È stato parecchio magnanimo, da parte mia, continuare a usare quel treno dopo quel viaggio. Forse il mio grande errore era stato che, per la prima volta, ero partita per un lungo viaggio senza che nessuno mi accompagnasse alla stazione. Nessuno aveva fatto con me i tre gradini di cortesia, nemmeno Mac o Myrtle. Suppongo che stessi fuggendo da me stessa, che è quel genere di fuga che non porta da nessuna parte.
Una volta finita la lettera per Wyn, ero in piena S.M., o “Stretta Mortale”, come la chiamavamo di solito. Non gli avevo scritto quasi nulla. Chissà se gli uomini si rendono conto di cosa si provi a gettare una lettera nella buca, per poi aprire lo sportellino per assicurarsi che la lettera sia scivolata bene in fondo e che venga ritirata senza intoppi? Non potevo fare lo stesso con il facchino del mio vagone, ma gli diedi una buona mancia e lui mi promise d’imbucare la lettera ad Altoona.
Era la prima volta che scrivevo a Wyn, fatta eccezione per i memorandum interni. Avevo imparato molte cose sulla corrispondenza nella redazione del Philly; nell’indirizzarne una a Parry, una volta, mi ricordai gli insegnamenti di papà sulla signorilità dell’Esquire e la indirizzai al Signor Parrish Berwyn, Esq., ma Wyn mi disse che era un errore. Se si è “Esq.” non si può essere anche “Signor”. E se mai dovessi scrivere una lettera a te, ribattei, dovrei indirizzare a Wynnewood Strafford Esq. VI o a Wynnewood Strafford VI Esq.? Mi rispose che a Old St. Davids e a Rittenhouse Square, l’unico Esq. era suo padre, mentre lui era soltanto Wynnewood Strafford VI, ma che se avessi scritto a un ufficio sarebbe stato meglio scrivere “Sig.”, perché in ufficio era soltanto un onesto commerciante. A quanto sembra, un uomo non può essere Esq. se si trova lontano dalle sue terre. Mettere Esq. su una lettera d’affari suona pacchiano.
D’accordo, ma se avessi dovuto scrivergli in banca? La banca è un regolare deposito di proprietà private. Se si fosse trattato di chiunque altro non me ne sarei minimamente preoccupata, ma volevo che Wyn vedesse che avevo un certo istinto per quel genere di cose. Indirizzai pertanto a Wynnewood Strafford VI, come se fosse un re. Dopo mi pentii, perché mi ero dimenticata di scrivere sopra la busta “riservata”, ma è anche vero che se l’avesse aperta un altro non ci avrebbe messo molto ad accorgersi che non era sua. “Più dolce ragazzo del mondo” non è precisamente l’incipit tipico di chi chiede un pagamento a novanta giorni.
Me ne stavo seduta nel vagone, e soffrivo, soffrivo. Stavo percorrendo anch’io una gran curva, come se il treno fosse già all’Horseshoe Bend. Oh, ero soltanto una bambina, ma chiunque è adulto quanto i sentimenti che lo agitano. Perché mai ero salita su quel treno? L’inserviente cominciò a preparare le cuccette e a tirare quelle maledette tendine verdi, la cui sola vista ancora oggi mi provoca i crampi. Due monelli venivano messi a dormire su una cuccetta superiore, e io li vedevo agitarsi lassù, infagottati nei pigiami. Ognuno, su quel treno, aveva le sue buone ragioni per andare dove andava, ma io dove stavo andando, e perché?
Stavo andando via dalla Philadelphia Assembly, e scommetto che nessun altro lo aveva mai fatto prima.
