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Henry, a casa

«Sul serio, Henry, penso che sia molto irragionevole, da parte tua.»

La signorina Sarah Fairhurst era aggressiva tanto quanto non lo era il fratello minore. Alta, con penetranti occhi azzurri, e i capelli che cominciavano a ingrigire, ben spazzolati all’indietro, a lasciar scoperta la fronte alta e stretta, era la classica zitella, che ciò nondimeno riesce a spadroneggiare sul resto dell’umanità con la sua sola persistente sgradevolezza.

«Perché, irragionevole?», chiese Henry, a disagio, vedendo profilarsi all’orizzonte l’ennesima discussione. Come tutti gli uomini miti, aveva un’avversione per i contrasti.

«Mi hai espressamente promesso», gli ricordò la sorella, «che oggi saresti stato a casa per il tè. Espressamente, Henry. Ma del resto, quando ti trovi nel West End con quei tuoi poco raccomandabili amici letterati, a chi importa della tua povera sorella? Solo il cielo sa che cosa fate, insieme.» Il tono della signorina Fairhurst alludeva a ineffabili orge.

«E tuttavia», continuò, «se trovi il modo di portare a termine qualche lavoro che ci tenga rifornita la dispensa, immagino che non dovrei lamentarmi troppo. Anche se ritengo che, nel caso ci sia una qualche probabilità che tu possa incontrare i tuoi spaventosi amici, dovresti fare del tuo meglio per farmelo sapere prima, così che il tè non si rovini nella teiera mentre io ti aspetto per ore e ore.»

Henry colse al volo il rametto d’ulivo che la sorella gli porgeva.

«A dire il vero, mia cara», disse gentilmente, «oggi non ho potuto evitare di arrivare in ritardo.»

«No? E di chi è la colpa questa volta? Una bionda o una brunetta?» Era una fantasia ormai accettata dalla signorina Fairhurst che il fratello trascorresse tutto il suo tempo libero tra le braccia di donne affascinanti, dotate di tutte le attrattive che a lei mancavano.

«Nessuna delle due. Era un ispettore di Scotland Yard», le spiegò Henry.

«Scotland Yard. Sciocchezze!», esclamò sua sorella con enfasi. «Che cosa potrebbe mai volere Scotland Yard da te? Loro si occupano solo di criminali e, pur con tutti i tuoi difetti, non ho mai pensato che tu potessi macchiarti di un crimine, mio caro Henry, né potrebbe pensarlo nessun altro, ne sono certa.»

«Non sono un criminale, Sarah», confermò Henry con quella che, tra sé, considerava un’aria di tranquilla dignità, «ma sono stato testimone di un crimine… Sono stato, per quanto ne so, l’unico testimone di un assassinio.»

«Un assassinio! L’unico testimone! Mio caro Henry, ci farai tagliare a tutti la gola nel nostro letto.» La signorina Fairhurst riuscì in qualche modo a dare a intendere che, se il fratello si era fatto coinvolgere in un tale scandalo, era solo colpa sua, e che questo avrebbe attirato la disgrazia su tutta la casa.

«L’uomo è morto nella sala lettura del British Museum», le spiegò lui con pazienza, ma sua sorella all’inizio non ne voleva sapere.

«Non dire stupidaggini», gli disse brusca. «Bevi il tuo tè e non perdere tempo in cose che non capisci.»

«D’accordo», capitolò Henry, e fece come gli era stato detto, come, a dire il vero, faceva sempre, con quella sorella tremenda che gli dava ordini fin dall’infanzia, e che a quanto pareva avrebbe continuato a farlo in eterno.

Per qualche minuto continuarono a bere il tè, in silenzio. Poi Sarah parlò di nuovo.

«Un uomo è morto nella sala lettura del British Museum», disse. «Non c’è stato un altro caso simile, qualche mese fa?»

«Un caso simile?»

«Sì. Uno studioso o un professore di qualcosa», replicò la signorina Fairhurst, vaga. «Mi sembra di ricordare di averlo letto. Sui giornali, sai? Anche se naturalmente mi rendo conto che raccontano le bugie più spaventose, e che non si può mai essere del tutto sicuri dei fatti riportati.»

«Ne sei certa?» Henry posò la sua tazza e guardò la sorella, quasi tremando per l’entusiasmo. «Riesci a ricordare qualche dettaglio, Sarah?»

«Temo di no. Ho cose più importanti da fare che trascorrere il tempo a preoccuparmi di gente sciocca che si fa assassinare in luoghi pubblici come la sala lettura del British Museum.»

«L’altro uomo è stato assassinato?» Henry non riusciva a trattenersi dal fare domande, anche se, conoscendo bene la sorella, era perfettamente consapevole di non potersi aspettare risposte soddisfacenti.

