Avevo l’abitudine di alzarmi presto al mattino. La mia camera si trovava nell’angolo sud-est della casa, o almeno così diceva lo zio Elmer; l’interpretazione della bussola è qualcosa di cui non mi sento mai molto sicura. “In centro” e “fuori dal centro” è la sola geografia che molte donne riescano a concepire. Dopo la buia casetta di Griscom Street, fui stupefatta dalla marea di luce che inonda una città nella prateria. Il primo rumore di Manitou, la mattina presto, è quello del treno per Chicago. Troppo presto per alzarsi e troppo tardi per riaddormentarsi. Da quelle parti corre la voce che quei fischi mattutini contribuiscano a mantenere alto il livello di natalità.
È divertente essere svegliate ogni mattina da un treno, una volta che ci si è fatta l’abitudine. Porta a pensare alla bellezza del viaggio. Sentivo quel vecchio ammasso di ferraglia sbatacchiare giù nel viadotto per poi lanciarsi nella prateria. A Princeton esistono dei famosi cestini da viaggio. Quando io e la zia Hattie ce ne andavamo a fare le nostre gite del sabato a Chicago, potevo masticare uno di quei sandwich gommosi fino alla stazione Cicero.
Appena sentiva il fischio del treno, Pastafrolla si preparava a uscire. Gli avevano dato il permesso di dormire nella mia stanza, perché mi tenesse compagnia durante quei primi giorni difficili, e la cosa lo aveva sbalordito. Avevo l’abitudine di ripetergli la lezione del giorno dopo, prima di andare a letto. Studiavo molto meglio con lui che con Molly Scharf, tranne quando gli leggevo alcuni tipi di poesie che lo agitavano e cominciava ad abbaiare. Quello era un sistema infallibile per capire se si trattasse di vera poesia. Il Vecchio marinaio e alcune poesie di Vachel Lindsay gli procuravano dei veri e propri attacchi, mentre Walt Whitman e Shakespeare non gli fecero mai rizzare un solo pelo sulla schiena.
Guardavo fuori dalla finestra, lungo Thanksgiving Avenue, dove i grandi olmi avevano spaccato il selciato. Durante l’inverno, riuscivo a distinguere appena la finestra di Molly, in fondo alla strada, dall’altro lato. Se aveva ancora la tendina abbassata, capivo che avrei fatto bene a restarmene a letto ancora per un po’. In direzione della stazione di Santa Fe, sentivo il rumore degli zoccoli proveniente dal mercato dei muli, dove una gran quantità di animali era pronta per essere venduta. Nel cortile dietro casa mi sembrava di sentire lo scroscio della pompa con cui Bernie Janssen stava lavando via la polvere dalla Studebaker di zio Elmer. Bernie si manteneva agli studi universitari facendo ogni specie di lavoro; era uno di quei lenti e ostinati ragazzi svedesi. Anche lui era preoccupato per le sue lezioni; lo vedevo parlare a mezza bocca mentre lavava la macchina, e di tanto in tanto si avvicinava alla porta del garage, dove aveva poggiato un libro aperto sul gradino di una scala a pioli. Faceva colazione con noi e poi andava all’università. Dovetti rinunciare spesso a fare la strada con lui, perché entrambi volevamo ripetere la propria lezione all’altro. Certi giorni della settimana arrivava in uniforme militare, perché si addestrava nell’Officers’ Training Corps. In quei giorni lo ammiravo davvero, anche se non riuscivo proprio ad abituarmi all’idea di un ragazzo dai capelli così incolori. Ma a quell’età una fanciulla deve pur apprezzare qualcuno, e lui era il primo ragazzo che avessi incontrato a Manitou. Inoltre, mi sembrava romantico che si chiamasse Bernadotte; lui diceva che il suo nome veniva da qualche famoso generale svedese.
Il vecchio Teatro dell’Opera di Manitou veniva ancora aperto occasionalmente, e di tanto in tanto vi recitava qualche pessima compagnia di strada. Durante il mio primo inverno lì venne rappresentato un ridicolo melodramma dal titolo Una piccola ragazza va nella grande città. Ovviamente, tutti noi ragazzini ci andammo in massa, e fischiammo, urlammo e battemmo i piedi, ma prendemmo lo spettacolo anche molto sul serio. C’era una scena in cui la protagonista si avvicinava al cattivo della storia accusandolo: «Mio traditore!». Io e Molly non sapevamo esattamente che cosa volesse dire ma tenemmo a mente la frase, e un giorno chiesi a Bernie se volesse essere il “mio traditore”. Lui ne restò molto scandalizzato, e da allora i nostri rapporti divennero più formali.
