Una volta, quando pensò di stare esagerando col bere, Wyn provò con quella che chiamò la “cura dell’acqua”. Appena si sentiva nervoso, beveva una lunga sorsata d’acqua fresca, o perlomeno era la prima cosa che beveva.
Sto cercando di usare la memoria come una personale cura dell’acqua. Pensavo che, forse, andare a letto presto e sistemare i ricordi nella mia mente, rimettendoli nell’ordine in cui sono successi, sarebbe stato come immergere le mani nell’acqua gelida di montagna. Ma questa cura non funziona sempre. Sono così nervosa, dopo aver passeggiato avanti e indietro per questo maledetto appartamento, che sono contenta che non sia un attico, perché potrebbe addirittura venirmi voglia di fare un tuffo.
Quando penso che ho compiuto ventotto anni qualche mese fa, quando penso a tutto quello che ho passato in questi dieci anni, a quello che tutti hanno passato, mi viene quasi voglia di ridere. Perché hanno dovuto buttare nel fuoco una cosa dietro l’altra? Prima la morale, poi l’economia, e ora tutto il mondo internazionale. Feci un esperimento per scoprire che tipo di problema avessi. Stilai una lista di tutte le cose che mi innervosivano. Il commercio, la radio, il liquore, i giornali, le sigarette, il sesso. Forse non è l’ordine corretto, ma è quello in cui mi vennero in mente. Pensai di fare a meno di una tra queste cose ogni giorno, per vedere se registrassi una qualche differenza. Cominciai un lunedì, ed eliminai le cose a turno. A dire la verità la mia vita sessuale era inesistente da tanto di quel tempo che non mi accorsi nemmeno di quella parte. Credo di essere calorosa ma non promiscua. Le sigarette furono la prova più complicata. Quando arrivò la domenica, tutte e sei le cose si mischiarono per caso nella stessa giornata. Questo sconvolse i miei ragionamenti e i miei calcoli, e io non riuscii a trovare l’elemento più dannoso. Posso dire solo questo: quella notte dormii davvero bene. È già qualcosa. Il lunedì non fu altrettanto buono.
Quello che mi dà più fastidio è non avere nessuno a cui raccontare le cose: intendo raccontare veramente, come facevamo io e Wyn. È buffo che non si possa parlare davvero se manca il desiderio. Forse è a causa del suono diverso delle due voci, maschile e femminile, che si fondono in un accordo come note in musica. Due voci femminili insieme non fanno che un cinguettio.
Uno di questi giorni, a costo di rendermi ridicola, me ne vado in chiesa a scoprire come funziona questa confessione. Non so come si faccia, non so se facciano confessare anche gli atei o se è necessario aderire a un mucchio di cose a cui non credo. Se solo potessi liberarmi di alcune delle cose che mi bruciano dentro, anche a costo di scandalizzare il prete, mi aiuterebbe molto. Dovrei ricevere una risposta? Ho il terribile sospetto che i preti messi a fare le confessioni siano giovani freschi di seminario, addetti a quel compito per fare esperienze indirette e attrezzarsi contro i peccati del mondo. Se avesse una voce giovane credo che scapperei. Nessun novellino avrà mai la mia confessione.
Non amo la parola confessione. Suona come se si fosse colpevoli di qualcosa. Io non sono colpevole, sono maledettamente orgogliosa. Ma mi piacerebbe essere sottoposta a un contraddittorio, un po’ come in tribunale, dover deporre sotto giuramento, in modo da tirar fuori le cose per benino. Sono sempre stata affascinata da quei test che vengono stampati di tanto in tanto. Sono maledettamente ipocriti, e tuttavia ne trapela tanta sincera umanità. Ho perfino tentato di farne uno da sola.
D. Sa che qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei?
R. Certo che lo so. È sempre stato così.
D. Si dichiara colpevole o innocente?
R. Colpevole di essere umana, di avere desideri, bisogni, speranze.
D. Lei è accusata di essere stata rozza e volgare.
R. Non più degli altri, credo; sono stata rude abbastanza da esprimere le mie idee.
D. Ciò l’ha resa felice?
R. Nessuno è mai stato più felice di me. Oh, la prego, faccia in modo che i giurati se ne rendano conto.
D. Perché non è felice adesso?
R. Perché non sto rendendo nessun’altra persona felice.
Immagino che a questo punto ci sarebbe un certo disordine in aula, o che qualche avvocato dovrebbe fare “obiezione”. Felice, che parola insidiosa! Se la si ripete tre o quattro volte di seguito ha un suono positivamente folle. In ogni caso, in questo momento mi sto interrogando da sola e non ci sono regole; farò appello alla Corte Suprema se necessario. Dio sa che le spese sono a mio carico.
