Il segno distintivo delle ragazze in carriera è la sveglia. Fu un’estate di lavoro intenso, quella. Dopo la mia, chiamiamola così, indisposizione, non presi più un solo giorno di vacanza se non una volta, quando io e Pearl Velour ce ne andammo dal sabato alla domenica sera al ranch di Catskill. Io montai addirittura un cavallo, e mi chiesi che cosa ne avrebbe pensato Wyn. Ma andammo soprattutto in bicicletta, e io risi molto perché ogni bicicletta era adorna di una coda di volpe, forse per dare un tono all’ambiente. Mi divertii parecchio a osservarmi; nel conoscere gli amici maschi di Pearl, mi ritrovavo a chiedermi che cosa si sarebbe potuto cavarne, a volerli guidare in merito all’abbigliamento e al comportamento sociale. Ecco che cosa provoca la Main Line. Non è buono, per una ragazza, fissarsi con l’idea di rimettere a nuovo tutti gli uomini che incontra. A ogni modo, quanto all’opinione di Delphine che gli uomini dovessero avere qualche difetto, loro li avevano.
Le lettere di Wyn mi fecero conoscere più di uno stato d’animo sentimentale, ma non mi lasciai scuotere, e poi Wyn non era un granché quando scriveva, eccetto nei suoi famosi memorandum interni. Sapevo che la mia unica possibilità di comportarmi lealmente consisteva nel continuare sulla stessa linea; perché mai avrei dovuto amarlo meno, solo perché era stato incastrato in quel modo? Ciò che avevamo lui e io sarebbe rimasto nostro per sempre, e l’avevamo inventato noi. Tuttavia, dovevo pur sapere come comportarmi quando lo avessi incontrato. Ciononostante, nabocklish!, come diceva a volte papà, che è un modo irlandese per dire “non prendiamocela troppo”. A che serve impazzire cercando d’immaginare quello che accadrà in seguito? Le cose possono sempre prendere una piega imprevedibile. Wyn mi telefonò un giorno che era di passaggio, diretto a Rhode Island. Ci vedemmo da Giono come ai vecchi tempi, e c’era la stessa bottiglia d’acqua all’angolo del tavolo. Quanto male mi hai fatto, vecchia caraffa! Io mi presentavo molto bene, ero stata dal parrucchiere, avevo un cappello nuovo che mi piaceva molto e, per una specie di sfida al destino, mi ero messa una goccia di Olympia. Delphine aveva reso quel profumo così prezioso che la gente doveva praticamente presentare l’albero genealogico per accaparrarselo. Wyn, mio adorato, come avresti potuto sapere che mi reggevo in piedi per miracolo! Avevo paura che mi desiderassi e avevo paura che non mi desiderassi. Ogni volta che pensavo che Wyn fosse un po’ sciocco, lui mi sorprendeva: invece del solito scotch ordinò due mint julep, come a sottolineare che la situazione era cambiata, in un certo senso, ma le sue dita tra le mie erano esattamente le stesse, e mi fecero correre un gran brivido lungo la spina dorsale. Il mint julep scioglie la lingua molto meglio dello scotch. Wyn mi mostrò come, versando del caffè bollente nel bicchiere alla fine del secondo mint julep, si possa recuperare il liquore che ancora aderisce al ghiaccio tritato, insieme a un po’ di menta e zucchero. Ne viene fuori un eccellente caffè ghiacciato, che per di più aiuta a non barcollare. Era tutto così piacevole che avrei quasi potuto credere che fossimo ancora “noi”, e cercai di imprimermelo nella memoria molto più di quanto Wyn avrebbe mai potuto immaginare. Ma poi, dopo un po’, mi disse che Parry Berwyn lo accompagnava a Rhode Island, e che perciò stava per raggiungerci da Giono a bere un bicchiere. Questo era qualcosa di molto nuovo. All’inizio ne fui un po’ ferita, direi, ma dopo un po’ seppi di essergliene grata, perché questo facilitò enormemente il nostro saluto quando si avviarono alla stazione verso il loro vagone letto. Mi chiesi se fosse lui a lasciar andare me dolcemente, o viceversa, ma sono domande che è meglio non farsi. E poi non esiste un modo dolce per farlo.