Era meglio restare a letto fino alle sette, quando la zia Hattie veniva a bussare alla mia porta. Stava molto più tranquilla se mi trovava apparentemente addormentata. Alle sette suonava anche la sveglia dello zio Elmer, e lui accendeva subito la radio per fare la sua ginnastica mattutina. Oggi credo che la radio sia come il liquore, da non assumere mai prima di pranzo, e non so se la gente la usi ancora per la ginnastica del mattino. Ma la piccola età dell’oro era proprio il momento adatto per quel tipo di cose; lo zio Elmer e tutti gli altri erano convinti che di giorno in giorno il mondo stesse diventando sempre più ricco e genuino, che occorresse abbattere il girovita e che tutti i socialisti fossero pazzi. Ritengo che fosse nella sua età critica; chissà per quale motivo agli uomini arriva trent’anni dopo che alle donne. Forse gli ci vuole più tempo per rendersi conto di quanto ogni cosa sia senza speranza? O, forse, ogni età della donna è critica. In ogni caso, poverino, si industriava a rincretinirsi di radio e abitudini consolidate. Mentre faceva gli esercizi si lamentava, e potevo sentire lo scricchiolio delle sue ginocchia; poi scendeva a colazione, rasato fino alla seconda pelle, e insieme alla torta d’avena sorbivamo il programma di Jolly Bill e Jane. Lo zio Elmer pensava che non fosse giusto che seguissimo un programma da abbinare alla crema di granturco mentre invece mangiavamo la torta d’avena alla quacchera. Ma la torta d’avena mi faceva pensare a Philadelphia: potevo vedere la statua di William Penn che sovrastava gli edifici governativi, e il suo sguardo verso Frankford. Immediatamente dopo, mi ricordavo che avrei dovuto scrivere al povero vecchio papà.
È molto importante per un adolescente percepire una certa sicurezza, una routine regolare, cosa che di certo non mi mancava con gli zii. Non avevo mai la sensazione di trovarmi in un posto particolare, come invece succedeva a Frankford. Lo zio Elmer e la zia Hattie erano le persone più normali della terra; il fatto che non avessero avuto figli conferiva loro una certa stabilità, una continuità di abitudini d’ogni genere, nonostante lo zio Elmer amasse considerarsi un tipo non convenzionale. Riusciva realmente a credere che quello che faceva fosse una sua bizzarra peculiarità, mentre erano esattamente le stesse cose di tutti. Ho riflettuto molto su questo argomento ora che mi guadagno da vivere sfruttando l’istinto del gregge femminile, e ormai capisco quanto sia utile credere di seguire un criterio di scelta personale mentre invece non si fa altro che allinearsi con ciò che qualche persona sveglia ha deciso. C’è molta più gente intelligente nel mondo di quanto si possa immaginare, specialmente tra chi si occupa di clientela femminile; i pubblicitari hanno imparato a mettere delle idee in testa al prossimo senza che questo se ne accorga minimamente. Mi sono data una lezione da sola, o almeno spero di averlo fatto: quando penso a qualcosa, mi fermo un secondo e mi chiedo: un momento, chi lo ha immaginato prima di me in modo che io lo pensassi così?
Ma torniamo alla colazione. La cara vecchia Lena (un’altra svedese, Bernie era un suo lontano parente) ci ha rimpinzato di pudding e salsicce, e ora mi aspetta una bella camminata fino a scuola. Mi affretto verso casa di Molly, che probabilmente mi sta aspettando sotto il portico. Tentiamo di sbrigarci per evitare Trudy Weissenkorn, poverina, che ci aspetta più avanti e che di solito riesce a pizzicarci. Pastafrolla a volte cammina con noi fino al passaggio a livello della stazione di Santa Fe, ma sa che non può attraversare i binari. Fa finta di nulla e torna sui suoi passi, ma io colgo sempre l’ultimo sguardo dei suoi occhi gialli, quello sguardo che dice, con estrema serietà: “Da questo momento la mia responsabilità è finita, ora stai attenta a te”. Senza esprimerlo a parole, spero sempre che tutto sia andato bene per entrambi quando lo rivedrò.
