto, una seconda cattedra di economia politica: respinta la chiamata di Werner Sombart - che Weber aveva già proposto come suo successore a Friburgo - questa viene assegnata a Karl Rathgen.

Le sue condizioni peggiorano; è costretto a passare un periodo in casa di cura, poi viaggia per due anni all’estero, soggiornando in Svizzera e in Italia.

1902 Le sue condizioni sono sensibilmente migliorate: fa ritorno in patria. Non è ancora in condizioni di riprendere in pieno l’insegnamento, deve limitarsi al seminario e agli esami d laurea. Il primo segno di ripresa della sua capacità produttiva è la recensione del libri di Philipp Lotmar, Der Arbeitsvertrag.

1903 Inizia la nuova fase della sua produzione, di carattere sostanzialmente diverso dalla prima. Il primo scritto importante di questo periodo è il saggio Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalökonomie. Tuttavia la sua salute è ancora vacillante ed egli si decide al passo - da lungo tempo meditato, ma da cui tutti avevano tentato di dissuaderlo - e rassegna le dimissioni dall’insegnamento universitario. Nel frattempo continua i suoi viaggi.

Friedrich Naumann subisce la sua seconda sconfitta elettorale e liquida il partito nazional-sociale; offre a Weber di fondare un nuovo giornale politico, ma questi rifiuta. Non si sente pronto all’impegno politico attivo. Accetta invece la proposta del suo amico e collega Edgar JafTé il quale si propone di acquistare 1 ‘Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik (l’ex «Archiv für Soziale Gesetzgebung und Statistik» di Heinrich Braun) e ha chiesto a Weber e Sombart di partecipare come co-editori. Riallaccia così i rapporti con una vasta cerchia di studiosi ed esperti in questioni politico-sociali, assegna alla rivista un più vasto campo d’indagine intorno alla tematica generale dello sviluppo capitalistico, e le imprime un più marcato carattere interdisciplinare, chiedendo contributi alla filosofia come alla psicologia sociale, alla dottrina dello Stato e alla sociologia.

1904 Pubblica per il primo quaderno della nuova serie della rivista il saggio Die Ob ektivität sozìalwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, uno dei suoi primi importanti contributi metodologici. Poco dopo inizia per il secondo quaderno un altro saggio, che si ricollega ai suoi precedenti interessi di politica agraria e a concreti problemi giuridico-legislativi: Agrarstatistisch e und sozialpolitische Betrachtungen zur Pideikommissfrage in Preussen.

Durante l’estate parte per gli Stati Uniti, dove il suo amico ed ex collega di Friburgo, Hugo Münsterberg, da molti anni professore a Harvard, lo ha invitato a tenere una conferenza al Congresso mondiale delle arti e delle scienze di St. Louis. Il viaggio negli Stati Uniti, la visita alle grandi metropoli di New York, Chicago, Washington, alle piccole città industriali, alle università americane, alle nuove città nelle zone di recente insediamento, ai centri culturali della costa orientale si rivela estremamente stimolante.

Questione negra, immigrazione, inserimento della cultura ebraica nel «crogiuolo» americano sono alcuni dei fenomeni che Weber osserva e a cui si trovano riferimenti nei suoi saggi posteriori. In particolare, il suo interesse si concentra su di un fenomeno che riscontra nei Colleges americani: le tracce evidenti dell’impulso organizzativo dato dallo spirito religioso. La maggior parte dei Colleges, opera di sette puritane, conservano visibili elementi della tradizione dei «padri pellegrini» nell’educazione dei giovani. Al college quacchero di Haverford, a Filadelfia, Weber scandaglia la biblioteca in vista del suo lavoro, già in preparazione, sullo «spirito» del capitalismo. Ha anche l’occasione di osservare l’influenza delle sette sull’articolazione della vita sociale nella democrazia americana, e la loro crescente sostituzione con ogni sorta di club e associazioni.

Alla fine dello stesso anno uscirà per XArchiv la prima parte del saggio Die protestantische Ethik und der «Geist» des Kapitalismus. è da rilevare come in esso sono presenti, oltre ad una serie di dati generali reperiti nelle biblioteche, numerosi episodi, aneddoti e osservazioni che risalgono proprio al viaggio «americano» di Weber. Questo lavoro, uno dei più importanti, paradigmatico anche sul piano metodologico, si propone lo scopo più vasto, che perseguirà sempre Weber, di un «superamento positivo» della concezione materialistica della storia. è il primo di un’ampia serie di ricerche a carattere storico-universale, che indagano sui rapporti tra il fenomeno religioso da un lato e le strutture della vita sociale, le forme della vita economica quotidiana, dall’altro. Una serie di saggi su questi argomenti appariranno negli anni successivi suìY Archiv.

1906 I suoi interessi politici, dopo un periodo di produzione che affronta problemi logici, filosofici e metodologici, sono nuovamente risvegliati dagli avvenimenti della rivoluzione russa del 1905. Essi vengono analizzati in due saggi pubblicati dalY Archiv: Zur läge der bürgerlichen Demokratie in Russland e Russlands Uebergang zum Scheinkonstitutionalismus. Per approfondire questa problematica Weber studia anche il russo. Ciò che lo interessa di più è l’influenza degli avvenimenti russi sul futuro sviluppo della Germania.

Compie un viaggio in Italia, in Sicilia, e si reca a visitare il sociologo Robert Michels a Torino.

1907 Ha una ricaduta della sua malattia, seguita da un altro viaggio in Italia.

1908 Scrive per il «Piccolo vocabolario delle scienze politiche» la grossa voce storico-sociologica Agrarverhältnisse im Altertum (pubblicato nel 1909), che rappresenta una vera e propria sociologia deir antichità, cioè un’analisi storica di tutte le principali forme strutturali della vita sociale nell’antichità (e non solo dei rapporti agrari).

Nello stesso periodo si dedica ad una serie di ricerche specifiche a carattere storico-sociologico. L’occasione è data da un’indagine programmata dal Verein für Sozialpolitik su suggerimento del fratello e collega Alfred Weber, sulla «selezione e “ l’adattamento ” della manodopera nella grande industria». Si tratta di ricerche a cui si può far risalire la primissima sociologia industriale e che vedono Weber in veste di scrupoloso direttore e organizzatore di una ricerca empirica di vasta portata, come appare dal suo ampio promemoria metodologico (il suo Denkschrift poi pubblicato come Methodologische Einleitung) per i lavori del Verein. I risultati vengono pubblicati in una serie di saggi sull’Archiv raggruppati sotto il titolo generale Zur Fsychophysik der industriellen Arbeit. Non si sente ancora in grado, malgrado le sollecitazioni che riceve nel frattempo da studiosi come Schmoller o Brentano, di riprendere l’insegnamento universitario. Continua però a mantenere stretti rapporti con l’ambiente accademico, di cui considera criticamente una serie di aspetti: dalla vanità professorale, all’antisemitismo che impedisce a W. Windelband di ottenere una chiamata a Berlino, alla pavidità politica nei confronti di studiosi socialdemocratici, che chiude le università tedesche ad un giovane e promettente studioso come il sociologo Michels. A questo proposito pubblica sul Frankfurter Zeitung un articolo su «La cosiddetta “ libertà d’insegnamento ” nelle università tedesche» (Die sogennante «Lehr freiheit» an den deutschen Universitäten).

La casa di Weber a partire da questo periodo e negli anni successivi diventa un importantissimo e vivace centro intellettuale dove si ritrovano numerosi studiosi e artisti: tra questi, innanzitutto, Troeltsch, Jellinek, Gothein, Vossler. Vi sono poi i Jafìé, Edgar e la moglie Else, quest’ultima un’antica allieva di Weber. Alla più giovane generazione appartiene il filosofo Emil Lask, allievo di Rickert. è lui che porta in casa Weber la musicista Mina Tobler. Vi è poi la coppia A. F. Schmid-Noer e Kläre Schmidromberg, lui poeta-filosofo e sensibile conoscitore d’arte, lei ex-attrice di teatro. Esperto d’arte è anche lo psichiatra H. Gruhle. Più tardi si aggiungono alla cerchia H. Gundolf, Arthur Salz, e soprattutto Karl e Gertrud Jaspers. Passano anche gli amici di fuori: Werner Sombart, Robert Michels, Paul Hensel, e soprattutto Georg Simmel. Tra le donne più importanti, ancora, Marie Baum e Gertrud Bäumer. Tra i più giovani - studiosi alle prime armi - cercano stimoli da Weber K. Löwenstein e P. Honigsheim. Nuove correnti penetrano la vita culturale di Heidelberg. Si fanno strada le teorie di Freud, a cui Weber si interessa, ma che contesta, rifiutando anche con una lunga motivazione un saggio basato sulle teorie freudiane per YArchiv. Contesta in particolare certe divulgazioni di discepoli freudiani. Fortemente critico e diffidente, non può tuttavia evitare il confronto con queste nuove teorie che penetrano soprattutto tra i membri più giovani della cerchia intellettuale di Heidelberg.

Sempre in quell’anno il Congresso internazionale dei filosofi porta a Heidelberg il sociologo F. Tönnies, ospite di Weber.

1909 II Verein für Sozialpolitik tiene una sessione a Vienna. Con Weber vi partecipano Knapp, Brentano, v. Schulze-Gävernitz, Sombart, Alfred Weber, Eulenburg, v. Gotti, e anche Naumann. Sono riuniti i vecchi maestri del «socialismo della cattedra» come Schmoller e Brentano, i loro ex-allievi tra cui lo stesso Max Weber, e la «terza generazione» che emerge. Weber interviene nei dibattiti sul rapporto tra potere statale e impresa capitalistica, sull’influsso della burocratizzazione; e sull’altro tema, che riguarda la «produttività dell’economia politica».

Nello stesso anno incomincia a curare per Paul Siebeck, editore delYArchiv, la grossa raccolta dei Grundriss der Sozialökonomik. Diventa membro dell’Accademia delle Scienze di Heidelberg.

1910 Prima seduta, a Francoforte, della Deutsche Gesellschaft für Soziologie fondata da Weber nel corso dell’anno precedente insieme ad un gruppo di sociologi tra cui Sombart, Simmel ed altri, che sentono il bisogno di affrontare i problemi sociali non più esclusivamente nell’ambito dell’economia politica. Partecipano, tra gli altri, Troeltsch, Tönnies, Michels.

Conosce a Heidelberg il poeta Stephan George e si dedica alla lettura di Rilke.

