9
L’egregio Moses Moss

Mentre Shelley stava quindi dando la caccia a un documento in qualche modo sfuggente, Cunningham era sulle tracce di un gentiluomo quasi altrettanto sfuggente. Si era sentito molto onorato del fatto che il suo capo gli avesse dato tutto quel lavoro da svolgere in modo autonomo, perché questo era il primo grande caso di omicidio in cui avesse svolto indagini di quell’importanza da solo. Eppure, prima della fine della mattinata, cominciò a domandarsi se valesse davvero la pena di perseguire un onore che comportasse tanto lavoro, dopotutto.

Come prima cosa, poiché il giovane Baker gli aveva dato a intendere che Moss vivesse da qualche parte a Bloomsbury, si diresse verso la stazione di polizia di Tottenham Court Road, ritrovandosi presto a confabulare fitto fitto con l’ispettore in carica.

«Conosce un giovane di nome Moses Moss?», chiese, subito dopo essersi presentato e aver chiacchierato per qualche minuto, per entrare in confidenza.

«Perché? Che cosa ha fatto il giovane Moss per attirare l’attenzione di Scotland Yard?», domandò a sua volta l’ispettore, sorpreso.

«Quindi lo conosce?»

«Sì», rispose lui di buon grado. «Lo conosco professionalmente, per così dire.»

«È un delinquente?»

«Oh, niente del genere. C’è stato una sorta di furto con scasso nel suo appartamento di Great Russell Street, una settimana o due fa. Un colpo maldestro, e abbiamo catturato il ladro il giorno dopo. Ma il giovane Moss si è agitato molto», spiegò l’ispettore. «Diceva che chiunque avrebbe potuto essere ucciso nel suo letto, e cose del genere. Sa che cosa dicono le persone isteriche quando pensano che l’uomo che le ha derubate non venga arrestato velocemente quanto vorrebbero.»

Cunningham fece dei mormorii di assenso, in attesa di ulteriori rivelazioni. E siccome le rivelazioni non davano segno di arrivare, chiese il numero della casa in cui il signor Moss aveva il suo appartamento, e lo ottenne.

«C’è un tizio che lavora lì, una sorta di portiere-custode», spiegò l’ispettore. «Se lei, sergente, sta controllando i movimenti del giovane, credo che lui potrà metterla sulla strada giusta.»

«Grazie mille», disse Cunningham. «Proprio la persona su cui voglio mettere le mani.»

Si alzò per andarsene, poi gli venne in mente un’altra cosa. «Che tipo è questo Moss?», chiese. «Un ragazzo perbene?»

«Molto perbene», rispose l’altro. «Un po’ nervoso, immagino. È più o meno il suo unico problema. Credo che scoprirà che è uno con cui è abbastanza facile trattare, cioè, se riesce a trovarlo. Pare che abbia orari strani.»

«Sembra un tipo allegro», fu il commento di Cunningham. E, prima della fine della giornata, avrebbe scoperto che era più che giustificato.

Come prima cosa, andò nell’appartamento di Great Russell Street, per scoprire, come aveva immaginato, che il signor Moss era già uscito. Trovò tuttavia il portiere-custode, in un ufficietto all’ingresso del condominio. Era un piccolo cockney, un londinese dell’East End, basso, grasso e ciarliero, e Cunningham si rese subito conto che, se quell’uomo aveva qualche informazione, avrebbe avuto poche difficoltà a tirargliela fuori. La cosa difficile, in effetti, sarebbe stata, piuttosto, arginare il flusso di reminiscenze, una volta partito come un fiume in piena.

«Moss?», disse l’uomo, con un sorriso allegro. «Be’, sì, capo, lo conosco bene, il signor Moss. Un ragazzo più simpatico non si potrebbe incontrare.»

Cunningham interpretò giustamente il commento come indice del fatto che Moses Moss fosse di manica larga con le mance. Infilò ulteriori domande nella conversazione, e presto ottenne alcune informazioni che forse avrebbero potuto rivelarsi utili a tempo debito, o forse no.