È impossibile non chiedersi perché il mondo sia tanto ingiusto. Benedetto Wyn, era davvero così ingenuo da pensare che se Parry avesse mostrato interesse per me la cosa mi avrebbe tirato su di morale? Parry era abbastanza propenso alla cosa; ai tempi della rivista ogni tanto sfoderava uno sguardo seduttivo in stile Racquet Club, e non avevo potuto fare a meno di informare Wyn della cosa, poiché ovviamente non volevo che Parry si ritrovasse in una situazione imbarazzante. Wyn aveva reagito dicendo: «Approvo i suoi gusti ma deploro la sua etica». Povero vecchio Parry, la sua vita sessuale si riduceva perlopiù alla conoscenza di tutte quelle poesie sdolcinate, e la cosa era abbastanza patetica.
Ma allo stesso tempo, è dura quando si ha bisogno di far intervenire qualcuno per riuscire a superare un bivio. Il tipo giusto di bivio, per loro, ha solo due lati. Il modo in cui mi avvicinai a Mark non gli avrebbe mai permesso di capire se fossi di fronte a un qualche tipo di grande svolta.
Potevo sentire che le luci stavano cambiando, su di noi, solo che non riuscivo a capire in quale senso andassero. Come quando ci si trova all’improvviso di fronte a un semaforo giallo, senza sapere se stia passando da verde a rosso o viceversa. Credo che sia buona norma fermarsi un istante prima di svoltare in una strada principale. Se si resta soli per un tempo considerevole, si arriva a pensare ogni genere di cosa. Non resto sorpresa quando mi dicono che è piacevole stare da soli, quando ci si è fatta l’abitudine.
Era divertente pensare che, la prima volta che io e Wyn eravamo stati insieme, avevo dovuto trattenermi e ricordarmi che c’erano delle cose che era meglio non dirgli. Visto che c’era così tanto che non sapeva, immagino che fosse giusto che anche lui non mi avesse detto alcune cose.
Anche se mi avesse voluta non avrebbe potuto avermi, e questo per via del modo sconclusionato in cui funzionano i calendari.
«Tu sei il tipo di persona a cui le cose accadono» mi diceva Molly. Io lo prendevo come un complimento. Bene, che Dio ci protegga, poveri noi! Ancora peggio, forse apparteniamo tutti a quel tipo di persona. Che sia una faccenda di ormoni?
Il modo in cui pianifico le cose, o il modo in cui qualcosa le pianifica per me, dà l’impressione che io cammini sempre sul filo del rasoio. Per esempio: proprio quest’estate ho dovuto fare una scappata a Philly, a vedere in che modo potessi aiutare il povero Mac. È disoccupato, e pensavo che forse avrei fatto bene a prendere la piccola Kitty con me. Ha dieci anni ormai. Ecco qua Kitty Foyle, anche lei zia; come la zia Hattie?
Sono scesa alla stazione della 30th Street e ho iniziato a cercare un taxi; santo Dio, proprio in quel momento ho visto un furgoncino con la scritta “Darby Mill” che si fermava proprio sotto i pilastri. Non il vecchio furgoncino di una volta, ma uno nuovo fiammante: quanto era più elegante e caratteristico quello vecchio! Seduto accanto all’autista c’era un ragazzetto vestito alla marinara, sui sette anni, e dietro una bimbetta di quattro anni con una gran cuffia rosa, e una cameriera. In viaggio per Rhode Island, probabilmente. Il piccolo aveva un visino delicato, vivace, e qualcosa scritto sul nastro del berretto: forse Wynnewood Strafford VII. Avrebbe potuto essere il mio bambino, se solo avesse avuto un anno di più. Mi sentii più sola e infelice di un ebreo in Germania e mi allontanai in quello stato d’animo.