1911 Riprendendo i suoi studi di sociologia delle religioni, incomincia le ricerche sull’«Etica economica delle religioni mondiali» (.Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen), scostandosi questa volta dall’Europa, su cui sta lavorando Troeltsch, per affrontare il mondo orientale; incomincia dalla Cina per proseguire, nei suoi progetti, con il Giappone, l’India, il mondo ebraico e l’Islam. La sua intenzione è di esplorare - nei due sensi - i rapporti delle cinque grandi religioni del mondo con l’etica economica. Le parti principali di questa nuova serie di saggi saranno terminate nel 1913 ma la pubblicazione inizierà nel 1915 soltanto, dopo che la guerra ha impedito a Weber di rivedere alcune parti (che rimaneggerà nella seconda edizione del saggio sulla Cina nel 1919). Pubblica una serie di articoli critici sull’insegnamento superiore, in relazione agli istituti superiori del commercio, e sul rapporto che intercorre tra le università tedesche e la burocrazia statale (Das «System Alt hoff»).

1912 Al circolo intellettuale che frequenta la casa di Weber si aggiungono alcuni giovani filosofi dei paesi dell’est, tra cui in primo luogo György Lukacs.

1913 Appare il suo importante saggio metodologico über einige Kategorien der verstehende Soziologie.

1914 Allo scoppio della prima guerra mondiale, Weber presta servizio come direttore di un ospedale militare a Heidelberg. Il giudizio di Weber sul conflitto, malgrado tutti i pericoli che vede nella situazione della Germania, è sintetizzato nell’espressione che torna più volte in quel periodo nei suoi scritti e discorsi: «Questa guerra - malgrado tutto - qualunque ne sia l’esito, è grande e meravigliosa». Ringrazia il destino che gli fa vivere questo momento di esaltante unità di un popolo, pronto a «combattere, soffrire, sacrificarsi». Tuttavia, malgrado i successi tedeschi, non è ottimista, e vorrebbe una rapida conclusione della guerra.

1915 Lascia il suo servizio, che non rientra più nelle norme della riattivata macchina militare. Gli viene offerto un incarico socio-politico in Belgio, che però sfuma. Non avendo più possibilità di prestare servizio in maniera diretta, come ancora desidera, Weber si immerge nuovamente nei suoi manoscritti abbandonati con lo scoppio della guerra. Riprende innanzitutto i suoi lavori di sociologia delle religioni. Nel quaderno di settembre àtkVArchiv inizia la pubblicazione della serie di saggi su «L’etica economica delle religioni mondiali» con la «Introduzione» storico-filosofica ed i primi capitoli sul confucianesimo. La stesura di questi saggi risale a due anni prima e allora, nell’intento di Weber, dovevano apparire insieme alla trattazione sistematica della sociologia delle religioni, programmata per «Economia e Società» (Wirtschaft und Gesell- schaft), a scopo d’illustrazione e integrazione reciproca. Ora però egli rinuncia a questo progetto. Nel quaderno di novembre appare la fine dello studio cinese e l’importante Zwischenbetrachtung. Anche questi saggi risalgono a prima della guerra. Weber incomincia ora a lavorare sulle altre religioni asiatiche, in primo luogo l’induismo e il buddhismo. Si reca a Berlino per proseguire le sue ricerche e anche per immergersi nuovamente nel centro della vita e dell’atmosfera politica.

Scrive un pro-memoria sulla questione della conclusione della pace, che però verrà pubblicato postumo. Ritiene in quel periodo che ogni prolungamento della guerra sia disastroso per la Germania e che va colta ogni occasione per una pace senza perdite né annessioni. Contrario alla politicar di annessioni, ritiene possibile per la Germania una politica coloniale a livello mondiale solo sulla base di una politica delle alleanze, e non di un espansionismo europeo che coalizzi le altre potenze contro la Germania. Sulla questione polacca, auspica la creazione di uno Stato-cuscinetto alleato, che protegga il fianco orientale verso la Russia; e quindi una revisione di tutta la politica prussiana nei confronti dei territori annessi (Polonia e Belgio). Teme che la direzione militare porti ad ulteriori errori politici. Su questi temi pubblica un artico lo sul Frankfurter Zeitung: Bismarcks Aussenfolitik und die Gegenwart. In altri termini auspica: niente annessioni all’est, ma stati autonomi militarmente alleati; occupazione militare nell’ambito del «necessario» all’ovest. Tenta di portare avanti queste idee attraverso vari circoli politici e attraverso il suo amico Naumann in particolare.

1916 Preoccupato per l’estensione della guerra sottomarina, che rischia di portare al conflitto con gli Stati Uniti, cosa che secondo Weber va evitata a tutti i costi, deplora la politica poco lungimirante dei militari, in particolare le richieste dell’ammiraglio von Tirpitz. Scrive un secondo pro-memoria, sull’inasprimento della guerra sottomarina, da far circolare tra dirigenti dei partiti e allo scopo di appoggiare il Cancelliere contro von Tirpitz (Der verschärfte U-Boot-Krieg).

Pronuncia per la prima volta da vent’anni un discorso da una tribuna politica - a Monaco, per il Partito popolare progressista - sulle responsabilità della Germania di fronte alla storia e al futuro della «cultura» mondiale.

1917 Non avendo la possibilità di svolgere un’attività politica diretta, interviene con numerosi contributi su questioni di politica estera sul Frankfurter Zeitung. Incomincia anche a trattare in una serie di articoli la questione costituzionale (per lui di secondaria importanza in quel momento, ma che s’impone man mano che la guerra si prolunga). Per l’ordinamento interno propugna l’eliminazione del dominio burocratico nella sfera politica, l’eliminazione del sistema elettorale prussiano per classi, la parlamentarizzazione del governo e la democratizzazione delle istituzioni statali. La serie di articoli verrà raccolta un anno più tardi col titolo Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland, e incontrerà anche un tentativo di censura. Weber propende per il mantenimento dell’istituto monarchico, e pone in particolare il problema della corretta selezione delle élites politiche che devono dirigere il paese, poiché parlamentarismo e democrazia non significano in nessun caso, per lui, «dominio delle masse». Non contento di saggi, articoli e lettere, Weber manda lo stesso anno, ad un membro della commissione parlamentare per la costituzione, Konrad Haussmann, due dettagliati progetti di riforma costituzionale. Queste proposte vengono anche riprese in modo programmatico dai partiti di sinistra.

Nel frattempo pubblica Hinduismus und Buddhismus ed incomincia a lavorare su Das antike Judentum, saggio per il quale, grazie alle sue conoscenze dell’ebraico, può riprendere a lavorare sulle fonti originali. Lavora inoltre su singoli scritti destinati a confluire in «Economia e società». L’opera sul giudaismo resterà incompiuta, poiché nell’intento di Weber doveva anche analizzare i Salmi, il Libro di Giobbe, e poi il giudaismo talmudico. In quest’ultima opera si trovano concetti anche legati alla sua attuale esperienza della guerra e dell’azione politica.

Partecipa durante l’estate ad un convegno politico-culturale nel castello di Lauenstein, che vede presenti tra gli altri Meinecke, Jaffé, Sombart, Tönnies, oltre ad artisti come Paul Ernst, scrittori politici, membri della giovane generazione come Ernst Toller. Si scontra con quest’ultimo e col gruppo dei giovani socialisti pacifisti che hanno incominciato a frequentare la sua «cerchia» domenicale a Heidelberg.

1918 Accetta l’offerta che gli viene fatta di una cattedra di economia politica a Vienna. Dedica il suo corso alla «critica positiva della concezione materialistica della storia», in cui porta avanti le sue indagini sulla sociologia delle religioni, e la sua sociologia dello Stato. Tiene per gli ufficiali austriaci una conferenza su «Il socialismo». I suoi corsi hanno un grosso successo ma lo affaticano. Partecipa alla «Unione nazionale per la libertà e la patria» che chiede la pace negoziata e l’immediata democratizzazione delle istituzioni statali e ha già pubblicato un appello sottoscritto da Weber insieme a Brentano, Oncken, Troeltsch, Naumann, H. Delbrück. In seguito agli ultimi eventi (armistizio richiesto da Ludendorff) si pronuncia con insistenza, presso i suoi amici politici G. von Schulze-Gävernitz, H. Delbrück, Naumann - per l’abdicazione immediata dell’imperatore.

Il 4 novembre, il giorno dopo lo scoppio della rivolta dei marinai di Kiel, Weber tiene per il Partito popolare progressista un discorso politico a Monaco sul «Nuovo ordinamento politico della Germania». In esso attacca le condizioni di pace poste da Wilson, la «pace ad ogni costo» e le spinte rivoluzionarie in corso. Vi è un’aspra reazione di una parte dei suoi ascoltatori. Weber rifiuta la rivoluzione, che chiama «un carnevale sanguinoso». Viene al pettine il nodo delle sue simpatie socialiste: la sua concezione «cristiana» del socialismo, il suo individualismo, la sua concezione dello Stato si sono sempre opposti ad una sua adesioni partitica al socialismo. Non trova peraltro rispondenza al suo nazionalismo né tra i giovani pacifisti e comunisti, né tra gli studenti conservatori a cui pure si rivolge.

Su richiesta dei socialisti moderati partecipa per un periodo al Consiglio degli operai e dei soldati di Heidelberg. Nutre fiducia nel popolo e nei lavoratori tedeschi, sempre «disciplinati», e auspica il rapido abbattimento della «banda pazza di Liebknecht». Si reca a Francoforte per dare la sua consulenza politica al Frankfurter Zeitung e scrive i suoi articoli sulla nuova forma dello Stato tedesco. In una serie di lettere esprime il suo forte sentimento nazionalistico, i suoi timori nei confronti della rivoluzione spartachista che avrebbe come conseguenza in caso di successo l’invasione straniera, e soprattutto un leit-motiv: l’ormai inevitabile «dominio mondiale anglo-sassone». Merito della Germania sarebbe però di aver scongiurato un pericolo peggiore: quello russo. Ma non per sempre; e auspica che l’America non debba un giorno dividere il suo dominio con la Russia. Con la sua collaborazione al Frankfurter Zeitung sul problema della nuova forma di Stato e della costituzione tedesca, Weber si propone di collaborare anche direttamente alla ricostruzione politica della Germania. è favorevole ora alla repubblica, anche per richiamare la borghesia alle proprie responsabilità. Propende per una forma di repubblica di tipo presidenziale. Il nuovo segretario di Stato lo chiama come consulente di una commissione per l’elaborazione di un progetto di costituzione. Questo risponderà in buona parte alle sue proposte e recepisce anche suoi contributi originali (diritto d’inchiesta delle minoranze). Partecipa alle attività del Partito democratico tedesco, fondato in quel periodo, di cui il fratello Alfred è uno dei principali ispiratori. Il partito riunisce la borghesia nazional-liberale e progressista e si pone come membro intermedio interclassista tra i partiti borghesi ed i socialdemocratici, riprendendo gli intenti del vecchio partito nazional-sociale di Naumann. Weber si decide per l’impegno attivo in questa organizzazione; tiene una serie di comizi in varie città. Rivolge ora più aspramente i suoi attacchi contro la sinistra, che considera troppo debole e irrisoluta nei confronti degli spartachisti, e a cui rimprovera la «pessima amministrazione» dei consigli degli operai e dei soldati a Berlino e a Monaco. Si pronuncia contro la socializzazione in nome deH’irrinunciabilità, nella crisi economica del momento, all’impresa privata. Prevede l’ondata di sciovinismo che si abbatterà sulla Germania se le condizioni di pace saranno negative come si profilano. Gli viene offerta una candidatura per l’assemblea nazionale. L’accetta e viene messo in lista, ma all’ultimo momento il suo nome viene tolto in una seduta a porte chiuse del comitato elettorale.