«Ieri sera. Mi lasci pensare», disse il custode, sporgendo le labbra pensoso. «Ieri sera sono uscito di qui a mezzanotte e mezzo. A quell’ora non era ancora rientrato, non per quanto ricordo.»

«Mezzanotte e mezzo? Deve lavorare fino a così tardi?», chiese Cunningham, sapendo che un po’ di umana compassione serve sempre, per stabilire una base più amichevole.

«Sì, lavoro a tutte le ore, qui. È tempo che aggiustino le cose. Lo dico al padrone di casa una settimana sì e l’altra pure, ma lui non ci sente. Quindi faccio il mio lavoro e spero per il meglio.»

«Il signor Moss è un tipo piuttosto dissoluto, quindi?», approfondì Cunningham, riportando la conversazione su quelli che sperava sarebbero stati binari più proficui.

«Oh, sì!», ridacchiò il custode. «A volte sta fuori gran parte della notte. Anche se dobbiamo tutti spassarcela un po’, sa. Dopotutto, si è giovani solo una volta, capo. Prima o poi tocca a tutti, l’occasione di godersela.»

«Giusto», concordò Cunningham. «Ma è piuttosto importante che lo trovi il prima possibile. Qualche idea su dove potrebbe essere a quest’ora?»

«Regent Street», disse il custode. «Dev’essere lì. Sì, Regent Street.»

«Dove in Regent Street?», chiese Cunningham, e il vecchio cockney ridacchiò di nuovo.

«Non saprei, capo», rispose. «Lavora in una concessionaria in Regent Street. Vende auto ai ricconi del West End. È tutto quello che so.»

«Non sa per caso il nome della concessionaria?»

«Mi dispiace, capo, non lo so proprio. Se lo sapessi, glielo direi, davvero.»

«Giusto. Non può aiutarmi ancora, immagino», concluse Cunningham, e poi, colpito all’improvviso da un’altra idea, aggiunse: «Deduco che lei sappia per certo che è tornato a casa, ieri sera, vero?»

«Oh, sì», rispose il custode. «Lo so eccome, che è tornato a casa. L’ho visto stamattina, visto con i miei occhi. ‘Giorno, Bill’, mi ha detto uscendo, allegro come un fringuello. Devo dire che, con il signor Moss, non importa se ha avuto una nottata impegnativa, il mattino dopo ha sempre un bel sorriso.»

«Bene», disse Cunningham. «Grazie mille.» E, mettendo una mezza corona nella mano tutt’altro che riluttante del vecchio cockney, si diede frettolosamente alla fuga, prima che l’uomo potesse rifilargli un’altra puntata di pettegolezzi.

In Regent Street scoprì che il suo compito non sarebbe stato affatto facile. Lungo quella via in particolare non c’erano molte concessionarie, ma Cunningham sapeva che il nome della strada poteva godere di una certa elasticità, e nelle strade più piccole che partivano dalla via principale sembravano essercene a decine. Le provò a una a una, procedendo valorosamente dall’estremità che sfociava in Oxford Circus e facendo un buco nell’acqua ogni volta. Alcuni dei direttori lo guardarono con stupore, ma la maggior parte fu piuttosto cortese, dichiarando che, sebbene tra i loro dipendenti non ci fosse nessuno di nome Moss, era possibile che uno dei loro concorrenti, un po’ più avanti, potesse saperne di più.

Era un compito molto difficile. Anche se facevano tutti del loro meglio per essere utili, Cunningham quasi cedette alla disperazione; e stava cominciando a pensare che l’inafferrabile signor Moss avesse mentito al custode del condominio di Bloomsbury, e in realtà si dedicasse a qualche altra (forse meno rispettabile) professione, quando finalmente colpì nel segno.

Fu in una squallida stradina secondaria, all’estremità di Regent Street verso Piccadilly Circus, che finalmente rintracciò la tana della sua preda, anche se nemmeno lì la trovò subito.