Dirigendomi verso casa di Mac, comprai una bottiglia di “telefono del Papa”, pensando che gli avrebbe fatto bene, o almeno così gli dissi. Povero Mac, com’è strano pensare che perfino lui ha un suo mondo interiore! Si avvicina ai quaranta, e non è piacevole avere dei fratelli tanto cresciuti. Una volta papà disse: «Non siamo stati fortunati con i nostri figli: non ce n’è uno che sia rimasto piccolo». Mac mi raccontò come da bambino avesse l’abitudine di corrugare la fronte quando si guardava allo specchio, perché si vergognava di essere così liscio e voleva diventare adulto come papà. Papà aveva sempre avuto delle magnifiche rughe, forse per aver tanto guardato le palle da cricket col sole negli occhi. Non mi ero mai resa conto, fino a quando Mac non cominciò a conoscere il fallimento, che anche lui poteva avere dei pensieri segreti. Scommetto che avesse idealizzato i filtri di Torresdale fin quando li aveva creduti una lunga sorsata di planter’s punch. Forse si è giovani proprio per questo. Anche la mente ha bisogno di qualche conforto.
Grazie a Dio ebbi troppo da fare in quel 1931 per fermarmi a pensare. Ci si immerge completamente in un lavoro quando ci si diverte nel farlo. Certo, ogni tanto mi capitava di chiedermi se a Bailey’s Beach ci fossero delle onde per surfare alte come quelle verdi a forma di sottoveste del Jersey, e se Ronnie avesse un bel costume da bagno. E ogni tanto mi lasciavo scappare qualche commento con Nicolai, e la cosa mi faceva sentire un po’ meglio. «In questo momento c’è una graziosa gentildonna che nuota, a Rhode Island» dissi una volta. «Che lei sappia, c’è una risacca potente laggiù?».
Lui rispose: «Forse la sua cuffia da bagno non le calza molto bene. L’acqua salata rovina terribilmente i capelli».
Quello che ci univa, a me e a Pearl, è che entrambe avevamo qualche guaio amoroso, e spesso andavamo a consolarci un po’ da Giono, soprattutto dopo l’arrabbiatura di Parry Berwyn, che aveva tentato di uscire con me una volta che era di passaggio alla Grand Central. Mi disse per telefono che Wyn era stato mandato da Newport a Detroit e che non sarebbe ripassato da New York tornando a Philly.
«Bene, se vuole contrarre un prestito con Henry Ford» risposi «sta perdendo il suo tempo».
«No, vogliono che veda che faccia ha la crisi nella città che l’ha prodotta. Credono che lo aiuterà a diventare un banchiere migliore».
«Non riusciranno mai a fare di Wyn un bravo banchiere, è troppo buono».
«Senta, Kitty, si è fatta un’opinione molto sbagliata dei banchieri. Perché non viene a pranzo con me e non mi permette di darle qualche consiglio tecnico?».
«Il mio capitale è tutto investito» risposi.