Ero scappata di casa, l’unica casa che avevo; non poteva durare a lungo, il vecchio era più di là che di qua. Mac aveva una casa, e anche Myrtle, ma Kitty che cos’aveva? Stavo fuggendo da Myrtle, dalla stufa della cucina e dalla ghiacciaia che non si chiudeva bene, dalla piccola finestra e dal profumo di glicine e dal tavolo di bambù da cui erano cadute le fotografie quando Wyn si era accorto che avevo delle belle ginocchia. Anche l’inserviente aveva un motivo per essere qui, il vagone aveva un senso per lui, vi possedeva un armadietto pieno di biancheria e di cose d’ogni genere, e non c’era da stupirsi che si divertisse con quei ragazzi, faceva parte del suo lavoro. E poi, come Myrtle, aveva qualcuno a cui pensare. Forse non proprio come Myrtle, non era abbastanza nero per lei. Forse i neri verificano le reciproche sfumature di colore prima di affezionarsi troppo? Scommetto che lo fanno, e scommetto che qualcuno ha progettato le cose in modo da rendere loro la vita difficile.
Perché non avevo un luogo a cui attaccarmi per sette generazioni?
Kitty, sarà meglio che tu stia attenta, avrai dei cerchi sotto gli occhi e dei cerchi sotto il cervello.
Ero scappata solo da Darby Mill, Old St. Davids 31. Non sapevo che la gente vivesse in case simili, credevo che esistessero solo nei film. Come quella gran villa sotto gli alberi, tutta di pietra bruna e argentea di Pennsylvania, ricoperta di rose tardive; non avrei mai creduto che le rose potessero pendere in quel modo. Scommetto che ci vogliono sette generazioni. L’odore dei crisantemi è così pungente, nell’umidità, che fa starnutire. E quell’acqua chiara sopra la diga, vicino al vecchio mulino; ora ci vanno a giocare, ma scommetto che Wyn Strafford I vi segava la legna, una legna piena di nodi. Giù alle stalle, il profumo dei crisantemi si mischiava all’odore dei cavalli, dal posteriore lucido come i mobili antichi di Walnut Street; rivedo il caminetto acceso nella mia camera da letto, senza nessuno che camminasse avanti e indietro in mocassini. E teste di volpe e di orso e di alce e di cervo come in un recinto, e la giubba rossa di qualcuno buttata in un angolo come alla battaglia di Bunker Hill. Quella famiglia doveva aver seminato scompiglio tanto tra gli animali quanto tra gli inglesi.
Credo di aver capito, ormai, perché la Main Line è così british; inizia a vestire i suoi bambini come dei nobilucci inglesi appena sono abbastanza grandi da tenersi in piedi nella vasca da bagno; non sanno neppure d’essere vestiti all’inglese, credono che si vestano tutti così. È il loro modo di farsi perdonare di essere stati tanto maleducati nel 1776.
Questi bambini faranno bene a starsene lontani da Manitou, Illinois.
Avrei potuto scendere dal treno ad Altoona ed essere di ritorno in Griscom Street in tempo per preparare la colazione a papà. Avrei potuto di certo, avevo controllato l’orario.
Kitty, sei pazza. Senti, Kitty, tutta questa gente che viaggia, così internazionale, che fa cose con un’aria così sicura di sé, scommetto che ognuno ha un suo punto debole, poveretto, da qualche parte. Non bisogna premere troppo su quel punto, si sfascerebbe tutto. Trovati un club sandwich e un bicchiere di latte, fai qualcosa di sensato, leggi il Saturday Evening Post, fondato nel millesettecentoqualcosa da Benjamin Franklin. Dov’era Wyn I quando Ben Franklin fondava questo e quello? Scommetto che erano intimi amici. Probabilmente Wyn ha detto a Ben “Facciamo volare un aquilone e vediamo che succede”. Ed ecco i telefoni e tutto il resto.
Lo amo. Sono una donna e lo amo. Nulla può impedirmelo. Ho conservato il suo amore nel mio corpo. È meraviglioso come quattro braccia avvinghiate possano dare certe sensazioni a un essere umano. Una volta gli dissi: «Ora sei Esq., ti trovi sulla tua proprietà privata». Mi ama? Forse gli Strafford vanno a caccia di donne come di animali, e poi ne attaccano le teste su un pannello in una delle loro sale, con gli occhi di vetro che scintillano alla luce del fuoco. Oh, e ogni tanto scelgono nel loro catalogo la più graziosa, la addomesticano e la lasciano vivere lì con loro, per allevarla.