«Moses Moss?», disse il direttore. «Sì, lavora qui.»

«Potrei scambiare due chiacchiere con lui?», chiese Cunningham.

«Potrà farlo quando arriva», rispose il direttore.

«In che senso? Non è ancora arrivato?», domandò Cunningham.

«Oh, sì», disse il direttore della concessionaria con un sorriso. «È arrivato alla solita ora, questa mattina, ma è fuori per un lavoro. Ha portato un cliente a fare un giro di prova con un’auto, capisce… Il genere di cose che i clienti vogliono, di questi tempi», aggiunse malinconicamente, «e se non fanno un gran bel giro, non comprano.»

«Capisco», concordò Cunningham. «Ma quando pensa che potrebbe essere di ritorno? È molto importante che mi metta in contatto con lui il prima possibile.»

«Sì?» Il direttore lo guardò con un’aria incuriosita. «Problemi di soldi, eh?»

«No.» Cunningham sorrise. «Niente del genere. Solo un’informazione che credo possa darmi. Allora, quando pensa che potrò parlargli?»

«Non a breve», fu la sgradita risposta. «Non prima di qualche ora, comunque. Quando Moss prende un cliente all’amo, di solito impiega alcune ore, prima di arrivare da qualche parte. Con ogni probabilità pranzerà con lui e poi lo porterà da Sally per bere qualcosa, solo per siglare l’affare, come si suol dire.»

«Sally? Il club in St Martin’s Lane?», chiese Cunningham.

«Esatto. Un posto noioso. Non riesco a capire perché ci vadano così tante persone», rispose il direttore. «Eppure, sembra funzionare piuttosto bene, e so che Moss ci va quasi tutti i giorni… di certo tutti i giorni in cui ha un cliente all’amo.»

«A che ora potrebbe arrivare lì?», chiese Cunningham.

«Non prima delle tre, perché è allora che il club apre», disse il direttore, ridendo sotto i baffi. «E non ho la minima idea di dove sarà da qui ad allora, perché, vede, non controlliamo i nostri uomini molto da vicino. Fintanto che portano a casa il pane, che è l’unica cosa che conta davvero, possono farlo nel modo che preferiscono.»

«È una seccatura», fu il commento di Cunningham. «Questo significa che ho qualche ora da impiegare.»

«Temo che sia così. Mi dispiace solo di non poterla aiutare di più, ma non ho la minima idea di dove sia Moss ora.»

«Oh, non c’è problema. Buona giornata», ribatté il sergente.

«A presto», rispose il direttore.

Cunningham trascorse una mattinata avvilente, bevendo caffè e perdendo più tempo possibile. Poi, quando arrivò l’ora del pranzo, si attardò finché poté sul suo frugale pasto, guardando tristemente l’orologio a intervalli frequenti e maledicendo i minuti indolenti che si trascinavano così pesanti. Alla fine, tuttavia, si avvicinarono le tre. Il sergente pagò grato il conto e si diresse verso St Martin’s Lane. Il Sally’s Club non era lontano dal London Coliseum, in cima a un edificio alto e sgangherato, e vi si arrivava tramite una scala buia e tortuosa. Quando Cunningham bussò alla porta, si aprì una griglia, e un volto femminile lo guardò con sospetto.

«Sì?», domandò secca la donna, guardando l’intruso accigliata e minacciosa, come se cercasse di ricordare in quale spiacevole situazione lo avesse già incontrato.

«Vorrei vedere il signor Moss», disse Cunningham, nel tono più convincente che poteva.

«Be’, non è qui», replicò lei brusca, sbattendo la griglia con un gesto enfatico. Cunningham bussò di nuovo e la griglia si riaprì.

«Entrerò e aspetterò dentro», annunciò.

«Lei non farà nulla del genere. Questo è un club privato e sono ammessi solo i membri e i loro amici.»