La Delphine Detaille Inc. non ebbe un punto vendita a Philadelphia fino a quell’autunno, perché Delphine non aveva ottenuto prima le condizioni che cercava e perché comunque, diceva, Philadelphia poteva aspettare: c’era abituata. Prendere iniziative a Philly è come mettere della carta carbone alla rovescia, imprimendo le parole sul retro dello stesso foglio. Ma i nostri prodotti avevano sempre maggior successo e, soprattutto, la fama dell’Olympia si andava sempre più diffondendo tra il pubblico che contava. I grandi magazzini fecero a gara per vendere i nostri prodotti, e ci offrirono un contratto per la rappresentanza esclusiva della Delphine Detaille. Era il momento che Delphine aspettava da molto tempo, e seppe sfruttarlo a dovere, tanto che il lancio dei nostri prodotti a Philly fu pianificato come una conferenza di pace. Pearl Velour partì per portare ai redattori delle rubriche femminili un po’ di materiale per inquadrare il contesto della “Storia romantica dei prodotti di bellezza Delphine Detaille”, storia che risaliva addirittura alle trincee di Francia ed era abbellita da digressioni sull’attività di scienziato del signor Detaille e sui motivi per cui non dovevamo tenere torme di conigli nei laboratori, come fanno gli altri scienziati, e quindi non dovevamo sperimentare i nostri prodotti chimici sulla tenera pelle dei conigli. Pearl riusciva sempre a far colpo sui redattori, perché era maledettamente semplice ed evitava con cura di accennare all’età. Tutti sapevano che le donne di mezza età erano il vero bersaglio dell’industria dei cosmetici, ma arrivavamo all’andata in stampa senza che fosse mai stata nominata. Pearl aveva fatto un bel colpo, ottenendo che venisse diffusa nel negozio una musichetta di sottofondo, e la pubblicità non mancava di annunciare che Madame in persona sarebbe venuta appositamente da New York per tenere alcune conferenze sui suoi prodotti. Era una cosa molto positiva perché ogni concorrente era pronto a tutto e avrebbe tirato fuori gli artigli alla prima occasione. A quei tempi non c’era alcuna legge Robinson-Patman a garantire un trattamento equo a tutti i commercianti, e l’intera questione degli sconti si riduceva a chi faceva l’offerta più bassa.
Delphine, durante le conferenze, dava delle dimostrazioni pratiche su una modella. Ma non so per quale ragione (forse pensava di farmi un favore) volle portarmi con sé a Philadelphia per usarmi per quel ruolo. L’ultima cosa al mondo che avrei desiderato era di andare per un simile scopo esibizionistico nella mia vecchia città natale, ma dopo tutto quello che Delphine aveva fatto per me come avrei potuto rifiutare?
La sala era pienissima. Ricordo come la clientela fosse stata compiaciuta nel vedere perfino la vecchia signora Foxcroft seduta in prima fila col suo cornetto acustico, cosa che diede un tono a tutta la riunione. In realtà sono convinta che la vecchia dama, che si aggirava spesso per l’immenso negozio, fosse salita all’ultimo piano pensando che si trattasse di qualcosa di letterario. Queste grandi vedove dell’industria trovano la maggior parte della loro cultura nei vari reparti dei grandi magazzini: è più divertente che andare alle conferenze all’università o ai musei, perché almeno poi si può comprare qualcosa.
Era la prima volta che vedevo Delphine alle prese con un’attività pubblica. È una vera e propria commedia recitata alla perfezione. Non cerca mai di vendere. Tutta la nostra tecnica si basa, infatti, sull’impedire alla gente di comprare a meno che ogni cliente non sia stata sottoposta a un esame personalizzato, e consigliata su cosa è meglio per lei. Ogni tanto diceva qualcosa in francese, come se quel pensiero le si fosse affacciato alla mente per la prima volta, e adulava il pubblico non traducendo la frase, con l’aria di essere convinta che i presenti avessero capito. Ma non trascurava mai di ripetere il concetto in inglese, dopo qualche frase. Credo che le sue siano le sole conferenze sui prodotti di bellezza in cui la parola “gioventù” non viene mai pronunciata: è un termine che può essere problematico per molte signore. Sostiene che il poeta sbaglia di grosso quando afferma che la bellezza è solo una questione di epidermide: la bellezza è soprattutto nella mente. È una buona idea, perché ognuno crede di averne una. Ma non è neppure una balla, perché un famoso medico di New York manda le sue malate di malinconia da Delphine, come parte della cura. Secondo lui, nessuna donna può godere di piena salute se non si sente bella. Delphine dice a queste donne: «La bellezza non è un lusso ma rispetto di sé, le joli c’est le nécessaire».