Tutto ciò che volevo era che mi fosse permesso di amare qualcuno.
Nulla potrà mai impedirmelo.
Inserviente, vado nella carrozza ristorante mentre mi prepara la cuccetta.
Avevamo passato la Horseshoe Curve e Johnstown. Mi lavai i denti, mi diedi una spazzolata ai capelli e respirai una boccata d’aria di montagna. Se non si riesce a dormire, si può sempre restarsene seduti nella cuccetta e cercare a tastoni l’interruttore della luce; si possono riordinare gli abiti, contare il denaro nella borsetta, lustrarsi le unghie, ascoltare il russare dei vicini. Mi chiedevo come avrei fatto a infilarmi nel mio corsetto nuovo, il giorno dopo. Se i fianchi torneranno mai di moda mi proporrò come modella.
C’era un uomo che riusciva a russare mentre attraversavamo Pittsburgh. Ci vogliono sette generazioni per imparare una cosa del genere.
Devo essermi addormentata tra l’Ohio e l’Indiana. Che senso ha restare svegli una volta usciti dalla Pennsylvania? Quando l’inserviente mi svegliò, fuori erano già iniziati i filari dei vagoni frigorifero Swift. Avevo avvertito Molly che avrei preso quel treno, così avremmo potuto fare colazione insieme prima che andasse al lavoro. Venne a prendermi; la vidi agitare la mano in cima alla breve salita in fondo ai binari. Come faremmo, disse lei, senza dei treni che ci permettano d’incontrarci? Odio doverlo ammettere, ma bastò il tempo di sederci davanti a due piatti di uova con bacon da Fred Harvey ed eravamo pazzamente felici.
Molly è straordinaria. Non c’è uomo, neppure Wyn, che possa tranquillizzarmi come ci riesce quella ragazza. Forse perché non lo si desidera. Si è sempre intenti a piazzare l’antenna fuori della finestra, per captare una musica o qualcos’altro.
La gente deve annoiarsi a morte quando l’unica cosa che li unisce è il sesso. Wyn e io avevamo sempre qualcosa di cui parlare, era così semplice e dolce che avrei potuto passare la mia intera vita a educarlo. E la bellezza stava nel fatto che lui non se ne accorgeva mai quando accadeva, mentre io sapevo sempre quando stavo imparando qualcosa da lui. È brutto, per un uomo, sapere quanto abbia bisogno di imparare. Credo che ogni donna sia un po’ una maestrina nel profondo del suo cuore.
Un punto a favore di Mark Eisen. Noi avremo sempre l’ospedale a cui pensare, e i bambini malati. Ma non potrei mai dare a Mark quello che ho dato a Wyn. Gliel’ho detto, ma lui è così sicuro di sé. Dice: «Come fai a sapere quello che puoi dare finché non lo stai dando?». È davvero sveglio.
Molly disse, una volta: «È bello che possiamo pensare e basta».
Ma una donna non ha sette generazioni a disposizione per scoprire cosa è bello.
