Arrivammo in treno al crepuscolo, rombando lungo il tunnel; salimmo alcune scale, ma sempre sottoterra, perché potevo sentire i treni della metropolitana sopra la mia testa. Poi ci fu una vera e propria escursione lungo un altro tunnel; ricordo il facchino molto più avanti di noi, che continuava a camminare. Quella fu la prima cosa che vidi di New York, quell’interminabile corridoio, cupo e giallastro. «Che ne pensa della nostra skyline?» scimmiottò Wyn. Dovevamo ancora prendere un ascensore, prima di entrare nell’albergo.
Fu molto bello, perché Wyn aveva pensato a tutto in anticipo. La camera era straordinariamente in alto, al trentesimo piano, e lì ebbi la mia prima visione della città. Wyn mi prese fra le braccia mentre me ne stavo davanti alla finestra, ma io gli dissi: «Wyn, lasciami assorbire tutto questo. Lasciamelo imparare a memoria così che non possa mai, mai scordarlo».
Ma non sempre si può decidere cosa memorizzare. Io ricordo sempre le cose più assurde. Non è del tutto colpa mia, perché ogni volta che Wyn e io andavamo da qualche parte succedeva qualcosa di eccentrico che sembrava inventato appositamente per noi. Dopo che ci fummo sistemati, Wyn propose di andare a bere qualcosa. Gli avevano raccomandato Giono, sulla West 40th, e così prendemmo un taxi. Non riservammo un tavolo, ma bevemmo dei cocktail al bar, perché Wyn voleva andare in un posto più elegante per cena. Giono era solo un ritrovo di italiani, niente di speciale, e temo che la cucina non fosse troppo pulita. La prima cosa che vedemmo fu uno scarafaggio che correva sul bancone. Wyn lo coprì col suo bicchiere capovolto e attirò l’attenzione di Giono. «Questo vale almeno un drink gratis» disse Wyn. Giono non si mostrò minimamente turbato, si scusò e disse che un mucchio di giornalisti frequentavano il suo locale e gli scarafaggi li seguivano dentro. Quello che avevamo sotto gli occhi era indubbiamente un magnifico esemplare, perché quando cercava di arrampicarsi sull’interno del bicchiere le sue zampe lo spingevano sul piano liscio e umido del bancone. Nessuno aveva mai visto nulla di simile prima di allora. Tutti vennero a vedere, e aiutavano lo scarafaggio a pattinare, inumidendo il banco col whisky rimasto sul fondo dei loro bicchieri, finché i fumi dell’alcol si rivelarono troppo forti per lo scarafaggio, o forse semplicemente si perse d’animo. Ripiegò le zampette e restò immobile. Ci aveva già divertito anche troppo, e Wyn voleva andare a cena e a ballare. Per Wyn, gran parte del divertimento consisteva nell’ordinare cose a mia insaputa, ed era straordinario nella scelta di ciò che mi piaceva o di ciò che mi sarebbe potuto piacere. Così, senza dirmelo, ordinò delle animelle sous cloche. Quando furono servite sotto la campana di vetro, io dissi che era una bella coincidenza. Avevamo iniziato con uno scarafaggio sotto vetro e continuavamo con le animelle.
Mi chiedo se ci sia un modo di risvegliare certi piccoli e sciocchi ricordi in Wyn. Forse, se fossi in prigione, o in agonia, gli sarebbe concesso di venire a trovarmi. Anche se non potessi toccarlo, sarebbe già qualcosa vedere se riesce a ricordare le stesse cose che ricordo io.
Credo che sia stata quella sera che ebbi una crisi di pianto perché Wyn era così caro, così diverso non appena usciva da Philadelphia, e in cui finii col convincermi che non avremmo mai potuto essere felici se non fuori da Philadelphia. A Philadelphia, saremmo rimasti imbrigliati in ogni sorta di inibizioni e di influenze. Lo amavo e non potevo sbagliarmi su questo. E non mi sbaglio nemmeno ora, quando ci penso, attaccandomi all’idea che fosse solo Wyn a darmi la caccia. Allora non me ne rendevo conto, ma io davo la caccia a lui con pari energia; perfino quando lo allontanavo, lo facevo in modo da indurlo a desiderarmi e a cercarmi ancora di più. Santo Dio, com’è difficile essere sinceri a questo mondo! Lo amavo, lo desideravo più di qualsiasi altra cosa al mondo, lo volevo al punto da dormire fuori casa perfino quando papà era malato. E quando eravamo soli, io e lui, questo mi bastava, era la soluzione a qualsiasi problema, e sapevo che per lui era lo stesso. Aveva bisogno di me, e io lo rendevo felice. È bello sapere che si è riusciti a far felici qualcuno. Dalla finestra chiusa della nostra stanza filtrava una specie di pallida luminosità: erano le luci di New York, e Wyn diceva che il loro riflesso su di me mi faceva bella come il riflesso del fuoco di Pocono.