D. Ha reso felice Wyn?
R. Credo di sì. Anzi, ne sono certa.
D. E allora perché lo ha lasciato?
R. Se avessi fatto quello che voleva lui, le altre persone lo avrebbero reso più infelice di quanto avrei potuto renderlo felice io.
D. Che cosa intende con questo?
R. Lui era il prodotto di un sistema, ne era alla mercé.
D. Non è una sua convinzione che allo stato attuale non ci siano sistemi di sorta? Che tutta la società sia in uno stato fluido?
R. Non a… voglio dire, non nell’ambiente di Wyn.
D. Il modo con cui lo ha lasciato non è stato alquanto crudele?
R. Al diavolo, temevo che me lo chiedesse. Sì, è stato crudele. Ma doveva esserlo, o lui avrebbe conservato la sensazione di essere stato cattivo con me, e questo lo avrebbe fatto soffrire.
D. Dunque lei ritiene che non soffra ora?
R. Sì. No. Chiedetemelo di nuovo, per favore.
D. Pensa che lui ora sia felice?
R. Penso che la sua vita sia presa da una gradevole routine. Lui ha quella che il governo chiama “sicurezza sociale”. Oh, se ce l’ha! La domenica provi a leggere il Public Ledger, o qualsiasi giornale si stampi laggiù.
D. Ritiene che avrebbe potuto fare qualcosa di più importante per lui?
R. Avrei potuto insegnargli a fare la Cosa Sbagliata, qualche volta.
D. E come, a Philadelphia?
R. Avremmo potuto andare a vivere da qualche altra parte.
D. Crede di essere giusta nei confronti di Philadelphia?
R. La sto prendendo come un simbolo. In realtà la amo profondamente.
D. E la sua gente non è la più piacevole di questo mondo?
R. Certo. I nemici del futuro sono sempre persone squisite.
D. Lei ritiene che il futuro debba essere incoraggiato?
R. Questa è una domanda scema, mio caro: il futuro pende già sulla nostra testa. E, mio Dio, Wyn se ne interessava molto quando ne aveva la possibilità. Che uomo avrebbe potuto essere, se non avesse avuto tutto a portata di mano!
D. Crede che la sua mente debba continuare a girare intorno a questo argomento all’infinito?
R. E se me ne andassi a letto e cercassi di dormire un po’?
Non posso fare a meno di ridere. Mi sono accorta che stavo continuando il mio interrogatorio nella vasca da bagno, che è un gran posto per riflettere. È una specie di immersione spirituale tra le due orecchie. Sarebbe divertente se l’imputato venisse trasportato in tribunale in una vasca fumante, e non sarebbe un cattivo metodo per arrivare alla verità, se è questa che cercano realmente.
Una parola salta in mente e dà il via a un’infinità di riflessioni. La parola era Pocono. Posso dire con certezza che non significa granché fuori da Philadelphia. È una regione montuosa oltre Stroudsburg, dove la gente per bene va a fare le sue feste per bene. Fu il posto in cui vidi una montagna per la prima volta. Wyn diceva sempre che la gente di Pocono è capace di far comportare bene anche le montagne. Talvolta ci prendevamo gioco di loro. Spero che non arrivi mai un terremoto da quelle parti: penso alla grande roccia vicino a Buck Hill Falls, dove Wyn e io abbiamo seppellito le nostre lettere. La luce della luna, lassù, è abbastanza intensa da poterci addirittura leggere.