Chicago è diversa da Philly. Non ci si preoccupa del numero delle generazioni, o delle ferite al cuoio capelluto che si sono a malapena rimarginate. Qui, chiunque abbia un nonno è già un veterano, praticamente un figlio di Fort Dearborn. Dovetti ridere di me, stavo già per darmi delle arie solo perché venivo da una casa fatta di assi di legno di Frankford, in cui c’era un letto di ottone che aveva quarant’anni. Molly e Pat Kenzie avevano una stanza in un comico postaccio vicino a Water Tower, e mi ci trovai subito a mio agio perché avevano una vasca da bagno di latta come in Griscom Street. Pat Kenzie era originaria di Chicago, e diceva di essere imparentata con Kenzie, il mercante di pelli, quello sul cartellone vicino al Wrigley Building. Noi la prendevamo in giro per questo, dicevamo che il vecchio Kenzie doveva essere stato un mercante di volpi rosse. Erano entrambe entusiaste del loro lavoro, Pat era nel reparto biancheria e Molly in quello mobili e arredi. Gli affari andavano bene, e Molly diceva che tutta Chicago rideva del crollo della Borsa di N.Y. Il Midwest non vacilla così facilmente. «Hoover viene dal Midwest, no? Ha i piedi ben piantati nella terra». Pat sosteneva che Chicago fosse la città migliore del mondo per la lingerie, perché a causa della fuliggine la gente deve cambiarsi più spesso che in qualsiasi altro posto. Molly era sempre pronta a insegnare al reparto mobili e arredi il buon gusto, e prendeva in biblioteca tutti i libri che riusciva a trovare sull’argomento. Non poteva soffrire le camere a due letti gemelli che la sua ditta vendeva, e non mi stupirebbe che siano stati il gran letto matrimoniale e la branda che avevano nella loro camera a suggerirle l’idea del “due più uno”. Me ne parlò in seguito: «È stupido che la gente compri due lettini gemelli. Certo, la gente di tanto in tanto vuole dormire da sola, ma se invece vuole dormire in coppia ha comunque bisogno di spazio. Perlomeno, immagino che sia così. Perché non montare un letto doppio e un altro singolo, in modo da poter soddisfare ogni tipo di esigenza? La coppia può dormire separata ogni volta che vuole, e ha un letto matrimoniale per il romanticismo e per la stagione fredda».
Pat disse che, visto che divideva il lettone con Molly, sentiva che tutto ciò era in qualche modo rivolto a lei, ma Molly ribatté che si trattava unicamente di una buona trovata commerciale. Un giorno, però, si trovò in grande imbarazzo a causa della sua idea, perché dopo averci riflettuto ancora un po’ andò direttamente dal signor Krebs, il capo del suo reparto. «Signor Krebs» gli disse «non è stanco di dormire in un letto gemello?». Se lui non avesse avuto il senso dell’umorismo, lei avrebbe anche potuto perdere il posto, ed essere costretta a cercarsi un altro lavoro di cui magari non le sarebbe importato niente.
Mi viene da ridere quando penso agli argomenti di conversazione delle ragazze in carriera che vivono insieme. Quando si lavora per 18 dollari alla settimana come loro non si esce la sera, a meno di non essere invitate da qualcuno. Si passa la sera a casa con quello che Pat chiamava il Cocktail Confederato, e cioè una Lemon-Cola, a lavare le calze, stirare mutandine, leggere il giornale della sera comprato a turno e mettere la sveglia in modo di avere il tempo, il mattino dopo, di andare al lavoro a piedi. Ora che le cose per me sono cambiate, che vivo sola e ho anche il tempo di accoccolarmi sul divano con un libro, ogni tanto inciampo in qualche riflessione filosofica sulle “Donne e il behaviorismo”, e mi chiedo dove siano andati a prendere le loro idee quegli scrittori. Immagino che nessuna donna si sia mai presa il disturbo di farli ragionare.
Gli uomini sono capaci di parlare al mondo, ma molto spesso qualche donna, prima, ha sussurrato loro qualche informazione.
Mentre le ragazze erano al lavoro, io me ne andai in giro per la città, ed ebbi un grosso colpo appena fui fuori da Michigan Avenue e dall’Istituto d’Arte. Quando ero con Molly e Pat non parlavo dei miei problemi, non volevo che Molly si preoccupasse delle mie vicende, e d’altra parte non conoscevo Pat abbastanza per rivelarle delle cose troppo intime, anche se devo ancora incontrare una persona dai capelli rossi che non sia piena di comprensione. Inoltre non volevo far sapere subito agli zii che mi trovavo a Chicago: avevo bisogno di essere completamente libera per qualche giorno, senza legami. È questa la sensazione da cui si viene colti in Michigan Avenue, così aperta da un lato sulla vastità del lago. E i nomi degli edifici erano così diversi da quelli di Philly! Carbon, Carbide, Peoples Gas. A Philadelphia sarebbero lunghissimi, come “Palazzo dei contributi alle assicurazione sulla vita”. Anche i nomi delle strade avevano l’aria d’essere in movimento e non di prendersela comoda, stabili come alberi. Ma era difficile ricordare l’ordine dei presidenti su quelle strade. A Philly i bambini imparano i nomi delle strade più importanti con una filastrocca:
Chestnut, Walnut, Spruce e Pine,
Market, Arch, Race e Vine.
