Eccovi la terribile notizia che ieri non avevo la forza di comunicarvi: il capitano generale Naso a Patata e i suoi due intendenti ci hanno derubati! Ecco il perché di tutto quell’interessamento per accompagnarci fino alla locanda e aiutarci a metterci a letto. Quando ci siamo addormentati, hanno rovistato tra tutti i nostri averi e si sono portati via ciò che era di loro gusto, ovvero i soldi, l’oro e qualche gioiello, e hanno lasciato tutta la comitiva a tasche vuote. Beaumarchais, nello scoprirlo, era talmente disperato che per un momento ho pensato si sarebbe buttato dalla finestra. Gli hanno portato via tutto. E ho l’impressione che, nel suo caso, tutto sia molto più di quanto immaginiamo.
Io sono stato l’unico a cui i ladri hanno riservato un trattamento diverso. A parte l’oro e il denaro, si sono portati via anche un oggetto che avevo nel mio equipaggiamento. Indovinate cosa? È ovvio, sfortunatamente il regalo che volevate inviare al maître Fernandes, dono che dovevo consegnargli insieme alla lettera. Non vi angosciate: ho ancora la lettera. È il presente a essere scomparso. Il signor Beaumarchais, però, ha detto che non ci impiegheremo molto a recuperare ciò che ci hanno sottratto e a tale fine abbiamo deciso di fare una visita al capitano generale nel suo ufficio al palazzo del luogotenente (ora vi racconterò com’è andata). Nel frattempo mi ha ordinato di svegliare tutta la delegazione e di dire che li stavamo aspettando per la colazione.
Come potete immaginare, mia signora, il nostro umore era davvero cupo quella mattina, nello scoprire un tale disastro. Delon è subito sceso nella sala da pranzo e ha confermato ciò che vi ho appena raccontato circa i furti. Ma sono incappato in un problema quando mi sono recato nella stanza di Malesherbes e Labbé. Per quanto abbia suonato con veemenza e abbia urlato i loro nomi in modo davvero poco discreto, non ho ricevuto alcuna risposta. Nella stanza regnava un silenzio tanto sepolcrale che sono arrivato a pensare – che sciocco! – che fossero usciti all’alba per andare ad assistere a una qualche funzione religiosa. Più tardi, però, mi sono ricordato che Malesherbes non era un grande amico dei preti, ho quindi chiesto, in nome del re di Francia, la chiave della stanza e ci sono entrato, pronto a scoprire cosa stesse accadendo.
E stava accadendo qualcosa di veramente vergognoso. Lì dentro c’era un tanfo d’alcol non digerito da far spavento. I due uomini dormivano, nella penombra delle tende chiuse, ciascuno a pancia all’aria sul proprio letto. Malesherbes – che spettacolo! – era mezzo nudo. Il signor Labbé indossava ancora gli abiti con cui era uscito. Buttate a terra ho contato sei bottiglie di quel liquore casereccio che ci avevano offerto la notte precedente, una delle quali si era rovesciata e c’era liquido sparso su tutte le piastrelle. Imbarazzato dal comportamento di quei due sudditi di Sua Maestà, ho provato a svegliare Labbé, con cui ho maggiore confidenza, ma non ci sono riuscito se non scuotendolo con tutte le forze, come fosse un albero carico di frutti maturi che si vogliono far cadere. Solo dopo aver insistito, sono riuscito a ottenere che aprisse un occhio e mi guardasse, ma non doveva essere molto sveglio perché mi ha detto: «Santa Maria madre di Dio, guarda, uno stoccafisso» e si è disteso di nuovo per continuare a dormire.
Mi è rimasto il dubbio sul fatto che lo stoccafisso fossi io o fosse un soprannome datomi dai membri della comitiva. Ho notato che anche le cose di Labbé e il baule di Malesherbes erano stati rivoltati. I ladri avevano un obiettivo concreto e una strategia perfetta per raggiungerlo. Noi eravamo stati degli sciocchi e gli avevamo reso le cose molto semplici.
Mi sono detto tutto questo mentre scendevo per spiegare la situazione al signor Beaumarchais. Ovviamente si è infuriato e dopo aver fatto una frugale colazione, è andato al palazzo del luogotenente a chiedere spiegazioni.
«Voi aspettatemi qui, Guillot» mi ha chiesto, «nel caso in cui i dormienti si sveglino. Qualsiasi cosa accada, non permettete a nessuno di abbandonare la locanda, d’accordo? Io sarò di ritorno prima di pranzo».
Sono corso a chiedere a Labbé lo stesso che Beaumarchais aveva appena chiesto a me. Lui mi ha promesso che avrebbe fatto molta attenzione, ma non mi ha potuto assicurare di riuscire a fermare Malesherbes se a quella montagna umana fosse venuto in mente di uscire dalla locanda. Subito dopo sono uscito dietro a Beaumarchais, proprio come voi mi avete ordinato, temendo di averlo perso tra il labirinto di quelle stradine strette. Sono stato fortunato perché sono riuscito a intravederlo e mi sono attaccato a lui come un’ombra, ma in modo molto discreto, per non destare i suoi sospetti.
In primo luogo è andato fino al palazzo del luogotenente, dove gli era stato detto che si trovava l’ufficio di quel signor González tutto agghindato del giorno prima. Ha chiesto di lui e si è presentato come ‘l’ambasciatore di Sua Maestà il re di Francia’. Come potete immaginare, è stato subito ricevuto. Non ho potuto vedere con i miei occhi cos’è accaduto dentro l’ufficio (aspettavo nella piazza antistante, ammirando la grandezza e la maestosità del luogo, tremando di freddo, visto che il mantello non era sufficiente a proteggermi). Quando Beaumarchais è uscito, era più sereno, camminava lentamente e sorrideva, come gli avessero detto qualcosa di piacevole. Ha proseguito girando poi a destra, in una strada lunga e stretta come la lama di una spada e che infatti prende il nome proprio da questo e si chiama Espaseria.15 Io l’ho seguito senza fare troppa attenzione. Camminava così deciso che chiunque avrebbe immaginato stesse tornando alla locanda.