Calma, ora calma. Papà mi diceva sempre, quando mi agitavo troppo: «Calma, Kitty, stai calma». Dovrei imparare a non dire qualsiasi cosa mi passi per la testa a chiunque. A Chicago scoppiavo sempre a ridere quando le persone si mettevano a parlare del panorama locale definendolo magnifico, un po’ come il Lake Geneva nel Wisconsin o il Mississippi a Nauvoo. Una volta la cosa mi fece irritare e dissi: «Poveri voi che non avete visto nulla: provate ad andare al Water Gap». Tutti pensarono che si trattasse di un’imbarazzante freddura. Il panorama, nel Midwest, è come il rossetto su una ragazza nera: ha buone intenzioni, ma ha qualcosa di patetico.
D. Su, riprendiamo. Parliamo di Pocono.
R. Fu là che iniziai a pensare che le cose potessero essere semplici e armoniose. La prima volta che Wyn e io partimmo mi sentivo così a terra che non pensavo che sarei mai più stata felice. Mi portò in un albergo di Harrisburg dove, per tirarci un po’ su di morale, bevemmo una gran quantità di pessimo alcol di contrabbando. Immagini di provare a raggiungere la felicità a forza di quelle porcherie che vendono negli spacci illegali. Ma a quei tempi era una cosa normale, e noi non avevamo una soluzione migliore.
D. Harrisburg sembra uno strano posto per una fuga romantica.
R. Wyn aveva detto che c’erano tanti eccentrici a Harrisburg, credo per l’assemblea legislativa, e che nessuno avrebbe fatto caso a noi. Per lui era molto semplice, perché Wyn sembrava un gentleman sempre e ovunque. Non riesco a pensare a un luogo in cui potesse sembrare più unico di come sembrava. Poverino, forse era nervoso, emozionato o qualcosa del genere, fatto sta che bevve così tanto che alla fine si addormentò di schianto e io rimasi sveglia tutta la notte a piangere. Non mi ci faccia pensare, fu terribile. Ah, Dio mio, ricordo come stavo quando feci la valigia del ritorno, pensando a quanto avevo creduto che sarei stata felice prima di partire! Non lasciate che le donne credano cose del genere: ne sanno già troppo.
D. Torniamo a Pocono.
R. Wyn mi ci portò perché voleva che vedessi un posto che amava. La sua famiglia aveva una grande villa da quelle parti, ma noi ce ne andammo in una piccola baita di legno sulla riva di un laghetto isolato. Eravamo in autunno, fuori stagione, ma ci buttammo lo stesso in acqua. Poi accendemmo un gran fuoco e ci addormentammo lì davanti, stesi su una coperta. Ero così sciocca che non mi accorsi della bellezza di Wyn fino a quando non lo vidi in piedi sulla spiaggia. Era stupendo, così dritto e liscio e pulito, dai piedi alle spalle. E poi c’era la luce del fuoco sui tronchi della baita. Inoltre, cosa molto carina da parte sua, anche lui pensava che io fossi bella. Forse lo ero davvero, o perlomeno mi ci sentivo.
D. Che cosa disse Wyn a proposito della luce del fuoco?
R. Che è il primo tipo di luce davanti alla quale si sia fatto l’amore. Accidenti, mi rovinò per sempre tutti i fuochi da campeggio: non potrò mai più vederne uno senza soffrire. Poi trascinò fuori un materasso dalla camera da letto e vi dormimmo sopra, davanti al fuoco. Non ricordi i giochi che inventammo?
D. Quello sulle melodie?
R. Sì! Lui mi tamburellava con le dita una melodia sulla schiena, e io dovevo indovinare quale fosse. Non riuscì a farmela neppure una volta; le canzoni che gli venivano in mente erano molto conosciute. Io invece usai le canzoni irlandesi per batterlo.
D. E avevate un vostro linguaggio privato?
R. Sì, si formò gradualmente. Oh, spero tanto che tutti al mondo ne abbiano avuto uno; piccole frasi sciocche, intime e così importanti! Vengono sussurrate sotto il mento o nell’incavo del braccio, tra i seni, non vengono sentite con le orecchie, vengono semplicemente assorbite nella vostra carne. Come dice la Bibbia, ci conoscevamo l’un l’altra. Ci conoscevamo e discutevamo di tutto, e Wyn era per me un dio e nello stesso tempo qualcuno di cui prendersi cura. Sapevo che non mi sarei vergognata mai più e che non mi sarei mai più sentita umiliata o infelice, sapevo che cosa significava vivere.