Così composi una mia poesiola sulle strade che percorrevo dopo il ponte di Michigan Avenue:
Randolph, Washington, Madison, Adams,
Monroe, Jackson, Van Buren noi andiam.
Dopodiché si arrivava al buon vecchio Congress, che di solito era il punto più lontano dove mi spingevo. Se invece si andava verso ovest attraverso il Loop, da Michigan Avenue la filastrocca poteva essere:
Wabash, Dearborn, Clark, State,
LaSalle e Wells, quando fa buio non ci andate.
A nord del ponte c’erano le strade che prendono il nome dai Grandi Laghi: Ontario, Erie, Huron, Superior. Mi facevano sempre pensare ai vecchi missionari e ai pionieri, e mi veniva una gran voglia di studiare meglio la storia americana. Poi mi ritrovai di nuovo dalle parti della Water Tower. Chicago mi dà sempre la sensazione che da un momento all’altro possa succedere qualsiasi cosa. Il guaio dei libri di storia è che non sanno le cose se non dopo che sono accadute.
Io e Molly decidemmo di andare a Manitou quel sabato, dopo la chiusura del negozio, e di trascorrere lì la domenica. Sarei passata a prenderla al lavoro e avremmo fatto un po’ di shopping prima di salire sul treno. Ricordo che fu una giornata veramente felice, non mi soffermai neppure un istante a pensare, mi divertii e basta. Presi un autobus diretto a Edgewater Beach, girai mezza città, chiedendomi che cosa fosse successo al Saddle & Cycle Club, dopodiché me ne tornai a casa, feci un bagno e preparai la valigia. Stavo uscendo di casa per andare in centro quando mi ritrovai Wyn davanti.
Wyn a ovest di Paoli! In quei pochi giorni mi ero già abituata all’abbigliamento degli uomini di Chicago, con gli abiti rigidamente stirati e i cappelli piantati in testa, la tesa abbassata secondo l’uso provinciale; Wyn sembrava uno straniero. Dalla stazione era andato direttamente da Palmer, dove sapeva che lavorava Molly, e aveva scoperto il nostro indirizzo.
Povero caro, soffrivo per lui ma dovetti proprio prendere quel treno. Non potevo deludere Molly, o gli zii, e neppure Pastafrolla.
«Abbiamo già stabilito tutto» mi disse Wyn. «Mi sono messo d’accordo con la tua amica Molly; è una ragazza meravigliosa. Ora ti porto a prendere un tè da qualche parte, poi ti accompagno alla stazione a incontrarla. Devo andarci comunque, a ritirare la valigia. Prenderò una stanza in albergo e aspetterò che ritorni, lunedì. Sciocca, ti amo, lo sai? Devo parlarti».
«Wyn» dissi «non hai ricevuto la mia lettera? Ti ho scritto che volevo riflettere su tante cose».
«Sì, e perché diavolo me l’hai inviata col timbro di Harrisburg?».
«Ma Wyn, giuro che ho fatto di tutto perché non succedesse. L’inserviente del treno mi aveva promesso di spedirla ad Altoona».
«Bah, si vede che l’ha consegnata a qualche ferroviere che si è ricordato d’imbucarla solo a Harrisburg. Guarda». Mi mostrò la busta col timbro R.P.O. Harrisburg. Immagino che questo dimostri l’inutilità di programmare le cose.