Mi sono stupito quando l’ho visto percorrere il muro laterale della chiesa di Santa Maria e girare di nuovo, questa volta a sinistra, in una strada signorile chiamata Montcada. Cercavo di mantenere vigile l’istinto spionistico, che non è la prima volta che metto in pratica, e a farlo mi aiutava l’allegria della strada, piena di gente che andava e veniva e di venditori che elogiavano i propri prodotti nella loro lingua, che non è il castigliano e che loro non vogliono sia il castigliano.
Il signor Beaumarchais non ha rallentato il passo fin quando non è giunto più o meno a metà strada. Lì si è fermato, ha alzato lo sguardo, mi è parso dubitasse un attimo circa quale fosse la porta a cui bussare e alla fine si è deciso. Ha dato qualche colpo con il batacchio sull’entrata dell’edificio e gli hanno subito aperto facendolo accomodare. Mi è sembrato che non fosse affatto sconosciuto in quella casa. Ho aspettato a lungo che uscisse. Ho sentito i rintocchi delle campane di Santa Maria del Mar sia quando hanno segnato le dieci sia le undici, e quando temevo ormai che sarebbe arrivato mezzogiorno e sarei ancora stato lì ad aspettare, la porta si è aperta e il signor Beaumarchais ne è uscito serio come quando era entrato, ma con un’aria di mistero dipinta in volto. Intendo dire che aveva l’aria (sempre che questo lo si possa immaginare) di qualcuno che ha appena concluso un buon affare.
Questa volta sì che ho pensato che stesse tornando alla locanda e ho accelerato per avere un minimo di vantaggio (sono agile, di gamba lunga e ventisette anni più giovane di lui, lasciate che vi dica che ci sono quindi riuscito senza dovermi sforzare un granché). Appena arrivato, ho chiesto a Labbé se c’erano novità e mi ha risposto che i dormienti erano ancora nella loro stanza. Mi sono seduto al tavolo della sala da pranzo, ho finto di leggere un giornale intitolato Gazeta de Barcelona, e ho fatto un’espressione molto sorpresa quando ho visto entrare Beaumarchais.
Il signore era furibondo mentre raccontava cosa aveva scoperto al palazzo del luogotenente.
«Pensate, Guillot» ha detto. «I ladri che ieri ci hanno privati di tutto non hanno nulla a che vedere, come del resto immaginavo, con il capitano generale o il Municipio. Il vero signor González de Bassecourt è un intellettuale, proprio come ci avevano detto, protettore del teatro di questa città e grande ammiratore delle mie commedie, che ha visto tutte. Ci siamo capiti alla perfezione in francese, e si è mostrato commosso dal mio racconto dei fatti, oltre ad avermi promesso che farà di tutto per arrestare quei malfattori».
«E quindi» ho domandato, «chi erano quei tre impostori?»
«È proprio quello che mi sto chiedendo, Guillot, proprio quello».
Proprio come aveva detto Beaumarchais, c’è stata un’indagine. Gli uomini del capitano generale hanno interrogato Zanotti – «Io non ho fatto altro che riportare quello che mi avevano detto, che ne sapevo, povero me, di quegli impostori, se non li avevo mai visti!» si difendeva lamentoso l’oste – e hanno fatto un inventario di ciò che è stato rubato. Quando hanno parlato con me, si sono stupiti.
«Una cioccolatiera?»
«Di porcellana bianca, uscita dalla fabbrica reale di Sèvres, ma non ha la firma caratteristica della fabbrica imperiale, ovvero le due elle legate tra di loro. Era avvolta in un panno di velluto turchese».
«E la cioccolatiera ha un grande valore?»
«Inestimabile, signore. È un pezzo unico».
«E permettetemi una curiosità» ha detto uno di loro, «come mai viaggiate con una cioccolatiera?»
Ormai non mi fidavo più di nessuno. Non ho voluto parlare di voi né del signor Fernandes a quegli uomini. Ho detto: «Non esco mai senza, signore».
Il bello è arrivato quando quegli uomini hanno svegliato i due ubriaconi. L’interrogatorio non è stato un granché, bisogna dirlo. Quando se ne sono andati, Beaumarchais in persona ha versato sulle teste di Malesherbes e di Labbé tutto il contenuto di una bacinella d’acqua. Ed è stata una buona idea.
«Vediamo se questo vi sveglia un po’. E per Dio, copritevi!» ha detto Beaumarchais indicando i due cosciotti da maiale di Malesherbes, la pancia bella rotonda e, in mezzo a tutta quell’abbondanza, la salsiccetta appassita che non sapeva dove stare. «E fatemi il favore di rimettervi in sesto, cavalieri, o vi devo forse ricordare che siete alti inviati di Sua Maestà il re di Francia, la nazione più grande che si sia mai vista sulla faccia della...?»
«D’accordo, d’accordo» l’ha interrotto Zanotti, «posso esservi utile in qualcosa o mi permettete di riportare la bacinella al suo posto?»
Alla fine tutto si è sistemato con una buona brocca di caffè tiepido e ben riposato dopo avere bollito almeno sei o sette volte; il caffè, che come ben sapete, è una bevanda medicinale dal gusto sgradevole che ora tutti i medici d’Europa consigliano.