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Il caso contro Moses Moss

Cunningham sorrise. Aveva fatto a Shelley un resoconto completo delle sue indagini nel selvaggio entroterra di Streatham e Pinner, e l’ispettore aveva espresso una gioia e una soddisfazione genuine per il fatto che il sergente fosse stato in grado di fare tanta strada in così poco tempo.

«Intendiamoci, Cunningham», aggiunse come avvertimento, «non sto dicendo che siamo arrivati da qualche parte, è troppo presto per formulare una teoria. Tuttavia, penso che possiamo congratularci con noi stessi per esserci sbarazzati di una falsa pista molto allettante senza perdere troppo tempo.»

«Una falsa pista?» Cunningham non era sempre in grado di seguire il funzionamento della mente in qualche modo più agile del suo capo, e in quelle occasioni era costretto ad aspettare semplicemente la spiegazione, che sapeva sarebbe arrivata a breve da Shelley.

«Sì», disse l’ispettore, sorridendo. «Falsa pista ho detto, e falsa pista intendevo: vale a dire, per intenderci, il signor Baker.»

«Baker è innocente, naturalmente.»

«Naturalmente. Una montatura con i fiocchi, come non ne ho mai viste prima. E, per Giove», aggiunse Shelley, «ci siamo quasi cascati.»

Suonò il campanello sulla sua scrivania, ed entrò il poliziotto in attesa fuori dalla porta.

«Messaggio per tutte le stazioni», gli disse Shelley e, come per magia, l’agente fece comparire taccuino e matita.

«Fermare immediatamente uomo con barba nera e capelli neri unti», dettò Shelley. «Guida una macchina da corsa, si pensa sia diretto a nord, ed è accompagnato da una giovane donna…» E continuò dando una descrizione dettagliata di Violet Arnell. «Aggiungi che faremo seguire la fotografia della giovane», disse, «e che l’uomo potrebbe essere armato ed è certamente un tipo pericoloso: probabilmente un assassino. Ha ucciso due volte e potrebbe uccidere di nuovo.»

«È tutto, signore?», mormorò l’agente, con un tono quasi annoiato, trattando quella questione sensazionale come se facesse semplicemente parte della sua routine quotidiana (come in effetti era per lui, dato che si trattava di una normalissima lettera di lavoro dettata a un dattilografo in un ufficio).

«Sss-sì…», confermò Shelley pensieroso. «Non credo di aver tralasciato nulla di essenziale… Che ne pensi, sergente?»

«Mi sembra che vada benissimo, signore», disse Cunningham.

«Bene. Allora trasmettilo via radio a tutte le stazioni», ordinò Shelley brusco, «dando la priorità a quelle a nord di Londra… su fino a Manchester e Sheffield, diciamo. Non credo che possano essere andati molto oltre, anche se sono riusciti ad avere diverse ore di vantaggio su di noi.»

Il poliziotto se ne andò, e Shelley sorrise cupo. «Be’, ora ci sediamo e aspettiamo notizie, Cunningham», disse. «Se fossi in te, andrei a casa e cercherei di farmi qualche ora di sonno. Potremmo avere davanti un eccitante inseguimento, per domani.»

«Crede davvero, signore?»

«Lo spero.»

«Lo spera?»

«Be’,» Shelley sembrava serio, «se non riceviamo notizie nel giro di qualche ora, temo che non ce ne sarà più bisogno», disse.

«Che cosa intende, signore?»

«Non dimenticare che Moss è un assassino.»

«E pensa che ucciderà la signorina Arnell?»

«Credo che non esiterebbe un istante. Non riesco a capire perché non l’abbia uccisa a Londra non appena è riuscito a farla salire su quella sua macchina… Potrebbe anche averlo fatto, anche se, per qualche ragione, penso di no.»

«Ma che cosa pensa che sia successo, signore?»

«Intendi davvero dire che ti piacerebbe sentirmi parlare di questo caso confuso, mio caro Cunningham?»

Cunningham sorrise. «Sì», disse.

«Allora te la sei voluta tu», replicò Shelley. «Ti dirò che cosa penso sia successo. Sai che mi fa particolarmente piacere discutere dell’intera faccenda in questo modo e, in ogni caso, voglio che tu abbia tutti i fatti davanti. Non sai che cosa ho fatto, mentre tu sfrecciavi per la nostra rispettabile periferia.»

«Continui, signore», lo incalzò Cunningham, e Shelley acconsentì volentieri.