1919 Avendo rinunciato all’impegno politico diretto, Weber riceve numerose offerte da varie università. Alla fine opta per Monaco, dove Brentano e Lotz lo hanno chiamato insistentemente, anche perché gli si offre la possibilità di tenere un corso a carattere sociologico, ed egli sente di avere superato la fase dell’economia politica e della scienza delle finanze.

Pubblica alcuni articoli sulla questione della «responsabilità della guerra». Conosce l’ex-cancelliere Max del Baden con cui stringe amicizia. Per iniziativa del principe Max viene fondata all’inizio dell’anno, in casa di Weber, la «Associazione di Heidelberg per una politica del diritto», cui partecipano tra gli altri Brentano, A. Weber. A. Mendelssohn-Bartholdy, il generale von Holzing, il conte Montgelas, ecc. I due problemi che affronta in primo luogo sono la lotta al «dogma della colpa» (della guerra) e la ricostruzione di un esercito su nuove basi. Sempre su iniziativa del principe Max, Weber viene chiamato a far parte della «Commissione per le trattative di pace» e accompagna la delegazione tedesca a Versailles. Da lì si reca a Berlino per convincere Ludendorff a consegnarsi spontaneamente agli Alleati per essere giudicato per la sua condotta di guerra. è contrario fino all’ultimo all’accettazione delle condizioni di pace.

Tornato a Monaco, vive i giorni della repubblica consiliare edella susseguente repressione, cercando di intervenire in qualche modo a favore di Otto Neurath e Ernst Toller in sede di processo. Riprende l’insegnamento. Pubblica le sue due ultime conferenze, Wissenschajt als Beruf e Politials Beruf, tenute agli studenti di Monaco, l’ultima durante l’inverno della rivoluzione.

1920 Prende posizione in una manifestazione di studenti per la grazia concessa all’assassino di Kurt Eisner (per il cui movente simpa tizza mentre disapprova la grazia) e viene contestato da studenti di destra. Frequenta Paul Ernst, Otto Neurath, Oswald Spengler, s’incontra con la gioventù comunista senza però trovare punti d’accordo.

Corregge il primo volume dei suoi scritti di sociologia delle religioni (nel ‘i7-’i8 è uscito Das antike ]udenturrì) e lavora ai suoi scritti per «Economia e società» che sarà pubblicata postuma. All’inizio del semestre estivo tiene le sue ultime lezioni, rispettivamente sulla «dottrina dello Stato» e sul «socialismo». Dopo una breve e improvvisa malattia che lo costringe a interrompere le sue lezioni, muore il 14 giugno.

NOTA BIBLIOGRAFICA

I. Le opere

a) Scritti pubblicati in vita.

Zur Geschichte der Handelsgesellschaften in Mittelalter, Stuttgart, 1889 (tesi di laurea).

Die römische Agrargeschichte in ihrer Badeutung für das Staatsund Privatrecht, Stuttgart, 1891 (scritto di libera docenza).

Die Verhältnisse der Landarbeiter im ostelbischen Deutschland, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», vol. 55, Leipzig, 1892.

Privatenqueten über die Lage der Landarbeiter, tre articofi nei numeri di aprile, giugno e luglio delle comunicazioni del Congresso evangelicosociale, 1892.

Die ländliche Arbeitsverfassung, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», vol. 58, Leipzig, 1893.

Entwicklungstendenzen in der Lage der ostelbischen Landarbeiter, in «Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik», vol. 7, 1894.-

Entwicklungstendenzen in der Lage der ostelbischen Landarbeiter (sintesi del saggio precedente), in «Preussische Jahrbücher», vol. 77, 1894.

Die deutschen Landarbeiter (relazione al V Congresso evangelico-sociale), 1894.

Die Börse, in «Göttinger Arbeiterbibliothek», 2 fase., 1894–96 (I. Zweck und äussere Organisation; II. Der Börsenverkehr).

Ergebnisse der deutschen Börsenenquete, in «Zeitschrift für das gesamte Handelsrecht» di Goldschmidt, voll. 43–44–45, 1895–96.

Der Nationalstaat und die Wolkswirtschaftpolitik (prolusione accademica), Friburgo, 1895.

Börsengesetz, Börsenwesen, Wertpapiere, in «Handwörterbuch der Staatswissenschaften», I e II vol. suppl., 1895 e 1897.

Die Soziale Gründe des Untergangs der antiken Kultur, in «Die Wahrheit», vol. 6, Stuttgart, 1896.

Diskussionrede zur Gründung einer national-sozialen Partei (protocollo della relazione al Congresso di Erfurt del 23–25 novembre 1896), 1896.

Agrarverhältnisse im Altertum, in «Handwörterbuch der Staatswissenschaften», II vol. suppl., 1897.

Gutachten über das Heimstättenrecht, in «Verhandlungen des deutschen Juristentags», 1897.

Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen National- ökonomie in «Jahrbuch für Gesetzgebung» di Schmoller, a. XXVIIXXIX-XXX, 1903–1906.

Geleitwort (per il passaggio della rivista alla nuova redazione di Werner Sombart, Max Weber e Edgar Jaffé), in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», vol. 19, 1904.

Die Ob]ektivität sozialwissenschajtlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 19, 1904.

Agrarstatistische und sozialpolitische Betrachtungen zur Fideikomissfrage in Preussen, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 19, 1904.

The rural community (Deutsche agrarverhältnisse in Vergangenheit und Gegenwart), comunicazione al Congresso internazionale di St. Louis, 1904, in «Congress of Art and Science», ed. by H. J. Roger, Boston, 1906, vol. 7.

Der Streit um den Charakter der altgermanischen Sozialverfassung in der deutschen Literatur der letzten Jahrzehnts, in «Jahrbücher für Nationalökonomie und Statistik», di Conrad, vol. 28, 1905.

Die protestantische Ethik und der «Geist» des Kapitalismus, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 20–21, 1904–1905 (trad. ital. L’ètica protestante e lo spinto del capitalismo, Roma, 1945; 2a ed. Firenze, 1965).

Kritische Studien auf dem Gebiet der kulturwissenschaftlichen Logik, in «Archiv, f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 22, 1905.

Die protestantischen Seiten und der Geist des Kapitalismus, pubblicato per la prima volta col titolo «Kirchen» und «Seiten» nel «Frankfurter Zeitung» del 13 e 15 aprile 1906, poi ripreso e ampliato col titolo «Kirchen» und «Sekten» in Nordamerika, in «Christliche Welt» n. 20, 1906.

Zur Lage der bürgerlichen Demokratie in Russland, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», suppl. al n. 22, 1906.

Russlands Uebergang zum Scheinkonstitutionalismus, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», suppl. al n. 23, 1906.

Stammlers «Ueberwindung» der materialistischen Geschichtsauffassung, in «Archiv. £. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 24, 1907.

Kritische Bemerkungen zu H. K. Fischers Aufsatz: «Kritische Beiträge zu Max Webers Abhandlung “Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus *», in «Archiv, f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 25, 1908.

Bemerkungen zu der «Replik» (von H. K. Fischer zur protestantische Ethik), in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 26, 1908.

Kredit und Agrarpolitik der preussischen Landschaften, in «Bankarchiv», a. VIII, 1908.

Die Grenznutzlehre und das psychophysische Grundgesetz, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 2, 1908.

Denkschrift betr. Erhebungen über Anpassung und Auslese (Berufswahl und Berufsschicksal) der Arbeiterschaft der geschlossenen Gros sind ustrie, pubblicato come manoscritto dal «Verein für Sozialpolitik», 1908.

Zur Psychophysik der industriellen Arbeit, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», voll. 27–28–29, 1908–1909.

Agrarverhältnisse im Altertum, in «Handwörterbuch der Staatswissenschaften», 3a ed., 1909.

Energetische Kulturtheorien, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 29, 1909.

Zur Methodik sozialpsychologischer Enqueten und ihrer Bearbeitung, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 29, 1909.

Antikritisches zum «Geist» des Kapitalismus, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 30, 1910.

Antikritisches Schlusswort zum «Geist» des Kapitalismus, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 31, 1910.

Geschäftsbericht (dei dibattiti della «Deutsche Gesellschaft für Soziologie»), in «Schriften der Deutsche Gesellschaft für Soziologie», 1911.

Aeusserungen zur Werturteilsdisfussion (in sede di commissione del «Verein für Sozialpolitik»), pubblicato come manoscritto, 1913.

Ueber einige Kategorien der verstehenden Soziologie, in «Logos», vol. 4, 1913*

Redaktionelles Nachwort, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 38, marzo 1914.

Zu dem redaktionellen Geleitwort, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 38, luglio 1914.

Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen. Einleitung. Konfuzianismus und Taoismus. Zwischenbetrachtung, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 41, settembre-novembre 1915.

Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen. Hinduismus und Buddhismus, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 41, aprile-dicembre 1916, vol. 42, maggio 1917 (trad. ital. Induismo e buddhismo, Roma, 1975).

Deutschland unter den europäischen Weltmächten, in «Die Hilfe»; fase, speciale, novembre 1916.

Zur Erklärung der Prager Rechtsund Staatswissenschaftlichen Fakultät, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 41, maggio 1916.

Russlands Uebergang zur Scheindemokratie, in «Die Hilfe», 24 giu gno 1917.

Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland, serie di articoli pubblicati sul «Frankfurter Zeitung» durante Testate 1917, raccolti in volume e pubblicati da Duncker u. Humboldt, München, 1918.

Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen. Das antihe Judentum, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 44, ottobre 1917, marzo-luglio 1918; vol. 46, dicembre 1918, giugno-dicembre 1919.

Der Sinn der «Wertfreiheit» der soziologischen und ökonomischen Wissenschaften», in «Logos», vol. 7, 1917.

Wirtschaftsordnung, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 44, 1917–18.

Wahlrecht und Demokratie in Deutschland, Berlino 1917 (tipogr. di «Die Hilfe»).

Deutschlands künftige Staatsform, serie di articoli sul «Frankfurter Zeitung» del novembre 1918, raccolti in opuscolo edito dal giornale nel 1919.

Wissenschaft als Beruf, Politik als Beruf, in «Geistige Arbeit als Beruf. Vier Vorträge vor dem Freistudentischen Bund», Duncker u. Humboldt, München, 1919 (trad. ital. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, 1948).

