SETTE

Vi domando perdono per l’inaspettata piega che ha preso questa mia cronaca della quale mi accingo a offrirvi un nuovo capitolo, relativo alla conversazione intrattenuta nello studio parrocchiale di Santa Maria del Mar con quel sant’uomo di padre Fideu. Dopo le presentazioni (brevi) e i convenevoli (necessari) sono andato direttamente al sodo, parlando di Marianna. Gli ho detto, senza girarci troppo intorno, che quell’incantevole donna mi ha catturato, ma ancor di più il suo coraggio, del quale sono stato testimone quando me ne stavo nascosto sotto il bancone. L’uomo mi ascoltava come se non avesse null’altro da fare quel giorno, con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra e le mani incrociate sul tavolo. Nel guardarlo mi faceva venire in mente quelle immagini di eremiti toccati da Dio di cui si parla nelle agiografie.

Ho osato parlare senza mezzi termini circa i miei interessi. Gli ho detto che se vivessi in questa città, o pensassi di trasferirmi, non dubiterei un solo secondo a chiedere a una donna come Marianna di sposarmi e a mettere su una famiglia, la più numerosa possibile, con lei, ma siccome, sfortunatamente, ho obblighi molto importanti verso la mia nazione, il palazzo di Versailles e il servizio a madame, sono costretto a pensare a un’altra soluzione, forse ancora più soddisfacente. Non vorrei affatto che Marianna dovesse tornare a vivere nella casa di beneficenza e ancora meno che andasse a finire tra le grinfie di quell’animale di Mimó o di altri come lui che non pensano al suo bene e le guardano soltanto le... be’, forse, signora, non è il caso che vi espliciti cosa le guardano.

Padre Fideu ha approvato assentendo a tutto ciò che aveva sentito: «Fate molto bene a preoccuparvi di lei, monsieur. Io ormai sono vecchio e presto dovrò incontrare Dio Nostro Signore. E quando mi chiederà di Marianna, mi piacerebbe potergli dire che è ben sistemata».

«Sono qui proprio per questo, padre. Ma per portare a termine un certo proposito che mi balena in mente, ho bisogno del vostro aiuto e del vostro consenso. Marianna vi ascolta e vi vuol bene. Dice che la conoscete da sempre. Non c’è nessuno migliore di voi, quindi, per dirmi alcune cose che ho bisogno di sapere prima di fare il primo passo. Se la cosa non vi crea problemi, ovvio...»

«Volete sapere se è una ragazza onesta e se vi potete fidare di lei?»

«Avete indovinato».

«Quindi siete venuto qui alla ricerca di una storia...» ha tamburellato sul tavolo con i polpastrelli di una mano, lentamente e soddisfatto. «La storia di Marianna la cioccolatiera, giusto?»

Non c’era alcun dispiacere nella voce. Sembrava più che altro compiaciuto.

«Se fosse possibile...»

«Con molto piacere. Mettetevi seduto comodo, perché la faccenda lo merita. Vi racconterò ciò che volete sentire e che ha inizio quando Marianna, da molto piccola, è rimasta orfana di madre e di padre. Qualcuno l’ha portata alla Casa della Misericordia, dove si accolgono le creature non desiderate. È cresciuta lì, sana e robusta per quanto potevano permettersi le suore. Io l’ho conosciuta, come altre povere creature di quella casa, nel ruolo di confessore. La piccola Marianna attirava l’attenzione per quanto era candida e buona, ma anche per la finezza senza eguali del suo volto. Già da bambina era una vera bellezza. Inoltre tutti dicevano meraviglie sul suo conto. Le suore affermavano che era una bambina sveglia e lavoratrice e – cosa ancora più importante – che non ne avevano mai conosciuta un’altra dal cuore tanto buono.

«Forse voi ignorate cosa fanno i re di Spagna in queste contrade quando gli avanza un po’ di denaro e sono di buon umore. Il buon Carlo III, felice perché gli era appena nato un nipote (sfortunato: ha vissuto soltanto tre anni), ha organizzato un concorso per la nostra città destinato alle donzelle povere in età da matrimonio. Ha promesso seimila reali di dote per tre giovani tra i quindici e i trentacinque anni, povere, orfane e oneste. Bisognava presentare una domanda scritta e l’avallo di un ministro di Dio.