«Sarà meglio che mi indichi un buon albergo in questa città di matti. Tutto quello che so di qui è che, quando mio padre ci venne per la Fiera Mondiale del 1893 o giù di lì, abitava con un certo Potter Palmer e avevano dei dollari d’argento incastrati nel pavimento. Masticano una quantità straordinaria di chewing gum da queste parti, c’è perfino un grattacielo che ha preso il nome dalla gomma da masticare».
Doveva aver parlato con il conducente del taxi, perché sapeva già dove portarmi a prendere il tè; ed era proprio da lui andare a pescare il locale più filadelfiano di tutta la città. Era un ristorante modesto in fondo a una via secondaria che avrebbe potuto benissimo trovarsi a Philadelphia; non c’eravamo che noi, a quell’ora del pomeriggio, e i camerieri inglesi vestiti con delle giubbe rosse, pronti, sembrava, per una battuta di caccia alla volpe.
«Contavo di ballare un po’ con te questa sera» mi disse.
«Non stasera, Wyn. Devo andare a Manitou. Mi piacerebbe tanto che tu mi accompagnassi, ma poi dovrei dare troppe spiegazioni».
«Questa era una sera un po’ speciale» continuò.
«Perché proprio questa sera?».
«Te ne sei dimenticata? È il giorno dell’Assembly».
Non sapevo se piangere o ridere, e credo di essermi messa a ridere.
Il viaggio per Manitou mi dà sempre una sensazione di benessere. C’è qualcosa di forte e di dignitoso in quella terra piatta e monotona. Inoltre viaggiavo con Molly, e c’era tempo a sufficienza per tante chiacchiere; parlammo fino a Plautus, prima di quel placido torpore che coglie alla fine dei lunghi viaggi. Ricordo solo una cosa che disse Molly, subito dopo che Wyn ci mise sul treno: «Quel ragazzo è proprio americano?». Sono cose che feriscono, e perciò lasciai correre; riposi quell’osservazione in fondo alla mia mente, per ripensarci più avanti con calma.
Gli americani non devono mica essere tutti uguali, o sbaglio?
La visita agli zii non fu come avevo sperato. Credo che ci tenessi eccessivamente, e poi avevamo troppo poco tempo: dovevamo ritornare a Chicago domenica sera, in modo che Molly non arrivasse al negozio in ritardo; nevicava, e la zia invitò tutta la città a venire a prendere il caffè la domenica pomeriggio, e io mi accorsi di comportarmi in modo solo educato con le persone che amavo. Lyddie e Fedor e tutti gli altri erano pieni di cose universitarie da fare, e io mi sentii lontanissima da tutti. Wyn telefonò verso l’ora di pranzo e disse di aver cambiato idea su Chicago; era proprio una splendida città. Prima di partire gli avevamo detto che, se si fosse sentito solo, avrebbe potuto invitare Pat Kenzie, e lui lo aveva fatto. Pat aveva scartato i soliti ritrovi del sabato sera, e Wyn l’aveva accompagnata da Chez Pierre. È un locale notturno di gran lusso che avevo sempre voluto vedere, e credo di essere stata un po’ gelosa.
Ero piuttosto turbata, a ogni modo. Le cose a Manitou sembravano semplici e piane, mentre io ero tutta contorta e piena di nodi. Pastafrolla era così debole che mi fece pensare a papà, aveva negli occhi la stessa espressione di sgomento e paura. Lo zio lo prese e lo portò vicino alla stufa in cucina quando fu ora di andare a dormire, e questo mi fece sentire nostalgia di casa. Telegrafai a Mac per avere notizie, e lui rispose: papà brontola ma salute eccellente goditi pure tuo dolce far niente. È l’unica poesia che Mac abbia mai scritto, e sono solo undici parole.
Molly e io tornammo a Chicago domenica notte, e ovviamente alla stazione c’era Wyn: aveva indovinato con quale treno saremmo tornate. All’improvviso mi sentii di nuovo felice. Nella vita capitano molte cose spiacevoli ma, santo Dio, non c’è niente come certi incontri.