Su questo sono d’accordo con Rosey Rittenhouse: esistono poche ragazze ben fatte come un cavallo di razza. È proprio un grande stratagemma della natura farle apparire così belle agli uomini, ma è anche estremamente soddisfacente sentirselo dire.
Prendete Molly Scharf (e qualcuno dovrebbe proprio farlo): è una delle ragazze dalle forme più belle che io abbia mai visto, ma gli uomini non lo sospettano neppure. Per Pat Kenzie, invece, tutti perdono la testa. Pat aveva l’abitudine di telefonare dicendo: «Non aspettarmi, forse tornerò tardi. Ho un appuntamento per l’aperitivo, ma credo di poterlo trasformare in una cena».
Wyn, tesoro mio, noi uscimmo per un aperitivo e io non ho mai cercato di trasformarlo in qualcos’altro.
Wyn dovette andare in centro, il mattino dopo, per delle commissioni per la sua banca, e io sgattaiolai fuori con cautela per attuare un mio piccolo piano. Non avevo mai dimenticato Delphine cosicché, una volta trovato il suo indirizzo sull’elenco del telefono, andai a dare un’occhiata. Non volevo che Wyn lo sapesse ma nel fondo della mia mente, nella parte più razionale, sapevo che papà non sarebbe durato a lungo e che era necessario cercarsi un lavoro. Sarebbe stato meglio per me e per Wyn se mi fossi sistemata lontano da Philly. Non entrai nel palazzo, mi dissi che prima sarebbe stato meglio scriverle, ma memorizzai alla perfezione il percorso e la zona, nei pressi di Giono.
Poi camminai a piedi lungo tutta la Fifth Avenue fino al Plaza e ritorno, soffermandomi davanti alle vetrine e cercando di vedere se, lontano da Philly, le donne fossero diverse. Rimasi piuttosto delusa. Naturalmente, allora non sapevo quello che so adesso, e cioè che le donne veramente eleganti non s’incontrano sulla Fifth Avenue ma in Madison Square e Park Avenue. In realtà, la Fifth era meno elegante del lato destro di Chestnut Street; era troppo lunga e la biblioteca pubblica, i magazzini popolari Woolworths e le svendite di biancheria filippina non aiutavano di certo. Mi sembrò evidente che la maggior parte della folla sulla Fifth non era di New York, e la cosa mi spinse a darmi delle arie. Dimenticavo che anch’io non ero di lì. Fu comico sentire tutto il mio campanilismo per Philadelphia affermarsi bruscamente, qualcosa che nemmeno sapevo di avere. Quando mi incontrai con Wyn al Ritz per pranzo, potei notare quanto sembrasse più gentleman degli altri. Gli uomini che avevo visto passare per le strade di New York probabilmente non avevano mai visto una volpe, se non sul collo di qualcuna che l’aveva acquistata a rate.
Mi chiesi perché mai Wyn avesse scelto il Ritz: non era un posto da lui. Mi disse che si era sempre chiesto che cosa ci fosse nella borsetta di cuoio che pende dal collo dell’usciere. «Se sapessi che cosa c’è in quella borsa avrei finalmente scoperto il mistero di questa metropoli. Forse si tratta di messaggi cifrati da parte di diplomatici stranieri, o di consigli su come conoscere donne bellissime e profumate».
«Forse» ammisi. «E hai saputo qualcosa?».
«Be’» rispose «ho dovuto fare uno sforzo, ma gliel’ho chiesto. In quella borsa ci sono gli spiccioli per la mancia dei clienti ai tassisti e un gran mucchio di bigliettini».
«I bigliettini sono forse per le tue donne bellissime e profumate?».
«Mi ha detto che servono per scriverci l’indirizzo della gente che cade a terra morta».
«E perché la gente dovrebbe cadere a terra morta proprio davanti al Ritz?».