Delphine comparve, semplice e timida, senza un filo di trucco. Disse che ero una delle sue assistenti e che non intendeva fare nessuno show chiamando una volontaria dal pubblico per non imbarazzare nessuno. Spiegò come aveva pensato il nostro questionario, reazione epidermica e acide sébacique e ciò che fa la civiltà moderna per asciugarsi la faccia; ma attenzione, prego, al sapone, perché i saponi sono alcalini e il faut vendre cher la peau. Mi espose al raggio di luci colorate per mostrare come gli occhi di certe persone cambino a seconda dell’ambiente, e come toni diversi di rosso per le labbra producano effetti diversi. Citava Virgilio, dicendo che la donna è mutevole, e che questo era il nostro test della mutevolezza, conquistando definitivamente chi veniva da Bryn Mawr.
Mi applicò poi direttamente la crema sulla mano, facendomi allargare le dita, e si potevano vedere le signore del pubblico, con le loro mani grassocce, muoversi involontariamente per imparare quel gesto. Esaminammo quindi le varie domande del questionario, per poi parlare della crema per purificare il viso e della crema astringente ossigenata. Provate un cocktail facciale anziché uno da bere! Vi darà lo stesso senso di benessere senza rovinarvi il fegato. La cipria come base, e poi il rosso, e poi il rossetto per le labbra e infine la cipria dopo il rosso, e come la cipria sul bastoncino del rossetto contribuisca a fissarlo. E come variare i diversi profumi nei giorni diversi e nei diversi momenti della giornata. Non vorrete mica usare la stessa fragranza nel pomeriggio del giovedì, quando la vostra cameriera ha le sue ore di libertà, e la sera di un venerdì in cui avete il palco all’Orchestra? Tutto ciò fondeva il tocco domestico con l’atmosfera del gran mondo, e le signore presenti ne furono molto soddisfatte.
Me ne stavo seduta accanto a lei durante tutta la chiacchierata, mentre parlava di come avessi nelle palpebre quella naturale porpora pensosa che non rende necessario l’uso di troppo ombretto, e di come la bellezza della donna debba armonizzarsi con ogni situazione: la semplice discrezione del Killarney sarebbe andata benissimo per me in chiesa o in un giovedì pomeriggio, ma per le ore battagliere della sera avrei potuto elevarmi fino all’atmosfera rarefatta dell’Olympia. «Oh, un’ultima precauzione» raccomandava Delphine. «Se ritenete di dover affrontare una crisi di pianto, meglio usare un mascara resistente all’acqua». Ma le clienti che si sottoponevano al trattamento Delphine Detaille non dovevano avere motivi per piangere.
Oh, davvero?
Mi chiedevo se tra il pubblico ci fosse qualcuno di Darby Mill. In ogni caso, non credo che mi avrebbero riconosciuto.
Delphine tornò a New York per un paio di settimane dopo la sua conferenza e mi lasciò a sostituirla, nella dimostrazione pratica, nel reparto profumi dei grandi magazzini. Avevo naturalmente un gran daffare, perché dovevo istruire la ragazza che in seguito si sarebbe occupata di quel lavoro. Delphine mi aveva detto di prendermi una camera in albergo e gliene fui grata, perché ero stanca di fare la pendolare dalla casa di Mac a Tioga. È una strana sensazione quella di vivere in albergo nella propria città natale, e non è particolarmente piacevole. Probabilmente è questo che fa male a molti di noi, vivere in un buco d’albergo senza una porta di casa dalla quale uscire a prendere una boccata d’aria. Ci sono migliaia di persone, a Riverside, che scommetto non abbiano mai visto un giardinetto sul retro, e che credono che i pechinesi siano dei veri cani.
C’è qualcosa di più, oltre alla pelle, che si prosciuga.