«Penso che il testamento fosse un falso. Moss era in una posizione disperata (per una ragione che ti dirò a breve e che ho scoperto solo di recente) e ha capito che l’unico modo per rimettere le cose a posto era far sì che i soldi del vecchio professor Arnell andassero a lui. Ma conosceva a malapena il professor Arnell, ne aveva semplicemente sentito parlare come del suo ricco zio. Come avrebbe fatto a garantirsi l’eredità?»

«Come?», mormorò Cunningham.

«Poteva falsificarne il testamento. Ma per un testamento c’era bisogno di due testimoni. Poi ecco che arrivò l’opportunità della morte del dottor Wilkinson al British Museum. Moss sapeva che Wilkinson era uno degli amici di Arnell, ed ecco un testimone pronto.»

«Quindi non importa», disse Cunningham, «se il testimone di un testamento muore prima del testatore.»

«Neanche un po’», disse Shelley. «Se questo invalidasse il testamento, la metà dei testamenti nel Paese sarebbe irregolare.»

«Capisco.»

«Be’», continuò Shelley, «questo sistema un testimone. L’altro testimone, Crocker, ha quasi mandato all’aria l’intero piano di Moss. Oggi ho guardato negli archivi del ‘Times’, e ho scoperto che poche settimane fa il giornale ha riportato erroneamente la morte di Crocker. C’è stato un errore. Era morto un altro uomo con lo stesso nome, anch’egli residente a Oxford, ed era stato scritto che si trattava dell’uomo al cui omicidio abbiamo quasi assistito.»

«Suppongo che Moss abbia scoperto il proprio errore appena in tempo», suggerì Cunningham.

«Sì. Così Crocker ha dovuto morire. Ma Moss aveva già cercato di coinvolgere nel caso il fidanzato della signorina Arnell, e ha pensato che la morte di Crocker fosse l’occasione ideale per prendere due piccioni con una fava. Quindi ha scritto quel biglietto, attirando il giovane Baker in città e assicurandosi che si trovasse nelle vicinanze dell’omicidio. Non ho alcun dubbio che abbia attirato la propria vittima nel quartiere del British Museum con mezzi simili. Sembra tutto molto complicato, a descriverlo in questo modo, ma in realtà è stato abbastanza semplice.»

«E perché ha fatto in modo che il testamento indicasse come beneficiaria la signorina Arnell, e se stesso solo dopo la sua morte?», chiese Cunningham.

«Sembra piuttosto curioso, devo ammetterlo», disse Shelley. «Tuttavia, il punto principale era distogliere da sé i sospetti immediati, che sarebbero naturalmente sorti se il professore avesse lasciato i soldi a un cugino quasi sconosciuto, diseredando la sua unica figlia.»

«Mmm.» Cunningham non sembrava del tutto convinto da quella spiegazione.

«E ho il vago sospetto che Moss sperasse di sposare lui stesso la giovane donna, quando il fidanzato fosse stato impiccato per l’omicidio del padre di lei.» Shelley si fermò per vedere che effetto avrebbe avuto quella rivelazione sul collega.

Cunningham sembrò trovare la cosa possibile; in effetti era un comportamento probabile, da parte dell’assassino.

«Credo, però», aggiunse, «che lei abbia detto qualcosa a proposito di fatti nuovi.»

«Oh, sì.» Shelley tornò al presente. «Questa sera, mentre tu stavi raccogliendo quegli utili dettagli sul rapimento della signorina Arnell, ho fatto alcune indagini sulle condizioni finanziarie di Moss.»

«E?»

«Ed è praticamente in bancarotta. Indebitato fin sopra ai capelli, non sapeva a chi rivolgersi per trovare del denaro. Quindi questo spiega molte altre cose, gli fornisce un movente adeguato e dimostra che voleva sottrarsi alle grinfie degli usurai che lo avevano in pugno.»

«Degli usurai?»

«Sì. Ricordi Victor Isaacs, l’usuraio di Ludgate Hill?»

«Non mi pare.»

«Forse non l’hai incontrato professionalmente. Un tipo odioso. Un piccoletto untuoso, che per poche sterline farebbe qualsiasi cosa. È una di quelle persone sgradevoli che i fascisti amano così tanto ritrarre come il tipico ebreo. In realtà non è niente del genere, naturalmente, e chiamarlo così significa calunniare tutti gli ebrei.»

«E Moss gli doveva dei soldi?»