(b) Pubblicazioni postume e inediti.

Denkschrift an die Handelshochschulen, novembre 1911, inedito.

Zwei Gesetzentwürfe zur Abänderung der Reichsverfassung: a) Aufhebung des letzten Satzes von Art. 9, b) die Einführung des Rechts des

Reichtags auf Einsetzung von Enquetekommissionen betr., datato 1–7 maggio 1917, inedito.

Denkschrift zur Frage des Friedensschliessens, datato 4 febbraio 1918, inedito.

Der verschärfte U-Boot-Krieg (promemoria del marzo 1916), pubblicato postumo nei «Gesammelte politische Schriften», München, 1921.

Die Pharisäer, pubblicato postumo nei «Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie», Tübingen, 1921.

Die rationalen und soziologischen Grundlagen der Musik, Drei Maskenverlag, München, 1921, con un’Introduzione di Theodor Kroyer.

Die Stadt. Eine soziologische Untersuchung, in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», vol. 47, 1921 (poi ripreso in «Wirtschaft und Gesellschaft»).

Zur Frage des Friedenschliessens, pubblicato postumo nei «Gesammelte politische Schriften», München, 1921.

Die drei Reinentypen der legitimen Herrschaft, in «Preussische Jahrbücher», CLXXVII, 1922.

Nachträge a R. Stammlers «Ueberwindung» der materiali Stichen Geschichtsauffassung, pubblicato postumo in «Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre», 1922.

Wirtschaft und Gesellschaft, III sez. di «Grundriss der Sozialökonomik», Tübingen, 1922 (pubblicato postumo a cura di Marianne Weber).

Wirtschaftsgeschichte. Abriss der universalen Sozialund Wirtschaftsgeschichte, a cura di S. Hellmann e M. Palyi, München, 1923 (delle lezioni inedite).

Methodologische Einleitung für die Erhebungen des Vereins für Sozialpolitik über Auslese und Anpassung (Berufswahlen und Berufsschicksal) der Arbeiterschaft der geschlossenen Grossindustrie, pubblicato in «Gesammelte Aufsätze zur Soziologie und Sozialpolitik», Tübingen, 1924.

Der Sozialismus, conferenza tenuta a Vienna nel luglio 1918, pubblicata nei «Gesammelte Aufsätze zur Soziologie und Sozialpolitik», Tübingen, 1925.

c) Articoli di giornale, note e recensioni.

Besprechung von Friedrich Conze, «Kauf nach hanseatischen Quellen», in «Zeitschrift für das gesamte Handelsrecht», XXXVII, 1890.

Besprechung von A. von Kostanecki, «Der öffentliche Kredit im Mittelalter», in «Zeitschrift für das gesamte Handelsrecht», XXXVII, 1890.

Zur Rechtfertigung Göhres, in «Christliche Welt», VI, 1892.

Debattenrede über die Bodenbesitzverteilung und die Sicherung des Kleingrundbesitzes, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», LVII, 1893-

Die Erhebung des Vereins f. Sozial. über die Lage der Landarbeiter, in «Das Land», I, 1893.

Wie werden die einwandfreie Erhebungen über die Lage der Landarbeiter angestellt?, in «Das Land», I, 1893.

Die Erhebung des Evangeli sehe-sozialen Kongresses über die Verhältnisse der Landarbeiter Deutschlands, in «Christliche Welt», VII, 1893.

Besprechung von Wilh. Kaufmann, «Das internationale recht der ägyptischen Staatsschuld», in «Zeitschrift für das ges. Handelsrecht», XLI, 1893.

Besprechung von Theod. v. d. Goltz, «Die ländliche Arbeiterklasse und der preussische Staat», in «Jahrbücher für Nationalökonomie und Statistik», XLI, 1893.

Zwei neue Schriften zur Landfrage im Osten, in «Das Land», I, 1893.

Argentinische Kolonisten wirtschaften, in «Deutsches Wochenblatt», VII, 1894, nn. 2 e 5.

Was hiesst Christlich-Sozial? Zu Friedrich Naumanns «Gesammelte Aufsätzen», in «Christliche Welt», VIII, 1894.

Zum Fressenstreit über den evangelisch-sozialen Kongress, in «Christliche Welt», VIII, 1894.

Besprechung von (drei) «Monographien von Land geistlichen über die Lage der Landarbeiter», in «Sozialpolitische Zentralblatt», III, 1894.

Das Anerbenrecht auf der preussischen Agrarkonferenz, in «Sozialpolitische Zentralblatt», III, 1894.

Besprechung von Angelo Sraffa, «Studi di diritto commerciale» e «La liquidazione delle società commerciali», in «Zeitschrift für ges. Handelsrecht», XLII, 1894.

Die Kampfweise des Freiherrn von Stumm (zum Streit zwischen Ad. Wagner-Stumm), in «Preussische Kreuzzeitung», 26 febbraio 1895. Sullo stesso argomento, «Lettera al giornale» il 12 marzo 1895, ibid.

«Römisches» und «deutsches» Recht, in «Christliche Welt», IX, 1895.

Die preussische Gesetzentwurf über das Anerbenrecht bei Rentgütern, in «Soziale Praxis», IV, 1895.

Die technische Funktion des Termihandels, in «Deutsche Juristenzeitung», 1896.

Stellungnahme zur Flottenumfrage, in «Münchener Allgemeine Zeitung», 13 gennaio 1898.

Herr von Miquel und die Landarheiter-Enquete des Vereins für Sozialpolitik, in «Soziale Praxis», VIII, 1899.

Vorbemerkung a Walter Abelsdorff, «Beiträge zur Sozialstatistik der Deutsche Buchdrucker», in «Volkswirtschaftliche Abhandlungen der Badischen Hochschulen», IV, 1900, n. 4.

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Debattenrede su ArbeitsVerhältnis in der privaten Riesenbetrieben (sessione di Mannheim del «Verein für Sozialpolitik», 1905), in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», LXVI, 1906.

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Zuschrift über die badische Fabrikinspektion, in «Frankfurter Zeitung», 24 gennaio 1907.

Diskussionrede su Verfassung und Verwaltungsorganisation der Städte (sessione di Magdeburgo del «Verein für Sozialpolitik», 1907), in «Schriften d. Vereins f. Sozialpolitik», CXXV, 1908.

Der Fall Bernhard, in «Frankfurter Zeitung», giugno-luglio 1908.

Die sogenannte «Lehrfreiheit» an den deutschen Universitäten, in «Frankfurter Zeitung», 20 settembre 1908.

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Besprechung von Adolf Weber, «Die Aufgaben der Volkswirtschajtlehre als Wissenschaft», in «Archiv f. Sozialwiss. u. Sozialpolit.», XXIX, 1909.

Debattenrede su Die wirtschaftliche Unternehmungen der Gemeinde (sessione di Vienna del «Verein für Sozialpolitik», 1909), in «Schriften für Sozialpolitik», CXXXII, 1910; su Produktivität der Volkswirtschaft, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», CXXXII, 1910.

Das «System Althoff», in «Frankfurter Zeitung», 24–27–31 ottobre e 2- 10 novembre 1911.

Die Handelshochschulen. Eine Entgegnung, in «Berliner Tageblatt», 27 ottobre 1911.

Darlegung zu Bemerkungen über die Handelshochschulen, in «Berliner Tageblatt», 29 ottobre 1911.

Diskussionrede su Probleme der Arbeiterpsychologie (sessione di Norimberga del «Verein für Sozialpolitik», 1911), in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», CXXXVIII, 1912.

Rechenschajtsbericht (per il II Congresso di sociologia, Berlino, 1912), in «Schriften der Deutsche Gesellschaft für Soziologie», I, II, 1913.

Diskussionrede über Nationalität in ihrer soziologischen Bedeutung; Diskussionrede über «rassentheoretische Geschichtsphilosophie» (Oppenheimer), in «Schriften der Deutsche Gesellschaft für Soziologie», I, II, 1913.

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Vaterland und Vaterlandspartei, in «Münchener Neueste Nachrichten», 20 settembre 1917.

Bayern und die Parlamentarisierung im Reich, in «Münchener Neueste Nachrichten», 15 ottobre 1917.

«Bismarcks Erbe in der Reichsverfassung», in «Frankfurten Zeitung», 28 ottobre 1917.

Das Reichstagswahlrecht für Preussen, in «Die Hilfe», 2 gennaio 1917.

Schwert und Parteikampf, in «Frankfurter Zeitung», 13 dicembre 1917.

Innere Lage und Aussenpoliti, I-III, in «Frankfurter Zeitung», 3–5–7 febbraio 1918.

Die nächste innerpolitische Aufgabe, in «Frankfurter Zeitung», 17 ottobre 1918.

Waffenstillstand und Frieden, in «Frankfurter Zeitung», 27 ottobre 1918.

Das neue Deutschland, in «Frankfurter Zeitung», 1° dicembre 1918.

Zum Thema der a Kriegsschuld», in «Frankfurter Zeitung», 17 gennaio 1919.

Der Reichspräsident, in «Berliner Borsenzeitung», 25 febbraio 1919.

Die wirtschaftliche Zugehörigkeit des Saargebiets zu Deutschlands (discorso tenuto all’università di Heidelberg), 1919.

Die Untersuchung der Schuldfrage, in «Frankfurter Zeitung», 22 marzo 1919.

Bemerkungen zum Bericht der Komission der alliierten und assoziierten Regierungen über die Verantwortlichkeit der Urheber des Krieges. Segue una Vorbemerkung allo scritto, 20 maggio 1919.

Das deutsche Weissbuch über die Schuld am Kriege, München, 1919 (Weber è autore dell’Introduzione).

d) Diario e corrispondenza.

Jungendbriefe. 1876–1893, hrg. von Marianne Weber, Tübingen, 1936.

e) Opere complete.

Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie, 3 voll., Tübingen, 1920–21; II ed. 1922–23; vol. I, III ed. 1922; IV ed. 1947.

Gesammelte politische Schriften, hrg. von Marianne Weber, München, 1921.

Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, hrg. von Marianne Weber, Tübingen, 1922.

Gesammelte Aufsätze zur Sozialund Wirtschaftsgeschichte, hrg. von Marianne Weber, Tübingen, 1924.

Gesammelte Aufsätze zur Soziologie und Sozialpolitik, hrg. von Marianne Weber, Tübingen, 1924.

Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, II ed. rivista a cura di Johannes Winckelmann, Tübingen, 1951 (trad. ital. Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, 1958).

Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss der verstehenden Soziologie, IV ed. a cura di Johannes Winckelmann, Tübingen, 1956 (trad. ital. Economia e società, Milano, 1961).

Staatssoziologie. Soziologie der rationalen Staates und der modernen politischen Parteien und Parlamente, hrg. von Johannes Winckelmann, Tübingen, 1956.