«Non appena venuto a conoscenza del concorso, che prometteva di scegliere tre fortunate tra tutte le aspiranti, ho pensato a Marianna. Non ce n’era nessuna come lei, ma senza dote e senza genitori non sarebbe mai uscita dalle quattro mura in cui viveva. Si è mai visto un destino più ingiusto per una creatura tanto perfetta? Siano lodati Carlo III e tutte le sue idee; quest’uomo non sembra figlio di suo padre se non in questa comune mania di far parlare tutti in castigliano, che sciocchezza! Come se non avessimo intenzione di continuare a parlare come ci va, dica quel che dica. Insomma, tutto quello fu una benedizione del cielo per la ragazza. Sono corso a preparare tutti i documenti: certificati di morte del padre e della madre, un certificato di buona salute, un altro in cui si affermava che seguiva i precetti della Chiesa, un documento imbarazzante sullo stato di povertà (che roba!) e ho scritto una lettera dicendo che era una giovane onesta, di buoni costumi, figlia naturale e senza nulla che ne oscurasse la bontà. L’ho scritto io perché ‘lei non sa scrivere’ e l’ho consegnato.

«Quando glielo spiegai dicendole che non c’era nessun altro più meritevole di lei di ottenere questa grazia dal re, Marianna mi ha guardato con gli occhi sbarrati, poveretta. Aveva soltanto diciassette anni ma era molto sveglia e si era già rassegnata a prendere gli abiti, l’unica possibilità dignitosa per non morire di miseria, quando all’improvviso, dopo avermi sentito raccontare tutta la faccenda, mi ha chiesto: ‘E povera me, con chi dovrei sposarmi se non conosco che orfani, vecchie e suore?’

«A quel punto mi sono reso conto che non era sufficiente trovarle una dote. Bisognava trovarle un uomo alla sua altezza e questo avrebbe richiesto un po’ più di tempo. Mi sono subito messo all’opera. Ho fama di essere un uomo tranquillo e bonario, signore mio, ma vi assicuro che sono sempre all’erta e non mi sfugge nulla. Dal momento in cui ho presentato la documentazione, ho iniziato ad analizzare attentamente tutti gli scapoli della città e nessuno di loro mi pareva abbastanza degno della mia Marianna. Alcuni mi sembravano maleducati, altri troppo insignificanti o troppo goderecci, o troppo pelosi o troppo scansafatiche e sono persino arrivato a scartarne uno il cui unico difetto era di essere di Espluga de Francolí. Stavo già pensando di essermi bevuto il cervello quando ho incontrato Fernandes, il cioccolatiere.

«Che uomo sveglio! Era un buon cristiano, non era affatto sciocco e non aveva problemi a lavorare. E pensate che l’ho conosciuto per puro caso, un pomeriggio in cui sono entrato nel suo negozio di carrer de les Tres Voltes e ho ceduto a un capriccio della gola, lasciandomi invitare a una tazzina di cioccolata dolce e speziata. Si dice che quei selvaggi non civilizzati dell’altra parte del mondo definiscano la cioccolata cibo degli dei! Dopo aver provato quella bevanda celestiale, non mi stupisco che sia così faticoso convertirli alla vera religione. Fernandes si è servito una tazza per sé, ha chiuso la porta del negozio e mi ha voluto esprimere le sue più intime inquietudini. Sapete bene che noi preti siamo avvezzi ad ascoltare le confidenze della gente.

«E così sono venuto a scoprire che quell’uomo soffriva. Soffriva molto e lavorava ancora di più, perché suonavano sempre più clienti alla porta del suo negozio e lui non ce la faceva a servire tutti. Inoltre, è ovvio, andava anche a casa dei ricchi a preparare la cioccolata, com’è abitudine. Avrebbe potuto trovare un apprendista, ma non si fidava molto dei nomi suggeriti dalla corporazione, né di quelli proposti dai droghieri e ancor meno dai mugnai. Preferiva non fare confidenze a nessuno sconosciuto e riservarle per il giorno in cui le avrebbe potute condividere con una persona speciale. Ho notato che, nel pronunciare queste parole, la voce gli si spezzava disperata e gli ho domandato a chi stesse pensando.

«Il cioccolatiere Fernandes desiderava una compagna. Era scapolo e in città non aveva alcun parente. Da quando era arrivato a piedi da Mataró, portandosi dietro la pietra per sminuzzare la cioccolata, non aveva fatto altro che lavorare giorno e notte. Ogni tanto, quando sollevava lo sguardo dalle fave di cacao tostate, sognava ancora di trovare una donna che alleviasse le sofferenze della sua solitudine, che non erano poche (alcune appartenevano al giorno, altre alla notte). Non aveva l’abitudine di corteggiare le donne né tempo per fare altro che non fosse cioccolato e altro cioccolato, e ora che era arrivato ai trentatré anni, l’età in cui le divinità muoiono e che gli antichi consideravano la metà del cammino della vita, si disperava al pensiero che quella cioccolata che addolciva l’esistenza dei ricchi stesse invece amareggiando la sua.

«Mentre mi raccontava tutte queste mancanze, io lo osservavo, proprio come ora guardo voi, e dentro impazzivo di gioia. L’ho lasciato finire, perché certe cose fanno effetto solo quando l’altro si è sfogato e a quel punto ho detto: ‘Forse vi stupirete, Fernandes, ma sono contento di tutto ciò che vi sta accadendo’.