Wyn stava esaminando il conto quando gli feci questa domanda.
«Per aver pagato il conto» rispose.
Onestamente, credo che l’usciere lo avesse preso in giro, ma non posso fare a meno di pensarci ogni volta che passo davanti al Ritz.
Era una primavera fredda, prematura, e l’aria, limpidissima, dava la sensazione di avere del collirio negli occhi. Tutto il cielo azzurro non è che un’immensa occhiera, dissi a Wyn. Credo che sia l’amore a dare quella sensazione di lindo e fresco benessere. Fa sentire bene, estremamente bene. Dissi a Wyn: «Sapessi come mi sento virtuosa! Mi sento davvero buona e delicata, e quando sono con te mi sembra di vedere nel fondo delle cose. Credo che questo sia lo stato d’animo perenne dei poeti».
«O dei musicisti» rispose Wyn. «Prendi un foglio di musica, io lo guardo e non mi dice nulla, ma se lo vede un musicista vi legge tutte le armonie e i segreti di quello strano linguaggio cifrato». È lo stesso con la stenografia. Ci si abitua a vedere delle cose che nessuno noterebbe a meno di non conoscerne i simboli. Avevo voglia di fare una corsa in metropolitana, e così ci spingemmo fino alla Columbia, che Wyn non aveva mai visto. Quando un uomo che ha studiato a Princeton vede per la prima volta la Columbia scopre una gran quantità di cose nuove. A turno, tentavamo di avere delle “illuminazioni”. La mia fu nella metropolitana. C’era un uomo anziano seduto in fondo al vagone, si vedeva chiaramente che era immerso nei suoi pensieri e aveva l’aria di chi ne ha passate di tutti i colori. Era il periodo in cui molti di loro saltavano dalle finestre. A un tratto, come se lo avessi decifrato sotto le rughe che gli segnavano il volto, ebbi una visione del bambino che era stato prima di qualsiasi traversia. Fu un’emozione profonda; ancora oggi cerco, di tanto in tanto, quell’espressione fanciullesca che traspare sul volto degli uomini. Non è facile da trovare nelle donne, forse perché è troppo in profondità dentro di loro. Ed è difficile da vedere anche negli animali: che gli animali si disilludano troppo presto?
Osservavo Wyn senza farmi notare, cercando di scoprire quale sarebbe stato il suo aspetto da vecchio, ma non riuscivo a immaginarmelo. Quel giorno fu sgradevolmente colpito dai cartelloni pubblicitari della metropolitana: «Dio mio, Kitty, che città volgare! A Philly quasi tutte le pubblicità si riferiscono a sigari e al cibo. Qui tutti sembrano preoccuparsi dei propri difetti fisici, forfora, alito cattivo, raffreddori, gengive dolenti e peli sotto le ascelle. Da quando New York è così interessata all’igiene personale? La gente educata non renderebbe pubbliche delle cose del genere».
Wyn era sempre adorabile quando veniva a N.Y. Mi diceva che molti suoi amici di Philly avevano l’abitudine di venirvi ogni tanto solo per scandalizzarsi un po’ e poi, tornati a casa, dicevano: «Non vivrei in quella città neanche se me la regalassero». Sosteneva che New York doveva ancora costituire un Racquet Club e una Union League per i soci di Philadelphia bisognosi di un posto in cui riposarsi dopo pranzo. «New York ha un complesso d’inferiorità» diceva. «Ecco perché fa delle cose tanto eclatanti. È così preoccupata del suo alito cattivo e del suo colorito che erige grattacieli come l’Empire State Building per non pensarci».
Lo divertì moltissimo un cartello che trovammo in un taxi. Diceva: “Rassicurazione ai sostenitori delle donne: il conducente di questo taxi è un uomo sposato”.
«Com’è ingenuo tutto ciò» commentò Wyn.
A me non sembrava affatto ingenuo. Era una specie di lusinga. «Non lo sai, tesoro, quanto piace alle donne pensare di essere in tremendi pericoli?».
Ritengo che le scorte di uomini sposati si siano esaurite durante la Depressione, oppure che i sostenitori delle donne siano diventati più esigenti. Da anni non vedo più cartelli di quel genere. Ormai i taxi vengono costruiti con il tetto aperto, in modo che ci si possa affacciare fuori e urlare se si ha bisogno di un accompagnatore.