Gesammelte politische Schriften, II ed. ampliata. Con un’introduzione di Theodor Heuss, riveduta a cura di Johannes Winckelmann, Tübingen, 1958.

Rechtssoziologie, hrg. von Johannes Winckelmann, Tübingen, 1960.

II. La critica

a) La vita.

K. JASPERS, Max Weber, Tübingen, 1921.

MARIANNE WEBER, Max Weber. Ein Lebensbild, Tübingen, 1926.

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Max Weber zum Gedächtnis, hrg. von R. König und J. Winckelmann, fase. spec. della «Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie», Köln und Opladen, 1963.

E. Baumgarten, Max Weber: Werk und Person, Tübingen, 1964.

b) Il pensiero.

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F. H. TENBRUCK, Das Werk Max Webers, in «Koelner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie», 25, 1975.

NOTA AL TESTO

I saggi di sociologia religiosa di Max Weber sono raccolti nei Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie, 3 voll., ). C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen, 1920–21, IV ed. 1947. Di essi sono qui tradotti i seguenti:

- Vorbemerkungk

- Die protestantische Ethik und der «Geist» des Kapitalismus, pubblicato per la prima volta in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», XX-XXI, 1904–1905;

- Die Wirtschaf tsethik der Weltreligionen. Einleitung, pubblicato per la prima volta in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», XLI, 1916;

- Konfuzianismus und Taoismus, id., limitatamente ai capp. I-IV (pp. 276–458);

- Zwischenbetrachtung, id., tutti e cinque questi saggi sono raccolti nel vol. I;

- Hinduismus und Buddhismus (vol. II), pubblicato per la prima volta in «Archiv für Sozial Wissenschaft und Sozialpolitik», XLI-XLII, 1916- 17, limitatamente alla parte I (pp. 1–133);

- Das antike Judentum (vol. Ili), pubblicato per la prima volta in «Archiv für Sozial Wissenschaft und Sozialpolitik», XLIV-XLVI, 1917- 19;

- Die Pharisäer (vol. Ili), pubblicato postumo nel 1921.

Non viene riportato qui il breve saggio su «Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo» (Die protestantischen Seiten und der Geist des Kapitalismus, vol. I, pp. 207–236), che fu pubblicato per la prima volta con il titolo «Kirchen» und «Seiten» nel «Frankfurter Zeitung», 13–15 aprile 1906 e in seguito, un po’ ampliato, con il titolo «Kirchen» und «Seiten» in Nordamerika, in «Christlichen Welt», n. 20, 1906. Nella raccolta dei Gesammelte Aufzätze, questo scritto, con qualche ulteriore apporto, segue quello sull’Etica protestante, con una nota dell’autore intorno alle sue origini. Il saggio è un complemento del precedente, e vi si fa più volte riferimento. In particolare, annota Weber, il concetto di «setta», in contrapposizione a quello di «chiesa», veniva già esplicitato in maniera esauriente appunto nel saggio sull’etica protestante, ed era poi stato ripreso, nel frattempo, da Troeltsch nel suo Soziallehren der christlichen Kirchen (1905); sicché in questo breve scritto vengono solo riportati i principali dati che possono completare il resto.

Per quanto riguarda il saggio Confucianesimo e taoismo, sono stati qui tradotti i capitoli principali relativi alla struttura generale economica, sociale e culturale della Cina, al ceto dei letterati e al confucianesimo. Sono stati omessi i due ultimi capitoli che trattano più particolarmente delle eterodossie, del taoismo e del buddhismo.

Del saggio Induismo e buddhismo si è tradotta solo la prima parte, relativa al sistema sociale indù. Si è tralasciato invece la seconda e la terza parte, dedicate rispettivamente alle dottrine di salvezza ortodosse ed eterodosse (jainismo e buddhismo, le due grandi eterodossie) degli intellettuali dell’India, e alle sette religiose asiatiche con il relativo culto del salvatore (il buddhismo Mahàyana come religione di missione esteso in particolare in Ceylon e in Indocina, in contrapposizione al buddhismo monastico, da «setta», Hìnayanak lo scarso successo del buddhismo stesso in Cina e in Corea e i suoi sviluppi in Giappone - sette zen, shin, ecc. - e nell’Asia interiore col lamaismo; la restaurazione ortodossa in India, lo sivaismo, il visnuismo e il ruolo dei guru).

Tutti gli altri saggi compresi nella raccolta completa degli scritti di sociologia delle religioni di Weber sono stati tradotti integralmente. In questo contesto risulta quindi privilegiato, in qualche misura, oltre ai saggi teorici, il grosso lavoro sul giudaismo antico, a cui Weber si è dedicato negli ultimi anni della sua vita e che, pur nella sua notevole mole, è rimasto, così com’è, incompiuto.

Al momento in cui è iniziato questo lavoro erano già stati tradotti in italiano la Vorbemerkung e il saggio Die protestantische Ethik und der «Geist» des Kapitalismus da Piero Burresi (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Roma, Edizioni Leonardo, 1945; II ed. Firenze, Sansoni, 1965). Era inoltre stata tradotta la Einleitung a Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen (L’etica economica delle religioni nel mondo, pubblicato in appendice a F. Ferrarotti, Max Weber e il destino della ragione, II ed., Bari, Laterza, 1968). Qui sono state tradotte ex novo, integralmente, sia la Vorbemerkung («Osservazioni preliminari») che la Einleitung a Die W irtschaftsethik («Introduzione» a «L’etica economica delle religioni mondiali»). Si è anche proceduto ad un’accurata revisione della traduzione di Burresi de L’Etica, il cui testo viene qui presentato riveduto e aggiornato secondo quei criteri che sono stati tenuti presenti nell’insieme della traduzione e a cui si è cercato di rendere omogenei tutti i singoli saggi.

È ora uscita, a lavoro compiuto, una traduzione italiana di Induismo e buddhismo (Roma, Newton Compton, 1975), che non ho avuto modo di consultare ai fini della presente traduzione.

La traduzione è stata condotta integralmente sull’edizione tedesca dei Gesammelte Aufsätze; ad essa ci si è strettamente attenuti per quanto riguarda la divisione in parti o sezioni, capitoli e paragrafi, i relativi titoli e le note. Per motivi di maggiore chiarezza e scorrevolezza abbiamo comunque ritenuto opportuno inserire i sottotitoli dei paragrafi, raggruppati all’inizio delle diverse sezioni o capitoli con l’indicazione della pagina corrispondente, direttamente nei luoghi indicati nel testo, anche dove non vengono richiamati esplicitamente, onde rendere meno pesante la lettura di certe parti, in particolare i veri e propri blocchi monolitici di scrittura ininterrotta relativi all’induismo e al giudaismo, senza per questo alterare in alcun modo la struttura del testo weberiano, ma rendendola semplicemente più evidente secondo le indicazioni dell’autore stesso.

Ci sembra utile dare qui di seguito alcune indicazioni per quanto riguarda la genesi di questi saggi e il loro inquadramento storico-cronologico, in particolare il periodo della produzione weberiana in cui si collocano, nonché le vicende piuttosto tormentate delle varie stesure e pubblicazioni (che si collocano in buona parte nel periodo che vede lo scoppio della prima guerra mondiale e proseguono fino ed oltre la morte dell’autore).

I saggi weberiani dedicati alla sociologia delle religioni si dividono in due periodi: quello degli studi sul protestantesimo e quello delle indagini sulle religioni orientali, con un intervallo di quasi una decina d’anni che separa il primo periodo dal secondo.

Al primo periodo appartengono il saggio dedicato all’Etica protestante pubblicato nel 1904 e quello complementare sulle Sette protestanti apparso nel 1906. Il saggio sull’etica protestante si colloca in un periodo che si può definire come una «nuova fase» della produzione weberiana, dopo che una grave malattia nervosa aveva costretto l’autore alla rinuncia all’insegnamento e ad un lungo periodo di inattività, e man mano che i suoi interessi andavano orientandosi al di là dei suoi originari studi giuridico-economici verso quelli che potremmo definire più propriamente sociologici. Tra la preparazione e la pubblicazione del saggio sull’etica protestante si colloca il viaggio di Weber in America, da cui egli trasse tutta una serie di spunti che trovano riflessi nell’opera e che non sono solo il frutto delle sue ricerche nelle biblioteche dei Colleges fondati dalle sette protestanti, ma anche delle sue osservazioni del sistema sociale e del «modo di vita» americano, in cui egli vede i riflessi del puritanesimo e dell’etica dei «Padri pellegrini». Queste ultime si traducono in una serie di fatti, episodi, aneddoti, costumi e usanze osservati che vengono riportati qua e là in nota nel saggio. In linea generale poi, il saggio, così come appare nei Gesammelte Aufsätze, è stato ampliato con l’introduzione di numerose e poderose note di chiarificazione e di risposta ai critici. A questo riguardo però Weber tiene anche a sottolineare che nel corso della revisione non ha soppresso, cambiato, indebolito nessuna parte o affermazione, né aggiunto alcunché di diverso intorno a tutto quanto riguarda i punti essenziali del suo saggio. Va anche aggiunto che le note riflettono soltanto una parte della polemica che si è andata sviluppando da quando il saggio fece la sua prima comparsa e che è continuata fino ai giorni nostri (per ulteriori indicazioni in merito si rinvia alla nota bibliografica). Nel saggio Weber, che pur riconosce «l’importanza fondamentale del fattore economico» aggiungendo che però non va dimenticata la correlazione inversa, si propone di studiare «l’influenza di certe idee religiose sullo sviluppo di uno spirito economico, e Yethos di un sistema economico», basandosi quindi sostanzialmente sul secondo tipo di correlazione. Chi vi ha visto un rovesciamento totale della teoria marxista, o comunque la critica più radicale che sia mai stata fatta alle teorie di Marx; chi ha accusato Weber di una visione troppo unilaterale, per cui egli avrebbe semplicemente sostituito ad un fattore dominante (l’economia) un altro (l’etica religiosa). Anche tra i marxisti la polemica ha avuto vari aspetti, dal rifiuto totale all’accettazione di una parte delle teorie di Weber come conglobagli in quelle marxiste (dove l’errore di Weber sarebbe stato di dare eccessiva importanza alle sovrastrutture che semplicemente reagiscono «di ritorno» sulle strutture economiche). Accanto alla nota polemica di Lukàcs, è interessante in proposito quanto dice Tawney nel suo F ore word alla traduzione inglese d eli’Etica protestante di Talcott Parsons (The Protestant Ethic and thè Spirit of Capitalism, London, Unwin, 1930). Se infatti il saggio di Weber, afferma Tawney, si limita a studiare il ruolo dei movimenti religiosi nel creare le condizioni favorevoli allo sviluppo di un nuovo tipo di civiltà economica, e se Weber si tutela accuratamente dalla critica di sottovalutare il parallelo sviluppo di altri fattori nella sfera economico-industriale, tuttavia egli sembra porre «un’enfasi troppo esclusiva sulle forze intellettuali ed etiche» in questo saggio, che in particolare «appare talvolta troppo sottile nel suo ascrivere ad influenze intellettuali e morali degli sviluppi che erano il risultato di forze più prosaiche e mondane e che si manifestavano, indifferenti al carattere dei credi religiosi, ovunque le condizioni esterne offrivano loro un ambiente congeniale».