«Be’, io sono un amico del signor Moss, e lo aspetterò per vederlo.»

«Allora può aspettare sulle scale.»

«Un momento», disse Cunningham, mostrando il suo tesserino identificativo. «Che ne pensa?», chiese. «Ora, forse, mi farà entrare?»

Il viso duro e poco femminile, vistosamente bianco di cipria, con le labbra a formare un vivido taglio rosso sul suo pallido biancore, sembrò cedere. «Molto bene, sergente», disse Sally (perché era così che si chiamava). «La farò entrare. Non posso evitarlo, suppongo. Ma si renderà conto, spero, che non posso far passare tutti gli sconosciuti che, senza nemmeno chiedere permesso, dicono di essere amici di uno dei membri.»

«Lo capisco. Va bene», concesse Cunningham, e fu immediatamente ammesso.

Il club era un posto piuttosto piccolo. A un’estremità c’era un bar intorno al quale si trovavano alcuni uomini in piedi, con dei bicchieri di birra in mano. Dietro il bar c’erano bottiglie di vino e liquori, e due fusti di birra. Nella stanza erano disposte alcune sedie di vimini, occupate da donne dall’aspetto languido, e un tavolo su cui poggiavano i loro bicchieri. In un angolo c’era un flipper meccanico a cui stavano giocando due o tre persone, e sul muro un bersaglio per freccette. E questo era tutto. Si trattava evidentemente di un semplice bar privato, un posto in cui un gruppetto di persone poteva bersi qualcosa in orari durante i quali un governo benevolo aveva ritenuto opportuno chiudere i pub; e Cunningham, conoscendo le abitudini di tali locali, si sorprese vagamente di aver avuto delle difficoltà a entrare. Pensò che, di solito, un locale di quel tipo avrebbe fatto membro chiunque, senza ulteriori discussioni. Ma forse la donna si era resa conto che lui era un poliziotto, e aveva messo in piedi quella ridicola dimostrazione di cautela per impressionarlo. In ogni caso, quali che fossero le ragioni di quelle difficoltà, le aveva ormai superate e, ordinando un bicchiere di birra al bar, si sedette su una sedia libera per aspettare l’arrivo di Moses Moss.

Non dovette aspettare a lungo, in realtà, perché, molto prima che avesse finito il suo bicchiere di birra (trovandolo, per inciso, di scarsa qualità), entrò un giovane.

«C’è qualcuno che vuole vederla, signor Moss», disse Sally, con un cenno silenzioso in direzione di Cunningham. Moss lo guardò con un’espressione perplessa.

«Vuole vedere me?», chiese, avvicinandosi a Cunningham, con un’aria di smarrimento sul volto. «Ma chi è? Non la conosco», obiettò Moss. «E che cosa vuole da me?»

«Informazioni», rispose Cunningham, abbassando con tatto la voce a un mormorio. «Sono di Scotland Yard e vorrei fare due chiacchiere.»

«Scotland Yard?» Cunningham si chiese se fosse solo la sua immaginazione, o se il giovane fosse davvero trasalito alla menzione del quartier generale della polizia.»

«Sì», rispose ad alta voce. «Sto indagando sulla morte del defunto professor Arnell.»

«Ho saputo della sua morte», rispose Moss. «L’ho visto sul giornale. Ma che cosa ha a che fare la sua morte con me?»

«Non era un suo parente?»

«Oh, sì», ammise Moss. «Era mio zio. Ma non l’ho mai visto molto. In effetti, penso che quando mia madre ha sposato mio padre sia stata più o meno tagliata fuori dalla famiglia: credo che avessero una sorta di pregiudizio, sa, e non gradissero l’idea che entrasse a far parte di una famiglia ebrea. È solo una supposizione, perché non me ne ha mai parlato, ma io ho ricostruito le cose in quel modo.»

«Sarebbe sorpreso di sapere che le ha lasciato dei soldi?», chiese Cunningham, e Moss sorrise.