«Ovviamente si è stupito parecchio. Mi ha chiesto perché ne gioissi, visto che non aveva fatto altro che raccontarmi disgrazie. ‘Perché ho la soluzione a tutto il vostro dolore, Fernandes. Voi lasciatemi fare e capirete di cosa sto parlando’.

«Non vorrei che pensaste che ho truccato il concorso, ma ho comunque parlato con due o tre persone influenti che mi ascoltano sempre (soprattutto quando gli indico le penitenze). Non è stato necessario che esagerassi, è bastato descrivere la mia candidata perché tutti mi dessero ragione. In seguito ho saputo che si erano presentate milleottocentottanta giovani, delle quali trecentonove vennero eliminate perché non avevano i requisiti necessari. Ne sono quindi rimaste millecinquecentosettantuno. Che tra queste abbiano scelto la mia Marianna è stato un segno della giustizia divina, ve lo posso assicurare. E il suo matrimonio con Fernandes, il cioccolatiere, l’idea migliore che abbia mai avuto.

«Hanno formato un’ottima squadra. Lei ha trovato protezione e lui felicità. Con l’aiuto di Marianna, quel pover’uomo ha finalmente potuto pensare anche ad altro. E all’improvviso è venuto a dirmi che aveva ideato una macchina per fare cioccolata. Di notte, quando chiudevano il negozio, parlavano di macchinari e progettavano il loro futuro, stando a quanto mi hanno detto. ‘Dovete pensare a mettere al mondo dei figli, quando chiudete il negozio!’ li sgridavo io, che mi sentivo come dovessero rendermi nonno. Ma niente, loro pensavano soltanto a come costruire quel che avevano in mente. E l’hanno fatto! Non c’era nulla che non potessero fare quei due insieme, capisce? Erano come uno di quei temporali di settembre, che quando iniziano non c’è nulla che li possa fermare e si trascinano tutto dietro».

Parlando della sua protetta e del cioccolatiere, gli occhi di padre Fideu si riempivano di lacrime.

«Quindi questa macchina che voi avete avuto modo di vedere è un po’ come il figlio o la figlia che la coppia non ha mai avuto perché era troppo distratta da altre cose. Erano una bella accoppiata questi due, eccome, si meritavano di certo un destino migliore. A volte, chissà perché, Nostro Signore ci riserva brutte sorprese».

Ho lasciato che passasse quel momento lacrimevole di emozione e gli ho chiesto se lui era assolutamente sicuro che Fernandes fosse morto.

«Eccome se è morto!» è saltato su. «Io stesso l’ho sepolto qui accanto, in un campo di cavoli appartenente alla parrocchia».

«L’avete sepolto voi?»

«Me l’ha chiesto Marianna. Di dare una sepoltura cristiana allo sventurato e di mantenere il segreto circa il suo passaggio a miglior vita perché quelli della corporazione non le facessero chiudere il negozio. E siccome a questa creatura non riesco a dire di no, che Dio mi perdoni, ho acconsentito. Ogni tanto lei viene a visitare la tomba che nessuno, a parte noi, sa dove si trovi. È un po’ strano vedere una donna così giovane e bella che prega e versa lacrime davanti a broccoli e cavolfiori, ma se la sacrestana fa qualche domanda, le dico che, poverina, per via del tanto dolore, ha perso la testa».

«E di cosa è morto il cioccolatiere?»

«Di morbillo. Che sfortuna! Un brutto giorno era lì con la febbre e due settimane dopo era già sottoterra».

Dopo aver scoperto per intero la storia del cioccolatiere e del mio angelo, mi sono commosso. Allo stesso tempo sono stato contento di essere andato a far visita a padre Fideu perché mi sono accorto che era perfetto per i miei propositi.

«Vedete, padre» gli ho detto, «mi sembra che non vi piaccia l’idea che Marianna si faccia suora ed entri alla Casa della Misericordia per non uscirne mai più».

«Ovvio che non mi piace l’idea!» ha risposto con tono acceso. E poi, con voce più spenta, ha aggiunto: «Ma cosa posso farci? Come vi ho detto non sono giovane e non ho quella...»

«Padre, lasciatemi parlare. Sono venuto alla ricerca di una storia, è vero. Ma voi ancora non sapete che ve la voglio pagare molto bene».

«Davvero?» ha spalancato gli occhi e aggrottato la fronte. «E cos’è il prezzo?»

«Un finale».

Come avevo previsto, la cosa l’ha interessato molto. Ma prima di spiegargli tutto per filo e per segno gli ho domandato: «Avete qualche impegno dopodomani alle cinque del pomeriggio?»