In definitiva gli studi weberiani di sociologia religiosa di questo periodo, cioè quelli dedicati al protestantesimo, se pure in termini puramente quantitativi, rispetto all’insieme dell’opera, e cioè in confronto al secondo periodo dedicato alle religioni non cristiane, rappresentano una parte molto più ristretta, hanno tuttavia un carattere fondamentale, che va sottolineato, un carattere «paradigmatico» anche sul piano metodologico come afferma Marianne Weber nella sua biografia del coniuge, aggiungendo che con il saggio sull’etica protestante Weber si proponeva lo scopo più vasto, che perseguirà sempre, di un «superamento positivo» della concezione materialistica della storia. Tale contributo, in merito alla polemica suaccennata, può apparire come notevole indice di una preoccupazione costante e insieme latente di Weber, se si riflette al fatto che in tutti questi saggi orientali su un cruciale problema interpretativo, il nome di Marx non appare praticamente mai.

Non solo il saggio sull’etica protestante ha quindi un valore fondamentale, ma si potrebbe aggiungere, con Eisenstadt, che tutte le opere posteriori di sociologia religiosa di Weber «sembrano essere innanzitutto - se non esclusivamente - un derivato del suo interesse per la tesi dell’etica protestante» (cfr. Religione e mutamento sociale in Max Weber in «La Critica sociologica», nn. 25–28, primavera 1973-inverno 1973’74)* Quando Weber riprende i suoi studi di sociologia delle religioni, intorno al 1911 presumibilmente, secondo la testimonianza di Marianne Weber, si scosta dall’Europa e dal cristianesimo, su cui nel frattempo ha lavorato Troeltsch di cui è uscito il contributo fondamentale sulle dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, ed affronta invece le religioni non cristiane del mondo orientale. Incomincia con la Cina, con l’intento di proseguire con l’India, il giudaismo, l’Islam e il cristianesimo primitivo. Le prime parti di questa nuova serie di saggi, nel loro insieme, quelle che poi costituiranno il primo volume dei Gesammelte Aufsätze, vengono portate a termine, in linea di massima, nel 1913; com’è noto però la pubblicazione, sull’Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik la rivista di Jaffé di cui Weber era coeditore insieme a Sombart, iniziò soltanto due anni dopo, nel 1915. In quel periodo Weber iniziò gli studi sull’induismo e il buddhismo e due anni dopo intraprese quelli sul giudaismo. Lo scoppio della guerra e il servizio prestato come direttore dell’ospedale militare di Heidelberg impedirono allora a Weber di procedere alla revisione di alcune parti, come era nelle sue intenzioni. In seguito gli altri saggi vennero pubblicati man mano, in singole parti, sull’Archiv, nel periodo 1916–19. Vennero poi raccolti sotto il titolo di Gesammelte Aufsätze zur ReligionsSoziologie per i tipi dell’editore Mohr di Tübingen. Il primo volume della raccolta uscì nel 1920, pochi giorni prima della morte di Weber. L’autore poté perciò prepararlo personalmente per la stampa, curarne l’impostazione complessiva e anche rivedere, correggere e in certi casi rielaborare i singoli saggi, cosa che fece in misura notevole, come abbiamo visto, per il saggio sull’etica protestante, e che fece anche in parte per il saggio sulla Cina, apportando alcune correzioni e proponendosi di chiarire e completare le parti dedicate alla descrizione delle condizioni cinesi. Questo primo volume contiene, oltre ai due saggi sukYEtica protestante e le Sette protestanti, la Introduzione alla serie di saggi su L’etica economica delle religioni mondiali, il saggio su Confucianesimo e taoismo., e la Zwischenbetrachtung., il saggio teorico «intermedio». Alla raccolta di scritti venne inoltre premessa una Vorbemerkung, ossia le «osservazioni preliminari» che rappresentano l’introduzione generale all’insieme complessivo degli scritti di sociologia delle religioni. Tale introduzione presumibilmente venne scritta per ultima, nel 1920, come risulta anche dal suo carattere complessivo mirante a chiarire lo scopo ed i problemi di fondo di tutta la serie di saggi. Essa mette anche in luce il filo conduttore che lega i saggi del primo periodo a quelli del secondo.

Gli altri volumi della raccolta, invece, contenenti rispettivamente i saggi Hinduismus und Buddhismus e Das antike fudentum, sono stati pubblicati ambedue postumi, nel 1921, a cura di Marianne Weber. I saggi sono quindi rimasti praticamente invariati rispetto alla prima stesura, senza che Weber abbia potuto procedere alla revisione approfondita che si era ripromessa. L’opera sul giudaismo, inoltre, negli intenti di Weber doveva essere completata con l’analisi dei Salmi e del Libro di Giobbe, a cui doveva seguire uno studio sul giudaismo talmudico. Nulla di ciò è stato fatto. Fu trovato invece un capitolo postumo, sui Farisei, che doveva rappresentare il passaggio agli studi successivi e che, compiuto in sé, è stato pubblicato in appendice al terzo volume della raccolta. Il ciclo dell’analisi delle cinque grandi religioni mondiali, così com’era negli intenti ambiziosi di Weber, è rimasto dunque incompiuto, mancando totalmente anche le parti relative all’Islam e al cristianesimo antico.

Weber forse, secondo la frase riportata da Marianne Weber nella prefazione al terzo volume, «nella sua sovrana e disinteressata pacatezza nei confronti del proprio destino personale», avrebbe detto come altre volte nel corso della sua vita: «Quello che non ho fatto, altri lo faranno».

Malgrado il carattere talvolta frammentario e incompiuto nella stesura dei singoli saggi, la loro pubblicazione spezzettata e la mancata revisione generale dell’autore, specialmente per quanto riguarda i saggi sulle religioni orientali, tuttavia la fondamentale unitarietà dell’opera e della problematica di fondo che muoveva Weber nelle sue indagini appare estremamente chiara nella Vorbemerkung. In essa l’autore pone il problema generale dello sviluppo della civiltà occidentale: perché si sono avuti in Occidente, e solo in Occidente, dei fenomeni culturali che appaiono «in una linea di sviluppo, significato e valore universali» ? II nodo del problema è dato dal particolare razionalismo occidentale: razionalismo che ha permeato tutte le sfere dell’esistenza portando a sviluppi sconosciuti altrove. Il capitalismo, «la forza più decisiva della nostra vita moderna», viene introdotto qui come uno degli aspetti di questo sviluppo. Il problema è questo: perché queste «vie di razionalizzazione» non sono state imboccate altrove, quali sono gli ostacoli, e principalmente gli ostacoli «spirituali», le forze magiche e religiose e le idee etiche basate su di esse, che hanno ostacolato questo processo, questo tipo particolare di razionalismo (perché, spiega Weber, vi possono essere vari tipi di razionalizzazione, per esempio quella della contemplazione mistica). Come si spiega geneticamente il particolare razionalismo occidentale e, in maniera più specifica, la sua forma moderna?

Weber, come abbiamo visto, pur riconoscendo l’importanza fondamentale del fattore economico, aggiunge che non va dimenticata la correlazione inversa. La quale poi è in realtà quella che costituisce la base del primo saggio, quello sull’etica protestante. Bisogna però notare che l’intento di Weber non è quello di proporre un solo fattore esplicativo per spiegare certi sviluppi (qui, in particolare, il capitalismo moderno) e giustamente è stato sottolineato da Cavalli (Max Weber. Religione e società, Bologna, Il Mulino, 1968), il «plurifattorialismo» di Weber. Il quale del resto, nella Vorbemerkungy dichiara esplicitamente di trattare, nei due saggi sull’etica e le sette protestanti, «solo un aspetto della concatenazione causale». Aggiunge poi che studi successivi, quelli dedicati all’etica economica delle religioni mondiali, si propongono «sotto forma di un esame delle relazioni tra le religioni più importanti e la vita economica e la stratificazione sociale del loro mondo circostante, di seguire ambedue i nessi causali, nella misura necessaria al fine di trovare dei punti di confronto con lo sviluppo occidentale».

Nelle grandi ricerche comparate viene in luce la cultura enciclopedica di Weber che gli permette di compiere un’analisi approfondita ed una comparazione sistematica di tutti gli aspetti storici, economici e sociali delle culture studiate. Forse anche per l’ampia portata di queste ricerche che investono campi spesso aperti solo allo specialista, è idea comune che esse abbiano un carattere meno unilaterale di quello sull’etica protestante. Oltre all’inquadramento storico-culturale generale che ne facilita la lettura a chi è estraneo alla materia, maggior rilievo sembra anche dato all’influenza di fattori economici. Tuttavia i pregi dell’opera dovuti alla vastità delle conoscenze di Weber hanno anche un loro risvolto negativo, in quanto l’autore talvolta indulge in descrizioni troppo dettagliate e particolareggiate, che finiscono per deviare alla linea della ricerca, cui fa ritorno spesso dopo lunghe divagazioni attorno al punto di partenza: appare così una certa mancanza di organizzazione nella presentazione della materia. Va aggiunto poi che Weber possedeva, sì, una vastissima cultura, ma non era un orientalista e gli mancavano quindi gli strumenti culturali necessari per questo tipo di indagine, a cominciare dalla lingua: le sue ricerche sono quindi basate su traduzioni, su fonti indirette ed in definitiva su di un materiale decisamente più ristretto di quello esistente alla sua epoca. Weber stesso si rende conto di questi limiti e li premette esplicitamente ai suoi saggi; tuttavia rimane il fatto che non solo accumula una quantità confusa di dettagli slegati, ma che molto spesso i particolari sono inesatti o errati ed influiscono anche sulle generalizzazioni che egli ne trae.

Naturalmente Weber, che non era né un sinologo né un indologo, non poteva andare esente da tali rilievi, né va dimenticato che gli si dà atto in generale di aver fornito un notevole contributo alla conoscenza delle civiltà orientali. I suoi studi sulle basi sociologiche della Cina, in particolare sullo stato burocratico-patrimoniale, sul sistema delle prebende e sul ceto dei letterati - da cui poi si passa a interessanti paragoni con la casta dei brahmani nell’ambito del sistema sociale indù - sono ricchi di informazioni preziose oltre a contenere alcuni degli spunti più interessanti della teoria weberiana per i rapporti messi in luce tra religione e classe dominante. Anche le sue dettagliate relazioni sulle forme di organizzazione economica si prestano a sviluppi, in rapporto allo studio delle religioni, che Weber stesso non sempre mette pienamente in luce - anche per quella certa disorganizzazione di cui si è parlato - ma che possono fornire materiale per analisi di vasto interesse.