«Lo sarei di certo», disse. «Quel vecchio diavolo non ha mai fatto nulla per me in vita sua, e non mi aspetto certo che faccia qualcosa dopo la sua morte.»

«Be’», continuò Cunningham, non sapendo, naturalmente, che cosa avrebbe potuto portare alla luce la lettura del testamento e, in ogni caso, non volendo rivelare alcuna informazione, ma pensando che quell’argomentazione potesse rivelarsi una leva utile per cavare al giovane le informazioni di cui aveva bisogno, «non posso darle alcuna notizia al riguardo, ma ci hanno detto che potrebbe trarre beneficio dal suo testamento.»

«Lo spero vivamente», rispose Moss. «Sono abbastanza al verde, al momento, amico, e non ho problemi ad ammetterlo. Così il vecchio si è rivelato utile, dopotutto, giusto?»

«Non ci conti troppo, signore», gli consigliò Cunningham. «Le ho solo detto che è possibile.»

«Immagino che il suo ‘possibile’ valga quanto il ‘certo’ di chiunque altro», rispose Moss, e Cunningham lasciò che la questione si fermasse lì.

«C’è un’altra cosa», disse, «da chiarire… puramente per una questione di forma. È una domanda che dobbiamo porre a tutti coloro che potrebbero essere collegati al caso, o che potrebbero trarre beneficio dalla morte del professor Arnell.»

«Continui», disse Moss. «Non mi offendo, qualunque cosa voglia sapere. Non sono una di quelle persone permalose che se la prendono per ogni domanda.»

«Può dirmi quali sono stati i suoi movimenti di ieri?», chiese Cunningham.

Moss fischiò piano. «Un alibi, eh?», disse, e Cunningham annuì.

«Capirà che è importante raccogliere gli alibi di tutte le persone in qualche modo collegate al caso», spiegò, anche se, riflettendoci, decise che la spiegazione era probabilmente abbastanza inutile.

«Mi faccia ricordare», replicò Moss, pensoso. «Che cosa ho fatto esattamente? Ah, sì, lo so. La mattina sono andato al British Museum.»

Cunningham non fu in grado di reprimere le parole e gli uscì spontaneamente dalle labbra un: «Che cosa?».

«Sì», confermò Moss. «Al British Museum. Che cosa c’è di male? Non c’è niente di illegale nell’andare a guardare le antichità egizie, giusto? Si dà il caso che mi interessi l’antico Egitto, e sono andato lì a dare un’occhiata.»

«Bene», ribatté Cunningham. «A che ora si trovava al British Museum?»

«Dalle undici circa fino alle dodici e mezzo, credo», rispose Moss. «Avevo avuto una nottata piuttosto pesante, e non ho fatto colazione fino a dopo le dieci.»

«Che cosa ha fatto, quando ha lasciato il museo?», continuò Cunningham.

«Sono andato al lavoro, dalle parti di Regent Street», rispose il giovane ebreo. «C’era una vecchia signora che stava cercando di decidere se voleva o meno una macchina. L’ho portata a Slough e ritorno, lungo la Great West Road, ho preso il tè con lei, e sono riuscito a concludere la vendita verso le sei e mezzo.»

«E dopo?» Cunningham era deciso a non lasciare nulla al caso, anche se era abbastanza sicuro che la parte cruciale dell’alibi consistesse nel tempo che il giovane aveva trascorso al British Museum.

«Poi sono tornato a casa, ho cenato nel mio appartamento e sono andato al mio pub, il Fifteen Swords, in Bloomsbury Street, dove ho giocato a shove-ha’penny fino all’orario di chiusura. Poi a letto, come diceva nel suo diario il vecchio Samuel Pepys.»

«Per quali parti della giornata ha una qualche sorta di alibi?», chiese Cunningham. «Cioè, per quali orari ha qualcuno che può confermare dove si trovava?»