«Come faccio a saperlo?», replicò lei. «Per quanto ricordo, è morto di un arresto cardiaco, ma è possibile che quella fosse solo la storia che hanno raccontato i giornali. È molto probabile che sia stato assassinato, in realtà, solo che hanno messo a tacere la cosa. Magari era un parente del Primo ministro, o del ministro delle Finanze, o qualcosa del genere, e volevano risparmiare sulle imposte di successione.» Le idee della signorina Fairhurst riguardo alla legge e alle sue complicazioni erano del tutto confuse, e Henry, molto saggiamente, non cercò di discutere con lei al riguardo. Era deciso a ottenere quelle informazioni, e pensò che doveva riuscire a trovare quello che cercava, da qualche parte.

«Telefonerò a Macgregor», annunciò. «Magari riuscirà a scovarmi quelle informazioni, prima di tornare a casa stasera.»

«Questo», disse Sarah, piccata, «presumo significhi che avremo una terza persona a cena, stasera, e che io, mio caro Henry, avrò lo sgradevole compito di convincere la cuoca che riuscirà a far bastare per tre un pezzo di carne comprato per due.»

«E io sono certo», disse Henry, cercando di blandirla un po’, «che assolverai il tuo compito con successo, mia cara Sarah. Nessuno sa trattare con la servitù recalcitrante meglio di te.»

Angus Macgregor era un giornalista del «Post-Chronicle» e, non appena finita la cena, quella sera, tirò fuori dalla tasca un nutrito plico di ritagli di giornale. Era un amico di lunga data di Henry, e spesso lo aiutava con informazioni prese dall’organo di stampa per cui lavorava.

«Solo il cielo sa perché vuoi questa roba, vecchio mio», disse, nel suo accento natìo. «Mi sembra un po’ fuori dai tuoi soliti interessi. Ma immagino che tu sappia il fatto tuo, quindi eccoti le informazioni che mi hai chiesto.»

«Hai sentito che cosa mi serviva, vero?», chiese Henry. «La comunicazione al telefono era terribile, e riuscivo a malapena a capire che cosa dicevi.»

«Oh, sì, ho sentito», ribatté l’altro. «Volevi sapere tutto su un uomo morto nella sala lettura del British Museum circa un anno fa, o forse meno. Articoli sulla sua morte, dettagli dei ritrovamenti durante l’inchiesta e così via. Anche se, come ho detto, perché diamine volessi tutte quelle informazioni va oltre la mia immaginazione.»

«Lo saprai a tempo debito, Macgregor», gli disse Henry. «In effetti, non sarei affatto sorpreso se la mia ricerca potesse farti incappare in quello che credo chiamiate uno scoop.»

«Che cosa vuoi sapere?», gli chiese Macgregor.

«Chi era l’uomo?»

«Il suo nome era Wilkinson. Era professore di Letteratura inglese all’Università di Northfield.»

«Che cosa?» Henry quasi balzò giù dalla sedia. «Era il grande esperto di teatro elisabettiano?»

«Proprio lui. Aveva una sua teoria secondo la quale i drammi di Shakespeare sarebbero stati scritti da due persone insieme: una era lo stesso Shakespeare, e l’altra Kit Marlowe. L’aveva studiata bene, anche se, naturalmente, erano tutte baggianate.»

«Quando è morto?»

«Vediamo.» Macgregor guardò nel suo plico di ritagli. «Oggi è il 20 giugno. È stato esattamente cinque mesi fa, il 20 gennaio di quest’anno.»

«Qual è stato il verdetto dell’inchiesta?»

«Morte naturale. È stato provato che soffriva di un problema cardiaco… Non capisco lo strano gergo di questi medici. Ma hanno tutti concordato che, nelle sue condizioni, ci si poteva aspettare che se ne andasse in qualunque momento, ed è stato solo un caso se è successo al British Museum. Stava maneggiando un cavolo di libro enorme che pesava una mezza tonnellata: è semplicemente crollato a terra ed è schiattato. Era già morto stecchito prima che riuscissero a caricarlo sull’ambulanza, figuriamoci arrivare in ospedale.»

«Hanno fatto un’autopsia?» Di nuovo Macgregor consultò i fogli che aveva portato con sé dall’ufficio.

«Qui non ne parla, e non credo che abbiano fatto niente del genere, o si sarebbero assicurati di riportarlo nei documenti», disse alla fine.

«Molto superficiale, da parte del coroner», commentò Henry.

Macgregor lo guardò attentamente. «Perché dici così, adesso?», si azzardò a chiedere. «Dopotutto, l’intera faccenda, per quanto spiacevole, non aveva niente di misterioso. Era un caso abbastanza chiaro. Il cuore di quel povero diavolo era malandato da anni, ed è stato solo un caso sfortunato che abbia ceduto in quel cupo, vecchio mausoleo e non in qualche luogo più gradevole. Comunque, azzarderei che lui debba essere stato più che felice, di morire in quelle circostanze. Sembra che fosse un vero e proprio vecchio topo di biblioteca, e tirare le cuoia tra i suoi libri gli avrà fatto piacere.»

«È difficile da spiegare, Macgregor, fino a che non conoscerò un po’ di più i fatti», disse Henry.

«Be’, che cosa vuoi sapere? Ho tutto qui… Tutto quello che è stato reso pubblico, quantomeno.»