Ciò che conta qui è l’uso che Weber fa del materiale a sua disposizione e questo viene messo in luce dai due saggi teorici in cui Weber, basandosi sulle sue conoscenze approfondite e sul vasto materiale di cui dispone, ci dà un sunto dei concetti fondamentali su cui si basa la sua sociologia delle religioni, nella Einleitung, ed elabora, nella Zwischenbe- trachtung, una teoria del «rifiuto religioso del mondo» nei suoi diversi gradi e orientamenti. In ambedue questi saggi Weber, basandosi su una comparazione sistematica dei tipi di religiosità che si riscontrano nelle grandi religioni mondiali, è in grado di compiere delle generalizzazioni da cui emergono i suoi concetti-chiave, che non investono solamente la sociologia religiosa. Così, per esempio, nella Einleitung, accanto ai concetti della teodicea, della religiosità di redenzione, dei «beni di salvezza», della religiosità dei «virtuosi» contrapposta a quella di «massa», tratta anche il concetto fondamentale del razionalismo con i suoi diversi significati, chiarendo quali sono i tipi di razionalizzazione che interessano ai fini di questi saggi; sviluppa il discorso generale sui tipi di autorità; elabora la distinzione tra «ceto» e «classe». Ricordiamo infine che il concetto basilare di «etica economica» di una religione, secondo l’intento di Weber, deve svilupparsi in modo progressivo nel corso dell’intera esposizione. Tuttavia egli premette subito che la formazione di un’etica economica è condizionata da fattori molteplici: non è «semplice funzione di forme economiche di organizzazione» come «non è mai stata condizionata solo religiosamente». Una religiosità, poi, non è semplice funzione della posizione sociale di un dato strato che è apparso «come suo caratteristico portatore» e soprattutto non rappresenta mai solo l’«ideologia» di tale strato, il «riflesso» dei suoi interessi materiali o ideali. Il «vincolamento completo e generale dell’etica religiosa alle classi» viene quindi rifiutato, in contrapposizione a due teorie distinte: il materialismo storico di Marx e, sul piano psicologico, la teoria del ressentiment di Nietzsche di cui Weber fa un’acuta analisi.

Altrettanto felice dal punto di vista dell’organizzazione del vasto materiale emerso dall’indagine comparata sulle religioni mondiali appare la Zwischenbetrachtung che si situa dopo il saggio sulla Cina ma è anche scritta in vista degli altri saggi, in particolare quello sull’India. Qui Weber, muovendo dalle religioni di rifiuto del mondo (di cui l’India è stata la culla) elabora una tipologia dell’ascetismo e del misticismo e indaga sugli orientamenti del rifiuto del mondo nelle diverse sfere dell’esistenza: economica, politica, estetica, erotica e intellettuale. Conclude tornando alle forme di teodicea già trattate nell’introduzione. Bisogna notare ancora una volta come le tipologie qui elaborate si basino sull’ampio materiale estensivamente esposto nei saggi sulle varie religioni che trova in questa sintesi i suoi migliori sviluppi.

Un particolare accenno merita il saggio sul giudaismo che da solo costituisce un buon terzo dell’opera complessiva di sociologia religiosa di Weber. è questa l’opera che Weber ha affrontato negli ultimi anni della sua vita, dopo aver analizzato le altre grandi religioni; non sfugge l’interesse particolare che egli dedicò a questa religione, a cui riconosce un valore e un’autonomia che non sfociano nella pura e semplice derivazione da essa delle altre due grandi religioni, il cristianesimo e l’Islam. Non a caso questo saggio si presenta come il più voluminoso della raccolta e tuttavia incompiuto, poiché intere parti importanti non sono state affrontate e il frammento sui Farisei rappresenta soltanto il preludio a tutto lo studio che doveva essere dedicato al giudaismo post-diaspora. Weber si muove qui in una tematica che gli è più familiare di quella delle altre religioni non cristiane, anche per quanto riguarda le fonti storiche e critiche e tutto il dibattito in materia, e ciò si riflette nell’abbondanza e nella precisione del materiale fornito.

Ma il valore di questo saggio sta anche nella sua attualità, e nella modernità di certe analisi weberiane per quanto riguarda lo specifico del problema ebraico, dove è in grado di dire qualcosa di nuovo anche in merito all’interpretazione specifica del giudaismo, al di là dell’uso che egli fa delPindagine ai fini dello sviluppo dell’apparato concettuale e delle tesi sui rapporti tra etica economica e sviluppo capitalistico. In questo senso il saggio si differenzia da quelli sulla Cina e l’India, nei quali Weber riconosce di non poter dire nulla di nuovo per 10 «specialista», l’indologo o il sinologo, e di doversi limitare a usare 11 materiale a più generali fini interpretativi.

Questa sostanziale differenza trova conferma in un altro fatto, se è vero, come scrive Marianne Weber, che in quest’ultimo saggio si trovano anche concetti legati all’esperienza che Weber stava vivendo negli anni in cui lo scrisse, quella dell’azione politica legata ai grandi eventi storici della prima guerra mondiale e dei mutamenti politici avvenuti in Germania. Si veda a questo proposito l’analisi della figura carismatica del profeta. L’interpretazione tutta «politica» della sua azione acquista in questo senso un rilievo particolare.

La scelta di dare ampio spazio a questo saggio traducendolo integralmente, in questa raccolta, ci sembra giustificata da queste considerazioni. Ciò anche tenuto conto del fatto che esso risulta tra i meno conosciuti della produzione weberiana, proprio in relazione alla tematica che sviluppa (molto più noti, ad esempio, sono i contenuti del saggio sulla Cina, in particolare per quanto riguarda il concetto-chiave di burocrazia, fondamentale nell’opera weberiana). Tale tematica andrebbe forse ricollegata in maniera più approfondita proprio alla sociologia politica di Weber, almeno per alcuni aspetti. Riteniamo che la posizione che questo scritto occupa nella presente raccolta possa anche servire in tal senso.

Infine, per quanto riguarda una serie di criteri tecnici e filologici, per la presente traduzione, si è cercato di attenersi il più possibile a quella che è andata ormai affermandosi come la terminologia ufficiale weberiana. In particolare si è tenuta presente VAvvertenza premessa a: Max Weber, Economia e società, a cura di Pietro Rossi, Milano, Comunità, 1961, che presenta un’ampia serie di criteri terminologici ormai adottati a livello generale. Da questa ci si è discostati soltanto quando lo esigeva il senso particolare del testo, oltre ad adottare alcuni terminichiave che differiscono da quelli usati nel testo citato, per motivi di chiarezza e di scorrevolezza oltre che di precisione.

Inoltre si è fatto riferimento, per un confronto a carattere generale e terminologico ai fini della traduzione, ai saggi critici già citati: F. Ferrarotti, Max Weber e il destino della ragione, op. cit., e L. Cavalli, Max Weber, Religione e società, op. cit. Si è anche tenuto conto, per un raffronto, della traduzione inglese dei saggi sulle religioni orientali, rispettivamente: The Religión of China, a cura di H. H. Gerth, New York, The Free Press, 1951; The Religión of India, a cura di H. H. Gerth e D. Martindale, New York, The Free Press, 1958; AncientJudaism, a cura di H. H. Gerth e D. Martindale, New York, The Free Press, 1952. La traduzione inglese degli altri saggi compresi in questa raccolta (oltre a quella, già citata, di T. Parsons, dtlYEtica protestante) si trova nell’antologia From Max Weber, a cura di H. H. Gerth e C. Wright Mills, New York, Oxford Press, 1946, che comprende anche lo scritto sulle sette protestanti.

Indichiamo qui di seguito una serie di criteri adottati per la traduzione di termini-chiave, elencando i termini la cui traduzione si scosta dalla terminologia di base sopra citata.

Così il termine Chance oltre che con «possibilità» o «chance», viene tradotto con «occasione», «opportunità», che sembra più preciso, soprattutto in certi contesti, del termine generico di «possibilità», in particolare quando si tratta di un’«occasione» saltuaria od unica. L’aggettivo idealtypisch viene tradotto con «idealtipico» essendo ormai tale termine, di nuovo conio, entrato nel linguaggio sociologico generale (cfr. F. Ferrarotti, op. cit.) in sostituzione a quella letterale di «tipicoideale». Beziehung, più spesso che con «relazione» viene tradotto con «rapporto» in senso del tutto analogo. Gebilde solitamente viene tradotto con «struttura» e soziale Gebildung con «struttura sociale»; anche in questo caso si è scelto un termine che ci è parso più preciso e adeguato nell’ambito del linguaggio moderno delle scienze sociali. Genossenschaft è tradotto con «associazione», Genosse con «membro del gruppo» (in questione: Dorf genösse = membro del villaggio). Da notare che anche Verband viene reso con «associazione» in determinati contesti. Così ad esempio, quando Nachbarschaftverband non sta a indicare il «gruppo di vicinato» (seguendo la terminologia di Economia e società) ma bensì la «associazione tra vicini», cioè in senso più ampio, come formazione volontaria retta da leggi particolari. Verfassung, oltre che con «costituzione» viene tradotto anche con «organizzazione», «sistema» in alcuni casi particolari; per esempio Agrarverfassung con «sistema agrario». Anspruch è reso spesso con «rivendicazione». Per quanto riguarda la terminologia economica, i criteri sono generalmente analoghi a quelli del testo citato; tuttavia Unternehmung viene tradotto con «impresa» (e non «intrapresa»), Einkommen in genere viene tradotto con «reddito» e Einkünfte con «introiti». Criteri un po’ diversi sono stati adottati invece nell’ambito della terminologia del potere. Herrschaft, oltre che con «potere», viene tradotto con «dominio» in casi specifici (Mandschu-Herrschaft - dominio Manciù). Macht invece viene tradotto ora con «potere» (politische Macht = potere politico) ora con «forza» (plebeische Machte = forze plebee); così Machtstellung con «posizione di potere». Per le due forme di feudalesimo, Lehen è stato tradotto anche qui con «feudo» mentre Pfründe è reso con «prebenda», e lo stesso si è fatto per i suoi composti e derivati; anche questa volta si è preferito un termine tecnico dal significato preciso ed univoco e largamente adottato negli studi weberiani (cfr. F. Ferrarotti, op. cit.; L. Cavalli, Max Weber. Religione e società, op. cit., 1968).