«Come hai fatto a ottenere l’autorizzazione da Pat?» gli chiesi, e lui fece un gran sorriso.
«È andata a letto» rispose. «Prende quel suo lavoro enormemente sul serio».
«E io pure» osservò Molly. «Potete accompagnarmi a casa in macchina. Kitty, ecco le chiavi».
Wyn aveva imparato molte cose durante quel giorno e mezzo a Chicago; aveva un tassista che si chiamava Patata e che era un gran sputasentenze. Aveva anche piegato diversamente la tesa del suo cappello, e non sembrava più tanto straniero. Fu allora che pensai per la prima volta che queste famiglie risalenti all’epoca coloniale possono sbocciare di nuovo se solo escono da Philadelphia. Patata ci portò a uno spaccio aperto tutta la notte che, sulla porta, ostentava una targa: “Istituto per l’Agricoltura e la Meccanica”. Wyn pensava che quel genere di cose non andassero assolutamente bene per Philly, ma che fossero utili per quando si faceva un giro nei bassifondi.
Mi disse di essere andato anche alla Palmer House, ma di non essere riuscito a trovare i dollari d’argento incastrati nel pavimento; allora era andato al Congress. «È veramente un gran posto, Kitty, finché non ne senti il profumo. Ricorda il Bellevue a Philadelphia, ma è molto più allegro; hanno questo profumo, che spandono nel vestibolo e per tutta Peacock Alley, un profumo tutto particolare che finisce dritto nella Ballon Room, dove si svolgono i ricevimenti e le danze. Quelli dell’albergo dicono che è un disinfettante ma io non penso, figurati che lo senti anche negli ascensori».
«Te la sei cavata proprio bene a quanto pare, non è vero?». Avevo la tentazione di dirgli qualcos’altro, tanto per prenderlo un po’ in giro per la storia di Pat; ma seppi frenarmi. È un grave errore dare a uomo, anche una sola volta, la sensazione di essere gelose.
Poi Wyn mi stupì, come faceva sempre quando era realmente se stesso.
«Ho saputo cavarmela bene anche nel trovare una gioielleria» mi rispose, e prese una scatoletta dalla tasca. Si trattava di un buffo anellino d’argento, un serpentello che si mordeva la coda. Ma aveva sbagliato le misure e nel medio non entrava; però scivolò nel mignolo come se fosse stato fatto apposta, ed è lì che fa ancora bella mostra di sé.
«È un serpentello di Pocono» disse.
Vorrei proprio sapere quante ragazze di Philadelphia abbiano ricevuto una proposta di matrimonio in uno spaccio clandestino di Chicago.
La sera dopo seguimmo quel famoso profumo per tutta la strada fino alla Ballon Room. Neppure il celebre Olympia di Delphine ha per me lo stesso significato del profumo del vecchio Congress. Wyn disse che doveva essere lo stesso della Fiera Mondiale; erano i fasti del ’90. Le camere da letto avevano degli antichi orologi attaccati alle pareti, così che i patroni potessero arrivare puntuali agli spettacolini al Midway; erano tutti fermi o guasti dal 1893.
Molly e Pat, quelle due sgobbone, dovettero pensare che fossimo due pazzi. È bello aver vissuto qualcosa del genere almeno una volta nella vita. Tornando a casa dal lavoro, mi trovarono che mi preparavo per uscire. Wyn era venuto a prendermi quella mattina e mi aveva detto: «Su, andiamo, dobbiamo pensare al nostro guardaroba». Né lui né io avevamo degli abiti eleganti con noi e lui si era messo in testa che saremmo andati nella Balloon Room agghindati di tutto punto. Disse addirittura che si trattava della Philadelphia Assembly. Questo mi ferì, ma in quel momento non avevo intenzione di lasciarmi ferire da nulla. Mi portò da Palmer e mi comprò un completo. Pat scelse la biancheria e Wyn mi fece indossare tutto il negozio finché non trovammo un abito di lamé dorato; non ero mai stata tanto agghindata in vita mia. Sapevo che era disonesto e ingiusto, ma gli dava tanta gioia, come mi disse lui, vestirmi elegante dalla testa ai piedi. Quando fui tutta pronta, mi rimandò a casa di Molly in taxi e andò a comprarsi un abito da sera bello e fatto. Credo che sia stata l’unica volta in cui Wyn Strafford abbia indossato un abito non su misura, e aveva un’aria anche troppo da Ritz. Mi disse di essersi buttato parecchie volte sul letto, per togliere all’abito la lucentezza di ciò che è troppo nuovo.