Ma ora sono stufa degli interrogatori. Non sempre mi viene in mente la domanda giusta da farmi.
Avevamo portato del cibo e ci mettemmo a cucinare. Poi Wyn alimentò il fuoco in una fiamma altissima con i tronchi di betulla, bevemmo caffè e fumammo sigarette seduti per terra, mentre io osservavo la luce che gli saltava sulle spalle e sul petto. Tutto mi sembrava perfettamente naturale, e non riesco a pensare a niente che mi sia parso così naturale da allora.
È stato proprio in quel momento che abbiamo avuto la nostra grande discussione sulla rivoluzione sociale. Wyn sosteneva che nessuna donna sa come vivere fin quando non arriva un uomo che glielo spiega, e che nella nostra epoca gli uomini stavano insegnando alle donne a mettere da parte tabù, formalità e ipocrisie. Detto da Wyn faceva davvero sorridere! Nessuno più di lui ha avuto l’intera vita stabilita da una schiera di persone immerse in comode finzioni. Allora non potei discuterne come probabilmente sarei in grado di fare ora. Ero immersa nella gioia e nell’ebbrezza infinita della grande resa. Non c’era passato né futuro; c’era solo la luce del fuoco e la felicità che mi procuravano le sue mani forti. È un istinto salutare, per gli innamorati, quello di iniziare quel tipo di discussioni su uomo e donna: sottolineano le differenze, che è poi ciò a cui si pensa realmente. Più Wyn mi ripeteva solennemente che spettava all’uomo insegnare alla donna cosa sia la bellezza, più in realtà mi chiedeva di aiutarlo a imparare. Che bambino che era, dietro tutte quelle buone maniere. Spero che la gente della Main Line gli faccia bene. Non posso tollerare che sia stato cresciuto come un gentleman e niente di più.
Per me si trattò davvero di una rivoluzione sociale. Nonostante Wyn stesso non sapesse quasi nulla della vita, delle sue piccole ansie e dei suoi trucchi, dei conti del droghiere e dell’assicurazione e dei vestiti puliti – tutte cose che si possono leggere ogni mattina sul volto della gente in metropolitana –, nonostante la sua comoda ignoranza di tutto ciò, il suo amore mi insegnò ogni cosa. Forse non fu tanto il suo amore, quanto il mio amore per lui. Quando una donna si libera delle sue convenzioni, allora può dare realmente qualcosa, perché lei ne ha soltanto due o tre, e tutte legate alla sua esistenza fisica. Gli uomini hanno un numero illimitato di convenzioni, e possono fare a meno di tutte quelle di cui pensano di non avere bisogno.
In ogni caso, il tipo di donna a cui si riferiva Wyn appartiene a un mondo diverso. Ne sono certa perché mi ricordo i nomi che menzionava casualmente durante le nostre conversazioni. Molte di queste donne avevano avuto tutto e non sapevano che farsene, e soprattutto non sopportavano che qualcun’altra potesse raccogliere qualche briciola qua e là. Ho imparato moltissimo quando sono arrivata a New York e ho iniziato a frequentare la metropolitana. Per chi è in grado di farlo, c’è molto da leggere sui volti che si incontrano laggiù. A Philly, Wyn e il suo giro probabilmente non sapevano neppure dell’esistenza di una metropolitana: loro usavano la snobway, i treni suburbani. Se Wyn e io stessimo ancora discutendo, probabilmente mi direbbe che si sente offeso dal New Deal. Sicuramente gran parte del New Deal sarà demagogico, ma io sto senza alcun dubbio dalla parte dei poveracci.
In quella piccola baita a Pocono notammo una cosa divertente. Sul soffitto della camera da letto c’era una lampadina elettrica con un filo penzolante per accenderla e spegnerla. Un ragno aveva intessuto la sua tela all’estremità del filo, così da racchiuderla in un anello di soffice lanugine pieno di moscerini. Il ragno doveva aver notato che c’era un movimento costante sotto la lampadina e se n’era servito per i suoi scopi.
Io credo che la natura fabbrichi la sua tela proprio sotto la luce intensa del sesso, e che la sua caccia sia abbondante. Quando si è presi nella tela, si crede di discutere di molti argomenti. Ma quello che si intende realmente è “Amore mio, io voglio te”.