Ogni sera dovevo mandare una relazione dettagliata a Delphine sul lavoro della giornata, ma ci fu un avvenimento su cui non scesi in particolari. La signora Pingry, la responsabile degli acquisti, mi aveva fissato un appuntamento speciale per una cliente importantissima. Dovevo compiere miracoli con quella donna perché si preparava a fare scintille all’Assembly, e se fossimo riuscite ad accontentarla e a farla parlare dei nostri servizi personalizzati potevamo considerarci dentro la Città Santa. Naturalmente, quasi tutte le nostre clienti più affezionate erano almeno di mezza età; le ragazze sono troppo sicure di sé per preoccuparsi delle rughe agli angoli degli occhi e degli zigomi lucidi, e pensai che si trattasse di qualche altra veterana della Main Line. Poi la signora Pingry aggiunse che se fossimo riuscite a conquistarci quella cliente, avremmo avuto in tasca anche i giovani. Tanto per essere gentile, chiesi: «E chi è questo portento?». Ovviamente era Ronnie Gladwyn.
Mascara resistente all’acqua per lei, fu il mio primo pensiero.
La situazione più spiacevole che si potesse immaginare: dover abbellire Ronnie perché andasse là dove io non sarei mai potuta andare. Forse fui un po’ malvagia con lei, dentro di me, ma devo riconoscere che era tutt’altro che brutta, anche se nessuno può levarmi dalla testa che la sua epidermide le desse molti pensieri quando esagerava con la caccia alla volpe. Non ci si può servire della propria faccia come di un parabrezza come un cavallo. Ha i capelli naturalmente ondulati, ma senza lucentezza, di quel colore neutro fra il biondo-melma e il castano. Il rossetto color geranio che usava le faceva sembrare la bocca più grande del necessario. La sua ignoranza in fatto di trucchi e di creme era addirittura enciclopedica. I suoi modi erano così gentili e leziosi che era difficile stabilire se fosse stupida o no; quel che è certo è che aveva quell’abitudine tipica della Main Line vecchia scuola, ovvero essere carini con le classi inferiori fin quando sapevano stare al proprio posto. Avrei potuto rifilarle qualsiasi cosa: santo Dio, che magnifica occasione per truccarla con i colori sbagliati e impiastricciarla con una crema che le avrebbe riempito il viso di brufoli. Ogni tanto, nel metterle le mani intorno al collo, sentivo che sarebbe bastato poco per strapparle una o due tonsille. In realtà mi dedicai a lei con tutto l’impegno di cui ero capace, e se seguirà le mie istruzioni quei pori sul naso non si vedranno più fino a quando non avrà più importanza che si vedano. La sua, in ogni caso, non è proprio quella che si chiama una bella pelle, e sono certa che il lido di Bailey’s Beach non abbia aiutato.
Aveva sentito nominare anche lei l’Olympia, e naturalmente voleva acquistarne un po’. Disse che avrebbe indossato per l’Assembly qualcosa di molto fresco e frusciante, una rete d’oro su raso bianco con dei ricami di pizzo verde sulla gonna. Quel pizzo verde non mi convinceva; avrebbe dato troppo rilievo ai suoi occhi, fin troppo verdi. Ma quello non era il mio campo, e poi nessuno con un minimo di buon senso darebbe dei consigli a una donna che ha già scelto i vestiti che indosserà. Le ritoccai il rosso delle labbra con una sfumatura arancione che avrebbe messo in risalto le pagliuzze d’oro che le rilucevano nelle iridi: i suoi occhi dovevano essere davvero belli a lume di candela. Ma l’Olympia non volli venderglielo nella maniera più assoluta. Ne sono fiera ancora oggi. Mi pregò con accanimento, si era convinta che fosse proprio ciò di cui aveva bisogno, ma riuscii a convincerla del contrario. Il vero motivo, naturalmente, era questo: perché avrei dovuto far soffrire Wyn? Nell’istante esatto in cui avesse sentito l’Olympia non avrebbe pensato ad altro che a Kitty. Sapevo che cosa significasse quel profumo per lui. Significava un crepuscolo al trentesimo piano, un suono di campane intorno, l’odore dei miei capelli mentre ballavamo e il lobo del mio orecchio che mi sfiorava con i denti appena Giono, dietro il bancone, ci voltava le spalle. In quell’occasione, aveva detto che quel profumo gli faceva pensare con le narici, e io gli avevo risposto che era un pensiero grazioso come lo erano solo i pensieri che faceva lui. Allora lui mi sussurrava: «Siamo sensuali, amor mio». Povero tesoro, gli uomini amano credere di essere chissà quanto sensuali, ma se sapessero almeno la metà… oh, come sono goffi!