Tornammo in albergo al tramonto, che arrivava presto durante quella stagione. A guardar fuori della finestra, non avreste più avuto bisogno di credere a tutto quello che si leggeva nei giornali, cosa che capita già alla maggior parte delle donne, fatta eccezione per le pubblicità. Pur con tutte le loro fesserie, talvolta mi sembra che le pubblicità siano quanto di più sobrio e onesto si possa trovare sui giornali. Bisogna essere leali con la gente se gli si vuole vendere un articolo. È solo quando si vendono delle idee che si può correre a briglia sciolta. C’era un gran suonare di campane intorno a quell’albergo, verso il crepuscolo; e non riesco a capire come fosse possibile, perché non trovammo mai una sola chiesa nei dintorni. E fu una fortuna, perché ero abbastanza matta che sarei stata capace di entrare con Wyn nella prima chiesa e di sposarlo, se solo mi avesse colta di sorpresa. Francamente è un vero miracolo che non sia accaduto. Non so da dove venisse quel suono di campane, forse non erano che i traghetti, ma Wyn disse che per lui era una specie di cerimonia.
Non so perché dicessi a me stessa che la vita era brutta in quegli anni. Sotto molti aspetti lo fu, ma è anche vero che nessuno più di me ebbe tanta bellezza dalla vita. Il periodo giusto in cui vivere è esattamente quello in cui si vive, e io non ho nessun rimpianto per il passato, per la mauve decade o per qualsiasi altra decade. Se avessimo vissuto nel 1880, Wyn e io avremmo semplicemente fatto il bagno in due laghetti diversi.
La vita sarà sempre più dura a meno che la gente non mostrerà di avere un po’ più di giudizio, ma io posso affermare che ho avuto e ho dato gioia, e che ho saputo lottare.
«Perché» disse Wyn «non ci facciamo mandare i nostri vestiti per l’Assembly da Chicago?». Avrebbe telegrafato a Molly, pregandola di accontentarci.
«Non preoccupiamoci degli abiti per un po’» risposi.
Suppongo che Wyn abbia parecchio da ballare nella sua Main Line, perfino i quaccheri si scatenano ai giorni nostri, ma non troverà mai nessuna che sappia in anticipo il passo che sta per fare. Anche Mark ama la danza, ma non è la stessa cosa. Cerco di non pensare al ballo. Non so più in quale museo, una volta ho visto qualcosa intitolato Danza della morte. La vedo sui giornali tutti i giorni; l’intero maledetto mondo che danza con la morte, e la morte sa già tutto in anticipo.
Forse le donne prendono la vita troppo sul serio. Forse non è poi tutto così importante, basta saper restare vivi.
Oh, Wyn, fu bello. Ci sarà mai modo di spiegare agli altri come credere in quella bellezza? Non importa quanto faccia male. Quando partimmo da Philly, sentivamo le stesse cose nello stesso istante. C’è qualcosa, a New York, che fa sì che sia possibile. Philadelphia non vuole sentire nulla fin quando non abbia avuto una meditata approvazione. A volte penso che se Wyn fosse vissuto a New York, avrebbe potuto essere un uomo brillante. Avrebbe difeso le sue idee. Se fosse andato alla Columbia, avrebbe dovuto studiare per stare al passo con le loro battute economiche. Sarebbe stato un bene per lui. Ma non avrei mai voluto vedere quel ragazzo indurito dall’ambizione. Non sarebbe piaciuto alla sua vecchia famiglia della Main Line. Santo Dio, probabilmente gli sarebbe piaciuto molto indossare i pantaloni di tela e la polo in metropolitana, come facevano i ragazzi della Columbia. Wyn diceva che lo facevano sentire invisibile, ed era per questo motivo che si metteva a guardare i cartelloni pubblicitari.
Non cambierei un esperto di cani da volpe con un intrallazzatore finanziario. È stato provato. Forse per la volpe è confortante sapere di essere cacciata dal tipo giusto di persona.
C’era sempre qualcosa di sciocco che ci rendeva felici. Una volta eravamo in taxi e vedemmo un camion con la scritta: “Materassi matrimoniali e lenzuola, Bronx”. Wyn dovette restarne colpito, perché il giorno dopo mi mandò un telegramma:
mandami indirizzo ditta bronx e fissa data matrimonio basta case di tolleranza e musica voglio materassi matrimoniali e lenzuola.