La zia Hattie non lo sa ma a volte, con la scusa di cercare qualcosa nei libri, indugiamo sotto il portico di casa Scharf dietro le piante rampicanti finché non vediamo Trudy che viene prelevata dalla sua amica Ida Meagher. Allora ci consideriamo in salvo e andiamo verso Harvest Street, la strada parallela. L’idea che Molly e io dovessimo includere Trudy Weissenkorn nelle nostre cose era molto imbarazzante. La signora Weissenkorn era parecchio ambiziosa per quella sua sfortunata nanetta, e si era convinta che, visto che venivo da Philadelphia, avrei potuto avere un’influenza positiva su Trudy. I Weissenkorn mi invitavano spesso a pranzo, e mi sottoponevano a un vero e proprio interrogatorio su Philadelphia, con domande a cui non sapevo rispondere. Alla fine persi la pazienza, e all’ennesima domanda sulla mia “famiglia” mi scappò che mio padre faceva il guardiano notturno, cosa che provocò un grande dispiacere alla zia Hattie quando lo venne a sapere. Credo proprio che la zia avesse messo in giro qualche piccola e innocente balla sui suoi parenti di Philadelphia.
In verità, non posso dire che i Weissenkorn siano stati meno gentili con me dopo aver saputo che non facevo parte dei Firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza. Credo, anzi, che ne furono segretamente sollevati; la signora Weissenkorn aveva un certo timore per la zia Hattie, in quel tipico modo in cui i donnoni robusti provano soggezione di fronte alle donnine pelle e ossa. Molly e io venivamo spesso invitate dai Weissenkorn nella loro fattoria a Plautus, un sobborgo a dieci miglia da Manitou. Un barbecue in quella fattoria fu una delle prime avventure di quel lungo periodo che fu il mio primo autunno lì. I Weissenkorn pensavano che fosse arrivato il momento per Trudy di imparare a nuotare, e furono contentissimi quando seppero che neppure io sapevo farlo. L’unico bagno della mia vita lo avevo fatto sulla spiaggia di Jersey, e non è facile imparare a nuotare sul bagnasciuga. Invece alla fattoria dei Weissenkorn c’era uno stagno che catturava il torrente Plautus, una specie di fossa fangosa circondata da salici piangenti e con una barchetta tutta storta, costruita in modo approssimativo dai piccoli Debaugh, i figli del fattore dei Weissenkorn. Il posto migliore per fare il bagno, a Manitou, era il Clubfoot Lake, perfettamente attrezzato con dei boschetti per i picnic, le canoe, una pedana galleggiante per i tuffi e un bar chiamato Capannina che vendeva whisky di contrabbando, aveva una pista da ballo e una pianola meccanica. Ma non ci saremmo potute andare finché non avessimo imparato a nuotare, e quella specie di abbeveratoio dietro la fattoria Debaugh sarebbe stata la nostra palestra. Trudy non era molto intraprendente e si lamentava di continuo, soprattutto del fatto che i figli dei Debaugh le davano dei pizzicotti mentre sembrava che le stessero insegnando le bracciate. Molto probabilmente era vero perché davano dei pizzicotti anche a me, ma io mi ero resa conto che meno strillavo, più in fretta imparavo. Strinsi i denti, spesso nel fango ma almeno una volta sui figli dei Debaugh, e in poco tempo mi feci un’idea di come nuotare, tanto che mi spinsi fino al centro dello stagno, dove Molly rideva di noi remando a cavallo di un vecchio tronco. La povera Trudy, invece, dovette restare per giorni nella fanghiglia con quei bifolchi lentigginosi e sdentati. Molly e io li chiamavamo Gurth e Wamba, come i guardiani dei porci di Ivanhoe. Questo fatto li ferì. Un giorno salimmo tutti insieme al pascolo, dove i maiali venivano messi ad arrostire all’aria aperta. La scena aveva un sapore un po’ troppo primitivo e carnale per i miei gusti, ma devo ammettere di aver apprezzato molto quel pasto. Lo zio Elmer, il signor Weissenkorn e il signor Debaugh si divertirono moltissimo a guidare le macchine agricole della fattoria, e noi ragazzi giocammo agli indovinelli e a rincorrerci intorno al fienile. Molly e io avevamo l’aria di considerare il tutto un po’ banale e rozzo; eravamo nella nostra fase “Donna del lago” e chiunque fosse meno attraente di Roderick Dhu non era al nostro livello. In realtà era molto divertente, se si aveva l’accortezza di non farsi beccare dai figli dei Debaugh in un istante di solitudine. Tuttavia, ci furono anche dei momenti imbarazzanti, come quando Molly andò nello stanzino del granaio sopra la stalla e i ragazzi, che aspettavano da tempo una simile opportunità, si arrampicarono fin lassù e le fecero il solletico con una canna da pesca.