Di tanto in tanto ripenso a quelle luci colorate che, sul pavimento, ci serpeggiavano sotto i piedi, e ai grappoli di palloni che uscivano da chissà dove come uova di pesce. Noi eravamo estremamente dignitosi, con l’aria di chiederci se nessuno stesse ammirando che coppia distinta che eravamo. Il capocameriere sembrò prenderci molto sul serio, e non si può dire che quella sera non sia stata fruttuosa per lui. Sarei curiosa di sapere che cosa ha pensato quando Wyn gli disse, due o tre volte di seguito, che quella era la Philadelphia Assembly. Scommetto che nessuna Assembly è mai stata così perfetta; avevamo la meravigliosa sensazione di essere soli in una folla che non sapeva nulla e che non era minimamente interessata a noi, ma che vedeva soltanto che eravamo felici. È stupendo ignorare ogni cosa di coloro che ci circondano, e credo che Wyn non fosse abituato a esperienze di quel tipo. «È come essere un dio» mi disse. Diceva cose simili a quei palloni colorati, cose che mi volteggiavano direttamente nell’orecchio. «Bocca e orecchio dovrebbero essere molto ravvicinati, come in quei nuovi telefoni francesi». Quando facevamo una piroetta, chiedendoci se la sala avesse realmente un pavimento – «Che cosa avete fatto alla legge di gravità?» chiese a un certo punto Wyn al capocameriere –, allora mi rubava un bacio, e se mi mostravo seccata diceva: «Il labbro è più rapido dell’occhio».
«Credo che stare lontano da Philly ti faccia bene» gli dissi.
Quando mi chiamò “bambina” potei sentire la linfa scorrere dentro di me come se fossi una mela caramellata.
«Kitty» mi disse «sembri un fiocchetto intorno al collo di una bottiglia di champagne».
«Sembro un fiocchetto intorno al tuo collo».
«Ho già dato disposizioni, andremo a bere una coppa di champagne in camera mia».
Salimmo nella sua camera, e lui vi aveva già fatto portare un secchiello di ghiaccio con dello champagne.
Bevemmo alla nostra salute, forse un po’ troppo perché la salute potesse realmente giovarne, e fu allora che lessi l’etichetta sulla bottiglia. Piper Heidsieck. Mi ricordò una canzoncina di papà, e allora piansi e piansi. Wyn non ci capiva più niente, ma era da molto tempo che accumulavo quel pianto dentro di me.
«Wyn» gli dissi «devo tornare a casa. Casa mia, intendo, a Griscom Street. Ho bisogno di vedere papà, Myrtle, la nostra cucina. Ho bisogno di tornare, non posso fingere di essere felice quando non lo sono. Credo di essere stata morsa dal serpente».
Wyn capì e telefonò per prenotare uno scompartimento. Non scendemmo neppure per un ultimo giro di danze. Wyn chiamò il capocameriere direttamente in camera e saldò il conto. Gli disse che eravamo il re e la regina di Bulgaria e che eravamo costretti a partire perché Al Capone era geloso di noi. Non mi stupirebbe che il cameriere ci avesse creduto; i capocamerieri crederebbero a qualsiasi cosa.
Depositammo i nostri magnifici abiti a casa di Molly, nell’eventualità di un’altra Assembly, e tornammo a casa in treno. È triste come una fiaba. Sono abbastanza tristi, le fiabe, a rileggerle da grandi.