Di nuovo, il giovane si immerse profondamente nei propri pensieri. «La parte del British Museum penso di poterla confermare», disse. «Ho fatto una chiacchierata con il curatore della sala delle Antichità Egizie. Un mio amico ha fatto degli scavi a Luxor, e alcune delle cose che ha trovato sono in mostra lì. Mi ha chiesto di domandare che cosa ne stessero facendo. Credo che quel tizio mi riconoscerà e si ricorderà che sono stato lì.»

«E per il resto della giornata?»

«Be’, la vecchia signora, la signora Hatton, di Slough, confermerà di essere stata con me per il periodo dall’una e trenta fino alle sei circa; il cameriere del condominio in cui vivo le potrà dire l’ora a cui ho cenato; e il barista del pub, così come alcuni dei clienti abituali, confermeranno i miei spostamenti della sera», annunciò il giovane. «Non credo, in effetti, che ci saranno difficoltà per nessuna parte della giornata. Penso che il mio alibi, amico, sia inattaccabile.»

«Sembra abbastanza soddisfacente», ammise Cunningham, mettendo nella propria voce molta più convinzione di quanta non ne avesse in realtà.

«Qualcos’altro?», chiese Moss, facendosi evidentemente irrequieto, sotto quell’interrogatorio.

«Non molto», disse Cunningham. «Solo i nomi e gli indirizzi delle persone coinvolte.»

«Per Giove, voi ragazzi siete piuttosto scrupolosi, non è vero?», replicò Moss, con palese ammirazione.

«Dobbiamo, è il nostro lavoro, signore», rispose Cunningham. Quindi prese nota dei nomi e degli indirizzi che il giovane gli diede.

«E ora», chiese Moss, quando gli sembrò che la lista fosse completa, «sono libero di andare dove voglio?»

«Assolutamente libero, signore», rispose Cunningham, «anche se vorrei che, nel caso dovesse andare via da Londra, lasciasse detto dove possiamo raggiungerla. Lei è una persona importante, in questo caso, se mi capisce, e non possiamo permetterci di perdere il contatto.»

«Sissignore», rispose Moss. «Mi assicurerò di farlo. E questo è davvero tutto?»

«Questo è davvero tutto», disse Cunningham.

Ma mentre il sergente stava per lasciare il club, che si stava ormai rapidamente riempiendo, Moss lo richiamò indietro.

«Mi è permesso farle una domanda, vecchio mio?», domandò.

«Se vuole… Spari», rispose Cunningham. «Anche se, intendiamoci», aggiunse cauto, «non posso garantire che le risponderò. Questo dipenderà dal mio giudizio.»

«Oh, certo, lo capisco», disse Moss, con un sorriso. «Segreto professionale o roba del genere. Questo è inteso, ovviamente, inutile dirlo.»

Quella indecisione di Moss lasciò Cunningham piuttosto perplesso. Il giovane sembrava a disagio e sulle spine, come se avesse una domanda sulla punta della lingua, una domanda che desiderava fare, ma che, ciò nonostante, non osava azzardarsi a tirare fuori.

«Be’», disse alla fine, quando Moss sembrava essere giunto a un punto morto, per così dire, e non mostrava più alcuna intenzione di voler porre quella domanda, qualunque essa fosse, «qual è questa domanda che vuole farmi?»

«Perché», chiese Moss, «è rimasto tanto sorpreso, quando le ho detto che ieri ero stato al British Museum?»

«Intende dire che non lo sa?», chiese Cunningham.

Moss scosse la testa in silenzio.

«Ha detto di aver letto sui giornali della morte del professor Arnell», continuò Cunningham.

«Esatto», confermò Moss.

«Il suo giornale non diceva dove è morto?»

«No. O, se lo diceva, non ci ho fatto caso.»

«È morto», disse Cunningham lentamente, «nella sala lettura del British Museum.» Prima di lasciare il Sally’s Club, il detective vide Moses Moss andare lentamente verso il bar, con il volto di un bianco spettrale, e ordinare un doppio brandy.