Per altri termini ho poi tenuto conto del fatto che essi o sono stati coniati ex novo dal Weber o «rivendicati» da lui, e cioè impiegati in senso del tutto nuovo e particolare (questo può dirsi, in primo luogo, per il concetto-chiave di Weber Idealtypus, reso con l’espressione «tipo ideale» e che nel linguaggio sociologico non viene quasi mai impiegato in senso diverso da quello weberiano). Alcuni di questi termini sono intraducibili e devono essere resi o con un sinonimo più generico o con lunghe perifrasi se ci si vuole attenere ad un linguaggio tradizionale: il testo ne risulta appesantito e perde della sua forza. Ho quindi optato per termini nuovi a carattere specifico ogni volta che ho potuto rifarmi a testi autorevoli per il loro contributo alla sociologia di Max Weber. Così ad esempio ausseralltàglich è stato tradotto con «extraquotidiano», Veralltdglichung (des Charisma) con «routinizzazione» (del carisma) (cfr. F. Ferrarotti, op. cit.; Cavalli, op. cit.), termini che rendono indubbiamente meglio il senso particolare dei concetti weberiani qui espressi. Al Cavalli faccio ancora riferimento quelle volte in cui, per esigenze particolari del contesto, Stand viene tradotto invece che con «ceto» (che è il termine generalmente preferito) con «gruppo di status» o, in certi composti o derivati particolari, semplicemente con status.

Un termine che in questa raccolta specifica di saggi ha un’importanza particolare è Sippe, che in Economìa e società viene reso con «gruppo parentale» mentre il Cavalli lo traduce con l’espressione «grande famiglia». Ho preferito adottare un terzo termine, «schiatta». Tale scelta, entro certi limiti, è puramente convenzionale. Sippe in senso tecnico, preciso, è intraducibile. Le espressioni che altrove si sono usate per sostituirla avrebbero appesantito in maniera eccessiva un testo in cui tale termine è forse quello che ricorre con maggiore frequenza. Ho quindi scelto il termine «schiatta» rifacendomi al linguaggio antropologico ove indica per l’appunto la famiglia «allargata» anche ai membri più lontani: in tutto il testo il termine viene usato unicamente in questo senso. Sippengenosse, per esempio, rifacendosi ad un altro termine già citato, sarà tradotto con «membro della schiatta». La scelta del termine poi appare ancora più adeguata se esaminiamo i rapporti che intercorrono tra Sippe da un lato, Stamm e Geschlecht dall’altro. Stamm in questo contesto va reso evidentemente con «tribù» (e non con «stirpe»). Tale significato appare univoco se si esamina, in Hindui- smus und Buddhismus il capitolo intitolato «Essenza della casta rispetto alla “tribù”, alla “corporazione” e al “ceto”», rispettivamente: Stamm, Zunft e Stand. Vi si legge: «Una tribù (Stamm) è o era perlomeno in origine legata dal dovere della vendetta del sangue, direttamente o indirettamente con la mediazione della schiatta (Sippe)». La tribù è quindi un gruppo sociale più ampio della schiatta e la comprende. Il significato appare chiaro anche quando Weber parla delle Gaststàmme, «tribù ospiti» (e Gastvolk = popolo ospite). Inoltre il termine Stamm viene usato in maniera inequivocabile per designare gruppi sociali primitivi. Questa versione è analoga anche alla traduzione inglese (cfr. in proposito la nota introduttiva di H. H. Gerth a The religion of China, op. cit.) dove Stamm è tradotto con tribe e Sippe con sib (quest’ultimo termine, intraducibile in italiano, corrisponde con la massima precisione a quello tedesco). Da notare che Stand a sua volta è tradotto con status group, gruppo di status. Geschlecht viene distinto da ambedue i termini precedenti e tradotto con «stirpe» o «casata» (in riferimento a famiglie nobili) dove l’accento cade sulla discendenza, sulla particolare estrazione, più che sulla struttura familiare o tribale esistente come forme di organizzazione. In rarissimi casi, per i composti e derivati di Sippe, si è impiegato semplicemente l’aggettivo «familiare».

Leiturgie tradotto anche qui con «liturgia» e leiturgisch con «liturgico», ed i loro derivati, hanno sempre qui il significato definito da Pietro Rossi: «copertura del fabbisogno mediante prestazioni di lavoro imposte ai sudditi». Lo stesso vale per oikos lasciato nella sua forma originale e definito «comunità orientata in vista della copertura del fabbisogno del signore». Frondienst è il «lavoro servile obbligatorio». Tuttavia quando si parla genericamente di Fron (il termine ricorre molto spesso) si è preferito tradurre con il termine tecnico di corvée.

Nella terminologia religiosa Zauberei è stato tradotto con «magia» o «incantesimo», Zauberer con «stregone» e Magier con «mago», secondo il contesto.

Infine per una serie particolare di termini-chiave, non citati da Pietro Rossi, che ricorrono con frequenza particolare in questi testi, si è anche stabilita una terminologia univoca in relazione al loro senso particolare. Il più importante è Beamte, in particolare nel testo sulla Cina. è stato tradotto con «funzionario» quasi dappertutto, mentre il termine «burocrate» adottato dal Cavalli viene usato solo quando si parla genericamente dei «burocrati» come ceto. Gilde e Zunft sono tradotti rispettivamente con «gilda» e «corporazione». Famiìienkommunion ha qui generalmente il senso di «patrimonio familiare comune». Infine per le suddivisioni amministrative si segue un criterio convenzionale volto a rendere i diversi termini in maniera univoca (poiché tali suddivisioni non corrispondono necessariamente a quelle tedesche cui Weber fa riferimento). Così Bezirk è stato tradotto con «circoscrizione» in gene re e Verwaltungsbezirk con «distretto amministrativo)); Sprengel con «distretto» e Kreis con «circondario».

Una particolare attenzione viene prestata ad alcuni termini che ricorrono frequentemente in particolare nel saggio sull’etica protestante, di cui si è curata la revisione, ma che vengono poi ripresi nei saggi successivi. Innanzitutto i derivati di weltlich, «mondano», e soprattutto la coppia innerweltlich («intramondano») e ausser weltlich («ultramondano»); così innerweltliche Ascese è tradotto con «ascesi intramondana». Gli altri due concetti-chiave accoppiati sono Gesinnungsethik, reso con «etica dell’intenzione» e, in contrapposizione, Verantwortungsethik, «etica della responsabilità». Entzauberung è tradotto con «disincantamento». Il concetto di Bewährung è reso con «comprova» o «conferma» (della vocazione). Infine Erwerb, tradotto con «guadagno» o «profitto» è reso anche con «acquisizione» (soprattutto nei derivati «acquisitivo»).

Erlösung è tradotto con «redenzione», così Erlöser è «redentore»; mentre per Heil e i suoi derivati si traduce con «salvezza» (Heilsgüter, «beni di salvezza», Heilsmethodi«metodica della salvezza»), anche se in determinati casi Heil acquista il significato più generale di «fortuna» (benessere, prosperità); Heiland è il «salvatore».

Alcuni composti del termine Charisma hanno un’importanza particolare: Erbcharisma è il «carisma ereditario» (e erb charismatisch è reso con «carismatico-ereditario»); Gentilcharisma è tradotto con «carisma familiare».

Un termine ricorrente molto di frequente nel saggio sulla Cina è fürstlicher Mann, «uomo nobile», alla lettera «figlio di principe», con le sue varianti vornehmer o höhere Mann, cioè l’«uomo superiore» della dottrina confuciana. Lo si è reso anche, secondo la dizione tedesca che deriva direttamente da quella cinese, con «uomo principesco».

Infine, nel saggio sul giudaismo, un termine fondamentale è Bund, con cui Weber traduce la parola ebraica berith, e che viene tradotto con «patto», ancora una volta il termine più vicino a quello originario. Talvolta tuttavia esso assume il significato di «lega». Il berith è il patto di Jahvè con Israele; ma Bund designa anche la lega israelitica: così Bundeskriesgott è il «dio guerriero della lega» o «dio della confederazione in armi», come traduce Cavalli - noi qui riserviamo il termine «confederazione» per tradurre Eidgenossenschaft - mentre Bundesbuch è il «Libro del Patto». Il termine talvolta è anche sinonimo di «alleanza»: così nella parola Bundeslade che nella terminologia corrente è l’«Arca del Patto» o «Arca dell’Alleanza». Tuttavia per motivi di omogeneità e chiarezza il termine «alleanza» viene preferito come traduzione di Bündnis. Ancora nel saggio sul giudaismo acquista rilievo la distinzione dei vari tipi di profeta e della relativa profezia. Heilsprophet è il «profeta di salvezza» e Heilsprophetie la «profezia di salvezza» (o di buona fortuna); di contro Unheilsprophet è il «profeta di sventura». Schriftpropheten è tradotto con «profeti scrittori».

Per altri termini particolari che ricorrono solo occasionalmente le necessarie chiarificazioni vengono date in nota.

Ricordiamo infine che Weber non era un orientalista; come egli stesso sottolinea, per le ricerche sulla Cina e l’India ha dovuto fare riferimento esclusivamente a fonti tradotte. Potè riprendere a lavorare sulle fonti originali solo nella ricerca sul giudaismo, grazie alla sua conoscenza dell’ebraico di cui aveva intrapreso lo studio anni prima, in relazione a suoi interessi di allora intorno a certe controversie religiose. Tuttavia egli stesso afferma che anche le sue conoscenze dell’ebraico sono del tutto insufficienti. Di conseguenza i numerosi termini cinesi, sanscriti, ebraici ecc. che ricorrono nell’opera non seguono un criterio di trascrizione rigorosamente omogeneo, né tantomeno, ovviamente, si rifanno alle norme scientifiche internazionali attualmente in uso, ma sono perlopiù trascritti secondo la grafia tedesca, a cui si mescolano però traslitterazioni francesi, inglesi o altre, a seconda delle fonti utilizzate. Ciò presenta talvolta notevoli difficoltà d’interpretazione per alcuni riferimenti, sicché nell’edizione italiana si è ritenuto opportuno rifarsi per quanto possibile ai criteri scientifici di trascrizione attualmente in uso, salvo per alcuni nomi o termini di uso corrente o comunque molto noti, per i quali si è adottato la forma più comune o comunque una più semplice di quella ufficiale.

In particolare, per la traslitterazione italiana dei termini cinesi si segue qui Wade-Giles che è adottato a livello internazionale, mentre per i nomi geografici ci si rifà prevalentemente al sistema delle poste cinesi. Ringrazio vivamente il prof. Lionello Lanciotti che ha gentilmente rivisto tutta la terminologia cinese del saggio Confucianesimo e taoi- smo. Sono inoltre molto grata al prof. Laxman Mishra per la revisione delle parole sanscrite e dei termini relativi alle lingue indiane di Induismo e buddhismo; e al dott. Augusto Segre per quella dei numerosissimi termini ebraici contenuti nel lungo saggio sul Giudaismo antico. S’intende che essi non sono responsabili di qualunque svista in cui si possa essere incorsi in fase di redazione finale dell’opera.