Accadde molto spesso che io e Molly finissimo nei guai per le nostre marachelle. Frugando nel retro del negozio di suo padre, in cui si vendevano giornali e articoli di cartoleria, Molly trovò tutta una serie di “scherzi”: polverine per starnutire, bombette puzzolenti, piccole pompe che, nascoste sotto il risvolto della giacca, schizzavano acqua negli occhi, false macchie di inchiostro da mettere sul tappeto, chewing gum al peperoncino e così via. Gli Scharf vivevano in una casa bifamiliare. La camera di Molly era al terzo piano, e dietro c’era una specie di ripostiglio pieno di tutti i più disparati relitti della famiglia: vecchie valigie, una carrozzina piena di decorazioni di Natale, montagne di vecchie riviste e perfino uno scheletro rotto, che qualcuno della famiglia aveva usato per studiare medicina. Ma la cosa più interessante era una specie di condotto per l’aria, che correva sul tetto tra questo stanzino e l’altro lato della casa e serviva per l’aerazione estiva. Da entrambi i lati del condotto c’erano due finestrelle. Non ci mettemmo molto a scoprire che la camera gemella era usata dalla ragazza nera che lavorava per i Nordstrom dell’appartamento contiguo. Da tempo ci divertivamo alle sue spalle, perché lei aveva l’abitudine di parlare da sola. La spiammo a lungo e alla fine scoprimmo che, mettendoci in una certa prospettiva, era possibile vedere, attraverso il condotto, nella sua stanza. Lei aveva l’abitudine di salire a cambiarsi prima di servire a tavola, e questo ci diede modo di usare la polverina per starnutire. Il mio contributo all’impresa fu un’asta per tende, cava all’interno, che portai da casa nascosta sotto il vestito e che mi arrivava fin dentro una calza. Con grande cautela mettemmo in posizione l’asta, carica di una forte dose di polvere, e quando Tillie si avvicinò alla finestrella gliela scaricammo addosso.
L’effetto fu stupendo. Si sentivano i suoi starnuti, i suoi colpi di tosse e le sue imprecazioni per tutto il palazzo, tanto che alla fine i Nordstrom corsero di sopra per vedere cosa stesse succedendo, e il bambino si svegliò e iniziò a piangere. Tillie faceva un tale chiasso che Molly e io potemmo ridere senza rischiare di essere sentite, ma ridendo Molly aspirò una boccata della polverina che era stata portata indietro dalla corrente, e anche lei cominciò a starnutire e a soffocare sotto i colpi di tosse come la cameriera. Presa dall’agitazione feci cadere la scatola della polverina nel condotto, e la polvere a poco a poco si diffuse nelle sale da pranzo dei due appartamenti. Riuscimmo a scappare prima che la causa di tanta confusione venisse scoperta. Portai Molly dalla zia, a cui spiegammo che era in quelle condizioni a causa di un violento attacco di febbre da fieno. Ma poco dopo arrivò una telefonata che gettò benzina sul fuoco. Io fui obbligata a scusarmi con la signora Scharf. Avevano dovuto cenare sotto il portico perché l’interno della casa era ancora infestato dalla polverina. Tillie non si era offesa, anzi era lusingata di essere stata presa in giro da gente bianca. Aveva una specie di benda intorno al collo per asciugarsi il naso e continuava a dire: «Gesù, Gesù, il nazo dendro mi bizziga come fuogo».
Tillie, senza volerlo, contribuì moltissimo a incoraggiare in noi uno spirito scientifico. Qualcuno aveva detto a Molly, una di quelle voci che girano tra i ragazzi, che le nere hanno i capezzoli blu: così spiammo la povera Tillie attraverso il condotto finché non ci convincemmo che non era vero.