Henry sospirò stancamente. «Adesso non cominciare con la storia che vengono tenute nascoste delle cose», lo avvisò l’amico. «Ne ho già abbastanza, e anche di più, di quello che dice al riguardo Sarah, che pensa ci sia una sorta di complotto tra la stampa e il governo per tenerla all’oscuro di ogni genere di preziose informazioni.»

Macgregor sorrise. «Fai le tue domande», disse. «Se pensi che ci sia qualcosa che puzza, in questa storia, e puoi farmi partecipe della verità, ti prometto che verrà pubblicata da Land’s End a John O’Groats e anche oltre.»

«Al momento», gli spiegò Henry, «questa è proprio la cosa che non voglio. Dopotutto, pubblicare i fatti spesso distrugge ogni possibilità di prendere l’assassino.»

Macgregor si lasciò sfuggire un fischio. «Quindi pensi che il caro, vecchio professore di Letteratura inglese sia stato assassinato. È così?», chiese. «Mi chiedo come sia entrata, questa idea, nella tua dolce testolina. In fondo, tu non sei un uomo sospettoso per natura, e non pensi che tutti gli uomini siano incalliti peccatori, a differenza dei giornalisti nati, come me.»

«Lascia che ti spieghi», disse Henry. «Wilkinson era professore di Letteratura inglese in una università inglese.»

Macgregor annuì. «Per quanto scettico io sia», disse allegramente, «questo posso garantirtelo.»

«Al diavolo quel tuo distorto senso dell’umorismo», commentò Henry, con una risatina. «Fammi il piacere di smetterla di fare il buffone e di ascoltare quello che ho da dire.»

«Sono tutto orecchi, mio caro amico», disse Macgregor.

«È morto», continuò Henry, «apparentemente per un arresto cardiaco, nella sala lettura del British Museum circa sei mesi fa.»

«Cinque», lo interruppe Macgregor.

«Le date sono trascurabili», commentò Henry. «È morto in quel modo.»

«Sì.»

«Chi ha testimoniato, durante l’inchiesta?»

Ancora una volta, Macgregor guardò il plico di fogli che aveva davanti.

«Il suo medico, suo figlio e un suo amico», annunciò alla fine.

«Un suo amico?» Henry si concentrò immediatamente su quella che pensava fosse l’informazione più importante.

«Sì.» Macgregor guardò l’articolo. «Che io sia dannato», disse alla fine, «se non sono il più maldestro babbeo al mondo. Ho ritagliato questa pagina talmente male che non c’è il nome.»

«Quale nome?»

«Il nome dell’amico.»

«Non si legge proprio niente? Qualche lettera, voglio dire, in modo da avere la possibilità di capire chi sia quel tizio?»

«È difficile», rispose Macgregor, sforzandosi di decifrare la stampa sbavata che aveva davanti. «Sembra che il nome finisca con due ‘L’, per quanto non sia sicurissimo neanche di quello. Vedi, è scritto all’inizio della colonna e, con le mie forbici maldestre, sono riuscito a tagliare via una parte di giornale, per la miseria, così che si distingue solo la metà inferiore delle lettere. Ed è possibile che siano lettere diverse.»

All’improvviso, a Henry venne un’idea, che quasi gli gelò il sangue nelle vene, per quanto era strabiliante nella sua chiarezza.

«Dice niente di quello che faceva l’amico?», chiese. «Dopotutto, l’amico di un professore di Letteratura inglese potrebbe facilmente occupare una qualche posizione di rilievo all’interno dell’università. A quel punto, sarebbe molto semplice rintracciarlo, se fosse un docente o roba del genere.»

«Buona idea», concordò Macgregor. «Vediamo. Ah, sì: professore emerito di Letteratura inglese all’Università di Portavon.»

«Gesù!» A Henry quasi uscirono gli occhi dalle orbite. Si tolse il pince-nez e lo pulì con gesti nervosi.

«Che cosa ti prende, amico?», gli chiese Macgregor. «Sei bianco come un lenzuolo. Hai l’aria di uno che sta per svenire. Spiegami, svelto! Ti prendo un goccio di brandy? Che cosa diavolo ti prende?»

Henry gli fece un debole sorriso. Poi si rimise il pince-nez, pericolosamente in bilico sul naso. Si guardò attorno con un sorriso quasi soddisfatto, e il colore gli tornò lentamente sulle guance.

«Vuoi rispondere alle mie domande, amico?», chiese Macgregor, facendo emergere sempre più il suo accento per l’agitazione. «Che cosa diavolo ti prende? Perché questa notizia ti eccita tanto? Che importanza ha se il tipo che ha testimoniato era professore in una assurda università nel Sud dell’Inghilterra? Dimmelo.»

«Ecco», ribatté Henry, con voce sottile ma limpida, «il professor Julius Arnell, professore emerito all’Università di Portavon, è morto nella sala lettura del British Museum questo pomeriggio… sotto i miei stessi occhi.»

E Macgregor, per quanto fosse un veterano di crimini misteriosi, si sentì gelare il sangue nelle vene.