«Sì, diverse migliaia di sterline. Sono andato nell’ufficio di Isaacs e, sebbene lui non fosse in servizio (immagino si presenti solo per un’ora o due al giorno), sono riuscito a spaventare il suo assistente al punto da farmi dare tutti i dettagli delle transazioni concernenti il signor Moss. Non avevano alcuna indicazione della garanzia offerta, il che è di per sé piuttosto sospetto. Ma non c’era alcun dubbio che Moss gli dovesse un mucchio di soldi, e che lui gli stesse facendo pressione per un rientro almeno parziale. Ed ecco il movente!»

«Ma chi pensa che abbia effettivamente messo in atto il rapimento?», obiettò Cunningham.

«Lo stesso Moss», rispose prontamente Shelley.

«Sotto mentite spoglie?»

«Naturalmente.»

«È possibile, ma dimostrarlo sarà un lavoraccio», osservò Cunningham.

«Credi? Perché?»

«Be’», spiegò Cunningham, con un sorriso imbarazzato, «non si può dire che l’autista e il bigliettaio dell’autobus siano proprio dei testimoni ideali per identificare Moss, no?»

«No. Ma l’identificazione dovrebbe essere abbastanza facile, quando lo prenderemo con la signorina Arnell prigioniera da qualche parte nel Nord dell’Inghilterra, perché immagino che sia lì che stanno andando. I criminali puntano sempre verso la parte del Paese che conoscono meglio. Quando sono in fuga, pensano di avere maggiori possibilità di evitare la polizia, lì.»

«Moss conosce il Nord dell’Inghilterra?»

«Sì. Ha vissuto a Leeds per diversi anni, e penso che sarà lì che lo prenderemo.»

«Be’, lo spero», disse Cunningham, e poi un altro pensiero lo colpì.

«Wilkinson non è stato assassinato, quindi?», chiese.

«Ah, no. Avrei dovuto menzionarlo. L’autopsia su Wilkinson, come sai, ha dimostrato che non era presente alcun veleno. È morto di insufficienza cardiaca e soffriva da molti anni di una patologia valvolare al cuore. È stata solo una coincidenza che sia morto al British Museum. È possibile, a dire il vero, che questo sia stato ciò che ha dato a Moss l’idea per il suo complotto.»

«Capisco», replicò Cunningham. «E adesso che cosa facciamo?»

«Come ho detto, aspettiamo i risultati. Non c’è nient’altro che possiamo fare, davvero. Ogni poliziotto in Gran Bretagna li starà cercando, ormai, e nelle prossime ore ne sapremo qualcosa.»

Il telefono squillò, e Shelley afferrò avidamente il ricevitore.

«Che cosa c’è?», chiese eccitato. «Passameli subito. Sembra importante.» Aspettò un attimo, poi parlò di nuovo. «Dove?», lo sentì chiedere Cunningham. «Alla periferia di Sheffield? Sulla strada principale per Manchester? Bene. A che ora? D’accordo. I vostri uomini li stanno seguendo? Veniamo subito.»

«Trovati, signore?», chiese Cunningham.

«Sì», disse Shelley. «Sono stati visti mezz’ora fa da un uomo addetto alla vigilanza del traffico a Sheffield. A quanto pare, erano diretti a Manchester, o comunque erano sulla strada principale per Manchester, in uscita da Sheffield. Cerca i treni per Sheffield, Cunningham. Ho la sensazione che presto saremo in prima fila per il gran finale.»

Febbrilmente, il sergente prese un orario ferroviario e iniziò a cercare.

«Signor Moss, l’abbiamo presa!», esclamò Shelley, liberando la vena un po’ melodrammatica che occasionalmente si poteva notare in lui.

Poi entrò un agente. «C’è un gentiluomo che vuole vederla, signore», annunciò. «Vuole parlare con lei del caso Arnell, o almeno così dice.»

«Chi è?», chiese Shelley.

«Non ha voluto dirmi il suo nome, signore.»

«Treno tra quaranta minuti da St Pancras, signore!», esclamò Cunningham.

«Posso dare al gentiluomo dieci minuti», disse secco Shelley. «Spero solo che non sia di nuovo quella testa vuota di Henry Fairhurst.»

Il poliziotto si ritirò, poi tornò indietro e spalancò la porta. Shelley e Cunningham si guardarono l’un l’altro come se dubitassero della loro sanità mentale. Il caso era stato ricostruito con così tanta cura da Shelley che nessuno dei due dubitava della sua accuratezza in ogni dettaglio. Il rapitore della signorina Violet Arnell si trovava ora da qualche parte fuori Sheffield: sfrecciava in un’auto veloce, tallonato da vicino dalla polizia dello Yorkshire. Eppure… eppure… il loro visitatore altri non era che il signor Moses Moss!