No, Ronnie non avrebbe avuto quel profumo: sarebbe stato come vendere ciò che non è in vendita, i ricordi, un passato intero. Le diedi il Killarney. È un profumo che ha una sua delicatezza ingenua, adatto a una ragazza giovane, e che avrebbe potuto essere una novità per il Bellevue. Come dice Delphine, è così discreto che si può portarlo anche in una cattedrale. E quella ragazza non stava forse per entrare in chiesa?
Ronnie mi fu grata delle mie attenzioni. Mi chiese di dirle il mio nome, così che le fosse possibile tornare a consultarmi. Le risposi che non ci era permesso fornire i nostri nomi.
In seguito dissi a Polly, la ragazza che stavo istruendo, di non lasciare mai che la signorina Gladwyn ottenesse l’Olympia, la cui lunghezza d’onda era sbagliata per lei. Polly ne prese nota sullo schedario delle clienti e disse: «Ma è straordinario, signorina Foyle, come riuscite a intuire queste cose?». «È una specie d’istinto» risposi «che bisogna sviluppare».
Naturalmente, era inutile illudersi che non avrei fatto degli incontri a Philly. Tutte le compere della buona società vengono fatte nei pochi isolati compresi fra Chestnut Street e Walnut Street, e un giorno, mentre andavo a pranzo, mi imbattei in Wyn.
Fu comico, perché lo trovai sull’orlo del marciapiede, occupato a raschiarsi la suola delle sue belle scarpe nere. «Kitty» mi disse «tutto ciò è oltremodo imbarazzante: ho calpestato un chewing gum, non riesco a immaginare dove».
«Che cosa ci facevi in Market Street?» gli chiesi, e lui rispose immediatamente: «Kitty, sei adorabile».
«Parlare con me ti fa bene» gli dissi. «Peccato che non abbiamo a disposizione mezzo secolo per continuare a farlo».
Fu proprio un giorno o due prima che tornassi a N.Y., ed ero abbastanza soddisfatta del mio lavoro. Naturalmente non gli dissi nulla del mio incontro con Ronnie, e fui contenta di essermi comportata onestamente; anche mentre ci prendevamo in giro potei vedere le sue pupille dilatarsi, e capii che avremmo avuto del tempo solo per noi. Avevo messo in scena tante di quelle cose che non potevo dirgli che faceva piacere sentirsi puliti almeno in una cosa, e cioè che lo amavo. È bello poter ricordare che l’ultima volta che l’ho visto siamo potuti stare un po’ da soli, senza Parry Berwyn alle calcagna.
Quella sera mi portò al Rising Sun, una sala da ballo, e fece suonare all’orchestra le nostre canzoni preferite. «Ma non resteremo qui fino a quando sorgerà il sole» mi disse. Io fui contenta che non fosse troppo certo di dove saremmo potuti andare dopo. È dolce da ricordare; quando io e Wyn eravamo insieme, era tutto così naturale che i particolari svaniscono. È strano, quando ci sono così tanti modi di amare una persona, sembra che si dia rilievo a uno solo di essi.
L’ultima cosa che mi disse fu: «Addio, cara, abbi cura di te».
Tu abbi cura di te, Wyn. Io non posso più farlo ormai.